Capitolo 17.3 - Fino al mio ultimo respiro
Tommaso
Fede mi aveva chiamato, ma non me l'ero sentita di rispondere e spiegarle quello che stava accadendo a sua sorella.
Rimasi seduto sulla sedia della sala d'aspetto, nel corridoio della stazione di polizia, quando un uomo, scortato dal giovane poliziotto si avvicinò.
«Rebecca?» Scattai in piedi. «Che fai qui? Sei rinsavita? Ritirerai la dichiarazione e potrò uscire?» La donna non rispose e toccò a me dire al signor Andreani il motivo della nostra presenza. «Dottore, e lei invece?»
«Signor Lorenzo...» Lanciai un'occhiata alla donna. «Non è facile dirle una cosa del genere. Sua figlia Alessia è scomparsa. Non si trova da nessuna parte.»
«Alessia è scomparsa? Che è successo? Cosa le hanno fatto? Chi è stato?! Tu... brutta disgraziata!» Si imbestialì e urlò contro la moglie, al punto che dovette intervenire un altro poliziotto, mentre lo mantenevo per il busto. Quest'ultimo gli intimò di non fare scenate e il detenuto si liberò dalla presa con un forte strattone. Portai le mani fra i capelli e sospirai.
"Che situazione..."
Dopo un po', il signor Lorenzo uscì furibondo dall'ufficio del commissario e letteralmente inseguì la moglie che implorò aiuto. Corsi nella loro direzione per separarli e la donna urlò che voleva ucciderla e ne avevamo le prove. «Se succederà qualcosa ad Alessia, ti pentirai di essere nata! Faresti meglio a sparire dalla mia vista!» Gridò a squarciagola e il commissario lo ammonì duro minacciando di spedirlo in carcere senza troppi preamboli.
La mia ansia non fece che accrescere man mano, che le ore passavano senza avere notizie. Iniziai a passeggiare avanti e indietro e poi finalmente il commissario marciò verso il signor Andreani poco distante.
«Di cosa staranno parlando? Perché non vengono da noi? Quella feccia spera di salvarsi.»
Sollevai l'indice, perentorio.
«Per favore, faccia silenzio. Resti qui, andrò a vedere io.» Per evitare altri scontri, mi incamminai nella loro direzione e il commissario comunicò che era stato ritrovato il corpo di una donna con espressione desolante. «Vi verranno a prendere fra poco per l'identificazione del cadavere.» Il mio cuore rallentò di colpo i battiti e il signor Andreani si aggrappò al mio braccio per sostenere il peso di quella notizia.
«Non è possibile. Ne è sicuro?» Chiese per avere conferma.
Il commissario assentì con il capo. «Temo di sì...»
Non riuscii a spiccicare una sola parola in quella circostanza e scambiai un'occhiata col signor Lorenzo, eravamo immobili. La donna si fece avanti, chiedendo se ci fossero novità, se l'avessero trovata, ma nessuno parlò.
Finora mi ero imposto di non perdere la speranza, ma gli occhi mi pizzicarono. Ingoiai a vuoto, la gola si era seccata.
«Mia figlia... è viva, vero?! Eh?» Ritentò la donna, poi si avventò sul marito e lo scrollò con violenza per strapparlo a quella trance. Il signor Andreani rafforzò la presa sul mio braccio.
Il luogo si trovava nella parte più desolata della città, sotto un cavalcavia, e le uniche luci presenti erano delle vedette della polizia, assieme alla scientifica. Scesi dall'auto e vidi i tre uomini circondare un corpo steso a terra, coperto da un telo bianco. La pelle si accapponò per i brividi e non riuscii a muovere un muscolo. La donna a stento mantenne l'equilibrio e l'afferrai di slancio. Il signor Andreani andò avanti, noi due lo seguimmo a piccoli passi e attraversammo il nastro segnaletico. I singhiozzi della donna squarciarono il silenzio tombale e la pioggia iniziò a precipitare giù dal cielo.
«A-Alessia... piccola mia, che ti hanno fatto?!» Strillò la madre, cadendo in ginocchio, con le mani sul viso.
«Non puoi essere tu...» ripeté il padre, affranto. I miei occhi intanto si offuscarono per le lacrime e decisi di pensare io a riconoscere quel corpo, d'altronde il lavoro a volte mi aveva portato anche a vedere certe scene crudeli, i pazienti che morivano e venivano spostati nella sala mortuaria.
Ricevetti un cenno d'assenso dal signor Andreani e il ragazzo sollevò a rallentatore quel telo. Mi inginocchiai per vedere quel volto, quei tratti. Non poteva essere stata uccisa da quel bastardo. Non poteva essere stata abbandonata qui e lasciata morire fra atroci sofferenze. Scoprirono il viso della malcapitata e il respiro mi mozzò in gola. Un sorriso fece capolino sulle mie labbra e portai la mano tremante contro la tempia.
Un momento peggiore di quello non l'avevo mai vissuto...
Giovanni
«Pazzesco! Riesce sempre a scappare quella ragazza...» dissi tra me e me, rimanendo solo con la neonata. Mi tornò in mente un particolare. «Stamani nessuno sapeva che eravamo fidanzati, ora mi parla di matrimonio lampo e vestito da sposa. Vuole che glielo compri? Credo che me lo stesse chiedendo fra le righe, buttandolo sulla battuta. No? Oh accidenti, mi ha confuso! Che ne pensi?» chiesi un parere alla mia interlocutrice. «Ha detto di avere molto lavoro... Perché voi ragazze non dite mai le cose chiaramente? Dobbiamo sempre risolvere noi i vostri rompicapi!» Increspai un ghigno, compiaciuto. La stanchezza prese il sopravvento e appoggiai i piedi su uno sgabello per stare più comodo con le gambe, ero esausto dopo quella giornata. Avvertii un tocco leggero, che scese fino alla tempia. Durò un piccolo istante. «Non vuoi darmi un bacio?» Anche ad occhi chiusi, la riconobbi, il suo tocco, le sue mani. «Come nelle favole...» Percepii il suo profumo quando venne e poggiò le labbra sulla mia guancia. Aprii pigramente gli occhi e la trovai in piedi davanti a me, inspirando profondamente.
«Me ne vado.»
«Ci sono novità di Alessia?»
Dissentì. «No. Tommy doveva chiamarmi, ma non l'ho più sentito da oggi pomeriggio.»
«Che farai?»
Sbuffò. «Non lo so. Nicolò mi ha scritto un messaggio, dicendomi che anche Nina stava male e si era chiusa in camera.»
«Ok, vai da lei.»
«Tu non vai a casa?»
Schioccai la lingua al palato. «Angel ha bisogno di me.»
«Dovresti riposare. Sei stato in piedi da tutta la giornata. Lascia che sia l'infermiera ad occuparsi di lei.»
«Vai, e non pensare a me.» Guardai la piccola riposava sul mio petto che ormai era diventato un cuscino morbido e non si era staccata un secondo. Federica mi rivolse uno sguardo dolce prima di uscire e, nel frattempo, strinsi la neonata.
[...]
La situazione si era stabilizzata e la piccola guerriera era pronta per incontrare la sua mamma. La fase critica era passata e finalmente non doveva più stare in incubatrice. Era un angelo. Un piccolo angioletto meraviglioso.
«Ti riunirai con mamma e io andrò ad occuparmi di ciò che abbiamo parlato prima» le strizzai l'occhio e le porte si spalancarono, l'infermiera portò dentro la donna in sedia a rotelle . «È già qui la mamma. In bocca al lupo, piccolina... e fallo pure un in bocca al lupo, che magari ne ho bisogno.»
«La mia bambina!»
«È arrivato il momento, Angel.» Guardai la neonata e la consegnai nelle braccia della mamma, pronta ad accoglierla.
«Angel?»
«Mi scusi, non ho potuto farne a meno. In fondo sua figlia è stata un angelo.» confessai.
La donna la cullò fra le braccia e sorrise, dicendole che era così bella. Una madre che finalmente poteva stare con la sua piccola, dopo aver quasi rischiato di morire in quell'incidente. «Grazie molte, dottore. Per tutto.»
Poggiai la mano sulla spalla, augurandole una pronta guarigione e abbandonai la stanza, per fare ciò che mi ero prefissato.
Federica
Entrai in ascensore e mi fermai alla vista del dottor Gentile. Non mi sarei aspettata di trovarlo all'impiedi. «Ric?» Mi affiancai. «Come va? Stai bene?»
Mi fissò con la spalla contro la parete. «Tu come credi che stia.» Dal suo tono di voce astioso capii che era ancora seccato.
«No... solo che non ti ho più visto.»
«Sono andato a prendere una boccata d'aria fuori.» Guardò avanti a sé. «Niente di più. Oggi avete avuto parecchio lavoro. Nessuno è venuto a vedermi, né tu, né Giovanni, né Rosi.»
«Scusami, avrei dovuto venire.» Appoggiai la mano sul suo braccio a mo' di conforto.
«No, no, perché ti scusi? Dopotutto avete tutti le vostre priorità.» Chinai lo sguardo in basso, sentendomi a disagio. «Non è così... capo?»
Schiusi le labbra, non mi aveva mai trattato con quella freddezza. Roteai gli occhi.
«Ric... anche tu.»
«La Federica che ho conosciuto io non avrebbe mai accettato quelle azioni, però a quanto pare non lo sei. Stai diventando quel modello di persona che hai sempre disprezzato a morte.»
«Sono ancora quella Federica, non preoccuparti.»
«Se lo dici tu.» Asserì prima di uscire, lasciandomi interdetta. Premetti di nuovo il pulsante per far partire l'ascensore.
[..]
«Nina?» Domandai a Nicolò quando varcai la soglia di casa, posando lo zaino sul mobile all'ingresso.
«Si è chiusa in camera, e sta piangendo da un'ora. Non vuole far entrare.» Udii i singhiozzi della ragazza attraversare le pareti.
«Ci penso io.» Lo rassicurai togliendo il cappotto per metterlo sull'attaccapanni.
«Non esserne troppo sicura. Quella ragazza è testarda quanto te.» Si allontanò con le mani ai fianchi e bussai alla porta.
«Nina?» Non ottenni risposta e alzai gli occhi al cielo. «Ehi, Nina? Dai, aprimi. Angelina Mango se non la apri tu, lo farò io!» Passai alle minacce. «Non voglio lasciarti sola. Dai, Angelina, apri, forza!» Poi continuai con le suppliche, mi stavo stancando di parlare dietro una porta chiusa. «Una volta ho chiamato il fabbro e la scorsa volta l'ho rotta. Non voglio dovermi ripetere!» Enne sollevò le sopracciglia come a dire "interessante". «Vuoi che lo rifaccia? Sicura? Vuoi sfidarmi? Eddai!» Bussai ancora, fin quando la serratura non scattò. «Finalmente.» Esalai, sospirando per il sollievo e la ragazzina si buttò a capofitto su di me, continuando a piangere come una fontana e stringendomi forte, non dandomi il tempo di reagire. «Che ti prende, Nina? Cosa c'è?» Il suo pianto era così convulso e soffocò i singhiozzi sulla mia spalla.
Feci un cenno a Nicolò di andare in salotto e lasciarci parlare da sole e la staccai da me. Entrai nella cameretta e si andò a infilare sotto un cumulo di coperte. Le scostai un po' e mi sedetti sul bordo.
«Nina, che è successo?»
«W-Wax…»
«Andrà tutto bene, Angelina.»
«Come fai a saperlo? Hai la palla magica?»
«Lo so. Ci credo. Lo voglio. Tu no?»
«Sì… lo voglio anch'io, ma...» rispose dopo un attimo di silenzio.
Le tolsi la coperta di dosso, il viso era bagnato per le lacrime che stava versando da chissà quanto e il naso arrossato. «Dobbiamo essere al suo fianco, capisci? Devi fargli sentire che starà bene.»
Angelina mi fissò un secondo, prima di distogliere lo sguardo sconsolato e stropicciare il fazzoletto tra le mani.
«Pensi che sarò in grado di farlo?»
«Lo hai fatto con me, per anni.» Riprese a piangere e le accarezzai la fronte, proprio come una madre farebbe alla propria bambina nei momenti “no”. Era stata colei che, in molte occasioni, mi aveva spronato a lasciarmi andare quando le cose erano complicate, era grazie a lei se adesso ero questa persona.
Ero rinata dalle ceneri, aveva avuto fiducia in me, quando nemmeno io credevo di far del bene a qualcuno. Si spostò con la testa e la posizionò sulle mie gambe. «Dobbiamo stare con i nostri cari adesso. Godere di ogni momento che avremo con loro e non lasciarli mai, mhmm?» Accarezzai le sue guance paffute, da bambina. «Devo dirti una cosa che ti sorprenderà.» La piccolina restò in silenzio. «Non ti chiedi cosa devo dirti?»
Si tirò su, mettendosi seduta vicino alla testiera, e ingoiò.
«Ma ho un po' paura.»
«Perchè hai paura?»
«Perché le cose belle sono fugaci. Non importa quanto sia bello ciò che hai da dirmi. Ho paura che finisca all’improvviso.» ammise con un filo di voce e una lacrima le rotolò giù.
«Ti sbagli, Angelina. Alcune cose belle durano per sempre.»
«Allora perché le cose brutte accadono sempre alle persone buone? Perché c’è il male attorno a noi? Perché dobbiamo sempre essere tristi?» Si stava arrovellando il cervello e le lasciai un bacio amorevole sulla fronte. Ricominciò a singhiozzare, poi tirò un sospiro.
«Ah la mia Nina… Ti sbagli di grosso. Le cose belle accadono anche a noi.» Mi fissò un attimo. «Ora tieniti forte e non svenire per quello che sto per dirti, okay?» Ma, mettendo il broncio, scivolò un’altra volta sotto il caldo piumone che era per lei quasi un rifugio dalla tristezza e sentii il campanello suonare.
Giovanni
Ad aprire la porta dell’appartamento fu il motociclista, che aggrottò la fronte alla mia vista.
«Cosa c'è?»
Si soffermò sul pacco gigantesco, che tenevo in mano con fierezza.
«Beh'»
«Beh? Posso entrare o devo aspettare sulla soglia tutta la sera?»
Si spostò e lo sorpassai. Chiamai a gran voce la mia fidanzata, dopodichè mi fiondai in salotto, per appoggiare la scatola sul tavolino da caffè.
«Dov’è Federica?»
«È mia.» Affermò sfrontato come per sfidarmi a replicare, e roteai lo sguardo. «Hai paura?»
«Senti amico, ho commesso questo sbaglio una sola volta.»
«Oh!» Fece il verso. «Vedo che il fidanzamento ha rafforzato la tua fiducia.»
«Probabile.» Mi strappò un sorriso e alzai la voce. «Fede, sono qui!»
«È con Ninni.»
«Grazie.» L'oltrepassai senza portargli alcun rancore e mi avvicinai alla seconda porta, iniziando a bussare e a chiamarla. «Fede…» Mentre il motociclista uscì, Federica spalancò la porta e poggiò il viso allo stipite guardandomi con faccia inebetita. «Tutto ok?»
«Insomma. Angelina sta male per Wax. Non vuole alzarsi.»
«Per Wax?» Lei annuì, continuando a fissarmi. Sorrisi, parlando tra me e me: «Wangelina.» Distolsi lo sguardo per poi rivolgermi all'altra. «Angelina! Anche noi siamo tristi per lui. Andrà tutto alla grande, tranquilla. Puoi uscire dal letto.»
«Perché sei venuto?» Chiese la mora.
«Chissà? Dai...» Le feci un occhiolino, ma protestò a bassa voce che non poteva, per non farsi sentire dalla sua amica.
«Non importa. Solo un momento, vieni.» Alla fine la convinsi. Uscì e le feci cenno di precedermi. Entrò e notando la scatola rossa si girò verso di me confusa.
«Cos’è?»
«Aprila...» Mi scrutò con la bocca schiusa, ma non le diedi alcun indizio. Puntò gli occhi lì e sollevò il coperchio con cura. Stupita le sfuggì una leggera risata, quando vide l’abito spuntare da sotto la velina.
«Sei completamente pazzo!»
Sorrisi di rimando e mi rialzai. Le presi il viso tra le mani.
«Te l’ho già detto: sono pazzo di te.»
«Ma… dove l’hai trovato a quest'ora?»
Lo afferrò dalla scatola, era un abito, — non uno normale, ma molto speciale — con la scollatura a cuore, un tocco di glitter che tempestava tutto il corpetto, pensato appositamente per la mia meravigliosa moglie, bello, semplice ma anche elegante. Per un lunghissimo minuto non proferì parola troppo impegnata a contemplare quella sontuosità. Ogni ragazza, nel suo giorno, meritava di essere la principessa di qualcuno, e lei era la mia.
Ci guardammo per svariati secondi.
«Farò sì che tutti i tuoi sogni diventino realtà, ok? Credimi.»
Lo depositò nella scatola e inclinò la testa. «Anche se ti metto sempre nei casini per i miei colpi di testa?»
Risi e presi le sue mani.
«Non mi importa se mi incasini... né di quello che passeremo d'ora in avanti. Non mi arrenderò mai con te. Sarò sempre al tuo fianco. Ti proteggerò e ti sosterrò nel bene e nel male, per tutti i giorni che mi restano da vivere.» I suoi occhi marroni si illuminarono e mi stampò un bacio sulla guancia. «Siamo a quota due! Stai facendo progressi, dottoressa!» Alzò il mento con falsa modestia. «Alla fine diventerà un'abitudine, amerò averli sempre.» Ridemmo entrambi e afferrò la scatola andando di corsa a cambiarsi. Mi lasciai ricadere a quel punto sul divano, togliendo la giacca in fretta e mi misi comodo. «Se hai bisogno di una mano, posso venire.» Non rispose e aspettai con impazienza.
Era già da un po', ma non era ancora apparsa e mi stavo chiedendo se non avesse bisogno di aiuto. Mi sentii inspiegabilmente nervoso e continuai a lisciare il baffetto, forse avrei dovuto tagliarlo. Voltando poi il capo, vidi la sua figura apparire come una visione eterea. Non riuscii a toglierle gli occhi di dosso, quel vestito le stava divinamente, a momenti, dimenticai di respirare.
Avanzò, tenendosi l’ampia gonna di tulle e balzai in piedi. Sembrava una principessa e alzai un angolo della bocca. La ammirai dall'alto in basso. Non c'erano difetti.
Era perfetta e bellissima.
«Non sono riuscita a chiudere la cerniera… ecco, ehm…» confessò, inclinando la testa con un certo rossore sulle guance.
Il sorriso mi si allargò. «Per questo, ci sono io, tranquilla!» Passai immediatamente alle sue spalle, accostandomi e le spostai quelle trecce sul petto. Con un tocco delicato accarezzai le sue braccia, per poi concentrarmi a tirare su la cerniera. Ritornai a percorrere con la dita la sua pelle, scostandole la spallina del vestito, e vi posai le labbra, baciando la clavicola. Le nostre figure si riflessero nelle vetrate del balcone e le cinsi il corpo.
«È così bello sapere che trascorrerò il resto della vita al tuo fianco, Fede. Con te, fino al mio ultimo respiro.» Accostai la testa alla sua. «Sempre con te. Ti sta benissimo.»
Si rigirò verso di me per guardarmi negli occhi, tenendo unite le nostre mani.
«Con te, fino al mio ultimo respiro.» ripeté.
Sentirle dire quelle parole mi riempì il cuore di gioia e le baciai la mano. I nostri sguardi si incastrarono e la spinsi contro di me, stampandole un bacio sulle labbra. Ricambiò, approfondendo il contatto, mentre sentivo il cuore scalpitare e chiusi gli occhi per lasciare fuori il resto, pensando alla ragazza che aveva occupato la mia mente e il mio cuore… dal primo momento. Avevo creduto fermamente che avrebbe fatto parte della mia vita e mi avrebbe reso l’uomo più felice del mondo. Ci staccammo e l'abbracciai forte, non volendo rompere quell’incantesimo.
Poi pensò... il campanello a disturbarci, e ci slegammo.
Avevo parlato troppo presto...
«Di solito, ci interrompe sempre il cellulare, ma stavolta è stato il campanello. Che sorpresa!»
«Sarà Nicolò.» ipotizzò sistemando l'orlo del vestito.
«Vado io.»
Raggiunsi l'ingresso.
Fede però si sbagliava.
Sull'uscio non c'era il suo amico motociclista, ma due persone e una bambina. Li lasciai passare e indicai il salone. Federica, alla vista del padre, si voltò con impeto e strabuzzò gli occhi. Rimasi in disparte.
«Papà?» Apparve anche Tommy con espressione disorientata e persa. «Che sta succedendo?»
La bambina era l’unica totalmente estranea e teneva la mano del signor Andreani, guardando Federica totalmente ammaliata dal suo aspetto.
«Zia, come sei bella!»
Nonostante il piccolo accenno di sorriso che le rivolse, una strana tensione si avvertì nell’aria.
Come se da un momento all’altro potesse verificarsi... una catastrofe.
- fine capitolo diciassettesimo-
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