Capitolo 11.2 - Niente sarà più lo stesso
Angelina
Non riuscivo a smettere di singhiozzare durante il tragitto e tenni gli occhi bassi sulle gambe. Nell'abitacolo nessuno aprì bocca. Ognuno voleva sfogare il proprio dolore a modo suo.
Non si poteva fare altrimenti... dopo la tremenda tragedia che ci aveva colpiti.
«La vita è effimera. Un giorno ce ne andremo e non resterà altro che polvere» dichiarò il rosso seduto alla mia destra.
«Volevo molto bene alla dottoressa» ammise Gianmarco singhiozzando. «Era una persona meravigliosa. Mi fa tanto male. Come potremo andare avanti?»
«Le piacevano molto... i biscotti di pasta frolla.» Gli occhi mi si inumidirono. «Li compravamo sempre... quando tornavamo da scuola, al liceo. Voleva che li provassi, di... diceva che erano deliziosi. Con la crema alla vaniglia o al cioccolato.»
«Angelina, ti prego, basta...» Mi ammonì Mattia.
«Mi pento di tante cose. Non volevo strapparle i capelli, mi sono lasciata trasportare dalla rabbia quella volta.» confessai con gli occhi chini e le lacrime mi percorsero le guance.
«Angelina, ti prego»
Matteo posò la mano sopra le mie e scrollai le spalle. «Vorrei che non avessimo litigato. Non le avrei mai detto quelle cose brutte.»
«Ora basta cazzo, Angelina! Non dire più una parola!»
L'irruenza del biondo che si voltò di scatto verso di me mi fece ghiacciare il sangue nelle vene e sussultai sul sedile posteriore.
«Va bene, sta calmo, Mattia. Calmati.»
«Dottore, per favore, devo scendere!»
«Ma in due minuti arriveremo in ospedale.»
«Non posso respirare!» Si slacciò bruscamente la cintura. «Ho bisogno di scendere.»
Mi sentii in colpa per aver scatenato una simile reazione, forse se non avessi parlato di quelle cose. Mordicchiai il labbro inferiore voltandomi verso Matteo che tentò di rassicurarmi, minandomi un "non ti preoccupare, è tutto a posto".
«Dove vai? L'ospedale è lì.»
«Dottore... ho bisogno di prendere aria.»
«Va bene, aspetta.» Tommaso trovò il modo di accostare da qualche parte e il biondino spalancò lo sportello e si catapultò fuori. Anche Wax aprì il suo per scendere e rimasi immobile, non riuscendo a trattenere il pianto assieme ad un affranto Gianmarco.
[...]
Tornata alla caffetteria, non avevo chissà quanta voglia di mettere qualcosa sotto i denti e perfino il budino sembrava indigesto per il mio stomaco. Iniziai ad assaggiare solamente un pezzo o almeno mi sforzai.
«Wax!» Chiamai a gran voce. «Aveva detto che doveva andare al bagno, ma non è ancora tornato. E se fosse svenuto? Era molto triste» Mi preoccupai. «Wax! Stai bene?»
Sbucò all'improvviso dalla porta e appena mi mostrò ciò che aveva fatto, strabuzzai gli occhi come piattini da tè e per poco non mi andò di traverso il pezzo di dolce. «Che... Che hai fatto?»
«La vita è corta, Angelì. Non dobbiamo aspettare.»
«Co... Come?» Balbettai stordita dal fatto che i suoi riccioli non fossero più tutti rossi, ci aveva aggiunto una spruzzata di bianco al ciuffo.
«Non aspetterò per fare quello che voglio. Vivrò quello che voglio e ciò che sento in ogni momento. Moriremo, Angelì. Quel proiettile avrebbe potuto colpire me. Vivrò al massimo ogni giorno come fosse l'ultimo.»
«Wax... E i tuoi capelli?»
Agitò la bomboletta spray. Spostai gli occhi da lui a quest'ultima, basita. «Me lo posso togliere quando voglio ma non lo farò. Perché d'ora in poi, Matteo Lucido, è un'altra persona...» Si piegò scoccandomi un bacio frettoloso sulla guancia, lasciandomi esterefatta sulla sedia. «Volevo questo. Quando ci succederà qualcosa? Non lo sappiamo nemmeno noi. Potrei morire qui. Forse mi spareranno al cuore o, non so, forse mi esploderà una bomba in testa.»
«Non dire così.»
Il solo pensiero mi stava facendo rabbrividire di paura.
«Forse succederà o forse no.»
«Va bene, allora...» Mi alzai a rallentatore. «Vado in cucina a... controllare il cibo che ho preparato. Te ne porto un po', ok?»
«Certo, dolcezza...»
«Grandioso.»
Mi salutò strizzando l'occhio e mi allontanai da lui con un'espressione stranita stampata in faccia, toccando il punto in cui le sue labbra mi avevano sfiorato.
Improvvisamente era ammattito.
Che gli era preso?
Non era mai stato così.
Federica
Quando arrivammo fuori dall'ospedale una nutrita schiera di personale medico si era riversata fuori, tra cui il dottor Gentile e Tommaso Daliana. Entrambi erano stati informati del caso complesso e che non potevamo perdere tempo. Ogni minuto era prezioso per la sopravvivenza del giovane. Giovanni balzò giù con uno scatto atletico, spiegando ai due che il carroattrezzi era l'unico metodo a cui aveva pensato per arrivare il prima possibile. Non si riteneva un medico dai metodi convenzionali, anzi esattamente il contrario. Nella medicina secondo la sua opinione serviva creatività. Li allertai che il paziente stava perdendo molto sangue e di sbrigarci.
Cinque minuti era il tempo massimo per portarlo in sala operatoria. L'equipe intanto portò i macchinari che servivano e i nostri camici.
«Non si preoccupi, ci atteniamo al piano. Tagliamo la macchina e la tiriamo fuori.»
«Mi fido di lei, dottoressa. Mi riunirà alla mia famiglia.»
Sistemai meglio il colletto e Tommy mi richiamò dal basso per aiutarmi ad indossare i guanti.
«Dottoressa Andreani, se siete pronti, inizieremmo a tagliare.»
Il mio sguardo incrociò per qualche secondo quello del moro. Stava aspettando anche lui un segnale da parte mia.
«Andiamo.»
Il pompiere smontò dalla pedana per preparare l'occorrente e intanto Giovanni si piegò sulla macchina sventrata, attraverso le lamiere.
«Luigi, i pompieri stanno per tagliare la macchina. Si calmi. Non abbia paura, d'accordo? La tireremo fuori di lì. Molto presto sarà tutto finito.»
«D'accordo. Ora non ho più paura di niente, dottore.»
«Bene.» rispose, allungando il braccio per toccargli la spalla.
In quel marasma di persone vidi palesarsi Paolo Svevi. L'ultima volta che ero stata faccia a faccia con quell'uomo non era stato piacevole. Non mosse un singolo muscolo, limitandosi ad osservare lo spettacolo. Mi fissò a fondo e lo fissai a mia volta per interminabili secondi. Subito dopo voltò le spalle per rientrare. L'ultima volta mi aveva detto quelle cose spregevoli. Mi aveva minacciato e accusato della morte di sua figlia, affermando che lo avrei pagato. Quali erano le sue reali intenzioni? Che stava architettando? Avrei voluto essere in grado di leggere nel pensiero per contrastarlo e non farmi cogliere impreparata.
«Forza, cominciamo!» Esclamò Giovanni distraendomi da quei contorti pensieri che, in quel momento, erano superflui. Tornai al lavoro e intanto gli operai si misero all'opera per smantellare il tetto. Quest'ultimo venne rimosso e il dottor Gentile gli mise il saturometro all'indice.
Il pompiere ci avvisò che avrebbero rimosso a momenti anche la portiera. Armeggiai con i fili dei vari monitor per applicarli quando osservai il pezzo che partiva da sotto e gli trafiggeva lo stomaco. Poteva trattarsi di un pezzo del telaio. Giovanni si affacciò e quando si rialzò ci scambiammo un'altra occhiata. Forse la situazione non era complessa, era peggio.
«Il paziente ha bisogno di una trasfusione di sangue!»
«Avvicinati!» Giovanni tirò a sé l'ecografo e collegai i vari elettrodi sul torace. «Assenza di sangue nel pericardio»
«La barra di metallo ha raggiunto lo stomaco. È rimasta lì.»
«Come si sente ora?» Domandai al ragazzo a cui spuntò un leggero sorriso.
«Popolare...»
«Quando avremo finito taglieremo la barra metallica e potrà essere portato in sala operatoria.»
«Va bene.» asserì Giovanni controllando le immagini apparse sul monitor.
«Dottoressa Andreani! Dottoressa Andreani!» Gridò un'infermiera per reclamare la mia attenzione e ruotai il collo. «La chiamano d'urgenza per un paziente.»
«Di che paziente si tratta?»
Giovanni nel frattempo si fece passare l'ennesima spugna per contenere l'emorragia.
«Il paziente della 107...»
Ero restia ad abbandonare in quel momento i miei colleghi, servivo comunque fra di loro.
«Fede, va'. Ci siamo noi.»
Dovevo per forza? Non poteva farlo qualcun altro al mio posto?
Giovanni però sembrava convinto di poter gestire la situazione da solo, se mi fossi assentata un secondo. Gettai uno sguardo a Luigi e scesi velocemente dalla pedana per imboccare l'entrata.
Tommaso
Mi fiondai dentro la stanza spostando bruscamente l'infermiere, che stava togliendo il fermacapo erroneamente alla paziente rischiando di compromettere il midollo spinale. «Non toccarla. Wax! Levati!» Lo allontanai per afferrare con cautela il collo della ragazza che dichiarò di non sentire nulla. «Signora Carola, so che fa male, ma dev'essere forte. Mi guardi, mi guardi! Dobbiamo rimettere a posto questo e il dolore passerà. Deve resistere ancora un po'. Andrà tutto bene...» Girai di scatto la testa e sbottai contro il rosso. «Che diavolo guardi!? Vieni!» Si schiodò dalla posizione e avvicinò. Gli chiesi di tenerle il collo mentre posizionavo le pinze al loro posto. Un solo movimento e sarebbe rimasta paralizzata per tutta la vita. Un lampo di terrore attraversò gli occhi scuri del ragazzo. Lasciai scivolare via le mani e la donna domandò se avessimo salvato anche suo marito. «Se ne stanno occupando i miei colleghi, tranquilla.»
«Per favore, non lasciatelo lì!»
«No, non lo faranno. I miei colleghi sono in gamba.» Aggiustai i mattoncini laterali al viso, applicando la prima fascia alla fronte e poi l'ultima sotto il mento. «Lasciale il collo, lentamente» ordinai a Wax che ubbidì. Se non fossi arrivato, avrebbe causato un danno permanente. Era inaccettabile! Lo fissai di sbieco e il ragazzo abbassò la testa in imbarazzo.
Doveva sperare che a Carola non accadesse nulla altrimenti avrebbe pagato caramente quella sua negligenza. Scoprii i piedi e feci scorrere i pollici sotto le piante dei piedi. Le chiesi di muoverli, ma non riuscì. «Non posso. Non sento nulla, dottore!» Ruotai lo sguardo offuscato dalla rabbia puntandolo dritto su Wax. «Non sento nemmeno i crampi.»
Mi spostai, continuando a fissare quest'ultimo che stava contemplando il pavimento.
«Stia calma, Carola. È temporaneo. Il collo si è dislocato, ma la pressione è ridotta. Andrà tutto bene.»
La donna singhiozzò e in quel momento la porta si riaprì. L'altro assistente che avrebbe dovuto controllare la paziente entrò come se niente fosse. Sollevai il mento. «Ma benvenuto! Dov'eri?» Gianmarco non rispose e tuonai furibondo. «Dov'eri?! Non ti avevo detto che non dovevi separarti da lei!»
«Ma dottore... io... io sono dovuto uscire e poi mi è venuta voglia di andare al bagno.»
«Che stai dicendo!? Stai zitto!» Il ragazzo piegò la testa, annuendo. «Se è necessario, te la farai sotto! Non puoi lasciare la paziente da sola in questo modo! Ora va' via. Fuori di qui!»
«Ma dottore...» provò a ribattere.
«Esci. Non è più la tua paziente, Gianmarco.» Uscì a testa bassa e mi spostai dall'altra parte per controllare il foglio del tracciato. «Il battito della bambina è lento...» La ragazza scoppiò in lacrime. «Avvisa di preparare la sala operatoria! Chiama anche il ginecologo, avanti!» L'infermiera uscì. «Dobbiamo essere veloci. Ce la fai, Wax? Mi serve il tuo aiuto.» Acconsentì. Dovevamo spostare la paziente. «Non si preoccupi Carola, dobbiamo solo fare in fretta, ok? Presto avrà la bambina in braccio.» Fece un cenno affermativo e conducemmo la barella fuori, nel corridoio. Molte persone stavano ferme agli ascensori e urlai di farci passare. Entrambi gli ascensori erano in salita e cominciammo a premere i pulsanti all'impazzata. «Carola, resista ancora un po', ok? Andrà tutto bene. Si fidi di noi. Continua, Wax.» Il rosso ricominciò a pigiare e nel frattempo tenni d'occhio la paziente. «Andiamo, andiamo!» Alzando gli occhi, incrociai quelli di una donna che se ne stava lì, bellamente ad osservare. «Abbiamo una paziente in emergenza. Usi l'altro ascensore.»
Si limitò ad accennare un sorriso.
«Le dita! Posso sentire le dita!» Esclamò e Wax sorrise. «La bambina... La bambina sta arrivando!» Gridò e urlai a Wax di riprovare, altrimenti avrebbe partorito nel corridoio.
«È dilatata di sei centimetri. Non abbiamo molto tempo.»
Una voce femminile ci fece girare di colpo e la chioma rossiccia della tipa spuntò da sotto il lenzuolo.
La fissai perplesso. «Ma cosa fai, chi sei?»
«Sono un medico.» Ci fissò. «Dottoressa Alessia Andreani»
Il cognome non mi era affatto nuovo, ma le urla tornarono prorompenti. «Deve partorire qui. Sarebbe rischioso aspettare. Sta sanguinando troppo.» Si legò i capelli in una coda alta e la osservai senza riuscire a smuovermi. «Voglio guanti, forcipe e un lenzuolo, forza. Ehi! Andiamo! Che aspettate?»
Sbattei le palpebre. Stava davvero accadendo o era un'allucinazione dovuta allo stress da affaticamento?
Anche Wax inarcò il sopracciglio.
Di certo, quella dottoressa sapeva il fatto suo e aveva un caratterino di fuoco... quanto la chioma dei lunghi capelli.
«La dottoressa sta per arrivare! Speriamo faccia presto...» Avvisò Wax tornando da noi.
Il parto ormai era imminente, le urla della donna invasero il corridoio e mi posizionai davanti per impedirle di muoversi, rischiando danni permanenti alla colonna vertebrale.
«Molto bene, spinga un po' di più, okay? Molto bene, Carola, sta andando bene. Continui.»
«Sanguina molto, dottore!» Mi informò l'infermiere, facendomi sollevare di scatto la testa.
«Il bambino sta uscendo!»
«Sono solo di sei centimetri, come diavolo farà ad uscire?!» Gridò la donna a denti stretti.
«Non ci pensi, continui a spingere.»
«Tienila!» Mi ammonì la pel di carota facendomi rialzare lo sguardo per incrociare i suoi occhi a mandorla.
Ma per sua informazione, sapevo fare bene il mio lavoro.
«Lo so.»
«Aiutala!» Ordinò all'altro che passò al lato per spingere sul pancione. «Carola, tenga duro, Carola!» Gattonò fino alla donna raggiungendo la sua faccia e le parlò ad un palmo di distanza. «Mi guardi. Non abbia paura. Si fidi di me. Ho bisogno che lei inspiri ed espirai profondamente. L'aiuterà a tenere sotto controllo il dolore quando arriverà la prossima contrazione. Anch'io ci sono passata... So che fa malissimo, ma deve aiutare in primis il suo bambino! Coraggio. Continui a spingere!» Tornò nella posizione di prima, seppellendo la testa sotto il lenzuolo e la donna riprese a urlare e a spingere più forte. «Sta andando bene, brava Carola. Presto potrà abbracciare la sua bambina. Un po' di sforzo!» La ragazza ad oltranza continuò a seguire le istruzioni, gridando e gemendo. «Calma, calma... sta andando bene. Spinga un'ultima volta. Uno, due e tre!»
«Non posso! Non ce la faccio più, dottore! Sono stanca!»
«Invece sì.» ribatté la ragazza. «Ce la può fare, spinga!»
«No... sono stanca. Luigi doveva stare al mio fianco...»
Iniziò a piangere, ma non era quello il momento di gettare la spugna. No.
«Non ci pensi. Se lo tolga dalla mente ora!»
«Doveva tenermi la mano durante questo momento! Luigi...» Urlò in risposta.
«Carola, mi ascolti, va bene? Deve calmarsi. Andrà tutto bene. Continui a spingere con tutta se stessa. So che le fa male, ma deve fare un piccolo sforzo, ok? Ora conterò fino a tre e voglio che spinga molto forte! D'accordo? Uno, due e tre!» La paziente riprese e la ragazza la spronò a continuare, mentre controllava l'andazzo. Spronai la donna a continuare. Si iniziava a vedere la testa. Voleva dire che non mancava tanto.
«Brava, brava, Carola! Continui!»
«Continui a spingere, Carola!»
Dopo un ultimissimo grido, finalmente un pianto vivace invase il posto. Sembrava essere una bella neonata in ottima salute e la ragazza sorrise con dolcezza, mentre la passava nelle braccia di Wax pronto a raccoglierla. La bambina iniziò a piagnucolare e agitare le manine. Era il cosiddetto miracolo della vita, l'inizio di un percorso per quel piccolo esserino fragile.
«Finalmente starà con la sua bambina. È pronta?»
Wax si avvicinò per appoggiarla sul petto. «È una bambina splendida ed è in perfetta salute. Complimenti.»
La donna sorrise, entusiasta di poter conoscere la sua bellissima bambina e in sottofondo la gente applaudì per aver assistito a quel momento che normalmente non capitava ogni singolo giorno nei corridoi di un ospedale.
«Suo padre avrebbe dovuto vederla per primo. Avrebbe dovuto-» singhiozzò stringendo la manina della neonata.
«Ah, non è il momento. Quello che deve fare è abbracciare la sua bambina, se lo goda.»
La donna nonostante tutto, pensando alla sorte del marito non riuscì a non piangere e mi piegai su di lei. «Le prometto... che suo marito verrà. Mi ha sentito? Glielo prometto...» La giovane annuì con le lacrime agli occhi, continuando ad accarezzare la neonata e intanto il mio sguardo si sollevò incrociando la ragazza che, rilassò le spalle, e alzai il sopracciglio sbalordito. La tempestività e il carisma mi avevano colpito non poco. Tanto di cappello per aver portato a termine il parto e aver salvato due vite. Increspò un sorriso, ricambiando con un cenno.
[...]
«Carola, sente ancora i piedi, vero?»
Annuì. «Sì...»
«Molto bene.» risposi continuando a camminare di lato mentre la trasportavamo verso il blocco operatorio.
«Sta sanguinando molto. Di solito succede dopo il parto, ma... se dovete fare un intervento alla colonna vertebrale, è meglio dare un'occhiata.»
«Sì e in fretta anche.» Concordai con il parere della rossa.
«Potrebbe trattarsi di atonia uterina. Bisogna controllare.»
«Se la muoviamo velocemente potrebbe rimanere paralizzata, ma se andiamo troppo piano potremmo perderla per l'emorragia.» Ci fermammo aspettando l'arrivo dell'ostetrica, che si sarebbe occupata di pulire e fare i controlli alla nascitura.
«Posso?» Portai le mani attorno al fagottino che la donna teneva stretto saldamente al petto chiedendomi dove andassero. «Non si preoccupi. Faranno il bagnetto e dei normali controlli di routine, mentre la operiamo. Non va' da nessuna parte.» Il mio tono rassicurante la convinse e consegnai la piccola nelle braccia dell'ostetrica, che ringraziò sentitamente la ragazza, per poi allontanarsi. «Wax, andiamo avanti e prepariamoci per l'operazione.»
«Ok, signore.»
«Credo di aver avuto abbastanza azione per oggi. Me ne vado.» Si fece sfuggire una risatina e la paziente la ringraziò di cuore per averla aiutata nel momento più duro, prendendole la mano. «Non mi ringrazi. Era il mio dovere. Ci vediamo più tardi.»
Feci un cenno d'assenso e la vidi andarsene, così com'era arrivata, liberando i capelli da quella disordinata coda per lasciarli ricadere sulle esili spalle.
Senza lasciarmi distrarre un minuto in più, ordinai al rosso di spostare la barella.
[...]
«Ti ho chiesto solo una cosa, Gianmarco. Di non muovere il collo della paziente né di lasciarla sola.» Lo guardai di sbieco e abbassò la testa. «Non hai fatto nessuna delle due cose!? È imperdonabile questo tuo atteggiamento. Hai causato la dislocazione della colonna vertebrale. Sparisci. Non andrai in sala operatoria.»
«Ma dottore... Non volevo che accadesse. Deve credermi. Non pensavo che-»
«Non voglio giustificazioni e risparmia anche le lacrime.» Voltò le spalle con il capo incassato, iniziò a camminare. «Meglio che localizzi Mattia. Non si trova da nessuna parte e non ha risposto a nessuna chiamata.»
Si girò e con il solito atteggiamento di cucciolo bastonato fece cenno di sì.
Stavo per incamminarmi, quando una voce femminile mi bloccò facendomi girare.
«Ciao!» Mi avvicinai alla ragazza con le mani nella casacca chirurgica. «Come sta la mia paziente? Ha ancora perdite?»
«La stanno operando ora. La vedrà quando uscirà, ma sembra che proceda tutto bene.»
«Bene. Una domanda... Può continuare senza il mio aiuto?»
«Per oggi mi ha aiutato abbastanza. Grazie.»
«È tutto?» domandò inclinando la testa da un lato, stringendo la cinghia della borsa.
«Che intende dire?»
«È stato molto secco...»
Ridussi gli occhi in due fessure. «Secco?»
«Be', non si preoccupi, si farà perdonare...» Appoggiò la sua mano sul mio braccio e poi mi oltrepassò. «Ci si vede in giro...»
Era la seconda volta in una giornata che mi capitava di incrociarla. Mi voltai a rallentatore puntando lo sguardo sulla sua schiena coperta da una blusa celeste con i fiorellini, se ne stava andando con passo celere dalla parte opposta. Stava diventando un'insolita coincidenza.
Chi era questa tizia oltre ad essere una mia collega in questo settore. Non ne avevo idea.
Federica
Entrai nella camera che mi era stata indicata, ma quando raggiunsi il letto e inquadrai il volto del paziente, persi un battito.
Rimasi impalata per qualche secondo, guardando il ragazzo, e sbattei le palpebre.
«Ho ricevuto una chiamata da qui...»
«Sono stato io.» Mi girai, incrociando l'espressione serafica di Paolo Svevi e i suoi occhi azzurri pronti a trafiggermi. Ma la differenza è che l'aveva già fatto. «Conosci meglio di chiunque altro il paziente, Federica. E poiché stavi lavorando così duramente laggiù, ho pensato che volessi un'altra possibilità per rimediare agli errori che hai commesso.»
«Questo paziente... non è il mio.»
Mossi qualche passo per sorpassarlo quando il paziente prese parola. Mi chiamava. Voleva il mio aiuto, io glielo avevo negato la prima volta che era venuto qui.
«Mi fa male la testa... È normale dopo l'intervento?»
«È normale, dottoressa?» Ripetè con modi presuntuosi. «È normale... fare una risonanza magnetica ad un paziente con il mal di testa?» Voleva girare il dito nella piaga. Estrassi la torcia e mi avvicinai per constatarlo, puntando la luce nelle pupille. I commenti sprezzanti erano come pugnali affilati e non riuscivo a concentrarmi. «E non occuparsi di un paziente malato causando più morti, è normale?»
Strizzai le palpebre, trattenendomi dal rispondere a quelle provocazioni e mi raddrizzai. «Informerò il dottore che ha il mal di testa.»
Svevi mi agguantò il polso quando provai a sorpassarlo per trattenermi lì.
«Non così in fretta, dottoressa. Non ho finito.»
«Mi lasci in pace.»
Mi fissò per incutermi timore. «Tu e Giovanni... eravate molto in sintonia. Se non mi credi, chiedi al signor Giorgio. Non ci sarà il minimo dubbio sul fatto che vi sto dicendo la verità.»
Mi divincolai bruscamente da quella presa con un violento strattone. «Non osare. Non osare giocare col fuoco con me»
Gli lanciai un'occhiataccia e marciai fuori dalla stanza.
Pur di mettermi contro Giovanni o suo padre, avrebbe potuto essersi inventato quella storia di sana pianta. Ma quando tornai all'ingresso, una marea di pensieri mi investirono, mentre fissai il moro impegnato a dare ordini a destra e a manca con il braccio sollevato a mezz'aria.
«È quello l'uomo?» Domandò l'infermiera Manuela accostandosi e feci un cenno affermativo con la testa. I pompieri stavano procedendo a smantellare quel che restava. «Dottoressa... Il dottor Daliana mi ha chiesto di dirle che la moglie è arrivata al pronto soccorso in ambulanza. Ha da poco partorito con urgenza.»
«Il bambino sta bene?»
Emanuela sorrise. «Hanno avuto una bellissima bambina!» Dopodiché tornò dentro, lasciandomi lì mentre osservavo la figura di Giovanni scolpita dalle luci del tramonto. Mi feci avanti per raggiungere la pedana e il ragazzo protese la mano invitandomi ad afferrarla. Per qualche minuto rimasi a fissarla, poi la scansai per salire da sola. Come avevo sempre fatto da che avevo memoria. Nessuno si era mai preoccupato di tenermi la mano e anche stavolta.
«Complimenti, è diventato padre.»
«Dice sul serio?» Annuii. «E Carola? Carola... sta bene?»
«Sì, sta bene. Non si preoccupi e lo sarà anche lei.»
«Carola mi ha sempre chiesto perché volevo che fosse una bambina. Volevo che fosse come lei, come sua madre e me la ricordasse nei gesti e negli sguardi, ma non gliel'ho detto. Se non ne verrò fuori, potrebbe dirglielo lei? Le dica che mi ha reso l'uomo più felice del mondo.»
«No. La tireremo fuori e glielo potrà dire lei stesso, okay?»
Alzò gli occhi in alto, non riuscendo a trattenere le lacrime che gli inondarono il volto e mi trovai a osservare Giovanni, che non mi aveva staccato gli occhi di dosso per un momento
«So che non è un buon momento, ma devi darmi una spiegazione.»
«Per cosa?» chiesi con severità.
«Perché ti comporti così con me. Ho bisogno di sapere cosa ti tormenta, per favore. So che c'è qualcosa che non mi dici.»
I nostri occhi si scontrarono come magneti e poi distolsi la faccia, rompendo il contatto visivo. Dovevo concentrarmi sul lavoro e non pensare ai suoi infiniti e stupidi interrogatori.
[...]
Erano state installate delle luci per illuminare l'aerea, dato che la notte era calata abbastanza in fretta con il cambio orario... e intanto i pompieri cercavano il modo di liberare il paziente, tagliando la barra di metallo. Ormai c'eravamo quasi. Si misero all'opera con la roditrice ma, ad un certo punto, il ragazzo iniziò a urlare dal dolore e Giovanni dovette bloccarli. Luigi stava ancora ansimando con il respiro e mi rialzai, scostandomi qualche ciocca dal viso.
«Sei impazzito? Perché gli hai detto di fermarsi?»
«Non possiamo farlo. Se continuiamo, il suo corpo si spezzerà in due.»
«Vuoi che ci arrendiamo a questo punto?» replicai spazientita.
«No. Non mi sono mai arreso in tutta la mia vita, Fede. Ho fatto tardi solo una volta» Abbassai lo sguardo quando alluse a quel momento, inumidendomi le labbra. «Ma non mi sono arreso. È questo che ci rende diversi. Non mi darò per vinto. Cerco solo la soluzione migliore.»
Distolse lo sguardo immediatamente per ordinare alla squadra di portare i camici chirurgici. Il suo annuncio mi lasciò stupita. Guardò Luigi e a mia volta incrociai il volto esterrefatto di Riccardo Gentile che non si aspettava una simile dichiarazione. Mi chinai a quel punto per prendere la mano del riccio e stringerla forte.
[...]
«Giova'... ti rendi conto di quello che stai dicendo? Operare il paziente qui?!» Sbottò il dottor Gentile cercando di farci desistere dall'intento, mentre indossavamo i camici.
«È l'unico modo. Dobbiamo iniziare la chirurgia il prima possibile.»
«Dottore, ha ragione.» Intervenni schierandomi dalla parte del moro. «Avrà la possibilità di arrivare in sala operatoria. Dobbiamo fare un tentativo.»
«Ascoltatemi voi due, siete consapevoli che potrebbe morire dissanguato lì dentro, vero? Volete davvero rischiare?!»
«Ragazzi, se intervenite al momento giusto, avrete cinque minuti» informò il signor Giorgio facendosi avanti.
Continuai a guardare quell'uomo che strizzò l'occhio al figlio.
«Esatto. Una volta rimossa la barra, avremo cinque minuti. Solo cinque minuti a disposizione prima che il paziente muoia dissanguato» Il signor Giorgio incrociò me ma io distolsi lo sguardo pensando che quell'uomo si fosse macchiato di un crimine indicibile: coprire la morte ingiusta di una persona. «Non è un tempo breve, Ric.»
Riccardo guizzò gli occhi da me al padre di Giovanni, cercando un riscontro diverso. Allargò le braccia. «Dio buono! Siete pazzi! State per fare qualcosa di folle! E tu?» mi interpellò alzando la voce di un'ottava arrabbiato. «Credevo che fossi l'unica mente lucida del gruppo, Federica!»
«Vale la pena fare un tentativo, signore.» risposi dimostrandogli che la mia posizione era uguale.
Si portò la mano ai fianchi sbuffando, e alla fine dovette assecondarci seppur con qualche titubanza in merito.
«Okay! Portate qui gli strumenti!» Esclamò togliendo il camice bianco di dosso.
Giovanni sorrise ampiamente. «Perfetto.»
«Ma dovete sapere che sarà impossibile...» Ribadì gettando un'occhiata truce al signor Giorgio. Sentii lo sguardo dell'anziano addosso, mentre io preferivo non guardarlo.
«Niente è impossibile.» Obiettò Giovanni. «Faremo l'operazione qui. Rimuoveremo la barra di metallo e faremo tutto il possibile per portarlo in sala operatoria entro cinque minuti. Ok?»
«Lo conosci il paziente. Secondo te, funzionerà?» lo interrogò il padre.
«Non c'è altro modo. Deve funzionare.» risposi al posto del figlio, attirando su di me l'attenzione di Giorgio.
«Vi prego, questa è la cosa più surreale che abbia fatto in tutta la mia carriera da medico. Dammi la cuffia!»
Sbuffò Riccardo strappandola dalle mani dell'infermiera che gli stava allacciando il camice da dietro.
«Divertiti! Sarà una bellissima esperienza...» Lo sfottè Giovanni.
Riccardo roteò gli occhi e si allacciò la cuffietta, evitando di rispondere alla frecciatina.
Il moro mi guardò e ignorando anche il padre, salii a mia volta per prendere posizione vicino all'auto che sarebbe stata - per quell'occasione - un tavolo operatorio d'eccezione.
[...]
Ognuno aveva ricevuto precise istruzioni. Giovanni avrebbe intubato il paziente, invece il dottor Gentile si sarebbe occupato della laparotomia.
Il signor Rinaldi ci ricordò di tenere sotto controllo l'emorragia quando avremmo iniziato e infine disse che avrebbe fatto preparare la sala operatoria nell'attesa del nostro arrivo.
«Dottoressa...» Il paziente mi richiamò con un filo di voce. «Se qualcosa va storto, se mi succederà qualcosa che non si può evitare... dica alle mie ragazze che le amo con tutto il cuore. Dica che mi sento l'uomo più fortunato del mondo.»
«Potrà farlo lei stesso. Va bene?»
Scosse la testa per dissentire. «Non ce la farò, dottoressa...»
La consapevolezza di non avere tempo si acquisiva in qualsiasi momento, quando capitava di trovarsi dinanzi alla morte.
Mi tornarono a mente le parole del poliziotto. Mi aveva guardato e chiesto se sarebbe morto lì.
Non ero riuscita a mentire.
Mi ero limitata ad annuire.
Forse ora nemmeno lo avrei fatto... così abbassai gli occhi per un istante. Però ero certa che avrei lottato con le unghie e con i denti perchè non potevo perdere anche quella vita innocente.
«Ce la farà. Lo supererà.» affermai guardando quell'uomo che aveva gli occhi lucidi.
«Iniziamo. Apri l'ossigeno!»
Giovanni avvicinò la maschera alla bocca ma, a quel punto, lo bloccai con un gesto della mano.
«Aspettate.»
I due mi guardarono di conseguenza dalla parte opposta e Giovanni l'allontanò. Si voltò nella mia direzione.
«Ho bisogno di avere un minuto. Ok?» Si fissarono perplessi. «Solo un minuto».
Dovevo fare una cosa importante che non poteva aspettare. Scesi dalla pedana per fiondarmi all'interno, salendo verso il reparto di Neonatologia.
Mi stavo avviando in direzione della reception, quando incontrai una testolina rossa.
«Signorina dottoressa!» Esclamò la piccola che stamattina avevo quasi investito con l'auto.
«Ehi! Che ci fai qui?»
«Ci incontriamo di nuovo!»
Mi abbassai alla sua altezza e al ginocchio aveva ancora il cerotto che le avevo messo
«Come mai sei qui, tutta sola? Ti fa male la ferita?»
«Non mi brucia. Lei che fa qui? Sta lavorando?»
«Sì... vorrei tanto trattenermi, però ho tante cose da fare.»
Mi rialzai. Era strano ritrovarla qua e senza nemmeno la compagnia di un adulto.
Non era grande abbastanza per andarsene in giro. «Dov'è la tua mamma? Ti sei persa di nuovo?»
«No...» Scosse la testa, stavolta aveva i capelli sciolti. «Io-»
«Eccoti qui! Si può sapere dove ti eri cacciata?»
Voltammo entrambe la testa vedendo arrivare una ragazza, che ricordai di aver visto da qualche parte.
Un momento...
«Ciao!» Mi salutò con un sorriso gigantesco sulle labbra. «Ci incontriamo di nuovo. Com'è piccolo il mondo, eh?»
Mi fronteggiò.
«Sei la ragazza di stamattina.»
«Sì, la stessa. Quando sei venuta alla pensione...» confermò.
«Vi conoscete?» Chiese la bambina.
Inarcai un sopracciglio.
«Che ci fai qui?»
Fece spallucce. «Ho portato la bambina qui per una visita e inoltre ne ho approfittato per lavorare un po', fragolina»
Stupita dal soprannome che mi aveva affibbiato, sbattei le ciglia. «Come hai detto? Fragolina? Chi sei tu per chiamarmi così?»
«Ah, certo. Dimenticavo che siamo in ospedale. Dovremmo tenere le nostre questioni personali fuori dalla porta.»
«Senti, smettila di tormentarmi con queste stronzate. Ho molto da fare.»
La tipa misteriosa disse alla bambina di andare ai distributori ma non allontanarsi troppo, poi tornò a rivolgersi a me con troppa confidenza. «Non mi hai riconosciuta nemmeno stamattina. Lascia che mi presenti.» Allungò la mano e sorrise con nonchalance. «Sono Alessia, tua sorella.» Notando la sua espressione entusiasta restai immobile con gli occhi sgranati. La sua mano era protesa verso di me. «Naturalmente ti presento anche tua nipote» Lasciò scivolare la mano lungo i fianchi e fece un'altra alzata di spalle. «Sei in shock, capisco. Troppe notizie. È normale. Non ci vediamo da tantissimo tempo...» Esalò un sospiro. «Quanti?» La mia bocca restò lievemente aperta. «Non sapresti nemmeno quanti. Comunque, sono cambiate tante cose nella nostra vita.» La squadrai dall'alto in basso, era alta quanto me. «In ogni caso, forse ci stringeremo la mano, oppure ci abbracceremo. Che ne pensi?» Serrai la bocca continuando a guardare da un'altra parte piuttosto che il volto di colei che non mi dava nessun senso di familiarità. «Ma adesso devo andare. Si è fatto tardi. Ci vediamo!»
Mi salutò con un cenno della mano, lasciandomi nel bel mezzo del corridoio, frastornata...
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