Capitolo 85 : Un nuovo inizio

(Se, mentre leggete, volete vivere tutte le emozioni di questo capitolo, ascoltate il brano che ho pubblicato come intro. Experience di Ludovico Einaudi )

C'è un tempo per tutto, per tornare, per perdonare, per parlare, per superare.

Poi però il tempo finisce...

ELEONORA

Corri Eleonora, scappa via.

Il buio. Ora vorrei che le tenebre oscurassero il mio sguardo per impedirmi di vedere.

Fa male, troppo male. Come se una mano mi stesse squarciando il petto per estrarre il cuore che batte a fatica.

Un dolore insopportabile che mi spezza il respiro.

Tu che la tocchi, l'accarezzi. Vedo le tue labbra che si muovono, parlano. Dicono parole che non riesco a sentire ma che sicuramente conosco, che forse hai detto anche a me.

Forse le stai dicendo che è bella?O le dici di guardarti? O peggio ancora, le stai dicendo che l'ami?

Un singhiozzo mi scuote, una certezza mi devasta, a me non l'hai mai detto!

Corri Eleonora, scappa via.

Ma le mie gambe sono come pietrificate. Non riesco a muovermi.

Resto qui a guardare lo spettacolo osceno del mio amore tradito.

L'espressione di piacere sul viso di lei, che ondeggia sotto le tue spinte.

I tuoi capelli che sfuggono dall'elastico che li tiene legati, mentre ti avvicini a lei per baciarla.

Serro i pugni. Vorrei batterli su questa parete di vetro che ci separa. Vorrei urlarti di smetterla.

Mentre tu, ignaro di avermi come spettatrice, affondi in lei, ancora, ancora e ancora.

Corri Eleonora, scappa via.

La nausea mi fa contrarre lo stomaco.

Schifo, questo è quello che sto provando.

Mi fa schifo vederti così, nudo, tra le sue gambe.

Mi fa schifo pensare che anche noi due siamo stati questo, che io per te sono stata solo questo.

Corri Eleonora, scappa via.

Finalmente il mio corpo reagisce alle suppliche del mio cervello. Trovo la forza per voltarmi e inizio a correre, devo assolutamente andarmene.

Ora è solo questa l'unica mia priorità.

Raggiungo la tettoia di fianco all'ingresso dove prima ho lasciato la mia bicicletta e tento disperatamente di montare in sella, ma sto tremando troppo, i miei muscoli sono privi di forza.

«Eleonora!» La mamma di Lele è alle mie spalle. Sento la sua mano che mi sfiora il braccio. La scanso bruscamente e mi ritraggo al suo tocco.

«Perchè non me lo hai detto? Perchè non mi hai fermata? Perchè non mi hai impedito di andare a cercarlo nella sua stanza?» Le urlo disperata.

Avrebbe potuto inventarsi una scusa, dirmi che la festa fosse finita ormai da tempo e che Lele fosse rientrato a Foggia.

Qualsiasi cosa per evitare di farmi vedere quello che involontariamente i miei occhi sono stati costretti a guardare. Per evitare questa sofferenza atroce che mi sta lacerando dentro senza sosta, inesorabilmente.

Dolore che si aggiunge ad altro dolore, lacrime che si aggiungono ad altre lacrime.

Non mi risponde e lo sguardo compassionevole che mi rivolge fa solo aumentare la mia rabbia nei suoi confronti.

«Un solo favore ti chiedo. Non dirgli che sono venuta qui, lui non lo deve sapere!» Le parole escono a fatica.

Lei annuisce in silenzio. I suoi occhi tristi sono l'ultima cosa che osservo in questa casa, prima di salire in sella alla mia bici e andare via.

Questa volta senza esitazioni. Qui non tornerò mai più.

Provo ad allontanarmi in fretta, ma la vista si annebbia.

Davanti agli occhi, incessanti, senza tregua, scorrono le immagini che ho appena visto.

Il mio cuore urla straziato al mio cervello di interrompere il flusso dei ricordi. Senza ottenere risultati.

Lo stomaco si contrae disgustato. Faccio in tempo a scendere dalla bicicletta e a scaraventarla per terra. I conati di vomito si susseguono rapidamente, mi piego nel vano tentativo di riuscire a fermarli, ma la nausea è più forte di tutto e ha il sopravvento.

Cerco dentro me stessa l'ultimo briciolo di forza e di autocontrollo per provare a calmarmi. Mi tiro su e respiro profondamente, una, due, tre volte. Lo stomaco sembra rilassarsi, ma le lacrime, quelle no. Ormai fuoriescono senza controllo. Mi siedo su un muretto lungo il ciglio della strada e mi lascio andare a un pianto disperato.

Questa notte silenziosa di fine estate è l'unica spettatrice del mio dolore.

Piango per me stessa, per il mio amore trafitto a morte dall'incoerenza di Lele.

Piango per mia madre di cui non ricordo più la voce e l'odore.

Piango per mio padre, che si è tolto la vita portando via con se anche un po' della mia.

Piango perchè so che mi resta ben poco da fare per provare a ricucire i fili spezzati della mia esistenza.

Non mi rendo neanche conto di quanto tempo resto in questo stato di prostrazione, forse mezz'ora, forse un'ora. Poi qualcosa dentro di me finalmente si smuove e mi scuoto da questo torpore. I pensieri si affollano confusi nella mia testa, ho bisogno di qualcosa che mi aiuti a riflettere. Nonostante lo stomaco ancora a soqquadro, so che solo la nicotina saprà essermi di conforto in questo momento di riflessione.

Con le mani che ancora tremano, accendo una sigaretta e aspiro avidamente.

Ho il cuore un po' stanco. Troppi vuoti, troppe mancanze, troppi ricordi. Tutto troppo per me.

Col dorso della mano asciugo malamente il viso bagnato. Mi stropiccio gli occhi che sento gonfi e doloranti.

Ormai la decisione è presa.

Cerco il telefono nella tasca del jeans e prima di aprire la rubrica mi schiarisco la voce. Trovo il contatto che stavo cercando e sfioro il tasto di chiamata.

Guardo l'ora: l'una e trenta. Spero non stia dormendo.

Uno squillo, due... No, non dorme, infatti mi risponde con un tono stentoreo ma sorpreso.

« Ele sei tu? Tutto bene?»

«Sì Ergi, tutto bene.» Prendo fiato perchè quasi non riesco a continuare a parlare.« Avvisa tua nonna che faccio come vuole lei. Vengo in Albania. Prendo il primo traghetto da Bari e sono lì da voi.»

So quanto mi costerà cara questa mia scelta, ma non ho alternative, o almeno in questo momento non ho la forze e lucidità per trovarne altre.

«Ele ma stai bene? Ti è successo qualcosa?» L'albanese mi sembra spaventato.

«Ergi per favore, fa come ti ho detto. Ora non ho tempo per spiegarti tutto, preparo le mie cose e quando arrivo a Bari ti richiamo. Non ho soldi per il biglietto e non so neanche se ho i documenti per poter viaggiare. Ma voi Gashi potete tutto, vero? So che risolverai ogni cosa.» Il tono ironico della mia voce è palese.

Dall'altra parte il silenzio, come se stesse riordinando le idee prima di rispondermi.

«Tranquilla cuginetta, sistemo tutto io. Quando mi richiamerai ti dirò come fare. Non so cosa ti abbia spinta a prendere questa decisione, ma sappi che io ne sono davvero felice e anche nostra nonna lo sarà. Ti accoglierà a braccia aperte! La tua famiglia ti aspetta!»

«Ergi ti prego, taglia corto altrimenti ci ripenso!» La scena di mia nonna che mi abbraccia e il riferimento a quella 'famiglia' che in realtà mi ha sempre schifato, riacuisce per un attimo il senso di nausea. «Ci risentiamo dopo!» Senza neanche aspettare una risposta chiudo la chiamata. Risalgo sulla bici e pedalo alla volta della casa famiglia.

La consapevolezza che sto per chiudere definitivamente un capitolo importante della mia vita è come se mi stesse caricando di una forza e una determinazione che pensavo di non avere più.

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Il cancello cigola leggermente quando lo richiudo alle mie spalle. Ho il cuore che pompa veloce nel petto e il respiro corto. Quella che sto facendo è la cosa più difficile. Me lo sto ripetendo da minuti per darmi coraggio. Poi sarà tutto più semplice. Sì, sarà sicuramente così.

Cammino guardando avanti e non mi volto. Se lo faccio scoppio a piangere sicuramente e sarò tentata dal tornare indietro sui miei passi. È per questo che sto andando via senza avvisare nessuno. Non avrei avuto il coraggio di salutarli guardandoli negli occhi.

No, non ce l'avrei fatta.

Ho scritto una lettera, la troveranno domani mattina sulla tavola, in cucina, vicino alle tazze della colazione. Poche parole per chiedere scusa e spiegare i motivi della mia sparizione improvvisa e la mia meta, con la promessa di telefonare una volta arrivata a Bari, prima di salire sul traghetto. Li ho pregati di capirmi e di non fare parola con 'nessuno' di quale sarebbe stata la mia destinazione. So che rispetteranno questa mia scelta.

Anche se per un periodo breve, il Don, Samuel e Teresa, sono stati per me l'unica cosa più vicina alla definizione di famiglia che io abbia conosciuto nella mia vita, dopo quella con i miei genitori, e io per loro ci sarò sempre e non ho nessuna intenzione di perderli

Sistemo lo zaino sulle spalle per cercare di camminare in maniera più spedita. Ho portato con me poca roba, la maggior parte del mio bagaglio è occupato dall'urna con le ceneri del mio papo. Sarà la mia compagnia durante questo lungo viaggio e del resto quando l'ho salutato per l'ultima volta, prima che iniziasse la cremazione, gli avevo promesso che lo avrei riportato vicino alla mamma. Certo non pensavo di farlo così presto.

Guardo l'ora sul telefono, sono le quattro e trenta, è ancora buio e la brezza notturna mi fa rabbrividire. L'autobus per Bari parte alle cinque e quarantacinque dal piazzale davanti alla Capitaneria di Porto, ho tutto il tempo per raggiungerlo in totale tranquillità.

Ma io tutto sono tranne che tranquilla.

Accendo una sigaretta e inizio a programmare mentalmente quello che farò una volta arrivata a Bari: chiamerò Ergi per sapere a chi dovrò rivolgermi per il biglietto e l'imbarco; poi sarà la volta del Don e Samuel per ragguagliarli sui miei spostamenti e poi cosa più importante di tutte, userò i pochi soldi che ho, per acquistare una nuova scheda telefonica. Mi costringo a concentrarmi sui minimi dettagli, tutto pur di non permettere ai miei pensieri di vagare liberi per ricondurmi a quella scena odiosa che mi ha straziato il cuore.

Salgo sul bus e scelgo un posto isolato, lontano dal vociare degli altri viaggiatori. Indosso gli auricolari e faccio partire la musica con la speranza di riuscire a calmare tutte le emozioni contrastanti che sto sentendo affollarsi nei miei pensieri. Poggio la fronte al finestrino e guardo fuori. Il sole sta sorgendo e per l'ultima volta, mentre l'autobus parte, osservo Manfredonia tingersi di una luce meravigliosa. Scorrono davanti ai miei occhi i lidi ancora deserti e il mare tranquillo che placido lambisce i pescherecci fermi nel porto.

Senza poter fare nulla per impedirlo, sento il sapore salato delle lacrime che raggiungono le mie labbra e inevitabilmente riaffiorano i ricordi: l'arrivo in casa famiglia; il Don che con il suo affetto mi ha aiutata a crescere; Teresa e ai suoi consigli più da mamma che da psicologa: Samuel, il primo vero amico della mia vita; Camilla che è stata per me più di una semplice compagna di banco.

Inevitabilmente ripenso a Lele, ai suoi occhi color cioccolato, alle sue promesse mai mantenute, alle sue mani che mi accarezzavano e bruciavano di desiderio.

Dio, quanto ci ho creduto nel suo amore e nelle sue parole. È stato così bravo a demolire le barriere che mi ero costruita intorno, proprio per difendermi da quell'amore di cui ho avuto sempre paura. E ora sono qui con il cuore in frantumi a provare a mettere insieme tutti i cocci di questa mia vita, che non so più che senso abbia.

Perchè mi hai distrutta così Lele? Perchè mi hai fatto credere di essere tu la persona giusta che poteva darmi l'amore di cui avevo bisogno?

Mi sono illusa che, io e te, così diversi, potessimo avere un futuro insieme. Mi sono ostinata a voler credere che una come me 'la zingarella col gonnellone a fiori e i cerchi d'oro', potesse essere considerata alla tua altezza.

Stupida, ecco cosa sono stata. Una stupida ingenua con la testa piena di sogni!

Le lacrime rigano il viso fino a quando finalmente la stanchezza riesce ad avere la meglio sulla mia disperazione e il sonno mette fine momentaneamente alla sofferenza.

EMANUELE

Una fitta di dolore alla testa e un conato di vomito al sapore aspro di gin sono le prime avvisaglie di un risveglio traumatico.

Fatico ad aprire gli occhi perchè il dolore che avverto è come una sottile lama che mi penetra il cervello. La bocca è impastata dal sapore dell'eccesso di alcol che ho bevuto ieri sera senza alcun ritegno.

Mi muovo a fatica perchè ho il corpo avvolto dal lenzuolo, segno tangibile del mio sonno agitato. Ancora con gli occhi chiusi provo a districare le gambe da questa specie di prigione.

Mi accorgo di essere nudo. Strano, non ricordo neanche di essermi tolto i vestiti.

Per dirla tutta non ricordo un cazzo di ieri sera, neanche come ho fatto ad arrivare nella mia stanza e di conseguenza in questo letto. Dovevo essere talmente fuso che come al solito non ho avuto neanche la forza di tirare le tende e la luce del sole mi da decisamente fastidio agli occhi. Ha ragione la piccoletta quando dice che ho questa deprecabile abitudine di lasciare tutto spalancato.

Ecco, Eleonora, lei, sempre nei miei pensieri. Anche ora che ho la testa che mi scoppia e fatico ad alzarla dal cuscino. È la mia ossessione, anche da ubriaco non riesco a non pensarla. Devo assolutamente vedere se ha letto i miei messaggi.

Allungo la mano alla ricerca del telefono e porca puttana mi rendo conto che sto toccando qualcosa, o meglio qualcuno, che è steso accanto a me nel letto.

Neanche ci penso più al dolore che mi trapassa il cranio da parte a parte quando, con uno scatto mi sollevo ancora aggrovigliato tra le lenzuola e osservo il corpo femminile che la spietata luce del sole illumina. Il cuore mi sale in gola quando, osservo meglio la silouette distesa di spalle e celata dal lenzuolo che la ricopre in parte e mi rendo conto che è bionda!

Che cazzo ho fatto? Mi passo rabbiosamente una mano tra i capelli. Come ho potuto essere così coglione da fare una cazzata del genere? Perché sono finito a letto con Tizzy?

Il sapore acido del gin risale lungo l'esofago e la mia gola brucia mentre la consapevolezza di aver tradito Eleonora si fa largo nei miei pensieri. Sì, perchè questo è quello che ho fatto, l'ho tradita e non ho nessuna giustificazione per la coscienza che ora inizia a rimordermi.

Ho sbagliato tutto con lei. Ho sbagliato a non seguirla quando l'altra sera è andata via. Ho continuato a sbagliare affidando a degli stupidi messaggi la mia palese immaturità e l'inadeguatezza a gestire un sentimento che per me è davvero importante. Mi sono nascosto dietro il mio inutile egoismo, pensando solo a me stesso ai miei esami del cazzo, alla mia carriera, alla mia smania di affermazione e grandezza. Ho consapevolmente soffocato, represso e calpestato i miei sentimenti e soprattutto quelli della piccoletta.

Ho solo aggiunto merda ad altra merda finendo a letto con Tizzy e usando anche lei.

Provo a concentrarmi per cercare di ricordare come ho fatto a fare quest'ennesima cazzata, ma la memoria fa acqua da tutte le parti. Mi alzo, restare in questo letto mi fa mancare l'aria. Ora, senza l'aiuto dell'alcol, la presenza di Tizzy al mio fianco mi infastidisce. Vorrei che sparisse, che si volatilizzasse da questa stanza. Cristo, vorrei poter ritornare indentro nel tempo e cancellare questi ultimi giorni. Vorrei avere un'altra possibilità per riprendermi Eleonora, ma mi rendo conto che ora sono davvero in una situazione senza via di uscita.

Come un disperato rovisto tra i vestiti che indossavo ieri sera e che sono accatastati ai piedi del letto, e finalmente trovo il cellulare. Il primo pensiero è aprire la chat della piccoletta su WhatsApp e quando mi accorgo che tutte le spunte dei messaggi che le ho inviato nei giorni precedenti sono colorate di blu, avverto la sensazione di una voragine che si apre sotto i miei piedi e mi risucchia in un vortice di sconforto.

Eleonora ha ascoltato e letto tutto. Perchè solo ora e non prima? Se avesse voluto ignorarmi avrebbe potuto continuare a farlo senza leggere. E se qualcosa glielo avesse impedito? Perchè sto valutando solo ora questa opportunità? Perchè ho preferito auto consolarmi pensando di essere la vittima della situazione e che lei stesse agendo così solo per ferirmi?

Perchè sono un fottuto coglione, ecco perchè!

«Ema, amore, tutto bene? Cosa stai facendo?»

La voce di Tizzy mi fa trasalire e quasi il telefono mi scivola dalle mani per lo spavento.

Realizzo inorridito come la biondina mi ha appena apostrofato: amore.

Ingoio un bolo di saliva che mi sembra fatto di carta vetrata tanto è il bruciore che avverto nella gola.

«Amore? Non ti sembra di correre un po' troppo con la fantasia?»

Ho capito che abbiamo scopato, è già ammettere questa cosa mi costa fatica. Ma arrivare addirittura a chiamarmi amore mi sembra davvero troppo. Questa cosa va chiarita, come va chiarito il fatto che è stato solo uno sgradevole episodio che non si ripeterà mai più. Anzi devo trovare il modo per levarmela di torno senza essere troppo brutale. Voglio andare da Eleonora. Ora penso solo a questo, devo parlare con lei e raccontarle tutto quello che è successo. So che ho poche possibilità di farmi perdonare, ma me le voglio giocare tutte. Io amo Eleonora e devo assolutamente trovare le parole per dirglielo e per chiederle di darmi un'altra possibilità.

Tizzy si avvolge tra le lenzuola colta da un improvviso eccesso di timidezza. Non riesce neanche a guardami perchè, al suo opposto, io ostento la mia nudità senza nessun tipo di vergogna.

Abbassa lo sguardo e quasi arrossisce. «Sei stato tu a parlare di amore questa notte, me lo hai ripetuto tante di quelle volte...» Si blocca perchè la mia espressione di stupore è talmente spontanea che non riesco a mascherarla.

«Sì Ema, mi hai confessato che mi ami e che non sei mai riuscito a dirmelo. Sei stato così dolce, così delicato... per me è stata la prima volta...» Si morde il labbro e mi guarda con dolcezza.

Merda, merda e ancora merda. Che cazzo ho fatto?

Le mie parole d'amore non erano rivolte a lei!

La mia dolcezza, la mia delicatezza non erano per lei!

È Eleonora che amo, e a lei che avrei voluto dirlo e so benissimo che nella nebbia alcolica che ottundeva il mio cervello, era con lei che stavo facendo l'amore.

Ora come faccio a venire fuori da tutto questo casino che ho combinato?

«Ero ubriaco fradicio, possibile che non te ne sia resa conto? Come hai potuto credere che mi riferissi a te?» Non riesco a trattenermi e mi accorgo di essere stato crudele nella mia risposta perchè vedo che gli occhi le diventano lucidi e le labbra iniziano a tremare. Lentamente si alza e sempre coprendosi con il lenzuolo inizia a recuperare i suoi vestiti. L'imbarazzo tra noi è palpabile. Mi giro di spalle per darle la privacy necessaria per rivestirsi e nel frattempo anche io faccio lo stesso.

Lo squillo del suo cellulare rimbomba nel silenzio della stanza. Mi volto a guardarla, ormai è completamente vestita.

«È mio padre...» Sussurra flebilmente mentre apre la chiamata.

Sento il tono di una voce concitata dall'altra parte. Lei prova a controbattere, ma evidentemente, il padre non gliene da la possibilità. Ascolta senza provare a intervenire e solo dopo un po' parla per dire la sua: «Sì, sono con lui... Sì, ho passato la notte qui... No per favore, poi ne discutiamo. Ora mi riaccompagna, sta tranquillo.»

Non provo neanche a chiederle cosa si sono detti, non mi interessa. Ma ho come la sensazione che questa situazione mi creerà non pochi problemi con i suoi genitori.

Guardo l'ora sul telefono, manca poco a mezzogiorno. Porca puttana non credevo fosse così tardi. Afferro le chiavi dello scooter e le faccio cenno di seguirmi.

Prima la riporto dai suoi e prima potrò andare dalla mia piccoletta.

Mentre, a bordo del Tmax, attendiamo l'apertura del cancello elettronico, mi giro verso casa e vedo mia madre affacciata alla veranda.

Anche a distanza riesco a scorgere la sua espressione di disapprovazione. La vedo mimare il segno di una telefonata. Cosa sta tentando di dirmi? Forse vuole che la chiami? Lo farò appena sarò solo, anche se in tutta sincerità non ho proprio voglia di ascoltare i suoi rimproveri. Sono perfettamente consapevole dell'errore che ho commesso, e non ho bisogno anche della sua paternale.

ELEONORA

Scoprire che dalla fermata del bus, all'imbarco dei traghetti per l'Albania ci vogliono almeno venti minuti di strada a piedi non mi sconvolge più di tanto. Potrei prendere una circolare, ma preferisco camminare. Ho più tempo per pensare e per mettere a punto le ultime cose da fare prima di lasciare per sempre l'Italia. Priorità assoluta, dopo aver impostato il percorso su Google Maps, è chiamare Ergi per sapere a chi devo rivolgermi per il biglietto e i documenti.

«Zemer*(cuore, tesoro), tutto bene?» L'albanese è su di giri quando mi risponde al secondo squillo. Beato lui, io al contrario mi sento una merda, ho il morale sotto i tacchi.

«Hai una domanda di riserva?» Rispondo annoiata. « Sono a Bari e sto andando al porto. A chi devo rivolgermi per le cose che ti ho chiesto?» Taglio corto, perchè non ho voglia di prolungare la telefonata.

«Tranquilla, l'unica cosa che devi fare è raggiungere l'imbarco ed entrare nel Terminal traghetti. Lo riconosci subito è un edificio con le pareti in vetro a specchio, imbarcano da lì anche le crociere, non puoi sbagliarti. Siedi nella sala di attesa che c'è al secondo piano e aspetta. Ti raggiungerà un mio amico che lavora sulla nave della Ventouries su cui ti imbarcherai. Si chiama Klaudio, ha una tua foto quindi ti riconoscerà lui e si presenterà. Seguilo e fidati di lui, è uno dei nostri.»

«Uno dei nostri? Mi stai facendo salire l'ansia Ergi. Parli come un mafioso del cazzo!» Urlo esasperata.

Di rimando Ergi scoppia in una risata fragorosa. «Finalmente sento il tono di voce dell'Eleonora che ricordavo! Cazzuta e acida al punto giusto! Ci vediamo questa notte all'arrivo a Durazzo, ho una sacco di cose da raccontarti, non vedo l'ora di abbracciarti!»

«Fottiti!» Gli sibilo di rimando e chiudo la comunicazione.

Mi fermo un attimo, mi tremano le gambe e non per la stanchezza dovuta alla mancanza di sonno o alla lunga camminata che sto facendo. È l'ansia a farle tremare. Silenziosa e subdola si sta insinuando piano dentro di me. Mi instilla dubbi e incertezze. Sto facendo la cosa giusta?

Un tiro di Camel e provo a riprendere il controllo sui miei pensieri.

Al secondo posto della lista di cose da fare c'è la telefonata al Don. Mi fermo, questa non riuscirò a farla continuando a camminare. Mentre cerco tra i contatti il numero del prete mi accorgo che le mani tremano. Quando lo trovo e avvio la chiamata sento già le lacrime pizzicarmi gli occhi. Quando dall'altra part il Don mi risponde quasi immediatamente, trattengo a sento un singhiozzo. Se non mi do una calmata, questa non sarà una telefonata, ma un fiume di lacrime.

«Eleonora, come stai?»

Non ce la faccio a trattenermi e scoppio a piangere. Mi sono bastate tre parole, tre semplici parole per farmi sentire la mancanza della casa famiglia e del Don. Avrei preferito sentire un suo rimprovero, uno di quelli fatti a voce alta ma pacata, che ogni tanto mi ha elargito nei mesi passati. Sì, avrei preferito sentirlo incazzato. Mi sarei messa sulla difensiva e avrei reagito in qualche modo. Invece sentire che si preoccupa per me e vuole sapere come sto, mi fa pensare ancora una volta che forse sto facendo una grande cazzata.

Trattengo il fiato per trovare la forza di rispondere.«Bene Don, sto bene. Sono a Bari.»

«Ripensaci Ele, non partire. Tempo un'ora e siamo lì a riprenderti. Vedrai che qui con noi riuscirai a superare tutto quello che ti è successo. Lo so come ti senti ora, prima il tuo papà, poi 'quello'... Ti sembra che tutto stia precipitando, ma non è così. Noi ti siamo vicini Ele, noi siamo la tua famiglia, non sei sola.»

Poi si interrompe di botto, lo sento parlottare con qualcuno, poi un coro di voci alterate, una gran confusione. Sento in lontananza la voce di Samuel, altri suoni si sovrappongono, ma non riesco a capire quello che sta succedendo.

«Ele?» Il don riprende a parlare a voce bassa. «Si è presentato qui un piccolo problemino. Lo risolvo e ti richiamo!»

E chiude la comunicazione.

EMANUELE

«Che cazzo stai dicendo mà?» Sto urlando con tutto quel poco di fiato che mi è rimasto dopo che, ho lasciato Tiziana in albergo dai suoi e ho risposto all'ennesima chiamata di mia madre.

Mi sono bastate le sue parole sussurrate a stento: «Eleonora ha visto tutto.» E mi sono sentito morire dentro.

Continuo a urlare con mia madre come se non volessi ascoltare quello che mi sta dicendo, come se non volessi capire tutta la gravità di quello che ho fatto. Tutto il dolore che ho inflitto alla piccoletta.

Poi affranto taccio e la ascolto raccontarmi come sono andate le cose.

Come Eleonora è scappata distrutta dopo aver visto lo scempio che facevo del nostro amore.

Le ruote del Tmax stridono per l'improvvisa accelerata che ho imposto al motore dello scooter che ora sfreccia sulle strade di Siponto alla volta della casa famiglia.

Devo assolutamente parlare con la piccoletta. Mi ritorna alla mente una frase che mi disse qualche tempo fa, dopo avermi trovato in Conservatorio con Eliana: «Non tradirmi Lele, non te lo perdonerei mai!»

Sento il sudore scorrere sulla schiena e il cuore che frenetico aumenta le sue pulsazioni. Il suo eco rimbomba nel casco, scandisce il tempo dei miei pensieri, mentre sterzo bruscamente per immettermi nel vialetto della casa famiglia.

Il cancello è aperto e questo mi da modo di arrivare fino al portone di ingresso ancora a bordo del Tmax che abbandono vicino all'albero di ciliegio. C'è un silenzio innaturale, regna una calma strana che non fa altro che acuire il mio stato di agitazione. La porta è aperta e preso da una fretta incontrollabile di incontrare Eleonora, entro senza neanche bussare.

«Che ci fai tu qui?» È Samuel a venirmi incontro, ha un'espressione sconvolta e gli occhi lucidi. È stranamente aggressivo, e la cosa mi insospettisce. Lui è sempre stato molto ben disposto nei miei confronti. Mi si para di fronte, come per bloccarmi. Sento provenire dall'altra stanza la voce del Don che credo stia parlando a telefono con qualcuno e che frettolosamente chiude la conversazione. Ora sono entrambi d'avanti a me.

«Eleonora, dov'è? Ho bisogno di parlare con lei.» Cerco di dare un'impostazione pacata al mio tono vocale, ma faccio fatica a nascondere l'ansia che mi sta divorando.

I due si scambiano un'occhiata di intesa.

«Cosa vuoi ancora da lei? Non ti basta già quello che le hai fatto?» Samuel troneggia imperioso, e per un attimo fugace ho la sensazione che abbia voglia di picchiarmi. Il religioso gli poggia una mano sul braccio come se volesse bloccarlo. Evidentemente anche lui ha avuto la mia stessa impressione.

Realizzo con angoscia che quello che ho fatto alla piccoletta è ormai di dominio pubblico.

Al disprezzo di mia madre, ora si aggiunge anche quello dei due uomini che ho di fronte.

«Non è a te che debbo dare spiegazioni. Voglio parlare con Eleonora e se non mi dite dov'è la vado a cercare da solo!» Lo so che questo è l'approccio sbagliato, che dovrei essere più rispettoso. Ma ho una brutta sensazione e ho fretta di togliermela da dosso. Devo assolutamente vedere la piccoletta.

Senza aspettare la loro risposta, li scanso bruscamente e facendo i gradini due alla volta, salgo la scala che porta al piano superiore dove so di trovare la stanza di Eleonora. Quante volte di notte l'ho seguita su queste scale cercando di non fare rumore.

Sento Samuel e il Don salire dietro di me. « Emanuele fermati!» È il prete ora a parlare.

E mi fermo. La porta è aperta. La stanza è perfettamente in ordine: il letto è rifatto, il suo pigiama è ripiegato sul cuscino, sotto il tavolino che fa da comodino ci sono le sue ciabatte. Nell'aria c'è il suo inconfondibile odore di bagno schiuma al talco e io lo respiro a pieni polmoni, mentre varco la soglia per guardarmi intorno e cercarla. Mi basta una rapida occhiata per capire che non c'è, l'ultima speranza è che sia in bagno, ma proprio quando mi muovo in quella direzione sento Samuel dietro di me che dice: « Eleonora è andata via! Ed è tutta colpa tua!»

«Che cazzo significa andata via?» Urlo senza riuscire a trattenere la rabbia. Mi giro proprio mentre lui mi spintona con violenza.

«Cosa vuoi che significhi brutto stronzo? Se ne è andata! E sai perché? Perché mentre lei piangeva la morte del padre, impiccato nel bagno del carcere, tu, brutto coglione che non sei altro, ti divertivi scopandoti un'altra!»

Impiego qualche secondo a realizzare quello che Samuel mi ha appena detto. Sento il sangue che si gela nelle vene e, impotente, avverto tutto il peso del male che le ho fatto. Ecco perchè per giorni non ha risposto ai miei messaggi e alle mie chiamate. Non per una ripicca infantile come l'idiota che sono, ha preferito credere. Mentre io mi crogiolavo nella mia autocommiserazione lei stava soffrendo le pene dell'inferno e piangeva da sola la perdita dell'unica persona che le era più cara al mondo, l'unica speranza che le rimaneva di rimettere insieme la sua 'famiglia'.

Fisso prima Samuel e poi il prete, senza trovare la forza di provare a dire qualcosa. Le parole restano come incastrate nella gola e nella mancanza di coraggio. Temo che qualsiasi cosa provi ora a dire, possa solo risultate odiosa e provocatoria. Non ho scuse.

«Ora sparisci e non farti più vedere, altrimenti la rabbia che provo la sfogo gonfiandoti di botte!»Samuel mi spintona di nuovo, nonostante il Don gli faccia cenno di smetterla. Io lo lascio fare, perché sento di meritare tutto l'odio che provano nei miei confronti.

«Non può essere andata via senza dirvi dove. Vi prego, lo so quello che state pensando, ma io non sapevo nulla, io credevo...» Le parole si inceppano nella gola arsa. Vorrei far capire loro come mi sento, ma so di non avere nessuna speranza. «Per favore, ho bisogno di parlare con lei. Le devo chiedere scusa, devo spiegarle...»

«Non me ne frega un cazzo di quello che vuoi fare tu! Ti è chiara questa cosa? O devo fare in modo che le parole entrino con più facilità in quella testa di cazzo che ti ritrovi?» La spinta che ora Samuel mi assesta è più forte, traballo malamente sulle gambe e fatico a restare in piedi. Il Don si frappone tra me e lui e mi poggia le mani sulle spalle. «Emanuele, va via per favore. Non so fino a quando riuscirò a tenere tranquillo Samuel se tu resti qui. È un brutto momento anche per noi, cerca di capire.»

Affranto abbasso la testa, non ho più la forza di reggere quello che leggo nei loro sguardi: rabbia e risentimento, negli occhi color ebano di Samuel e commiserazione, in quelli tristi del prete.

Mi volto un'ultima volta a guardare la stanza di Eleonora.

Mi assalgono i ricordi: i baci, le carezze, le parole, le promesse che ci siamo scambiati tra queste mura, quando di notte ci perdevamo l'uno nell'altra. Come ho potuto rovinare tutto?

La rabbia si impadronisce del mio cervello e dei miei muscoli e prima di andare via, carico un pugno che si infrange sulla porta.

ELEONORA

Il Terminal traghetti del porto di Bari è proprio come l'ha descritto Ergi, una palazzina di due piani tutta vetro e specchi. Dalla sala di attesa che si trova al piano superiore, attraverso le enormi vetrate, riesco a vedere i moli dove stazionano i traghetti per la Grecia e per l'Albania. Quello sul quale dovrei imbarcarmi, dovrebbe partire tra meno di due ore.

Dico 'dovrei' perchè sono ancora qui che aspetto che qualcuno mi porti il biglietto e i documenti.

Esausta mi siedo a una delle poltroncine in plastica azzurra proprio di fronte all'ingresso, per tenere sotto controllo il via vai. Guardare la gente che attende come me l'imbarco mi aiuta a non pensare e solo così riesco a tenere sotto controllo questa sensazione di nausea che non ha mai smesso di torturarmi lo stomaco.

«Pershendiete!» (Ciao!) Sobbalzo spaventata. Un ragazzo che indossa una divisa che a prima vista mi sembra da cameriere, mi porge la mano in forma di saluto.

«Sono Klaudio, tu sei Eleonora vero?» Intanto lo vedo sbirciare il display del telefonino. Mi ritornano in mente le parole di Ergi: 'Ti riconoscerà lui, ha una tua foto.'

«Sì, sei proprio tu!» Tutto soddisfatto mi mostra il telefono e vedo l'immagine che gli è servita per riconoscermi.

Ci siamo io, Ergi e Samuel, seduti sulla panchina del giardino della casa famiglia. Ricordo perfettamente quando la scattò Teresa. Era un pomeriggio rovente di luglio e Ergi ci stava facendo ascoltare l'ultimo singolo di Durata Dora e io e Samu cercavamo di cantarne il ritornello senza azzeccare neanche una nota. Bei tempi!

Io lo guardo e faccio spallucce, ha detto e fatto tutto lui quindi non è necessaria da parte mia una conferma della mia identità.

«Questa è da parte di tua nonna.» Mi porge una busta gialla di quelle a mezzo foglio, accuratamente chiusa. «Intanto che guardi cosa c'è dentro, puoi iniziare a seguirmi. Il traghetto parte tra un'ora e io devo tornare a bordo per prendere servizio al bar.»

Soppeso il plico e fisso il mio interlocutore. «Un'ora? Non pensavo così presto. Devo fare un paio di cose prima di salire.» Faccio fatica a parlare. Ho il fiatone come se avessi corso e il battito cardiaco mi risuona nelle orecchie. L'ansia si fa sentire.

«Ergi mi ha fatto giurare che non ti avrei mai persa di vista.»

«Tranquillo, ti seguo. In realtà devo solo comprare una nuova sim e fare un paio di chiamate.» Non voglio metterlo in difficoltà e provo a essere accomodante.

«Perfetto a bordo, abbiamo le sim della Vodafone Albania.» E senza aspettare la mia risposta si avvia.

Sistemo lo zaino sulle spalle e mi incammino al suo seguito.

Dalle vetrate della sala d'attesa i traghetti sembravano essere vicini, invece la strada da fare è parecchia. Il molo sembra interminabile. Intanto ho aperto la busta che mi è stata consegnata e ho trovato il biglietto per una cabina doppia vista mare e un passaporto. Non voglio neanche provare a immaginare da dove possa essere saltato fuori questo documento che per quanto ne so è palesemente falso.

Lo sfoglio e incredula fisso la mia foto e i miei 'nuovi' dati anagrafici. Sono diventata Elona Gashi, nata a Tirana il 22 agosto 2004. L'ansia ritorna all'attacco e il cuore riprende a martellare frenetico.

Mia nonna ha già iniziato a manovrare la mia vita e io ancora non metto piede in Albania. Mi viene la voglia di strappare il passaporto e gettarlo in pasto ai pesci, ma poi sfogliando il documento trovo una piccola bustina chiusa, sul dorso c'è scritto, con una calligrafia precisa e tondeggiante 'Per Eleonora'. Mentre continuo a seguire il mio accompagnatore che con passo spedito mi precede, la apro. C'è una carta di credito prepagata e un fogliettino ripiegato e quello che leggo mi lascia davvero spiazzata:

"Non sai per quanto tempo ho aspettato questo momento e finalmente potrò abbracciarti. Spero riuscirai a perdonarmi, ma devi sapere, che nel mio cuore ci se sempre stata. Ti aspetto a casa! Usa la carta per rendere il tuo viaggio più confortevole e per qualsiasi cosa tu abbia bisogno. A presto dashuri! "(amore)

Erdita Gashi

Mi sento divisa in due. C'è ora una parte di me che vuole fidarsi delle parole scritte su questo foglio, ce n'è invece un'altra che non dimentica e che ora, questo bigliettino vorrebbe ridurlo in mille pezzi e farne coriandoli. Ho vissuto la maggior parte della mia vita nella convinzione che i miei nonni provassero repulsione nei miei confronti. Invece ora mi sembra di capire che fosse solo lui, mio nonno, a non volerne sapere di me.

Assorta nei miei pensieri neanche mi accorgo che ormai siamo arrivati all'imbarco. L'enorme stazza della motonave Rigel II mi lascia stupefatta, reclino indietro la testa per ammirarla in tutta la sua maestosità.

«È il traghetto più grande della flotta Ventouris. Vedrai il tuo viaggio per l'Albania sarà sicuramente una bella esperienza.» Mi dice tutto soddisfatto Klaudio mentre mi precede nell'ingresso nell'enorme garage dove saliamo sull'ascensore che serve per accedere ai ponti superiori.

Vedo il mio viso pallido riflesso negli specchi, gli occhi sono lievemente cerchiati di viola un po' per la mancanza di sonno, un po' per le tante lacrime versate. Il mio accompagnatore mi indica lo sportello del ceck in e io come un'automa mostro il biglietto e il passaporto a una solerte impiegata che gentilmente mi consegna la scheda magnetica della cabina e in un italiano stentato mi spiega come raggiungerla e conclude il tutto con un sorridente: «Welcome to Albania!» Che mi lascia nel panico totale. Deglutisco a fatica e cerco di ricambiare il sorriso, ma le labbra si stirano in una smorfia che di sorridente ha ben poco.

Mi siedo ai salottini del bar, ho necessità di riprendere fiato, mi manca l'aria.

Tra meno di un'ora lascerò per sempre l'Italia e tutta la parte di vita che ho vissuto in questa nazione. Le lacrime tornano prepotenti a pizzicarmi gli occhi, ma non devo e non voglio piangere.

«Ti ho portato un caffè, un muffin al cioccolato e la sim che mi avevi chiesto.» Klaudio poggia il vassoio sul tavolino davanti a me e mi sorride premuroso. «Ergi mi ha detto che quando sei nervosa ti distrai a tal punto che dimentichi di mangiare, quindi ho pensato di ricordartelo io. Io ora inizio il mio turno di lavoro, se hai bisogno di me mi trovi qui al bar del ponte cinque.» E si dilegua silenzioso così come è comparso prima.

Due sorsi di caffè e un morso al muffin e la nausea torna prepotente. Ergi è stato davvero gentile a pensare a tutto, ma io proprio non riesco a ingerire altro. Sento il telefono vibrare e guardando il display mi accorgo che il Don mi sta chiamando.

«Eleonora, scusami per prima ma ho dovuto chiudere. Tutto bene, dove sei?»

Riecco le lacrime che fanno capolino. Ingoio a vuoto per trattenere il pianto.

«Che è successo? Perchè hai chiuso?» Sono curiosa di sapere cosa o chi, l'abbia interrotto prima.

«C'era Lele. È arrivato all'improvviso. Era sconvolto.» Tace in attesa forse di un commento da parte mia. Ma io non riesco a parlare. «Ho dovuto tenere a bada Samuel che non è stato propriamente felice di vederlo, stava quasi per picchiarlo.» Un'altra pausa e poi riprende.«Non gli abbiamo detto nulla, ci ha pregati, voleva sapere di te... Oh Ele mi ha quasi fatto pena per quanto stava male...» Gli trema la voce, si sente che la cosa lo ha messo a dura prova. «Io non voglio giustificarlo. Ha sbagliato. Ma non riesco a capire perchè? Se ha fatto quello che ha fatto consapevolmente, perchè ora sta così male?»

Ascoltando le parole del prete realizzo che la mia richiesta fatta alla mamma di Lele di non dirgli che ho visto tutto, non è stata esaudita, altrimenti lui non sarebbe mai andato a chiedere di me in casa famiglia.

«Forse è sconvolto perchè sa che io so tutto!» Rispondo secca. Non so perchè ma proprio non riesco a provare empatia nei suoi confronti. «Era convinto di poter nascondere lo schifo che ha fatto. Tu sei troppo buono Don, provi sempre compassione per tutti. Ora però non voglio parlare di lui. Io sto per partire, manca davvero poco. Mi farò risentire appena arrivo a Durazzo.» E velocemente chiudo la chiamata. So di essere stata brusca con lui, ma in questo momento proprio non riesco a essere diversa.

Provo a ricacciare indietro le lacrime con uno sforzo estremo. Ma com'è difficile resistere.

In realtà quello che vorrei fare e scendere da questo traghetto e ritornare a 'casa'!

Tornare a farmi abbracciare dal Don e a farmi rimproverare da lui con quel tono da finto brontolone che solo lui ha.

Tornare a fumare e bere birra analcolica insieme a Samuel affacciati alla finestra della mia stanza mentre chiacchieriamo animatamente.

Tornare a sedermi sulla poltrona di finta pelle, tutta consunta, che troneggia di fronte alla scrivania di Teresa, per raccontarle i miei guai e quello che mi passa per la testa.

No, non devo cedere. La decisione che ho preso è giusta. La mia nuova famiglia mi aspetta in Albania.

Ma se la mia decisione è giusta perchè io mi sento così di merda? Perchè per colpa di uno stronzo che si è preso gioco di me io devo cambiare la mia vita?

Io lo odio!

Sì, io odio Emanuele Maestri! Odio i suoi occhi ambrati che con il loro sguardo mi facevano sentire la più bella di tutte. Odio i suoi capelli in cui incastravo le mie dita per avvicinarlo a me e baciarlo. Odio le sue labbra morbide e calde che non mi stancavo mai di mordere. Odio le sue mani che a ogni carezza mi incendiavano le pelle. Dio quanto lo odio!

A una a una faccio scorrere le foto di noi due che ho salvato sul telefono e metodicamente come per liberarmi da un peso che non riesco più a sopportare, le cancello.

Entro in Instagram e chiudo il mio profilo.

Ora è questa la cosa giusta da fare. Eliminare ogni traccia di lui, ogni ricordo di 'noi'.

Lo voglio fuori dalla mia vita, fuori dalla mia testa, fuori dal mio cuore.

Ora, subito, prima che sia troppo tardi e possa avere il tempo di ripensarci.

La sala bar si sta lentamente affollando, ormai l'imbarco dei passeggeri è quasi terminato e la partenza è vicinissima.

Ho bisogno di uscire sul ponte per fumare una sigaretta e provare ad allentare la tensione che mi sta attanagliando lo stomaco.

Forse peggiorerà la mia nausea, ma sicuramente farà bene ai miei nervi.

Mi resta solo un'ultima cosa da fare prima di chiudere definitivamente questo capitolo della mia vita.

EMANUELE

Stringo spasmodicamente il manubrio del mio Tmax come per provare a chetare la mia rabbia. Ingrano la marcia e parto senza una meta. Il vento mi sferza il volto e provo a riacquistare un briciolo di lucidità.

Ho la mano destra che pulsa. Il pugno che ho scagliato contro la porta della stanza di Eleonora è stato solo uno stupido sfogo. Cazzo se sono stato patetico e infantile. Ho mostrato al Don e a Samuel il peggio di me, ma ormai non avevo nulla da perdere.

Lei non mi vuole più. È andata via, a causa mia ha lasciato quella che ormai sentiva essere casa sua.

In una notte di stupida incoscienza sono stato capace di rovinare tutto. Sento lo sconforto trapassare ogni singola fibra dei miei muscoli. All'improvviso avverto una stanchezza infinita. Accosto vicino al lungo mare e abbandono il Tmax. Non ha senso continuare a girovagare per cercarla, non ho la più pallida idea di dove possa essere andata.

Come un sacco vuoto mi lascio andare e mi siedo sulla sabbia a due passi dal mare. La spiaggia è quasi deserta, ci sono pochi bagnanti e il cielo è attraversato da nuvole foriere di pioggia.

Mi sento sconfitto, svuotato di ogni energia tanto da non riuscire neanche a trovare la voglia di rollare una tabacchella.

Ho un buco nel petto, qui, proprio all'altezza del cuore. Un senso di vuoto. La piccoletta il mio cuore se l'è portato via con se, per sempre, e questa consapevolezza mi sta devastando.

Mi resta solo una cosa da fare. L'ultimo tentativo anche se so che non mi porterà nulla di buono, ma voglio provare lo stesso.

Prendo il telefono e per qualche minuto mi soffermo a guardare le foto di Eleonora. In una, la più bella di tutte, è in spiaggia, ha i capelli mossi dal vento, sorride e ha lo sguardo rivolto verso il mare. In quella dopo, siamo io e lei insieme a letto. È la nostra prima foto ufficiale, quella che ho pubblicato la notte che la recuperai ubriaca fradicia in spiaggia.

Uno strano presentimento mi assale. Apro Instagram e vado sul mio profilo, la foto è ancora lì. Clicco su per aprire il tag, una, due volte. Nulla. Il tag non c'è più. Digito Elevip nella ricerca. Niente, non esiste nessuno con questo nome. Ha cancellato tutto.

Il suo numero è il primo tra i miei contatti. Avvio la chiamata. L'ultimo tentativo per provare a parlare con lei. So di non avere speranze ma testardamente ci provo lo stesso, sono quasi sicuro che squillerà a vuoto e non mi risponderà.

Trattengo il fiato e quando sento la voce metallica scandire meccanicamente "Il numero da lei chiamato è inesistente" sento il mio cuore lacerarsi definitivamente.

ELEONORA

Sono salita sul ponte più alto, dove non c'è nessuno. Ci sono solo io, il vento che soffia incessante e un gabbiano che zampetta in cerca di cibo. Sento a tratti la voce del capitano che impartisce gli ultimi ordini per la chiusura del portellone posteriore e poi mi arriva nitido il rumore dell'argano che ritira l'ancora. Il traghetto sta per salpare.

Mi avvicino alla balaustra per guardare in basso e un senso di vertigine mi assale. L'altezza mi ha sempre fatto paura. Ma non mi sposto, voglio restare qui a guardare lo scafo che tra qualche minuto si staccherà dal molo e prenderà il largo.

Guardo un'ultima volta il display del cellulare, accedo alla rubrica dei contatti e salvo sulla memoria del telefono solo quattro numeri: Don, Samu, Teresa, Camilla. Il resto dei contatti resterà sulla sim che sostituisco con quella che mi ha dato Klaudio.

Da questo momento in poi nessuno potrà più contattarmi sul mio vecchio numero.

Il fischio prolungato della sirena del traghetto mi riporta alla realtà. Gradualmente ci stiamo staccando dal molo. Un singhiozzo mi scuote e le lacrime che ho trattenuto fino ad ora, riprendono a scorrere silenziose.

Mi accorgo che sto stringendo nel pugno la mia vecchia sim. Apro la mano e la fisso. Lentamente allungo il braccio oltre il parapetto e la lascio cadere. Per qualche impercettibile attimo resta sospesa nell'aria, come se qualcosa la trattenesse, poi sospinta dal vento raggiunge la superficie del mare e le onde la catturano.

Eleonora Viiperi non esiste più per nessuno.

Ora sono Elona Gashi e il mio futuro mi aspetta sull'altra sponda dell'Adriatico.

Lacio drom (buon viaggio) Eleonora, proprio come ti aveva  predetto l'anziana rom...


SPAZIO AUTRICE

Lo so, non ci credo neanche io. Finalmente ce l'ho fatta a scrivere la parola fine sotto questa storia.

Forse il finale non piacerà a tutti.

Forse avreste gradito un bel 'vissero felici e contenti', ma purtroppo se avete imparato a conoscere Eleonora sapete anche che per lei difficilmente le cose vanno nel verso giusto.

Lei ha preso la sua irremovibile decisione e ha preferito dare una svolta alla sua vita lasciandosi tutto alle spalle. Una scelta difficile e sofferta, ma l'unica che lei riteneva possibile.

A breve pubblicherò l'epilogo e alcune dinamiche vi saranno più chiare.

Grazie di cuore a chi è arrivato fin qui. Ci rivediamo alla fine dell'epilogo!


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