Capitolo 84: Le giuste condizioni
"Dritto alla meta come l'amore che non è in fondo a nessuna strada.
È in ogni passo, in ogni sconquasso, ogni colpo di coda.
Di questa bestia che porto dentro e che ti ama non lo scordare.
Luna di giorno, madre del tempo, stella di mare".
Diamanti (Negramaro-Elisa-Jovanotti)
EMANUELE
Ancora dieci minuti.
Mi restano solo dieci minuti per sperare di vederla apparire sulla soglia di ingresso del portone del Conservatorio. Ho provato a richiamarla non so quante volte, il suo telefono continua a essere non raggiungibile.
Dieci miseri minuti e poi dovrò iniziare a convivere con la consapevolezza che a causa della mia idiozia non la vedrò mai più.
Un'ultima occhiata alla nostra chat di WhatsApp, con la speranza ormai vana, di vedere quelle perfide spunte colorarsi di blu. Niente, nessuna variazione di colore.
Ingoio a vuoto. Ho un nodo alla gola e un dolore sordo nel petto. Sono solo l'effetto dell'aver finalmente realizzato che l'ho persa per sempre. E tutto ora sembra non avere più senso. Gli esami, la musica, senza di lei avverto solo il senso della sconfitta.
Mio padre si avvicina per dirmi qualcosa, fingo di ascoltarlo ma la mia mente ora è altrove. Tiziana mi sorride e mi sistema il colletto della camicia. La lascio fare, ormai sono rassegnato. Noto solo lo sguardo di disappunto che mia madre mi rivolge.
«Maestri? Prego, si accomodi!» Uno dei membri della commissione esaminatrice si è affacciato alla porta dell'aula numero tre per chiamarmi.
Inspiro profondamente e mi avvio, ora tocca a me.
Prima di richiudermi la porta alle spalle, lancio un'ultima occhiata verso l'ingresso.
ELEONORA
«Ele prendile, hai bisogno di dormire. Non chiudi occhio da due giorni, andando avanti di questo passo collasserai sicuramente.»
Seduta sul letto guardo Samuel che tenta disperatamente di convincermi a bere le due dita d'acqua in cui Teresa ha diluito qualcosa che dovrebbe aiutarmi a dormire.
Sono tutti preoccupati per me. Lo so, me ne rendo conto. Ma io ora non ho voglia di fare nulla e anche bere mi costa fatica.
Certo mi piacerebbe dormire, così almeno il mio cervello si metterebbe in pausa.
Eppure sono sicura che anche dormendo sarei capace di rivivere in un loop incessante gli avvenimenti di questi ultimi giorni. Ho il terrore di tornare indietro, a quando mi svegliavo urlando nel cuore della notte perchè non riuscivo a superare il trauma per la morte di mia madre. Ma allora mi aggrappavo almeno al ricordo di mio padre in carcere. Ora che ho perso anche lui, chi mi potrà aiutare?
Allungo una mano per prendere il bicchiere che mi porge il mio amico e in un sorso ne bevo il contenuto. Spero che questa roba faccia il suo effetto, e che lo faccia rapidamente.
«Vuoi che resti qui a farti compagnia fino a che non ti addormenti?»
«No, Samu, tranquillo va pure. Mi faccio una doccia veloce e poi mi metto a letto.»
«Sicuro Ele? Per me non è un problema, posso restare con te.»
«Samu non faccio cazzate, non mi butto di sotto, voglio solo fare una doccia e poi ti prometto che provo a dormire.» Uso un tono perentorio, per cercare di rassicurare il mio amico. Lo so che lui lo fa per il mio bene, ma io ora ho bisogno di restare da sola.
«Ok va bene, ho capito, se hai bisogno di me io sono di sotto insieme al Don.»
Il getto caldo della doccia aiuta a rilassarmi e sento che la 'pozione magica' che mi ha somministrato Teresa sta facendo il suo effetto.
Ho le gambe molli e avverto un senso di pesantezza alle palpebre.
L'ultima cosa che faccio prima di crollare in un sonno profondo è mettere sotto carica il telefono.
EMANUELE
Al terzo bicchiere di prosecco inizio a vedere tutta la mia attuale situazione in maniera più rosea. Nonostante l'assenza di Eleonora ho superato comunque in maniera brillante l'esame di ammissione, con il massimo dei voti. Sono ufficialmente una matricola del primo anno accademico del corso di strumenti a percussione e insieme agli altri colleghi ci siamo fermati a 'stappare' nella piazzetta retrostante il Conservatorio, appena abbiamo ricevuto i risultati.
Mio padre mi ha fatto le sue congratulazioni e per il mio ego la soddisfazione è stata immensa. Gli ho dimostrato che non sono il 'fallito' che pensava fossi. Ho ricevuto anche i complimenti da parte del padre di Tiziana che mi ha detto che le porte del Conservatorio Santa Cecilia di Roma sono per me spalancate e che se si fossero presentate le 'giuste condizioni', sarebbe stato mio anche il posto di timpanista aggiunto nell'orchestra da lui stesso diretta.
"Pensaci ragazzo, fra due mesi partiamo per una tournée nei maggiori teatri europei. Certo all'inizio saresti solo una riserva, ma si sa, si inizia dal basso per mirare poi a obiettivi maggiori."
Queste parole, ora amplificate dall'alcol, rimbalzano in maniera incessante nella mia mente.
Suonare in un'orchestra nei maggiori teatri d'Europa. Salire su un palco. Tutti i miei sogni si realizzerebbero se si presentassero le "giuste condizioni".
Posso anche provare a fingere di non capire, ma lo so benissimo che le "giuste condizioni" hanno un nome: Tiziana.
Tiziana che da questa mattina non mi ha mollato un attimo, mi è stata vicina sempre, anche ora è qui di fianco a me che sorseggia il suo bicchiere di prosecco. Lo accosta delicatamente alle labbra rosee e carnose colorate da un leggero velo di rossetto dello stesso colore della camicetta leggera che indossa, un glicine molto delicato, che si intona benissimo alla minigonna viola che lascia scoperte le sue lunghe gambe abbronzate.
È alta quasi quanto me, solo ora che la guardo meglio me ne rendo conto. E le sorrido, intontito dal quarto bicchiere di bollicine che tracanno velocemente. Forse ho sbagliato a trattarla sempre di merda, forse sì, sono stato troppo duro con lei. Forse dovrei iniziare e riconsiderate molte cose, alla luce del fatto che ho deciso che finirò questa giornata ubriaco marcio e con la certezza che non ho accanto a me chi avrei voluto che ci fosse davvero: Eleonora.
Prima l'ho chiamata, ci ho provato ancora una volta, ho sperato con tutto me stesso che mi rispondesse, invece nulla. Il suo telefono è inesorabilmente spento.
Mi avvicino a Gionatan che sta stappando un'altra bottiglia di prosecco e gli faccio cenno di riempirmi il bicchiere, ma mia madre mi blocca il braccio. «Emanuele, stai esagerando, smettila di bere. » La guardo incredulo, mai si è interessata prima d'ora al mio rapporto con l'alcol.
«Non guardarmi così, lo so che sei abbastanza adulto per decidere se vuoi ubriacarti o meno. Ma dobbiamo spostarci a Siponto. Tuo padre per festeggiare ha organizzato un piccolo rinfresco nella villa al mare. È talmente orgoglioso del tuo brillante risultato che su due piedi ha contattato un servizio di catering e ora è a casa a sistemare tutto. Avvisa i tuoi amici che i festeggiamenti continuano lì e che sono tutti invitati.»
Resto ammutolito e sorpreso. Mai avrei immaginato che mio padre facesse qualcosa per me, tanto meno organizzare una festa in mio onore.
Senza neanche pensarci due volte, estraggo l'iphone dalla tasca e digito un messaggio alla piccoletta: Sto tornando a Siponto. Ho superato gli esami e i miei danno una piccola festa, mi piacerebbe tanto che ci fossi anche tu... Io ti aspetto lo stesso, anche se ormai ho perso tutte le speranze...
Il sole sta ormai tramontando quando, quasi come una piccola carovana ci avviamo tutti insieme alla volta di Siponto. Metto in moto il Tmax e Tiziana si sistema alle mie spalle e sento le sue braccia che, senza nessun indugio, mi cingono la vita.
La mente vola a una sera di inizio estate, quando altre braccia più esitanti si strinsero intorno a me per la prima volta.
Quella sera che fu l'inizio di tutto.
ELEONORA
Spalanco gli occhi nel buio che avvolge la stanza. Ho avvertito una strana sensazione che è stata talmente forte da riuscire a svegliarmi. Come se una folata di vento gelido mi accarezzasse la pelle.
Non riesco immediatamente a realizzare dove sono, ho ancora la mente ovattata dal sonno. Ma è solo questione di qualche minuto, la realtà mi aggredisce immediatamente. Ricordo dove sono, chi sono e la vita di merda che ho.
Allungo una mano verso il comodino per recuperare il telefono per leggere l'ora e mi accorgo che l'ho messo in carica senza neanche accenderlo. Premo per qualche secondo il tasto laterale e il display si illumina, il cellulare esegue la solita procedura di accensione e poi finalmente appare lo sfondo.
Un mezzo sorriso riesce a incresparmi le labbra ormai da giorni eternamente imbronciate. Nella foto sfondo ci siamo io e Lele che ridiamo, anzi per l'esattezza io rido mentre lui con la sua solita faccia da stronzo mi lecca una guancia. Cazzo quanto siamo belli. Siamo? Perchè parlo al presente? Eravamo, per essere precisi. Anzi, dovrei anche decidermi a togliere questa foto. Noi non siamo più.
Il mio telefono è di una lentezza esasperante e mi lascia troppo tempo per pensare a cose a cui non dovrei più dare peso.
Voglio solo leggere l'orario. Sicuramente è tardi perchè il silenzio che mi circonda è assoluto. Finalmente appare l'ora, mezzanotte e un quarto.
Mentre realizzo che ho dormito almeno sei ore di seguito, il cellulare prende a vibrare senza fermarsi più, stanno arrivando una dietro l'altra decine di notifiche di chiamate e di messaggi WhatsApp.
A parte un paio di Camilla, tutte le altre fanno riferimento a una sola persona: Lele.
Resto immobile a fissare il telefono. Ci sono dieci chiamate, la prima un paio di ore dopo che ci siamo lasciati, poi altre nei giorni successivi e l'ultima oggi pomeriggio verso le quindici, più o meno quando io sono rientrata da Sollicciano. Per leggere i messaggi devo aprire la chat, ma esito, non so se farlo.
Voglio davvero sapere cosa mi ha scritto?
Poggio il telefono sul letto e scalza raggiungo la finestra. Spalanco le imposte e i raggi della luna entrano a rischiarare la stanza. Accendo una sigaretta e mi siedo sul davanzale. Il mio sguardo vaga sul povero mobilio che mi circonda, il piccolo letto a una piazza, il comodino che altro non è che un piccolo tavolino tondo in ferro, la cassettiera in legno bianco tutta graffiata sul cui ripiano ho poggiato l'urna con le ceneri del mio 'papo'.
«Tu che faresti al mio posto papà? L'apriresti quella chat?»
Aspetto, come se davvero qualcuno potesse rispondermi.
Un tiro di Camel e mi guardo la mano sinistra. Al pollice brilla la fedina d'argento dei miei genitori. Cazzo mi viene da piangere. Come se non avessi pianto abbastanza nei giorni passati.
Un altro tiro di sigaretta e le lacrime silenziose mi bagnano il viso. Aspetto ancora una risposta alla mia domanda di prima, ben conscia che nessuno mi suggerirà cosa è meglio fare.
Un respiro profondo e spengo la sigaretta sul davanzale.
Raggiungo il letto e apro la chat contrassegnata con il cuore rosso.
Ascolto il primo vocale e poi via via leggo gli altri messaggi di Lele. Le lacrime continuano a scorrere incessanti sul mio viso.
Io non ce la faccio a privarmi anche di lui.
Ho perso tutto, non voglio perdere anche Lele. Non sarei capace di dare un senso alla mia vita se non avessi lui vicino, non posso farcela.
Che si fotta il mio orgoglio del cazzo. Lui il suo lo ha messo da parte, mi ha pregata, supplicata di dargli un'altra possibilità. E io la voglio dare a lui, ma anche a me. Ho bisogno di qualcuno a cui aggrapparmi per trovare la forze di emergere da questo tunnel buio in cui sono precipitata.
Devo andare immediatamente da lui, ora, subito, per spiegargli quello che è successo e piangere tra le sue braccia.
Questa volta non vi ho fatto aspettare molto per il nuovo capitolo, contente?
Insomma, il puzzle sta per completarsi, mancano solo le ultime tessere per comporre la scena finale di "Vita sbagliata" .
Cosa immaginate? Un finale da cuoricini rossi o da lacrime di disperazione?
Una cosa è sicura, Eleonora saprà sorprendervi...
Grazie per essere arrivate fin qui. La vostra presenza è la mia forza.
Grazie per i commenti e per le stelline che sono il motore del mio entusiasmo.
Condividete la mia storia nei vostri elenchi di lettura pubblici. Mi aiuterete a farla conoscere ad altre lettrici.
Ci vediamo al prossimo capitolo, l'ultimo...
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