Capitolo 28: Finalmente!
Firenze - Casa circondariale di Sollicciano
Dopo quasi sette ore di viaggio siamo finalmente arrivati. Il Don ha preferito viaggiare di notte in modo da arrivare di mattina all'inizio dell'orario di visita. Ha guidato alternandosi con Samuel mentre Teresa cercava di infondermi calma e serenità, facendomi sonnecchiare con la testa poggiata sulle sue gambe. Devo dire che ci è riuscita per qualche minuto, le sue carezze ai miei capelli hanno raggiunto in parte l'obiettivo di rilassarmi.
Sono stata davvero felice del fatto che tutti i miei punti di riferimento, da quando sono in casa famiglia, abbiano scelto di accompagnarmi nella visita a mio padre. Con me entrerà solo Teresa che in questo periodo risulta a tutti gli effetti il mio tutore legale. Ma a parte l'ufficialità della figura che rappresenta, per me ultimamente è diventata molto importante. Da quando ho deciso di aprirmi a lei ho sentito di potermi fidare e ho capito che non mi considera come un 'caso' da studiare e analizzare. Mi ha fatta sentire accettata e confortata e non mi ha mai giudicata, cosa questa per me importantissima. Io non giudico mai nessuno. Nella mia breve esperienza di vita ho capito che i giudizi facili ti possono distruggere, e di conseguenza, detesto, chi senza conoscere il mio vissuto, si permette di 'pontificare' su come sono e cosa sono.
Prima di uscire dall'autostrada ci siamo fermati a una stazione di servizio per sistemarci un po' e fare colazione, ma il mio stomaco oltre a un caffè macchiato non è riuscito a ingerire altro. Sono troppo agitata. In bagno ho cercato di rendermi presentabile. Ho raccolto i capelli in una coda alta e mi sono maledetta cento volte per non aver fatto visita a un parrucchiere negli ultimi anni: la mia chioma è decisamente lunga! Inutile soffermarmi troppo sull'immagine riflessa dallo specchio. Solita salopette di jeans, ma la T-shirt che ho scelto è bellissima e per me rappresenta davvero tanto, spero lo stesso per il mio 'papo'. Il colore è il mio solito preferito, il nero, ma sulla parte anteriore c'è il titolo della nostra canzone e il nome del gruppo che la canta: November rain dei Guns n' roses! Chissà se avrà i miei stessi ricordi quando la ascolta: lui seduto dietro la sua enorme batteria che suona sulla base originale dei Guns e io e la mamma che lo guardiamo innamorate.
Tra qualche minuto apriranno i cancelli e ci sarà permesso entrare. L'ansia mi impedisce anche di respirare, ho come la sensazione che i polmoni non riescano a espandersi per incamerare ossigeno e ho un nodo alla gola che non mi permette di deglutire. Il Don e Samuel dopo avermi abbracciata si sono allontanati per tornare al parcheggio dove abbiamo lasciato l'auto. Ora ci siamo solo io e Teresa che mi tiene per mano come fossi una bambina. Cerco di distrarmi provando a guardare oltre l'enorme vetrata in metallo azzurro che delimita l'ingresso per i visitatori e i dipendenti, almeno così leggo dai cartelli che sono affissi sul muro. Il vantaggio di essere arrivati di buon'ora ha fatto sì che saremo le prime ad entrare. Vedo le guardie carcerarie in divisa che parlottano tra loro. Teresa mi ha spiegato che dopo l'ingresso dovremo mostrare il nostro permesso di visita, i documenti di riconoscimento e subiremo una perquisizione dopo aver attraversato un metal detector. Si interesserà lei di tutto io dovrò solo stare tranquilla e farmi guidare. Anche perché ormai è come se il mio cervello fosse in stand by e ho il cuore in gola. Mi aggrappo con tutte le forze alla sua mano quando mi accorgo che stanno aprendo le porte.
Teresa mi precede di qualche passo e si ferma a parlare con una guardia carceraria. Sento il suono del battito del mio cuore che mi rimbomba nelle orecchie, ho il respiro corto e ho quasi paura di svenire da un momento all'altro.
Ele, ma che ti prende! Cerca di reagire, non vorrai farti venire un attacco di panico proprio ora? Ne hai passate tante e anche peggiori di questa! È tuo padre che devi incontrare. Respira piano e fatti coraggio!
La mia coscienza cera di infondermi sicurezza.
Teresa si riavvicina e mi spiega che per venire incontro al fatto che è il primo colloquio che ho con mio padre da quando è detenuto, il direttore ci ha dato la possibilità di vederci in una stanza predisposta appositamente per noi.
Mio padre è già lì che mi aspetta.
Una donna in divisa ci sta facendo strada lungo un corridoio ampio con una luminosa vetrata laterale che affaccia su un cortile interno. In lontananza vedo quella che è la struttura vera e propria del carcere, dove si trovano le celle dei detenuti. È imponente, fa quasi paura. Una serie di enormi edifici a forma semicircolare tutti in cemento con enormi pilastri a vista.
Per un attimo penso alla vita dei detenuti nelle loro celle. Penso a mio padre solo tra quelle mura fredde ed estranee.
La guardia che ci sta accompagnando si ferma davanti ad un piccolo portoncino azzurro, bussa con decisione e nello stesso tempo abbassa la mano verso la maniglia e apre facendoci cenno di entrare mentre mi sorride dolcemente.
La mia presa alla mano di Teresa si fa prima più forte per poi allentarsi di botto, ora proprio non respiro più.
La porta è totalmente spalancata e lascia vedere l'interno. Mi fermo indecisa. Al centro della stanza, seduto di spalle vicino a un tavolo intravedo un giovane uomo. I gomiti poggiati al piano in legno, si sorregge la testa tra le mani, le dita sottili sono intrecciate nei capelli nerissimi.
E, come se gli anni in cui siamo stati lontani non fossero mai trascorsi, quando lui si volta di scatto, mi vede e si alza, in un battere di ciglia, io ritorno la bambina che ero e volo tra le sue braccia!
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