Capitolo 10: I mostri ritornano*
«Bella la macchina del tipo che ti ha accompagnata» mi sussurra avvicinandosi Samuel mentre sto metodicamente allineando nel cestello della lavastoviglie i bicchieri e i piatti del pranzo che abbiamo appena finito di consumare in casa famiglia. Oggi tocca a me questo compito, mi tocca anche aspettare che finisca il lavaggio per poi riporre a posto il tutto. E' una cosa che mi piace fare, diciamo che mi rilassa. Sono molto ordinata e mi piace sistemare tutto al posto giusto. Beh ognuno ha le sue manie!
Samuel aspetta una mia risposta. È sicuramente curioso. Ho notato che quando sono scesa dalla macchina di Davide guardava dalla mia parte per cercare di vedere chi fosse in auto con me.
«Da quanto sei diventato patito di automobili?» Dico guardandolo con aria interrogativa.
Lui ridacchia e continua a fissarmi in attesa di una risposta. Ho notato che da qualche giorno sta cercando di far crescere quella sua strana barba un po' riccia. È proprio bello. Gli occhi di un marrone scuro brillano accesi in un viso un po' spigoloso ma che si apre in un sorriso sempre allegro e amichevole. E' alto un bel po' più di me, ma va beh questo non fa testo, chi non è più alto di me? Per non parlare poi del fisico...magro, atletico al punto giusto. Insomma il mio migliore amico è uno strafigo!
«Che occhio lungo però che hai, signor spione...come hai fatto a vedere che dentro c'era un tipo eh?»
« Ele... Ma quale occhio lungo» continua a ridacchiare «Sono solo un ottimo osservatore, e poi, mentre facevo manovra per uscire dal parcheggio, ho visto che 'lui' è anche sceso dalla macchina per guardare meglio nella nostra direzione. Forse sei tu che dormi e non ti guardi intorno. Io osservo, e sono attento a vedere con chi si accompagna la mia piccoletta»
«Davide, si chiama Davide. Andiamo nella stessa scuola, è al quinto, ed è davvero molto ma molto carino e stop. Null'altro da aggiungere» dico con tono sbrigativo, soffermandomi ad allineare con esagerata pignoleria le tazzine del caffè nel cestello apposito della lavastoviglie.
«Che è carino mi sembra a dir poco riduttivo» dice e scoppia a ridere «Ma lo hai guardato bene?»
«Ma che stronzo che sei» e inizio a colpirlo con lo strofinaccio della cucina ridendo «Per una volta che un tipo si interessa di me...tu che fai? Mi vuoi fregare la piazza?»
«Shhhh zitta dai, abbassa la voce...» Mi risponde cercando di tapparmi la bocca.
«Ma per quanto tempo vorrai andare avanti con questa finzione Samuel? Perché devi continuare a nascondere a tutti quello che sei davvero? Pensi che qualcuno qui dentro faccia caso al fatto che sei gay? Ma secondo te credi che il don non lo abbia già capito? Quello ci legge dentro come se fossimo dei libri aperti... Pensi che la psicologa non se ne sia resa conto? Aspettano solo che sia tu ad aprirti a loro per accettarti tranquillamente. Ma che cazzo te ne frega poi di quello che penserebbero? Sei una bellissima persona, e io più degli altri posso dirlo. Senza te e senza la tua sensibilità io sarei ancora chiusa nella mia stanza a farmi prendere dall'angoscia dei miei incubi ogni notte. Cazzo Samuel ma chi se ne frega se ti piacciono gli uomini?...Beh però se cerchi di fottermi i miei 'fans' allora mi incazzo sul serio!» Gli dico abbracciandolo forte e iniziamo a dondolare e a ridere come due scemi, saltellando intorno al tavolo della cucina.
Tanto lo so che non mi ascolterà. Su questa cosa è proprio una gran testa di cazzo. Si ostina a nascondere a tutti la sua omosessualità. Anche con me all'inizio ha fatto la stessa cosa. Io, non so come, me ne sono accorta subito. Non so, è stata una sensazione a pelle e senza pensarci molto gliel'ho chiesto. Lui immediatamente ha negato. Non ho insistito più di tanto, ho pensato che forse avrebbe avuto bisogno di più tempo per fidarsi di me e aprirsi. E infatti è stato così.
«E quindi, diciamo che il tipo sta cercando di fare breccia nel tuo cuore?» Riprende mentre ci fermiamo, e come mi aspettavo, cambia discorso.
«Ah sinceramente non lo so neanche perché si interessi di me. Ha provato anche ad avere il mio numero di telefono per invitarmi a prendere un caffè oggi pomeriggio. Ma sinceramente ho preferito inventarmi la balla che ho un'interrogazione domani. Non so perché ma non mi andava proprio di uscire. L'orso che è in me ogni tanto si palesa».
«Ma ci sei o ci fai? Io nei tuoi panni avrei accettato l'invito. Vuoi darti alla vita monacale per caso?» Mi chiede.
« Ma mi ci vedi? Suor Eleonora...no, non fa per me la vita da suora» Rispondo congiungendo le mani a mo' di preghiera e alzando gli occhi in adorazione divina.
« Chi è che deve diventare suora qui?» Chiede entrando il don. E mi guarda con un'espressione scettica che non tenta neanche di nascondere.
«Intanto» continua sorridendo «Mentre decidi quando dovrai prendere i voti, che ne dici di andare nella stanza di Teresa per fare due chiacchiere? Mi ha detto che da due settimane la eviti come la peste e hai saltato le tue sedute di terapia»
«Preferisco farmi suora Don! Davvero! Non la evito per un fatto personale, è che, io proprio non la vedo l'utilità delle nostre chiacchierate. Non ho niente da dirle di nuovo rispetto a quello che è già stato ampiamente scritto e riscritto nel mio fascicolo! Per pietà, ti voglio bene Don, dille che la prossima settimana forse, dico forse, ci vado a rinchiudermi nella sua stanza!»
«No! Tu ci vai ora e non si discute! Sono stato fin troppo tollerante nei tuoi confronti per questa cosa. E ho sbagliato! Ora buona buona, finisci di sistemare qui in cucina e vai a 'rinchiuderti'!»
Il tono del don mi sembra abbastanza perentorio e non ammette repliche, mi sa che questa volta mi tocca proprio rinchiudermi a parlare con la psicologa. Avrei fatto meglio ad accettare di uscire con Davide, sicuramente mi sarei divertita di più!
Samuel mi guarda e alzando gli occhi al cielo mi fa segno che forse è meglio che io vada. Ormai le stoviglie sono non a posto, ma di più! Non ho più scuse per trattenermi e quel simpaticone del don proprio per verificare le mie intenzioni, finge spudoratamente di mettersi a leggere il giornale in cucina per vedere quello che io ho intenzione di fare.
Con la testa bassa mi avvio al patibolo. Che gran rottura di palle!
****************
«Teresa? Posso?» Sussurro e busso piano alla porta con la speranza che lei non mi senta e io trovi l'ennesima scusa per defilarmi e sparire.
«Entra Eleonora, ti stavo proprio aspettando» dice mentre spalanca la porta «Vedo che il don è stato molto persuasivo!» Continua «Siediti pure sulla poltrona, è da un po' che non parliamo noi due».
«Diciamo pure che non è che ci siamo dette poi tanto io e te» dico riprendendo la mia solita vecchia abitudine di allungare le maniche della felpa per cercare di riscaldare le mani ghiacciate. L'ansia mi fa congelare le mani. L'ansia mi fa aumentare il battito cardiaco e non riesco a portare a termine i respiri. Non voglio parlare, non ho niente da raccontare. Non voglio ricordare. Non voglio riaprire i cassetti della memoria dove ho cercato con tanta fatica di intrappolare i miei demoni. NON VOGLIO!
Intanto che io penso a cosa posso dirle lei mi fissa. Cerco di sostenere il suo sguardo e continuo a torturare le maniche della felpa e le mani.
«Tuo padre» esordisce continuando a fissarmi.
E io ho un sussulto sulla sedia. Il mio sguardo si fa più attento ora, diventa quasi una supplica. Sono bastate solo quelle due semplici parole per abbassare tutte le mie difese. Mio padre, il mio 'papo', l'amore della mia vita.
«Mio padre?» Chiedo.
"Cazzo parla, non tenermi così sulle spine. Cosa cerchi di fare? Mi provochi per vedere come reagisco? Non sei una psicologa, sei una stronza!" Penso fissandola e trattenendo quasi il fiato.
«Ha rifiutato la richiesta di semilibertà che a sua insaputa aveva presentato il suo avvocato!» Dice tutto di un fiato. Come se anche per lei fosse un peso darmi quella notizia. E continua a guardarmi aspettando forse qualche tipo di reazione da parte mia.
Stringo i pugni, forte. Le unghie anche se sono corte iniziano a segnare i palmi delle mani. Le dita mi fanno male tanta è la forza con cui stringo. Mordo con rabbia l'interno della guancia sinistra e sento il sapore del sangue, metallico, che si mischia con la saliva. Provo a non sbattere le palpebre perché sono certa che se lo facessi le lacrime che ora sto trattenendo a fatica, uscirebbero copiose.
«Perché?» La mia voce è solo un soffio. Mi sento senza forze. Stanca. Apatica. Rassegnata.
Perché solo fino a qualche minuto fa ero allegra e spensierata in cucina a scherzare con Samuel e ora sono qui, sprofondata di nuovo nel buio assoluto della mia esistenza?
Perché la mia vita deve essere questa? Ora che avevo la sensazione di averla quasi riafferrata dal verso giusto questa mia strana vita.
Perché la mia vita deve essere questo?
Perché devo pensare che la mia sia una 'vita sbagliata'?
Questo è un nuovo capitolo per iniziare ad introdurre il passato pesante che Eleonora si porta dentro.
Cosa ne pensate? Vi piace? Aspetto un vostro parere!
Se la mia storia vi piace, e ritenete sia meritevole di attenzione, aiutatemi a farla conoscere a un pubblico più vasto. Consigliatela e aggiungetela ai vostri elenchi di letture! Ve ne sarò grata!
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