VII.1 Colpo di spugna
Ebbero cura di tornare alla festa il prima possibile per non destare sospetti, e per buona misura non si trattennero neanche un minuto più del necessario.
In poco meno di un’ora si ritrovarono dentro la carrozza in tre, diretti a Mayfair, con una Sarah molto infastidita dalla sceneggiata provocata dall’improvvisa venuta di suo fratello alla festa.
Dapprima tutto scorse come sempre. Alexander e Harvey cercarono di limitare le occhiatine al minimo e, per i primi tempi, la strategia parve funzionare.
Hector non si presentò più in villa, Alexander non sapeva se fosse già tornato a Parigi né avrebbe saputo dire se l’avrebbe visto mai più.
Soprattutto, però, sentiva gli occhi della Londra bene sempre addosso, appiccicati sulla pelle come un velo di sudore freddo che lo gelava.
Le voci non avevano smesso di girare, lo sapeva, ed era solo questione di tempo prima che la faccenda esplodesse e il loro castello di carte rovinasse a terra con un gran fracasso.
In genere, Alexander amava avere ragione. Era un piacere in cui si crogiolava.
Non quella volta.
Quella volta si trovavano insieme sul letto, dietro una porta chiusa a chiave. Lisbeth giocava nel giardino, Sarah era in cucina con Candace a tentare di imparare a preparare i muffin, tutto filava liscio come l’olio.
«Hector aveva ragione» mormorò Alexander in tono distratto, giocando con il colletto della camicia del compagno. «Aveva ragione, sai? Quella volta.»
Avvertì Harvey girarsi si un fianco per osservarlo. «Oh no, Alex–»
«Io ho sempre odiato il brandy.»
«Non–» il ragazzo inclinò la testa, confuso. «Aspetta, eh?»
Un nodo gli si strinse in gola e si accorse di essere avvampato. «Io ho sempre odiato il brandy. Quando l’hai ordinato per me… quando l’hai ordinato per me al mio addio al celibato avrei voluto buttarlo per terra. Non riesco a berlo, mi fa schifo.»
«Perché me lo dici così?» chiese Harvey, che lo guardava con un misto di preoccupazione e perplessità che sarebbe stato un miracolo poter trasferire su carta. «E perché… perché diavolo l’hai ordinato per mesi quando venivi a prendermi al pub dal signor Johnson?»»
«Perché… perché…» si sentiva scomparire, ma lottò contro l’istinto che gli imponeva di tacere nella sua testa. «Perché volevo fare colpo su di te. Cos’altro potevo dire? “Vorrei–» si incartò con le parole e avvampò ancora. «Vorrei del vino bianco, il più dolce che avete?” E così… così ho chiesto un brandy doppio.»
«Alex, tu… tu hai bevuto un brandy doppio ogni giorno per quattro mesi della tua vita anche se ti fa schifo perché pensavi di fare la figura del maschio alfa con me?»
«Scusa» mormorò, nascondendo il volto alla sua vista, premendoglielo sul petto.
Harvey lo abbracciò allora, forte, poi sentì che che iniziava a tremare e non ci mise tanto a capire che stava sghignazzando.
«Che fai?» gli chiese con voce rotta. «Io voglio sotterrarmi e tu ridi?»
«S- scusa» rispose Harvey, senza riuscire a smettere. «Scusa mi f-fa ridere.»
«Non sei arrabbiato?»
Harvey rise più forte, scuotendo la testa. «No, c-certo che no!»
«Smettila di ridere così! Mi spieghi cosa c’è di così divertente in una patetica bugia per fare colpo?»
«N-non rido per… per la… per la bugia. Rido perché… oddio… rido perché ha funzionato!»
«Ha… funzionato?»
Harvey annuì, si abbandonò al letto senza più forze, scosso da risate incontrollabili.
Alexander si allungò accanto a lui e lo guardò. Era bello quando rideva.
«Non ci credo… ci sono cascato come un idiota…» ripeteva, tra i singhiozzi. «Un brandy doppio... ma sentitelo… è arrivato l’uomo fatto, proprio...»
«Ma quindi ha funzionato?» incalzò, strisciando su di lui sul letto.
Le mani di Harvey andarono ai suoi capelli e iniziarono ad accarezzarlo. «Mhmhm.» Le vibrazioni del suo assenso, partite dal suo petto, rimbombarono nelle orecchie di Alexander, che sospirò, avvicinandosi ancora. «Un brandy doppio è un ordine da figo, avevi ragione. Hai fatto colpo sul serio.»
Era sul punto di dirgli che, se era davvero servita ad averlo, non aveva mai pronunciato una menzogna migliore di quella in tutta la vita, quando entrambi sentirono il portone principale spalancarsi con un botto fragoroso, e sobbalzarono insieme.
«E voi chi siete?» chiese la voce di Candace, tanto alta da essere quasi un grido, da qualche piano più in basso. «Perché questo chiasso?»
«Scotland Yard, signora. Cerchiamo il signor Harvey Connor. È in arresto per sodomia.»
Panico.
Alexander schizzò via dal letto alla velocità della luce, si infilò le scarpe e allisciò i vestiti per darsi un contegno.
«Alzati» sibilò, mentre si affacciava a controllare la porta chiusa. Harvey era rimasto pietrificato sul letto, lo guardava con gli occhi spalancati dal terrore. «Per carità di Dio, alzati, non puoi farti trovare sul mio letto!»
Quella preghiera parve smuoverlo, perché il ragazzo obbedì, titubante. Lo osservava in silenzio come un bambino smarrito, e Alexander provò una fitta al cuore.
Doveva pensare in fretta.
«Vado giù a vedere. Tu esci dalla stanza ma resta quassù. Scendi all’ingresso solo se ti chiamo, mi hai capito?»
«No» la voce di Harvey era debole ma sicura. «Se vogliono me vorranno anche te. Non ti lascio andare da solo.»
«Hanno fatto solo il tuo nome, sono coperto. Esci dalla stanza e resta qui al piano» liquidò.
Cercava di ragionare mentre girava la chiave nella serratura e usciva sul pianerottolo. Se la polizia era entrata sino in casa sua significava che doveva aver ricevuto una buona segnalazione, qualcosa di serio.
La sua mente tornò a Hector.
Sei fortunato che non posso denunciarti senza denunciare lui. Ma fai un solo passo falso e troverò un modo per sbatterti in galera, te lo garantisco.
Scosse la testa. No, non poteva essere stato Hector. Non poteva essere così crudele.
Scese per le scale più in fretta che poté, infilandosi la giacca e allisciandosi ancora la camicia, per darsi un tono.
La polizia si era introdotta in casa sua, introdotta per cercare Harvey e portarlo in centrale, era una vera e propria emergenza, così decise di tentare l’azione più drastica di tutte: usò la voce e lo sguardo che aveva ereditato da sua madre.
«Che sta succedendo qui?»
Li individuò subito, entrambi in divisa perfetta. Due uomini con l’uniforme di Scotland Yard, i loro manganelli e il caschetto d'ordinanza; proprio in mezzo a loro, un ragazzo nerboruto senza divisa. Era grosso e aveva la mascella squadrata, lo guardava con un ghigno che andava da un orecchio all’altro. Era vestito con una camicia semplice di cotone e dei pantaloni di fustagno con le bretelle marroni e Alexander non l’aveva mai visto prima.
«Voi siete il signor Harvey Connor?» chiese un agente, alzando un sopracciglio per inquadrarlo.
«Cielo, no» rispose Alexander, mantenendo almeno un briciolo di sangue freddo. Lo guardò come sua madre guardava chiunque non fosse Hector e porse la mano all’agente più anziano dei due, che non aveva ancora parlato. «Lord Alexander Ulysses Woods, precedente Conte di Dorset. Questa è casa mia. Il signor Connor è mio cognato, alloggia qui.»
«Mandatelo a chiamare allora. Abbiamo un mandato d’arresto» ordinò il ragazzo in borghese, allargando il sorriso soddisfatto. Uno dei due poliziotti, quello più giovane, gli scoccò un'occhiata scettica.
«Scusate, voi chi sareste?» chiese Alex, asciutto.
L'agente anziano gli mostrò il distintivo appuntato sulla giacca impermeabile. «Agenti Howard e Shirley, milord. Scotland Yard. Dovreste far chiamare il signor Connor il prima possibile, abbiamo l’ordine di portarlo via.»
«E potrei sapere perché, di grazia, due agenti di Scotland Yard irrompono in pieno pomeriggio nella mia villa e prendono in custodia uno dei miei ospiti?»
L’agente Howard, quello più anziano, si levò il caschetto e piegò la testa.
Alexander arricciò le labbra. I poliziotti di rado facevano gli sbruffoni con persone del suo titolo, non senza prove.
«Scusate, milord. Ci era stato detto che il ragazzo era uno sbandato. Ci dev’essere stato un errore.»
«C’è stato di certo. Non so che cosa vi abbiano detto su Harvey, ma sono sicuro in cuor mio che si tratta di una calunnia. È un gentiluomo, una persona perbene. Io non apro le porte della mia casa a uno sbandato qualsiasi, confido che lo sappiate.»
«Ho le prove di quello che dico!» insistette il ragazzo. «Fatelo scendere, posso provarlo!»
«Che succede?» un volto fece capolino dallo spiraglio che portava al salotto. «Che ci fa qui Scotland Yard?»
«Signor Howard, Signor Shirley, questa è mia moglie Sarah. Era in cucina a preparare dei muffin. Come vedete, è tutto più che sotto controllo.»
«Fatelo scendere!» continuò il ragazzo. «Ho le prove, vi dico!»
«Voglio sapere cosa sta succedendo» ripeté Sarah.
«Quasi di certo un disguido» commentò l'agente Shirley. «Avevi detto che il ragazzo era un operaio» sibilò, sbrigativo.
«Lo è! È un poveraccio. Non so neanche cosa ci fa, qui dentro!»
«Questa è casa mia ora, Philip, mio fratello vive con me. C'è anche Lizzie con noi.»
Philip. Harvey gli aveva parlato di lui, un suo vecchio compagno di scuola e vicino di casa, non avevano dei buoni trascorsi. Aveva chiesto la mano a Sarah tempo prima e al suo rifiuto aveva iniziato a prendere di mira i Connor ancora più del suo solito.
«Milady, se poteste andare a chiamarlo ve ne saremmo grati» si inserì Shirley, togliendosi il caschetto a sua volta.
«Mio cognato sta riposando. Ha passato una brutta febbre tempo fa, da quel momento è di salute cagionevole. Il medico si è raccomandato di non farlo preoccupare. Se queste accuse ingiuriose avranno un impatto negativo sulla sua salute...»
«Faremo solo un veloce controllo. Ci sono arrivate voci su attività sessuale sospetta, dobbiamo solo verificare. Ci vorrà un minuto, se non ha nulla da temere.»
«Oh, cielo!» esclamò Sarah, e Alexander dovette concederle che si trattava di un’attrice di gran lunga migliore di suo fratello. «Condotta sessuale sospetta? Harvey?! È inaccettabile, non posso credere che qualcuno possa aver insinuato qualcosa del genere.»
«Andrò a chiamarlo, ma siate gentili. Il signor Connor è un mio ospite e non tollero che venga messa in dubbio la mia ospitalità.»
I due agenti lanciarono a Phillip un ennesimo sguardo di fuoco. Era chiaro che si erano aspettati tutt’altro da quella segnalazione. Una casa popolare con qualche squattrinato da sbattere in galera per una voce, non certo una villa popolata da persone perbene che potevano permettersi un buon avvocato.
«Si capisce, milord, noi siamo professionisti.»
Risalì per le scale a dispetto delle gambe che gli tremavano, e trovò Harvey davanti alla porta della sua stanza, proprio dove l’aveva lasciato. Era pallido come un lenzuolo, appoggiato allo stipite, lo sguardo colmo d’orrore.
«Alex...»
«Vieni giù, avanti. Andrà tutto bene.»
«Ha detto che ha le prove» protestò, con un filo di voce.
«Non abbiamo lasciato prove. Torni nel tuo letto ogni mattina, i domestici ci trovano ognuno nella sua camera tutti i giorni al momento della sveglia. È tutto sotto controllo.»
«Philip, quel bastardo...»
«Non è il momento di pensare a lui. Ora ho bisogno che mantenga i nervi saldi, capito? Non lascerò che ti accada alcun male.»
Doveva averlo detto in tono convinto, perché lo sguardo terrorizzato di Harvey si calmò. Gli diede una carezza veloce, lungo tutto il profilo del viso, e sospirò. «Andiamo.»
Alexander ringraziò di aver avuto la prestanza di riflessi di parlare della sua salute, perché scendeva per le scale come un morto ambulante e se non l’avesse fatto sarebbe stato chiaro che era colpevole.
Gli agenti li osservarono avvicinarsi insieme, e Alexander si costrinse a pensare positivo, seppur non nella sua natura. Ringraziò l’avventatezza di Philip, che aveva dato una descrizione della situazione sommaria, il che andava a suo vantaggio.
Quando arrivarono di sotto, Harvey aveva l'aria stravolta, si reggeva a stento sulle gambe, e pareva verosimile fosse appena scampato a un brutto caso di scarlattina com’era stato davvero mesi prima.
«Fategli svuotare le tasche. Troverete una sorpresa che non saprà spiegarsi, ve l’assicuro» esclamò Philip, che aveva ancora quel sorriso stampato in faccia.
Alexander sapeva che quel ragazzo aveva coinvolto Harvey in una rissa mesi prima, non era mai arrivato a conoscenza dei dettagli. A vederlo sorridere così, l'idea che persino uno come Harvey avesse potuto alzare le mani su di lui non lo sorprendeva affatto.
«Philip» salutò Harvey, tirando fuori un po’ di fiato. Nel sentirlo parlare aveva ripreso un po’ di colore, e i suoi occhi si erano accesi d'ira. «Sempre bello vederti.»
«Fa’ come dice» abbaiò Howard, osservando il suo orologio da taschino e battendo il piede a terra con fare nervoso.
«Piano coi toni» sibilò Alexander, tenendo la voce basso e deciso che sua madre usava quando lo riprendeva per l'uso eccessivo del pianoforte. «O sarò costretto a prendere provvedimenti.»
Harvey lo guardò senza sapere che fare, e lui annuì. Fu quando svuotò il taschino della giacca che Alexander capì perché era stato tanto restio a farlo.
L’anello.
Quello sì che era un problema.
«Eccolo! Eccolo! Chiedete perché ce l'ha!»
Anche Sarah era impallidita, osservava Alexander con aria interrogativa e preoccupata.
Shirley prese la banda d'oro dalle mani di Harvey e la osservò. «Siete sposato?»
«Io... no, signore.»
«Allora perché mai avete una fede con voi?»
«Perché... beh, perché...»
Philip parve farsi due spanne più alto. «Ebbene?»
«Perché l’ho trovata.»
«Avete trovato una fede» ripeté Howard, scettico.
«Sì. Esatto.»
«E dove l’avete trovata, di grazia?»
«In giro.»
«In giro» ripeté ancora.
«È solo un anello» si inserì Alexander. «Potrebbe essere di chiunque, non significa nulla.»
«Posso vederlo?» domandò Shirley, porgendo il palmo aperto. Harvey ve lo posò, e lui diede un’occhiata da vicino. «Non ha iscrizione. Né nome, né data. È parecchio insolito, per una fede nuziale. Ha un’idea del perché?»
«Non è mia, dunque... no. Perché dovrei?»
Howard e Shirley si scambiarono un’occhiata rassegnata, poi Howard parlò. «Signore, temo che debba seguirci in centrale per degli accertamenti.»
Non poteva lasciare che lo portassero via. Non poteva lasciare che lo portassero via per una sua idea stupida. Come aveva potuto pensare di poter vivere libero anche solo una settimana? Come aveva potuto pensare di regalargli un anello e di vederlo al suo dito sotto al sole senza ripercussione alcuna?
Stupido, stupido, stupido.
Doveva fare qualcosa. «Non potete portarlo via. Non per una voce senza fondamento.»
«Dobbiamo interrogarlo. Se la versione che racconterà sarà convincente, non ha nulla da temere.»
«Bene. Allora voglio assistere.»
«No.» Harvey era stato buono tanto a lungo, che sentire la sua voce decisa quasi lo spaventò.
«No?»
«No. So che sei un buon amico, ma non c’è ragione che venga tirato in questa storia. Ci metteremo poco, non è vero?»
«Questo dipende soltanto da voi» rispose sbrigativo Shirley. «Ora andiamo.»
«Diciamo che è meglio non aspettarlo svegli» gongolò Philip, iniziando a trottare dietro di loro.
Alexander fece due passi verso la porta per seguirli, Sarah l’afferrò e lo tirò a sé. «Non fare scenate, sarà peggio.»
«Che roba» borbottava intanto Candace, tornandosene in cucina. «Proprio il signor Connor, tra tutte le persone del mondo. Un ragazzo tanto educato…»
Alexander fece in tempo a vedere Lisbeth che si avvicinava a Harvey per chiedergli spiegazioni proprio un attimo prima che venisse chiusa la porta d’ingresso, oscurandoli alla sua vista. La presa di Sarah sul suo braccio si strinse.
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