V.2 Nos Quoque Floruimus
Non appena sentì sbattere la porta, Alexander corse dal compagno, gli afferrò forte il volto tra le mani e gli studiò le ferite col cuore pesante. «Oddio» sussurrò. «Oddio, mi dispiace così tanto, è colpa mia...»
«È colpa sua» borbottò Harvey, deciso.
Alexander non l'ascoltò. Non si asciugò le lacrime dal volto, le tenne come una medaglia al valore sulle sue guance bagnate. Prese il fazzoletto ricamato dalla tasca della giacca e tamponò il sangue sul labbro.
Harvey fece una smorfia di dolore, ma non si mosse.
«Scusami» ripeté, per il bruciore improvviso e per ciò che era successo.
«Non è niente.»
La vista del volto che amava coperto di sangue lo sbriciolava dentro.
Era tutta colpa sua. Portava distruzione qualunque cosa toccasse. Sua madre, Hector, Harvey, tutte vite infelici perché si erano avvicinate a lui.
Io non ho più un fratello. Quell’assassino me l’ha ucciso.
«No, no, no, no» interruppe Harvey, in un sussurro. Si scostò le mani dal volto e lo abbracciò. «Non fare così. Non ne vale la pena.»
Lo strinse tanto forte che Alexander sentì il cuore che gli si espandeva nel petto, gonfiandosi nella cassa toracica, così gli si aggrappò e pianse, senza vergogna.
«Mi odia» disse tra le lacrime. «Mi odia.»
«Non ti merita. Non hai perso niente.»
Alexander ripensò a tutte le lezioni col maestro, al corso di piano, alle corse in giardino e a tutti i nascondino. Ripensò ai non detti, ai “vieni con me”, ai “ci penso io”, all'ultimo “di’ una parola e annullo tutto, non mi devi nessuna spiegazione, sei pur sempre il mio fratellino”.
«È mio fratello.»
Harvey gli stampò un bacio sul collo. «Lo so. Lo so. Mi dispiace. Mi dispiace così tanto...»
L'unica cosa che lo teneva ancorato a terra era la sua presa su di lui, nient'altro. Solo Harvey.
Quando si separarono, Harvey fece chiamare i domestici. Si fece portare una tinozza per lavarsi il viso e diede l'ordine di non fare scendere Sarah e Lisbeth per nessun motivo. Non poteva permettere che lo vedessero in quelle condizioni.
Alexander lo vide sciacquarsi la ferita, sedersi su una delle poltrone e restare in silenzio, assorto, a pensare. Gli si avvicinò svelto, abbandonandosi sulla poltrona accanto. «A che pensi?»
Harvey alzò lo sguardo su di lui. «Non credo che stia funzionando.»
Alexander chiuse gli occhi e si mise più comodo. Dopo una giornata come quella aveva proprio bisogno di riposo, e l'adrenalina per quello che era stato aveva iniziato a scemare, facendolo cadere in uno stato di sonnolenza che lo intorpidiva.
Un grande senso di vuotezza e di stanchezza estrema iniziava a prendere sopravvento su di lui, rendendolo letargico.
Il nulla.
«Cosa non sta funzionando?»
Poi Harvey disse le due terribili parole che non avrebbe mai dovuto pronunciare.
«Tra noi.»
Alexander ci mise qualche secondo a metabolizzare quelle parole, ma quando lo fece spalancò gli occhi verdi, sbigottito in un ultimo guizzo di vita. «Eh?»
Harvey non lo stava più guardando, anzi, evitava di farlo. Guardava tutto meno che lui, osservando la stanza, il finestrone sul giardino, il piano, i divani. «Non funziona, Alex» disse piano. «Pensavamo che il matrimonio avrebbe risolto i problemi ma non è così, è evidente. Siamo riusciti a farci scoprire persino all'estero, quante probabilità c'erano? Dobbiamo stare lontani persino in casa nostra, io devo sgusciare nella mia stanza come un ladro. E non posso... non posso neanche guardarti, o succedono cose come questa. Sono stanco.»
«Stanco?»
«Sì. Sono stanco. Non mi sentivo così prima, ma dopo il viaggio... ho visto come potrebbe essere. Come dovrebbe essere. E sono stanco, Alex. Così tanto.»
Eccolo, il vero Harvey. Quello che era mancato quel giorno, quello che per un attimo gli era sembrato non fosse mai esistito. L'Harvey che fuggiva dai problemi.
«E cosa... cosa proponi di fare, allora?»
«Non lo so. Ma come stanno le cose ora non funziona. Guardami negli occhi e dimmi che mi sbaglio, avanti. Guardami, Alex.»
E Alexander lo fece. Come ormai era abituato, il mondo intorno a lui sfumò. Esisteva solo Harvey, i suoi occhi magnetici, il livido che iniziava ad arrossarsi sullo zigomo.
«Anche se non funzionasse, non so come altro fare. Questo è l'unico modo.»
«Forse non c'è nulla che possiamo fare.»
«Allora tanto vale smettere di preoccuparsi, non ti pare?»
Harvey sospirò, un sospiro tanto profondo che parve sgonfiarsi. «Non credo che abbia afferrato il punto.»
«Illuminami, allora.»
«Io penso che forse... penso che così non può andare avanti. La nostra storia non funziona, non può continuare in questo modo.»
Sentire quelle parole lo punse come un enorme ago arroventato, e d'un tratto il senso di vuoto si dilatò, siderale. «Mi stai lasciando?»
«Non lo so, non ho detto questo.»
«Non hai neanche detto di no.»
«Non possiamo più continuare così.»
«È per via di Hector? Perché sei stato aggredito?»
Lui si strinse nelle spalle senza trovare le parole per rispondere.
Quel discorso aveva del surreale. Il suo peggior incubo, venire abbandonato da tutti, stava prendendo piede proprio sotto i suoi occhi e lui non sentiva nulla.
Sua madre in prigione prima, Hector poi, Harvey in quel momento. Non gli sarebbe rimasto più nessuno al mondo.
Sapeva che sarebbe successo.
Fu per questo che non si arrabbiò. Non si mise a gridare, non gli chiese neanche di restare. Provò solo un enorme, totalizzante, disastroso senso di nulla, unito al fastidio per tutto quello che era successo, la frustrazione.
«Capisco» disse piano. «Scappi di nuovo. Avrei dovuto pensarci. Sai, oggi per un attimo ho avuto quasi la sensazione di essermi sbagliato su di te, invece è vero. Sei e sarai sempre un codardo.»
«E così sono un codardo, eh? Se ti dà tanto fastidio stare con me perché sei qui? Perché dovresti dividere lo spazio con un codardo?»
Alexander si osservò la fede. La fede che lo legava per sempre a una persona per cui provava stima, affetto forse, niente più.
Forse quel matrimonio era davvero stato uno sbaglio.
«Come saprai bene, questa è casa mia. Dove altro dovrei andare? Se davvero ti sei stancato, forse dovresti essere tu ad andartene. Io sono nella mia casa, seduto sulla mia poltrona, davanti al mio pianoforte, non ti pare? Ma forse è troppo comodo per te, per questo sei ancora qui. Com'è che era? Ti eri stancato di vivere solo in una stanza?»
Capì di aver fatto un errore non appena Harvey si alzò in piedi.
«Hai ragione» disse soltanto. «Tolgo il disturbo prima di subito.»
La sensazione che tutto quello che stava accadendo fosse sbagliato gli accartocciò le viscere in modo doloroso, eppure quel dolore gli arrivò ovattato. Si accorse che in quel momento non gli importava di niente, voleva solo stare da solo.
Solo, solo, solo. Per sempre.
Sentì la porta chiudersi e poi il portone di casa. Restò immobilizzato sul posto, congelato, seduto su quella poltrona a fissare quella libera là dov'era stato Harvey. In tutto quel tempo non aveva mai distolto lo sguardo, con lui non ci riusciva mai.
Il suo magnete.
«Candace!» chiamò, la governante che si era defilata quando aveva sentito le grida di Hector. «Candace, mi senti? Vieni subito qui!»
La donna si affacciò nella stanza, esitante. «Ebbene?»
«Portami una bottiglia. La più forte che abbiamo, non mi importa quanto costa, dev'essere la più forte.»
«Subito, milord» mormorò, chiudendosi di fretta la porta alle spalle.
Avrebbe dovuto avvertire Sarah che suo fratello se n'era andato. Avrebbe dovuto pensare a cosa fare con Hector, per assicurarsi che davvero non l'avrebbe denunciato. Avrebbe dovuto mandare qualcuno a cercare Harvey, si era fatta sera ed era pericoloso passare la notte fuori in quel modo.
Non aveva nessuna intenzione di fare nulla di tutto ciò. Gli venne servito un bicchiere di scotch invecchiato, e lui richiese tutta la bottiglia.
Era tiepido, il primo sorso gli bruciò la gola come il fuoco e fece una smorfia.
Il sapore era amaro, orribile, ma ne prese un altro sorso. Poi un altro ancora.
Lo stomaco iniziava a scaldarsi e la mente ad alleggerirsi. Restò là seduto perché non era sicuro che sarebbe riuscito ad alzarsi, se avesse voluto. Non era più sicuro di niente.
Era sempre stato rotto, sì, ma in quel momento si sentiva persino più rotto di prima, fracassato, frantumato.
Solo.
Tutto ciò che si meritava e che si sarebbe aspettato. Sorseggiò altro scotch e sentì dell'acido risalire per l'esofago. Lo cacciò giù con un nuovo sorso.
Sentì il suo corpo intorpidirsi, e il suo cuore battere come un pazzo pur se gli mancavano le forze.
Si fece coraggio e dopo un altro orrendo sorso si alzò, malfermo sulle gambe, ma dovette fermarsi subito per non rovesciare tutto quello che aveva bevuto.
Non poteva vomitare, avrebbe ritrovato la lucidità.
Si arrampicò sulle scale tenendosi al corrimano in legno, arrancando sino al terzo piano. Un passo dopo l'altro, senza pensare a nulla se non che doveva farcela, doveva arrivare il più in alto possibile, solo il gradino successivo e poi quello dopo e quello dopo ancora, un passo alla volta.
Si accorse di essere arrivato e quasi non ci credette.
Tu non sei mio fratello.
Questa storia non può andare avanti.
Si infilò nella sua stanza sperando in un angolo remoto della sua mente che Sarah non fosse lì, e in uno ancora più debole e lontano che invece ci fosse eccome, per consolarlo e fermarlo.
Non accese la candela, non gli sarebbe servita, andò in penombra dritto alla finestra, e spalancandola guardò giù.
L'aria fresca del giardino gli riempì i polmoni.
Osservò il parco che si estendeva sotto di lui, enorme e silenzioso. Non riusciva a metterlo bene a fuoco, ma ricordava i suoi angoli a memoria. Ogni quercia, ogni pino, ogni faggio. Ogni sassolino del vialetto, ogni cicala, ogni uccelletto addormentato.
E il cielo senza luna.
Si chiese ancora una volta se qualcuno si sarebbe accorto della sua assenza, se fosse cascato giù.
Cascato. Buffa parola. Ipocrita, persino.
Forse Harvey non sarebbe più tornato, forse non se ne sarebbe nemmeno accorto. A sua madre in tutta probabilità non sarebbe importato nulla.
E Hector?
Tu non sei mio fratello.
Il suo sguardo duro, freddo come il metallo ghiacciato, mentre pronunciava quelle parole era stato più che eloquente.
Si dondolò dal davanzale e sentì il cuore che batteva più forte.
Forse avrebbe dovuto bere di più, per farsi coraggio.
L'aveva detto a sé stesso, l'aveva persino appuntato sul suo diario, pochi giorni dopo che si erano conosciuti: aveva deciso a suo tempo che avrebbe rimandato la sua uscita di scena a quando Harvey si sarebbe stancato di lui, come tutti prima avevano sempre fatto.
Quel momento era arrivato, eppure era come se gli mancasse il coraggio.
Troppo codardo per vivere e troppo per morire, ancora una volta.
Ricordò quando il ragazzo gli aveva giurato che non sarebbe successo, che lui non se ne sarebbe mai andato.
«Bugie, bugie, bugie, ancora bugie! Bugiardo» esclamò, voltandosi di schiena.
Fece due passi stentati per allontanarsi dalla finestra, il cuore gonfio di dolore, poi esitò.
Era sul punto di voltarsi di nuovo, l'avrebbe fatto. Si sarebbe sporto sul serio, schiantandosi al suolo come Icaro. Troppa felicità troppo in fretta, un obiettivo troppo grande, fallito in partenza, questo l'aveva ucciso. E quale obiettivo più grande dell'amore?
Aveva peccato di hybris e sarebbe morto per questo.
Poi lo vide.
L'asfodelo, ormai secco, i petali caduti. Era rimasto sulla toeletta della camera, i domestici dovevano essersi scordati di sgombrarlo, o forse era stato lui a ordinarlo, non poteva esserne certo.
Fu quella l'ultima goccia.
Sentì qualcosa in lui che si scioglieva di nuovo, quel nodo in gola e nel cuore che l'aveva reso pesante come un sasso. Camminò verso la credenza e lo prese, ingiallito, liberando un singhiozzo.
Era morto.
Eppure bellissimo.
Seppe quel che doveva fare allora, perché il bello era qualcosa che non passava mai inosservato per Alexander.
Lo afferrò e uscì dalla stanza, dritto nel suo studio, mentre piangeva. Decine di paia d'occhi neri e profondi lo fissarono dalle pareti, e lui li fissò di rimando.
Si sedette alla scrivania, strappò un foglio e accese una candela. Posò l'asfodelo su uno sgabello, afferrò un carboncino e si mise a disegnare, anche se gli occhi gli facevano male.
Lo riprodusse proprio come lo vedeva, un corpo morto e floscio, tanto secco da disfarsi al tocco, eppure bello da illuminare la stanza in cui si trovava.
Ogni venatura, ogni ricciolo della foglia arida, ogni germoglio secco e senza vita, riprodusse questo sulla carta con tutto il dolore che ne conseguiva.
Quando finì non sapeva quanto tempo fosse passato. Non aveva con sé l'orologio, aveva ancora la bussola in tasca e nessuna intenzione di guardarla. Harvey gliel'aveva data per fargli sapere dove fosse, e in quel momento non voleva essere trovato.
Per un attimo, guardando la notte di luna nuova dalla finestra, ebbe paura.
E se gli fosse successo qualcosa? Là fuori, da solo tutta la notte?
Ricordò l'occasione in cui si erano incontrati per la prima volta, la prima aggressione, e quel pensiero lo attraversò come una lama rovente, viscerale, nella parte bassa dello stomaco.
Se qualche furfante l'avesse sorpreso poco lucido, con gli abiti nuovi, da solo di notte-
Eppure non poteva farci nulla.
Guardò il disegno ultimato pensando che gli mancasse qualcosa, poi capì. La frase degli Amores di Ovidio, una delle sue preferite. Non l'aveva mai compresa sino a quel momento, e ora la trovò ancora più meravigliosa e calzante.
Prese in mano il carboncino un'altra volta e appuntò, alla base del foglio:
Nos quoque floruimus, sed flos erat ille caducus.
Anche noi fiorimmo, ma quel fiore era destinato ad appassire.
Note autrice
Giù i forconi, che già vi vedo! Io vedo tutto, sappiatelo!
La situazione è stressante e purtroppo non poteva che degenerare.
Mi è dispiaciuto fare questo a Hector, che pensavo dapprima potesse essere un personaggio diverso. Poi però ho pensato che fosse più giusto per la storia rendere giustizia al periodo storico e al realismo.
Hector è un uomo che vuole bene al fratello minore, ma tutto quello che conosce è ribaltato da questa notizia, e non ritrova più la persona che amava, è sconvolto dalla rivelazione.
Suo fratello per lui è sbagliato, qualcosa che non dovrebbe esistere, e associare questo all’idea che aveva di Alexander lo fa scattare e reagire con violenza contro Harvey, che identifica come colpevole di tutto.
Purtroppo le sue azioni non sono giustificabili e me ne dispiaccio, ma mi sembrava la reazione più logica e naturale per il contesto in cui la storia è inserita. Due fratelli (perché c'è anche Sarah) che entrambi sono favorevoli a un’unione di questo tipo sarebbero stati davvero troppo assurdi.
E poi cos'è una storia senza il dramma?
Per quanto riguarda Harvey, scopriremo più delle sue ragioni nel prossimo capitolo. Per il resto, lascio a voi l’ardua sentenza. In questo litigio chi ha ragione?
La situazione è davvero insostenibile come dice Harvey? Lui è davvero un codardo come sostiene Alexander? Ditemi che ne pensate.
Nel dubbio, diamo un forte abbraccio ad Alex che ne ha un gran bisogno.
Vi lascio senza note storiche, e con mille scuse per il disastro annunciato!
Nel prossimo capitolo, vedremo un po' come questa situazione si evolverà, sempre che non facciano la pelle a Harvey che è in giro la notte tutto solo e un po' fuori di sé.
Infine, sono venuta a sapere che una persona tra voi compie gli anni proprio oggi, tra l'altro diciotto!
Tanti auguri e spero che la tua giornata sia più felice di quella di Alexander ahah.
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