II.1 Fiori d'arancio

Alexander si svegliò con un sobbalzo quando la luce inondò la stanza con violenza.

Spalancò gli occhi di soprassalto e restò per qualche istante attonito a fissare il soffitto.

«Scusate, milord» la voce di Candace, la domestica più anziana, suonava esitante. «Siete atteso di sotto il prima possibile.»

Il ragazzo strizzò gli occhi e allungò la mano verso l'altro lato del letto, ormai vuoto. Il lenzuolo era già freddo e non tiepido come al solito, ciò significava che Harvey era sgusciato via prima del previsto.

La loro normalità era divenuta questa: nella notte si addormentavano insieme, mentre al mattino prima dell'alba il ragazzo tornava di soppiatto nella sua stanza, per evitare che i domestici li sorprendessero insieme al momento della sveglia.

Di solito Alexander si svegliava sentendolo scivolare fuori dal letto e, ancora mezzo addormentato, lo afferrava protestando per la sua fuga; Harvey allora si chinava, gli dava un ultimo bacio e gli sussurrava di continuare a dormire e che per lui era proprio ora di andare.

Quella notte però doveva essere stato tanto addormentato da non essersene nemmeno accorto.

«Perché non apparecchi per la colazione e non vieni a chiamarmi quando sarà tutto pronto? Vorrei recuperare qualche minuto di riposo, se mi è possibile.»

«E già tutto apparecchiato, milord. La colazione è servita, ed è tutto al suo posto» commentò la donna, afferrando la candela dal lato vuoto del letto e spostandola sul comodino di Alexander.

Lui fece una smorfia. Leggerezze come quella erano ciò che avrebbe potuto farli scoprire.

«Perché allora non metti il bollitore sul fuoco? Quando verrà su il tè tornerai a chiamarmi.»

«Sono desolata, milord, ma vedete… il tè è già in infusione.»

«Oh, cielo» mugugnò lui, massaggiandosi le tempie. «E perché mai avete preparato tutto così presto, di grazia?»

Il dolore del post sbornia gli trapassava il cranio come una lama arroventata, aveva lo stomaco sottosopra e si sentiva debole e fiacco. Maledisse Hector perché aveva insistito tanto per uscire e farlo ubriacare.

Tutto per un presunto ultimo giorno di libertà, pensò amareggiato. Si accorse di ricordare solo in modo vago la notte precedente, quando Harvey l'aveva aiutato a salire le scale e mettersi a letto. Una cosa però la ricordava bene.

Nel momento in cui aveva espresso il desiderio di intrattenersi con lui a letto, il ragazzo l’aveva rifiutato. Gli aveva detto che il giorno dopo avrebbe dovuto essere più riposato possibile e che poi l’avrebbe persino ringraziato.

Nel modesto parere di Alexander, quelle parole si erano rivelate delle vere scempiaggini. Il mal di testa e la spossatezza, unite alla nausea e al sonno, lo intorpidivano nonostante gli sforzi della sera prima. Divertirsi un po' a letto non avrebbe potuto peggiorare la situazione, e almeno quella mattina sarebbe stato più di buon umore.

«Non è così presto, signore» insistette Candace, e iniziò diligente a piegare i vestiti che Alexander aveva buttato sulla sedia il giorno prima. «Sono le nove del mattino, alcuni ospiti sono già qui.»

«Ospiti?» chiese, alzandosi a sedere sul letto e appiattendosi i capelli con le mani.

«Certo, milord, gli ospiti. Oggi verranno celebrate le vostre nozze, ne sarete certo al corrente.»

Alexander realizzò quello che Candace aveva detto e saltò in piedi. «Le nove? Perché diavolo sono stato svegliato solo adesso? La cerimonia inizierà tra meno di un'ora! Erano state date precise indicazioni per la sveglia alle sette e mezza!» esclamò, cercando di tenere i piedi ben saldi a terra nonostante l'improvviso capogiro dovuto all'essersi alzato troppo in fretta.

«Scusate, milord, ma il signor Connor ha dato ordine di farvi dormire il più a lungo possibile questa mattina, e siete stato voi a chiedere di dare precedenza ai suoi ordini rispetto ai vostri.»

Alexander sospirò e chiuse gli occhi. Si pizzicò la base del naso per pensare, e cercò di schiarirsi la mente. «E vero, l'ho detto io» sussurrò, riaprendo gli occhi e facendo un po' di ordine mentale. Osservò il cielo terso fuori dalla finestra, turchese e sconfinato. «Esci di qui ora, rassetterai più tardi. Fammi portare l'abito e magari anche qualcuno che mi aiuti a vestirmi. Portami un sandwich al cetriolo e una tazza di tè per favore, non posso scendere a colazione e mangiare davanti a tutti, ma devo mettere qualcosa sullo stomaco.»

«Sì, signore» rispose la donna, interrompendo subito quel che stava facendo. «Gradite altro, oltre al sandwich? Delle uova sbattute, un piatto di fagioli?»

Il pensiero di mandare giù dei fagioli bolliti gli fece attorcigliare lo stomaco.

Perché aveva bevuto tanto, la sera prima? Tutta colpa di Hector.

«Per carità, no, il sandwich andrà benissimo. Qualcuno sta intrattenendo gli ospiti?»

Guardò verso di lei infine, una signora rispettabile che andava per i quarant'anni, i capelli iniziavano a tingersi di grigio ed erano portati all’indietro come da etichetta. Aveva le braccia forti da donna del popolo ma non era robusta, Alexander sapeva che veniva da una famiglia numerosa, forse aveva sofferto la fame. Portava abiti semplici ma in ordine, un vestito sobrio color castagna e un grembiule candido che veniva lavato ogni sera per essere pulito e profumato al mattino.

«Vostro fratello e il signor Connor sono in salone, stanno gestendo la situazione. La signorina non è ancora arrivata, sarà qui in tempo per la cerimonia.»

«Benissimo» rispose Alexander, che iniziava a calmarsi. Almeno Hector e Harvey avevano la situazione sotto controllo, per quanto non fosse del tutto tranquillo nel saperli nella stessa stanza senza la sua supervisione. «Ora va’ e fai quello che ti ho chiesto.»

«Subito, milord» rispose lei, abbassando la testa e uscendo in tutta fretta dalla stanza.

Non appena fu rimasto solo, si gettò di nuovo sul letto e sospirò. Non poteva fare altro se non aspettare il suo abito per la cerimonia, e anche se sarebbe rimasto volentieri per ore là steso sul materasso, sperò che glielo portassero subito.

Facendoci caso, si accorse di sentire un sommesso chiacchiericcio venire dai piani inferiori, segno che gli ospiti dovevano già essere presenti in gran numero.

Lui avrebbe voluto tenere un profilo basso per il matrimonio, non era grande amante della mondanità, ma Sarah aveva tanto insistito sull'avere una  cerimonia degna di una lady, e lui non se l'era sentita di rifiutare.

Del resto, mentre quel matrimonio per lui significava poter mantenere in pace la sua relazione con Harvey, per Sarah la parte allettante era la vita mondana e l’inclusione nell'alta società. Il minimo che le doveva era organizzare un matrimonio dabbene.

Non era stato facile metter su delle nozze degne di questo nome. L'arresto di sua madre aveva fatto scandalo e molte famiglie di nobili avevano preso le distanze dai Woods, ma per fortuna il buon nome di suo padre e suo nonno, insieme alle conoscenze personali di Hector che aveva amicizie influenti, avevano attutito il disastro.

Mentre lui aveva passato la nottata precedente a bere e fare baldoria, anche Sarah aveva avuto una festicciola tutta per lei. Insieme a Lisbeth infatti era stata invitata alla Villa di campagna dei Lovett, e con Margaret, la fidanzata di Hector, avevano passato qualche giornata di vacanza nel parco di famiglia.

Il suo arrivo era previsto giusto in tempo per la celebrazione, il che significava che almeno non sarebbe stata lì per rammaricarsi del suo ritardo.

L'abito arrivò dopo pochi minuti, e in breve due dei domestici l'ebbero vestito.

Cerimonia da giorno, quindi nulla di troppo vistoso. Camicia bianca, giacca da giorno color gelso, cravatta importante, gilet bordeaux, pantaloni leggeri abbinati. E, com’era ovvio, i guanti bianchi di seta, acquistati per l'occasione.

Consumò in stanza il sandwich e il tè, e si trattenne in camera per un attimo a guardarsi alla specchiera e capacitarsi del fatto che si stava sposando, sposando davvero.

Dopo tutto quel trambusto si sentiva meno stanco e più sveglio, e la nausea era passata ora che aveva messo qualcosa nello stomaco. Il mal di testa continuava a pulsare, doloroso, ma non se ne crucciò. Aveva sopportato dolori ben maggiori di quello.

Si osservò nel grande specchio alla toeletta che sino a qualche mese prima era stata di sua madre. Aveva delle leggere occhiaie ma nulla di preoccupante, e dopo una pettinata diventò impossibile determinare che non aveva dormito abbastanza.

Si sarebbe sposato quel giorno, rifletté guardando negli occhi l'Alexander dall'altra parte dello specchio. Si sarebbe sposato sul serio.

Non aveva mai creduto che quel momento sarebbe davvero arrivato. Non aveva mai mostrato particolare interesse verso signorine di alcun genere, ed essendo secondogenito non era indispensabile per lui fornire eredi, quindi non si sarebbe dovuto obbligare a trovare un matrimonio combinato. L'essere saltato a quel passo che l'avrebbe segnato a vita lo spaventava. Allora, quando aveva fatto la sua proposta, aveva agito d'impulso e in preda alla disperazione, e ora a ripensarci si ritrovò a chiedersi se fosse davvero la scelta giusta.

Si coprì il volto con le mani e sospirò. 

Certo che era la scelta giusta. Si stava sposando per vivere la sua vita insieme alla persona che amava, era la motivazione più nobile per un matrimonio. Sposare Sarah Connor o Harvey Connor, a conti fatti, era quasi la stessa cosa.

Non c’era spazio per i tentennamenti, lo sapeva.

Del resto, se avesse potuto sposare colui che desiderava davvero, non si sarebbe fatto tutte queste domande. Lui e Harvey si erano conosciuti e frequentati per più di tre mesi, prima della sua proposta; era un tempo più che sufficiente per un matrimonio. Conosceva famiglie che si erano unite dopo qualche settimana di frequentazione.

Ma Sarah era Sarah, non Harvey, e per quanto fosse un modo per unire le loro famiglie, sapeva che in realtà non è che fosse proprio la stessa cosa come amava pensare. Mettere una terza persona nel gioco complicava la situazione, e che sarebbe successo se Sarah si fosse tirata indietro? Che sarebbe successo se tra i due fratelli ci fossero stati attriti?

Forse questa volta aveva davvero fatto il passo più lungo della gamba.

Scosse la testa.

Non poteva lasciarsi andare a questi pensieri, non era davvero il momento. Il matrimonio si sarebbe fatto quel giorno e sì, in fondo sapeva che per quanto rischiosa era la scelta migliore. Il pensiero che se fosse arrivato un minuto più tardi in stazione quel giorno, se non si fosse inginocchiato a terra, se la ragazza avesse rifiutato, non avrebbe avuto nulla di ciò che amava gli faceva salire il panico.

E forse sentirsi in pericolo e spiati dal personale anche quando erano in casa, poter stare sicuri solo dietro una stanza chiusa a chiave, avere la notte da condividere e non il mattino era molto meno di quello che avevano tutti, ma era più che abbastanza per lui. Avrebbe barattato senza pensarci tutti i suoi possedimenti per quelle notti insieme che terminavano troppo presto e sparivano al sorgere del sole. Quel matrimonio certo ne valeva la pena.

Si alzò, prese il bastone, afferrò la tuba e in ultimo nascose nel cassetto del suo comodino ciò che di quella serata lo preoccupava di più, mettendolo sotto chiave.

Doveva avere coraggio e forza d’animo. Per Harvey poteva fare anche questo. Non c’era niente che non potesse fare per lui.

Prese un ultimo profondo respiro, andò verso la porta e la spalancò.

Dovette fermarsi di soprassalto, perché per poco non andò a sbattere proprio sul ragazzo che tanto anelava, che in quel momento aveva il braccio alzato pronto a bussare.

«Oh, cielo» mormorò, in un sussulto. «Mi hai colto di sorpresa. Che ci fai qua sopra?»

«Scusa» disse lui, con un sorriso solo in parte dispiaciuto. «Non volevo spaventarti.»

Alexander si morse il labbro per non rispondere, perché non poteva essere sicuro che non ci fossero orecchie in giro, pronte a origliare. Restò in silenzio e si guardò intorno, cercando segni di vita.

Harvey dovette averlo capito, perché gli disse «Sono tutti di sotto» e lo spinse dentro di nuovo, chiudendosi la porta alle spalle. «Sono venuto a vedere come stavi. Tutto bene?»

Il ragazzo era sempre stato fermo sul fatto che Alexander non dovesse procurargli nulla più dello stretto indispensabile, e quindi lui non riusciva mai a vestirlo in maniera dignitosa. Per il matrimonio, insieme a Sarah, erano riusciti a mettergli in testa che si sarebbe dovuto infilare qualcosa di decente, ma solo in quel momento aveva capito quanto quella scelta era stata avventata e sciocca.

«Alex, che hai?»

«Niente» si affrettò a rispondere, nel tentativo di riscuotersi.

In verità il ragazzo non era abbigliato in modo molto sfarzoso, eppure la differenza coi suoi soliti abiti umili era accecante.

«Sicuro? Perché non sembra proprio.»

Il frac che portava gli era stato cucito addosso, e il taglio dritto sulle spalle – Dio, sarebbe andato sino all'inferno a piedi, scalzo, con un masso appeso al collo per quelle spalle – ne accentuava la forma decisa. Il gilet blu con quei bottoni argentati luccicanti gli stringeva il busto e rendeva sin troppa giustizia al fisico atletico, il fazzoletto azzurro con un bel nodo sul collo gli esaltava i tratti del volto, e i pantaloni leggeri gli allungavano le gambe più di quanto già non lo fossero.

Sbatté le palpebre e maledisse il tempo risicato che gli impediva di correre a prendere un foglio e del carboncino per ottenere almeno uno schizzo veloce di quello spettacolo.

Lasciare un'immagine come quella nelle mani della sua imperfetta memoria era un crimine punibile con la forca.

Si impose di riprendere il controllo, sbatté le palpebre di nuovo e sorrise. «Credimi, non sono mai stato meglio.»

Doveva essere stato convincente, perché il ragazzo sospirò di sollievo. «Bene, perché se scappassi via poco prima delle nozze Sarah mi ucciderebbe, e io tengo alla mia vita.»

«È una fortuna allora che non andrò da nessuna parte» disse Alexander, avvicinandosi.

Harvey gli cinse i fianchi con le braccia e lo tirò ancora più vicino. «Una vera fortuna. Non ci si fa sfuggire lo sposo più bello di Londra senza conseguenze.»

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