VII.3 Gli uomini non piangono
Sentì la porta aprirsi e chiudersi di nuovo e delle voci che non riuscì a distinguere. Nei minuti che ci vollero ad Alexander per convincere Sarah a non uscire, Harvey prese respiri profondi cercando di darsi un contegno.
Si concentrò sul ritmo che alzava e abbassava il suo petto, sul fatto che era ancora tutto a posto.
Non l'avevano licenziato, dopotutto. Sarah l'avrebbe sgridato un po', ma poi se ne sarebbe dimenticata. Lizzie era sempre stata incapace di arrabbiarsi con lui. E poi aveva sempre Alex.
Il suo Alex, che lo ascoltava sempre e aveva sempre una parola buona per lui, anche se era un disastro ambulante. Lui non l'avrebbe mai giudicato, non gli avrebbe fatto pesare nulla.
Anche per questo le insinuazioni di Philip lo avevano fatto sbroccare tanto. Alexander e Sarah non meritavano di essere scherniti da uno come lui, o da nessun altro.
La porta si aprì di nuovo e Harvey alzò la testa a guardarlo.
Lui si voltò e gli sorrise incoraggiante. «Eccoti! Bello poterti guardare di nuovo» esclamò mentre si avvicinava, poi notò il livido sullo zigomo e spalancò gli occhi chiari. L'istante dopo era di nuovo inginocchiato accanto a lui. «Che ti è successo?»
«Dovresti vedere l'altro tizio...» mormorò Harvey.
«Non sei divertente» rispose, asciutto. Continuava a guardarlo per assicurarsi che fosse tutto a posto, e vederlo così vicino e così assorbito da lui gli fece dimenticare per un attimo del dolore. «Chi è stato? Che è successo? Volevano derubarti?»
Harvey aprì la bocca per rispondere, ma lui non gli diede il tempo.
«Basta, da domani vengo con te. Non mi importa se devo aspettare fuori perché non posso consumare nulla, vorrà dire che aspetterò. Se farà troppo freddo mi porterò una coperta, non mi vergogno di farmi vedere in giro conciato come uno sciocco. Tanto, ormai...»
«Nessuno voleva derubarmi. Ed è successo all'andata, non al ritorno» rispose lui controvoglia, distogliendo lo sguardo. «E non era un malvivente, era uno dei nostri stupidi vicini, che mi odia. Si è avvicinato e mi ha provocato. Lui mi ha detto... delle cose. E io sapevo che voleva che lo colpissi, sapevo che non aspettava altro, ma non ci ho visto più e l'ho fatto lo stesso. Perché in realtà... perché in realtà ha ragione. Sono un solo un povero stupido, e per poco questo colpo di genio non mi faceva licenziare. E oggi non mi hanno pagato e adesso... e adesso non so cosa faremo. E tutto perché io ancora una volta... ancora una volta potevo fare la cosa giusta e ho fatto quella sbagliata.»
Si morse il labbro per costringersi a stare zitto, stava solo peggiorando la situazione. Dato che Alexander era rimasto in silenzio, gli lanciò un'occhiata laterale per assicurarsi che stesse ascoltando.
Il ragazzo lo inchiodava con uno sguardo di ghiaccio. «Voglio sapere chi è stato e cosa ti ha detto» disse con calma, dopo qualche secondo di pausa. Sembrava stesse faticando a controllarsi.
«Non penso proprio. Non mi va di parlarne.»
Il pensiero che sapesse cosa si diceva di lui in giro, cosa si diceva di Sarah, gli faceva attorcigliare le budella. Non avrebbe mai dovuto sapere quelle cattiverie, men che meno da Harvey.
«Dimmi solo chi è stato allora.»
«Perché? Che vuoi fare? Mandargli una lettera di diffida? Consigliargli con garbo di cambiare aria?» chiese, sarcastico.
«Pensavo più che potrei smembrarlo con le mie mani, ma anche queste idee non sono male.»
Harvey aggrottò la fronte, perplesso. Alexander era contrario alla violenza, la riteneva volgare. Questa sua frase non aveva nessun senso.
Per un attimo si immaginò la rissa, vide Philip che tentava di colpirlo e gli ribollì il sangue nelle vene, dritto al cervello.
«Senza offesa, ma le prenderesti e basta. Lui se li mangia a colazione, quelli come te. E poi se ti toccasse...» la sola idea gli faceva tremare le mani di paura e di rabbia. «Se ti colpisse uscirei pazzo, non risponderei delle mie azioni, dovrei ucciderlo a quel punto. Mi arresterebbero e in tutta onestà preferirei evitare. A proposito, stavano per arrestarmi oggi. Sono scappato dalla polizia. Poi sono arrivato al lavoro, e Johnson mi ha detto che si teneva il giorno di paga. Poi sono arrivato qui e sono collassato per terra. È stata una grande giornata» mormorò.
«È inutile che cambi argomento» rispose Alex. «Voglio picchiarlo lo stesso.»
«Beh, non lo farai. Perché io non voglio che tu lo faccia e tu non vuoi contrariarmi, vero? Vuoi farmi contento.»
Per la prima volta da quando l'aveva visto ferito, Alexander sorrise. Harvey aveva aggiunto tantissimi sorrisi al suo personale catalogo, ormai li riconosceva quasi tutti.
Questo era il suo sorriso sei - un - idiota - ma - mi - fai - ridere, che era uno dei suoi preferiti.
«Sei un manipolatore nato, sai?»
«Almeno funziona.»
«Funziona, sì» rispose lui. Allungò il braccio e gli sfiorò la guancia con le dita, proprio dov'era stato colpito. Lo fece con tanta dolcezza che Harvey lo sentì come un ceffone.
Alexander scosse la testa, come per scacciare un brutto pensiero.
«Cosa c'è?»
Sospirò. «Ogni volta che ti guardo e vedo quello che ti ha fatto ho voglia di spaccare qualcosa.»
«Allora non guardarmi.»
«Impossibile» si espose, in un sussurro, «chiedermi di smettere di guardarti sarebbe come chiedere alla terra di smettere di girare, o alla marea di smetterla di alzarsi e abbassarsi. Ci ho provato, ma non posso. Non posso e basta.»
Harvey trattenne il respiro e si decise a guardarlo negli occhi.
Era troppo vicino, gli sarebbe bastato spostare la testa di qualche centimetro, e sarebbe stato fatto.
Alexander in quel momento lo guardava nello stesso modo in cui Harvey guardava lui, non ebbe dubbi a riguardo.
Per quell'attimo si concesse di crederci. Per quell'attimo per lui fu vero, vero come il sole, la pioggia, la gravità. Ne fu sicuro quanto era sicuro del suo nome, del fatto che due più due fa quattro.
Per un momento fu sicuro che se si fosse avvicinato di più, se gli avesse sollevato il mento con due dita e avesse posato le labbra sulle sue, Alexander non l'avrebbe né allontanato né denunciato. Non avrebbe fatto altro che aggrapparsi a lui e rispondere con la sua stessa disperazione.
Ma non lo fece comunque, per tanti motivi.
Perché erano per strada e sarebbe potuto passare chiunque. Perché magari qualcuno li stava osservando da dietro le tende a qualche finestra. Perché una parte di lui, in fondo -molto in fondo - sapeva che Sarah aveva ragione.
Se ognuno seguisse solo le regole che ritiene giuste tanto varrebbe non averne nessuna.
«Alex, io... sono tutto sbagliato» disse, senza distogliere lo sguardo. «Sono nato un fallito e morirò un fallito. Non servo a niente, non mi merito niente di quello che ho, e a volte... a volte mi chiedo che senso abbia continuare a provare.»
Alexander gli sfiorò il volto di nuovo, nello stesso punto di poco prima, sul suo livido, poi sospirò e si sedette accanto a lui. Gli passò un braccio attorno alle spalle come Harvey aveva fatto quella sera nella stalla, circa un mese prima, a Natale. Qualunque altra cosa sarebbe stata di troppo in mezzo alla strada, ma a Harvey bastava così.
Non era sicuro di volere di più, non era sicuro di potersi permettere di più.
«Non dire idiozie. Se non fosse per te sarei in mezzo a una strada. Beh, a esser precisi sarei sotto terra da mesi. Ma ora sarei in mezzo alla strada, e ti stai togliendo il pane di bocca per tenermi qui, non pensare che non me ne sia accorto. E me ne vergogno molto, ma mi farò perdonare. Il processo si concluderà, mi restituiranno tutto e mi farò perdonare, promesso. E allora... non dovrai preoccuparti più di niente, ci penserò io a te, perché te lo meriti, ti meriti tutto quello che puoi immaginare e anche molto di più. Tu non sei mai stato un fallito. E di certo non morirai tale. E non permetterò che tu ci creda, non puoi e non devi credere al primo idiota che passa che ti chiama così. Quella gente non vale niente, e le loro opinioni non valgono niente. Fidati di me, ti prego.»
Harvey chiuse gli occhi, e posò la testa sulla sua spalla. Se stavolta fosse stato lui ad addormentarsi così, come Alexander a Natale, sarebbe stato il colmo.
Prese un profondo respiro, non sentiva più l'odore di colonia, quella era rimasta a Villa Woods da settimane, confiscata insieme a tutto il resto.
Ora sapeva solo di Alexander.
«Grazie di avermelo detto.»
«Ci hai creduto? Ci hai creduto davvero, o vuoi solo farmi contento?»
«Io voglio sempre farti contento» rispose Harvey, perché era la verità.
«Sai che evitare le domande con me non funziona. Ci hai creduto oppure no?»
«Ho creduto al fatto che lo credi tu.»
«Beh, non mi basta.»
«Scusa. Oggi vedo tutto nero. Magari domani andrà meglio, chissà.»
«Che dici ora, ti va di alzarti? Fa freddo, e se ti ammali un'altra volta non potremo chiamare il medico. E poi hai bisogno di dormire. Puoi prendere il letto, stanotte, se vuoi.»
«Non se ne parla. Il letto è tuo.»
«In teoria sarebbe tuo.»
«Io non lo voglio. Voglio che ci dorma tu.»
Al massimo, se proprio avesse insistito, avrebbero potuto dormirci insieme.
La sola idea bastò a farlo sentire d'un tratto più sveglio. Si schiarì la voce e si sedette un po' più comodo, quasi come se temesse che potesse leggergli nel pensiero.
Aveva sognato situazioni in cui condividevano il letto varie volte, soprattutto dopo che lo aveva avuto davanti tutto il giorno. Non solo il letto, anche il tavolo, la credenza, la carrozza, una volta persino il pianoforte.
Se avesse parlato nel sonno in quei momenti e lui l'avesse sentito sarebbe andato a buttarsi giù dalla Torre di Londra per l'imbarazzo.
Si alzò in piedi in tutta fretta, prima che potesse esaltarsi troppo con quel genere di pensieri.
«Wow, non pensavo che avrebbe funzionato così in fretta!» esclamò Alexander, alzandosi in piedi a sua volta. «Stai meglio?»
Lo chiese in tono esitante ma speranzoso, con un sorriso appena accennato. Aveva i vestiti trasandati e sporchi perché si era seduto per terra, i capelli arruffati per come era appoggiato al muro e i vestiti di Harvey gli stavano troppo larghi.
Quell'immagine era la prova schiacciante che benché fosse stato spesso coperto di abiti alla moda e costosi, che gli stavano benissimo - Harvey ricordava ancora a memoria una volta che l'aveva visto con dei pantaloni in gessato, una giacca nera e un gilet bordeaux e gli era quasi venuto un infarto - la sua bellezza non era mai stata legata alla moda e ai vestiti.
Lord Alexander Ulysses Woods era bellissimo e basta, si sarebbe potuto mettere addosso qualsiasi cosa - o niente, ancora meglio - e sarebbe stato bellissimo comunque.
«Harvey? Ci sei? Ti ho chiesto se stai meglio.»
Lui si riscosse. «Oh, ehm, sì. Sì, io... sto meglio. Grazie.»
«Quando vuoi» rispose, allargando il sorriso.
Entrando a casa notarono che la candela era già spenta e le ragazze erano a letto. Doveva essere stato Alexander a dire a Sarah che suo fratello non aveva voglia di parlare.
Apprezzò il gesto, da parte di tutti e due.
Conosceva la stanza a memoria, quindi non ebbe bisogno di riaccendere la candela per orientarsi, anche se dalla finestrella sul retro entrava solo una flebile luce lunare, senza nessun lampione a illuminare la strada.
I suoi occhi si abituarono subito alla semi oscurità, superò il tavolo e si tolse le scarpe, per poi stendersi sul mucchio di coperte che era il suo letto.
Sentì che Alexander si stava spogliando per dormire, ma non si sporse a guardare, non l'aveva mai fatto. Si sentiva già abbastanza agitato al pensiero che lui fosse là, a qualche passo di distanza, senza niente addosso.
Se avesse anche sbirciato non osava neanche immaginare la reazione che la vista avrebbe suscitato in lui, era meglio non pensarci proprio.
Tenne gli occhi puntati sul soffitto e sentì cigolare le molle del letto. Dopo che fu certo che fosse sicuro, si voltò verso la branda che gli stava proprio accanto.
Alexander era sotto le coperte, girato su un fianco dalla sua parte, e anche lui lo stava osservando. Tirò fuori un braccio da quel fagotto e gli porse la mano.
Harvey, che era proprio sotto di lui, con le gambe sotto il tavolo e la testa orientata verso il suo letto, la afferrò confuso.
Il ragazzo la strinse forte e gli sorrise. Vedeva appena i suoi contorni in quel buio, ma sapeva che lo stava guardando e che sembrava di nuovo preoccupato.
Harvey rispose alla stretta e lo sentì sospirare. Nessuno dei due lasciò la mano dell'altro.
«Non buttarti giù» sussurrò Alexander, a voce tanto bassa che a malapena lo sentì. «Non è successo niente. Supereremo anche questo, lo so. Insieme possiamo superare qualsiasi cosa.»
Allora Harvey fece una cosa tanto irrazionale che non seppe neanche lui come gli era venuta in mente. Tirò la mano più verso di sé e premette le labbra sul dorso, come Alexander si ricordava sempre di salutare Sarah ogni volta che entrava nella stanza.
Tenne il dorso di quella mano premuto contro le sue labbra per diversi secondi, secondi durante i quali Alexander lo strinse abbastanza da fargli male.
Quando la allontanò, sempre tenendola nella sua, notò che gli sorrideva.
«Buona notte» mormorò, e gli strinse la mano di nuovo.
Lui non rispose, ma non lo lasciò andare. Vide che chiudeva gli occhi e fu come vedere il sole tramontare.
Si addormentarono con le mani ancora intrecciate.
Note autrice:
Inizio subito col dire che non sono affatto pazza, ma nel weekend me ne vado in vacanza, domani sono in partenza, quindi ho preferito anticipare il capitolo.
Tornando a noi... simpatico Philip, eh? In questo libro non spunterà più, ma avrà un ruolo più importante - e fastidioso - nel sequel.
Ma come “quale sequel?” u.u il sequel che è già stato pubblicato su Wattpad, proprio come questo libro, e che è stato poi tolto anni fa, che domande!
Si chiama “Vita e Memorie di Alexander Ulysses Woods” ed è dal punto di vista di Alex. Posterò anche quello dopo questo, sempre che a qualcuno interessi, lol.
Comunque sia, Harvey ha avuto uno slancio di coraggio e abbiamo avuto un signor baciamano, anche se diciamo che Alexander gliel'ha servita su un piatto d'argento con le sue melensaggini. Ma quanto sono sottoni? Soprattutto, quanto possono continuare a flirtare in modo tanto palese senza arrivare a mettersi le mani addosso? Se le metteranno mai? Chi vivrà vedrà...
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