VI.3 Ciò che è giusto
«Una fiaba?» chiese, sfogliando le pagine.
«Ricordi quando ti ho parlato della Traviata?»
«Sì, certo» rispose, continuando a sfogliare. «L'ho anche letto, dopo che me ne hai parlato.»
«Questo libro è diverso all'apparenza, ma contiene la stessa anima tormentata. L'autore è danese, sta andando forte negli ultimi anni, nei circoli qui a Londra. Era molto amico di Dickens, amici di penna. Doveva essere una persona così a modo... poco male. Non voglio dirti niente, leggilo e vedrai da te di cosa parla.»
Quelle parole, dette in quel tono turbato, riuscirono a incuriosirlo sul serio.
«Va bene» gli disse, alzando lo sguardo e cercando di decifrare la sua espressione. «Inizierò oggi stesso.»
«Preferirei che non lo leggessi a voce alta a nessuno, questa volta» si raccomandò Alexander. «Sai che amo vederti recitare, ma preferisco che questa storia la tenga per te.»
«Certo. Certo, lo farò.»
Non sapeva perché, ma quell'indicazione riuscì un po' a consolarlo. Quel libro era solo per lui, per lui e nessun altro.
Era il suo regalo, e solo Harvey era autorizzato a leggerlo.
«Grazie mille» mormorò, offrendogli un sorriso esitante. «Spero che ti piacerà, a me ha colpito molto. Fa riflettere.»
Harvey avrebbe voluto dirgli "sono sicuro che mi piacerà perché sei tu che me l'hai dato" o "puoi stare tranquillo, lo amo di già" o "parlamene anche subito, non mi importa se so in anticipo come va a finire" o "non farò altro che leggere questo libro sino a farmi lacrimare gli occhi e se qualcuno vi si avvicinerà gli staccherò le mani con un morso", ma nessuna di queste sembrava una risposta dignitosa, per cui si limitò ad annuire.
L'aria tra loro si era fatta diversa, ora che Harvey aveva percorso Londra in qualche ora appena per dirgli che non voleva vederlo andare via. Ora che non erano più il signor Woods e il signor Connor ma solo Alex e Harvey.
Non sapeva se si fosse trattato di un miglioramento o di un peggioramento della situazione, sapeva solo che non riusciva più a farne a meno.
A giudicare da come Alex lo stava guardando, rifiutandosi di distogliere lo sguardo un'altra volta, sembrava stesse pensando la stessa cosa.
«Che fate, milord? Restate a pranzo con noi?» chiese Sarah, rompendo il silenzio.
Harvey vide Alexander sobbalzare e voltarsi verso sua sorella con un sorriso affettato.
In quel momento sembrava davvero irritato dal fatto che Sarah avesse parlato, distogliendo la sua attenzione da lui. Chi si irriterebbe mai con la persona amata in quel modo? Harvey non si sentiva affatto in grado di irritarsi con Alexander.
Eppure i regali, i baciamano, i fiori, i disegni, tutti gli incantevole, i deliziosa, gli state una meraviglia, oggi erano eloquenti in modo doloroso, tanto vividi da fare male.
Alexander Ulysses Woods era tanto contraddittorio da incasinargli il cervello.
«Oh no no no, signorina. Sono tornato appena ieri, mia madre ha già iniziato a lamentarsi perché i conti che ho portato da Parigi non tornano. Capirete bene che un uomo votato all'arte come me non può star certo a perdere tempo con tutti quei numeri... ma penso proprio mi toccherà andare. Anzi, meglio ora, più tarderò più mia madre sarà infastidita. E non sopporto quando è infastidita, e lei non sopporta me.»
«Ti accompagno alla porta» disse Harvey, anche se la porta della casa e dell'unica stanza era appena a due passi dallo sgabello su cui era seduto.
Si alzò e le molle del letto cigolarono con lui. Alexander lo imitò.
«Signorine, au revoir!»
«Arrivederci, milord! Tornate a trovarci presto» disse Sarah, educata come al solito.
Lizzie e Maddie stavano ancora sfogliando il loro libro di favole.
Alexander si infilò soprabito, cappello e guanti in tutta fretta e Harvey lo seguì, sgusciando fuori dalla porta per salutarlo.
Forse così era un po' troppo, forse si stava coprendo di ridicolo, ma voleva passare almeno un secondo solo con lui.
«Starei volentieri a parlare un po' amico mio, credimi, ma davvero, il dovere mi chiama.»
«Se tua madre ti fa impazzire torna pure qui quando vuoi, considera questa casa tua quanto mia» gli disse Harvey. «Ora siete solo tu e lei, non mi piace come ti tratta.»
«Sei troppo buono» gli disse, con un sorriso un po' abbattuto. «In realtà ha ragione.»
«Non dire così, non è vero, non te lo permetto» continuò Harvey, fermo. «Hai sbagliato a fare i conti, sempre ammesso che non abbia sbagliato lei a controllarli, e allora? Sai fare tante altre cose. Le scartoffie non sono l'unica cosa importante.»
«Per qualcuno sì» rispose, stringendosi nelle spalle. «E anche per potersi permettere quelle scemenze che mi piacciono tanto.»
«Scemenze?!» esclamò, oltraggiato. «Scusami, ti sto trattenendo. Vai a casa, ora. Ma torna quando vuoi. E grazie per il libro. E le cose che ti piacciono, le cose che ami, non sono scemenze... sono importanti. Tu lo sei. Importante. Ti prego, non dimenticarlo.»
Alexander trattenne il fiato a quelle parole, schiuse le labbra e lo guardò con tanto d'occhi per un attimo. Gli sembrò di vederlo tremare. Scosse la testa per riprendersi. «Va bene. Se le cose si faranno troppo stressanti tornerò, promesso.»
«Mi basta.»
«Ci vediamo stasera al bar, dunque. Leggi il libro, mi raccomando!»
«Lo farò.»
Alexander gli sorrise, allora. «Mi basta.»
*
Harvey era giunto a un'unica, lampante, chiara conclusione.
Alexander intendeva torturarlo, non c'era altra spiegazione.
Era passata una settimana da quando gli aveva regalato il libro, e benché fosse piuttosto breve e lui non avesse fatto altro che leggere, l'aveva concluso solo in quel momento.
Non era mai stato veloce nella lettura e il maestro di scuola, quando ancora i suoi genitori potevano permettersela, l'aveva bacchettato un milione di volte perché le parole continuavano a incepparsi e ingarbugliarsi l'una sull'altra.
Era uno dei motivi per cui Harvey era sempre stato convinto di essere una persona di scarsa intelligenza che non poteva aspirare a più di ciò che faceva in quel momento nella sua vita, cioè asciugare bicchieri ai clienti di un bar a un'ora di cammino da casa sua.
La Sirenetta, dell'autore danese compianto da poco Hans Christian Andersen, amico di Charles Dickens e, si diceva, d'ispirazione per un nuovo astro nascente di Oxford, tale Wilde che Alexander aveva iniziato ad adorare, sembrava studiato per torturare Harvey e tormentarlo.
Per quale altro motivo Alexander avrebbe potuto regalargli un libro del genere, che parlava di un amore sbagliato e condannato, dalla fine tragica e una sofferenza tale? Un libro la cui protagonista rinunciava alla sua anima per inseguire un amore che poi non le restituiva nient'altro che morte e desolazione?
Intendeva forse prendersi gioco di lui? Perché era stato tanto crudele?
Chiuse il libro e lo posò sulla credenza con un sospiro.
«Beh? Finito?» chiese Sarah, guardandolo di sottecchi.
«Sì, ma non ti dirò di che parla, né te lo presterò» disse Harvey, a bassa voce.
«Guarda che io non te l'ho chiesto.»
«L'avresti fatto.»
«Non credo proprio. Sai che sono contraria a queste... cose.»
«Quali cose? I libri? Beh, questo spiega tutto.»
«Sei davvero esilarante» rispose, fredda. «Sai a quali cose mi riferisco.»
«Nessuno ti ha chiesto un'opinione.»
«Io ti voglio bene, lo sai.»
«Allora dovresti dimostrarlo meglio.»
«Lo dico per te. Non voglio che ti metta nei guai, sono cose pericolose...»
«In tutta franchezza, sorella, non so proprio di che parli.»
Sarah attaccò l'ultimo bottone e poi lo guardò scettica. «Fai come vuoi. Io ti avevo avvisato.»
I due fratelli si guardarono per qualche istante, come se entrambi stessero decidendo se valeva la pena continuare la discussione e farla degenerare oppure no.
Harvey aveva appena deciso che sarebbe stato meglio mollare la presa, non aveva idea di quello che avrebbe fatto Sarah, quando sentirono un bussare concitato alla porta.
«Lizzie avrà scordato le chiavi di nuovo» sospirò Harvey, alzandosi per andare ad aprire.
Lisbeth e Maddie erano per strada, a giocare coi bambini del quartiere. Per essere precisi, quando Harvey le aveva lasciate fuori casa, stavano disegnando con dei bastoncini nel fango.
Non aveva mai capito come si potesse non amare i bambini. I bambini erano spiriti liberi, era tanto facile renderli felici, e non avevano le stesse aspettative e i giudizi crudeli degli adulti.
Valeva sempre la pena avere pazienza per un bambino, mentre faticava a mantenere i nervi saldi quando un adulto si comportava da stupido.
«Liz, non puoi continuare a perdere ogni volta-»
Le parole “le chiavi di casa” non furono mai pronunciate, anche perché non era Lisbeth la persona che aveva davanti.
«Alex, che cosa... cosa accidenti ti è successo?»
Il ragazzo stava in piedi davanti a lui e per la prima volta da che si conoscevano non aveva idea di cosa dire. Sembrava stravolto, terrorizzato, aveva le guance rosse come se avesse corso per miglia e il respiro affannoso. Si coprì la bocca con le mani e scosse la testa, senza riuscire a parlare.
Harvey cercò Lizzie con lo sguardo e la individuò che correva per scappare da Thomas, il figlio dei Jefferson, un ragazzino di tredici anni che stava a occhio e croce cercando di farla vincere correndo con una lentezza innaturale, per uno di quell'età.
Stava bene, per il momento.
Visto che Alexander non accennava a muoversi, gli posò una mano sulla spalla e lo guidò in casa.
«Vieni, entra dentro, per l'amor del cielo. Cos'è accaduto? Racconta.»
Quando vide chi stava entrando e in che condizioni versava, anche Sarah si avvicinò allarmata.
«Milord? Perché fate quella faccia?»
Lui non rispose e non salutò, il che non si addiceva affatto a un vero gentiluomo.
«Ma che gli è successo?» chiese Sarah.
«E io cosa ne so?» sbuffò Harvey, facendolo sedere su uno sgabello intorno al tavolo. «Prendi un bicchiere d'acqua e non stargli addosso.»
Sarah annuì e attraversò di fretta la piccola stanza, per versare acqua dalla brocca sulla credenza. Harvey si sedette nello sgabello accanto, tolse al suo amico il cappello e gli sfilò i guanti, perché sapeva che se avesse avuto abbastanza presenza mentale l'avrebbe fatto lui stesso e dunque ne aveva bisogno.
«Mi stai facendo preoccupare. Dimmi cos'è successo, ti prego.»
Per qualche motivo, la preghiera funzionò. Alexander lo guardò, sbattendo le palpebre come per schiarirsi la vista annebbiata e la mente dai pensieri distruttivi. «Ricordi quando mi hai detto che potevo venire qui a darmela a gambe?»
«Certo che sì.»
Sarah posò il bicchiere colmo di acqua sul tavolo e Alexander bevve un sorso, dimenticando persino di ringraziarla.
«Mia madre è in prigione. Hanno congelato tutti i beni, sequestrato la casa, non so cosa è successo, non ho... oh Dio, non ho più niente e nessuno, Hector è a Parigi, e io... non so che fare. E dove andare. Scusate, lo so che non potete sobbarcarvi anche la mia presenza, ma almeno per stanotte...»
«Oh, cielo» esclamò Sarah. «Come sarebbe a dire in prigione? Com'è possibile?»
«Io... io non lo so. Non mi faceva mai guardare le sue carte, per questo non mi hanno arrestato.» Sospirò, appoggiando i gomiti al tavolo e coprendosi il volto con le mani. «Sentite, lo so che non potete permettervi di pensare anche a me, lo capisco, non voglio portarvi via nulla, ma se non posso restare qui almeno stanotte sarò costretto a dormire per strada.»
Sarah e Harvey si scambiarono un breve sguardo. Lui aveva già deciso, ma aspettò una sua reazione prima di fare ciò che doveva.
La ragazza annuì e lui si alzò.
«Cambio le lenzuola al mio letto. Dovremo spostare il tavolo per farmi posto, credo che non riusciremo più ad aprire bene la porta d'ingresso» rifletté, osservando la stanza angusta. «Penso che alla fine potrò sistemarmi là di fronte. O sotto il tavolo» rifletté ad alta voce.
«Sotto il tavolo?» chiese Alexander, scostando le mani dal volto.
«Non abbiamo altri letti, dovrò dormire per terra, ma per fortuna siamo pieni di coperte, ne hanno lasciate tante a Sarah in questi anni da rammendare senza più venire a ritirarle.»
«Oh, no, io... sarò io a dormire per terra, non voglio disturbare.»
«Gli ospiti non dormono per terra!» protestò Harvey, iniziando a togliere le lenzuola usate dal letto. «Se fossi scappato a casa tua tu mi avresti fatto dormire per terra?»
«A casa mia nessuno avrebbe dormito per terra, perché la mia casa è piena di letti. Letti che non posso usare, perché mia madre è una criminale a quanto pare, e io non lo sapevo nemmeno!» esclamò, sbattendo la testa sul tavolo in un gesto frustrato. Sospirò. «Scusate, tutti e due. Oggi non è giornata.»
«Non preoccuparti» disse Harvey. «Quando ho detto che questa casa è anche tua non stavo scherzando. Puoi restare quanto vuoi, ci siamo arrangiati in tre, ci arrangeremo in quattro. Non ti lasceremo dormire per strada.»
Sarah annuì. «Vado a chiamare Lizzie, scommetto che sarà contentissima.»
Alexander restò seduto sullo sgabello, senza sapere cosa dire. Guardò Sarah, poi Harvey, poi di nuovo Sarah, e poi si mise a tamburellare le dita sul tavolo.
Nei suoi occhi passarono tante emozioni che era impossibile identificarle tutte, e poi fece un sorrisino perché Alexander sorrideva sempre, anche quando era triste, arrabbiato o spaventato.
Sarah si alzò e si defilò, in cerca della sorella.
«Grazie» sussurrò il ragazzo, fissandosi le mani senza neanche il coraggio di alzare lo sguardo. «Farò il possibile per trovare una sistemazione al più presto.»
«Non dirlo neanche» rispose Harvey. «Supereremo anche questo, lo faremo insieme. E comunque vada, non sei rimasto da solo. Capito?»
Sapeva che avrebbe dovuto fare sacrifici. Sapeva che si sarebbe dovuto togliere il pane di bocca, e non era una figura retorica. Sapeva che avrebbe dovuto tirare la cinghia, lavorare qualche ora in più, vendere quello che di superfluo sarebbe riuscito a trovare in casa per tirare avanti una settimana, o forse due.
Non gli importava, e sapeva che anche per le sue sorelle non era importante.
Alexander gli restituì un sorriso più convinto del precedente, lui che qualche minuto prima si era presentato alla porta con le gambe tremanti e gli occhi spalancati dall'ansia.
Avrebbe dormito per terra per sempre, se fosse servito a farlo star meglio.
La porta si spalancò ed entrò Lizzie di corsa.
«È vero che vivete con noi, adesso?»
«È vero, piccola» rispose, quando lei gli saltò in grembo.
Lui e Sarah si scambiarono una seconda occhiata, stavolta più convinta.
Supereremo anche questo.
Lo faremo insieme.
Note autrice:
Aiutissimo! Lady Woods è in prigione, e chissà per quanto ci resterà. Hector è a Parigi con Lady Lovett, Alexander è rimasto senza nulla e nessuno, e per una volta è la famiglia Connor a dover dare una mano.
Chissà se questa convivenza non sbloccherà qualcosa tra Harvey e Alex, magari non tutto il male viene per nuocere... vedremo.
Harvey ha letto la Sirenetta, non sto neanche a spiegarvi tutto il sottotesto di quella storia perché sono convinta sia abbastanza noto, comunque Alex gliel’ha donato per mandargli messaggi neanche tanto subliminali e Harvey l’ha preso invece come brutto segno. In effetti, a sua discolpa, non è che sia una storia molto allegra.
Intanto, Sarah ha ammesso di essersi accorta di voi-sapete-cosa e non è tanto entusiasta. In effetti, in quel periodo e in quel posto nel mondo un amore come quello era ancora illegale. Persino Oscar Wilde qualche anno dopo scontò qualche anno di carcere per sodomia.
Insomma, situazione complicata su tutti i fronti, ma tutto può ancora succedere.
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