VI.2 Ciò che è giusto

«Era ora, santo cielo! Non ne potevo più!» esclamò Alexander, aprendo la porta della carrozza che li aspettava all'uscita. Harvey fece un cenno di saluto verso George, che ricambiò. «Prima tu.»

Harvey si arrampicò su nella carrozza come Alexander aveva detto e si sedette. Lui fu svelto a seguirlo, sedendosi di fronte, e nell'istante in cui la carrozza partì si sporse in avanti e lo abbracciò.

Harvey si irrigidì per un attimo, colto di sorpresa e avvampato sino all’autocombustione, ma non appena si riscosse le sue braccia circondarono il ragazzo davanti a lui e lo strinsero tanto da fargli scricchiolare le ossa. 

«Mi sei mancato» lo sentì mormorare, mentre stava fermo immobile e continuava a stringerlo come se non volesse più lasciarlo andare.

Il suo solito profumo  lo avvolse di nuovo dopo settimane e Harvey si accorse che non era solo Alex a essere tornato, anche lui in quel momento era di nuovo a casa.

«Anche tu.»

Per interminabili secondi restarono fermi abbracciati in silenzio, stringendo e lasciandosi stringere, e nonostante la pressione sul petto il cuore di Harvey si allargò.

Il profumo di colonia nei polmoni, la presenza fisica e reale, quella mani sulla schiena e le braccia che lo tenevano stretto, strizzò gli occhi e strinse ancora più forte.

Il tempo si dilatò per un lungo istante per poi fermarsi e alla fine si spezzò. Dopo un'ultima stretta i due si separarono.

Harvey si sentiva su di giri, ma a vedere Alexander gli sembrava di capire che non fosse messo in modo tanto diverso. Non aveva ancora smesso di sorridere e continuava a guardarlo con quell'aria entusiasta, come un bambino a cui avevano appena fatto un regalo.

«Beh?» chiese Harvey, distogliendo lo sguardo. Sentiva che se l'avesse guardato per un secondo di più l'avrebbe tirato a sé e baciato sino a svenire, e sarebbe stata di certo una pessima idea. «Com'è andata a Parigi? Che hai fatto di bello?»

Alexander sospirò. «Ah, Parigi, Parigi... piacevole, per carità, ma non è che abbia avuto tanto da fare. Ho fatto un corso di ritrattistica, questo sì, che è stato davvero illuminante. Penso di essere migliorato nel disegno dal vivo. Però è un vero mortorio e la compagnia… non ne parliamo.»

«Brutta gente, i francesi?» chiese Harvey, con lo sguardo puntato fuori dal finestrino.

«Diciamo che preferisco gli inglesi» rispose Alexander, a mezza voce. «Alcuni inglesi. Persone specifiche. Che stanno qui, a Londra. Più o meno... uno, direi. Un inglese e basta. Così, andando a occhio.»

«Capisco» mormorò Harvey. «Ma sono sicuro che laggiù non è poi così male.»

«Oh, no, affatto» rispose. «Ma sai, non avere nessuno con cui parlare davvero è così poco stimolante, una volta che ti abitui a farlo. A mio parere non c'è nulla di peggio che parlare con tutto il cuore e sentirsi rispondere banalità insignificanti. Temevo che il mio cuore si sarebbe pietrificato in quel vuoto emotivo siderale. Davvero insopportabile...»

«A me pare che il tuo cuore stia benissimo» gli disse Harvey, a bassa voce.

«In questo momento? Direi di sì. Non potrebbe stare meglio…»

A quelle parole, Harvey riprovò a lanciargli uno sguardo di sfuggita e vide che lo stava ancora fissando. Riportò lo sguardo fuori più in fretta che poteva.

Alexander si schiarì la voce. «Posso passare a casa tua, domattina? Vorrei salutare le signorine come si deve, e a quest'ora tarda la piccola sarà già a letto. E poi ci sono i souvenir da consegnare, e–»

«Oh, per l'amor del cielo! Non dirmi che hai comprato qualcosa per noi un'altra volta!»

«Non fare quella faccia, mio caro» lo sgridò, «stavolta non lo accetto! Dai viaggi si porta sempre un regalo ai propri amici, tutti i gentiluomini lo fanno. Sarebbe stato davvero scortese altrimenti, e come sai non lascerei mai pensare a qualcuno che io, tra tutti, sono una persona scortese. Accetterai i presenti senza fiatare, stavolta.»

Harvey alzò gli occhi al cielo, «Io non ti faccio mai regali, pensi che io sia scortese?»

«Primo, non sei mai stato in viaggio da che ti conosco» rispose. «Io sto parlando del fatto che è scortese non portare souvenir, e non essendo andato da nessuna parte sei esentato. Secondo, non è proprio vero che non mi regali mai niente. Mi hai fatto uno splendido regalo giusti il mese scorso, tanto per cominciare.»

«Ce l'hai ancora? La bussola, intendo.»

Alexander sorrise. Si sbottonò il soprabito e la tirò fuori dal taschino della giacca, mostrandogliela con fierezza. «Che domande. A Parigi non smettevo di fissarla. Lady Lovett avrà pensato che voglio intraprendere la carriera del cartografo…»

A Harvey scappò una risata. «Ma dai! E dove tieni l'orologio?»

«A casa. Ho solo una tasca e preferisco di gran lunga sapere dove sei, rispetto all'orario.»

Harvey scosse la testa. «Sei incredibile.»

«È un'offesa o un complimento, questo?»

«Sai che non ti offenderei mai» rispose, in imbarazzo.

«Mi sembra di capire che sei uno dal complimento facile, allora...»

«È colpa tua. È talmente facile farteli!»

«Non so come ho fatto a stare un mese senza di te, dico davvero» sospirò Alexander. 

«Già, nemmeno io» mormorò Harvey, ma prima che potesse aggiungere altro la carrozza si fermò.

«C’est bon» esclamò allora, «eccoci arrivati. Spero non ti sia pesato troppo tornare a piedi con questo tempaccio. Deve avere anche nevicato in questi giorni…»

«Mi è pesata solo la mancanza di compagnia» commentò Harvey. «Niente di cui preoccuparsi.»

«Non mi hai ancora detto se posso venire domani. Se hai altro da fare…»

«Oh, no, vieni pure all'ora che preferisci! Sarah e Lizzie saranno entusiaste!»

«Bene, a domani allora. Buona notte» disse, mentre Harvey si alzava e scendeva dalla carrozza. «Mi sei mancato.»

«Buona notte, Alex. E bentornato a Londra, io... è stato bello rivederti.»

Dopo un ultimo sorriso che diede a Harvey il colpo di grazia, lo sportello della carrozza si chiuse e George ripartì nella notte.

Si lasciò qualche secondo di pausa prima di entrare, chiuse gli occhi e la sensazione che Alexander fosse di nuovo lì con lui, che potessero riprendere a vedersi ogni giorno, che l'avesse stretto a sé, che gli avesse detto che gli era mancato, lo infiammò dentro.

Si strinse nelle spalle e prese un profondo respiro. 

Ho solo una tasca e preferisco di gran lunga sapere dove sei, rispetto all'orario.

Non si sentiva così bene da settimane. Non si sentiva così bene dalla giornata del porto.

Non era più solo. 

Il suo sorriso si allargò, ed entrò finalmente in casa.

«Harvey! Come mai così presto?»

«Oh, Sarah, non indovinerai mai chi ho incontrato oggi…»

*

Il giorno seguente, alle dieci in punto, qualcuno bussò alla porta.

«È arrivato!» esclamò Lizzie, correndo ad aprire. 

Anche Harvey sorrise, mentre Sarah si voltò con una smorfia a guardarlo, preoccupata.

Maddie stava seduta al tavolo a giocare con una bambola di pezza fatta con gli scarti del cucito di Sarah, e sembrava non prestare attenzione a tutto il resto.

Rispetto a qualche mese prima sembrava tutta un'altra persona, era diventata una bambina dolce ma chiusa in sé stessa, silenziosa.

«Buongiorno, miei prodi!» si annunciò Alexander, che a quanto pareva non aveva perso il buonumore dal giorno prima. «Che piacere essere qui di nuovo!»

«Buon giorno, milord» lo salutò Lizzie, abbracciandolo all'altezza della vita. Lui le passò una mano tra i capelli in un gesto affettuoso. «Ci siete mancato!»

«Mi siete mancati molto anche voi» le disse Alexander, guardando verso Harvey di sottecchi. 

«Buongiorno, milord» salutò Sarah, abbassando la testa in segno di saluto. 

Harvey ne fu sollevato. L'essere a conoscenza del suo segreto almeno non l'aveva trasformata in una maleducata.

«Signorina Connor» esclamò Alexander, togliendosi il cappello e accettando la mano che lei gli porgeva. Posò le labbra sul dorso e le sorrise. «Sempre splendida.»

Harvey deglutì, ignorando il sapore acido che gli aveva riempito la bocca. 

Alexander si avvicinò a Maddie e salutò anche lei, dandole un buffetto sulla guancia. La bambina se ne accorse appena.

«Siediti, avanti, non fare complimenti» gli disse Harvey, indicando uno degli sgabelli. «Sai che non ce n'è bisogno.»

Il ragazzo gli sorrise col sorriso più luminoso da quando era entrato. «Dici bene, mio caro» esclamò, sedendosi su uno degli sgabelli sbilenchi e spogliandosi di soprabito e cappello.

Si tolse i guanti con grande attenzione e Sarah piegò tutto e lo posò sulla cassapanca.

«Allora? Com'è andata a Parigi? Mi piacerebbe tanto andarci.»

«Deliziosa come sempre» esclamò Alexander. «Ho fatto un corso di disegno davvero brillante. E ho comprato certi completi meravigliosi… la cara vecchia Parigi è sempre una garanzia.»

Harvey lo guardò scettico. A lui aveva fatto tutt'altra descrizione del viaggio. 

«Certo, se avessi avuto la giusta compagnia, sarebbe stato persino meglio» aggiunse, rivolgendo a Sarah uno sguardo eloquente.

Harvey sentì quella frase schiaffeggiarlo con forza, ma non fece commenti. Si limitò a tossicchiare come se gli fosse andata dell’acqua di traverso. Lizzie gli batté una mano sulla schiena.

«Siete un vero ruffiano» disse Sarah, scuotendo la testa.

«Ma parliamo di cose piacevoli, vi va?» chiese Alexander, afferrando una busta che aveva con sé e posandosela sulle ginocchia. 

Lisbeth, che aveva già capito, esultò; Sarah si limitò a sorridere cordiale; Maddie non fece una grinza.

Harvey si stava mordendo il labbro per non commentare.

«Ho trovato una nuova edizione delle favole di La Fontaine che mi ha davvero incantato. Illustrazioni meravigliose. Così, dato che sai leggere, ecco qui» continuò imperterrito Alexander, porgendo un libro a Lizzie. «Magari sarai tu a recitare un po' per tuo fratello, questa volta. Sono convinto che ne sarà estasiato!»

La bambina afferrò il libro, affascinata. Lo aprì, e anche Sarah, seduta al tavolo, si sporse per sbirciare.

«È davvero fantastico» disse la ragazza, osservando le illustrazioni rapita. «Come si dice, Lizzie?»

Lisbeth mormorò un “grazie” distratto, troppo impegnata a sfogliare il suo libro. Diede una gomitata a Maddie per spingerla a guardare.

«Scusatela, non va forte nelle buone maniere» sospirò Sarah. 

«Almeno so che le piace» rispose lui, osservando le due bambine soddisfatto. «Ma ora veniamo a voi!» esclamò, porgendo un pacchetto alla ragazza. «Spero che vi piaccia. Io lo trovo davvero irresistibile. Scommetto che su di voi sarà divino.»

«Oh, cielo» mormorò Sarah, afferrando il pacchetto di forma rettangolare e scartandolo con attenzione. 

Harvey, che era seduto a gambe incrociate sul suo letto, era a una moina dal diventare di un colorito verde come i prati di Hyde Park. 

Il pacchetto si rivelò contenere un profumo dall'aspetto costoso che in quel momento era forse l'oggetto dal valore economico più alto in quella casa, e con tutta probabilità in tutta la via. Sarah sgranò gli occhi.

«Oh, cielo» ripeté. «Oh, cielo. È troppo, io non… oh, cielo.»

«Che sciocchezza» la liquidò Alexander. «Per una signorina incantevole come voi è anche poco. Provatelo avanti, ditemi se vi piace!»

Harvey osservò Sarah spruzzarsi del profumo sul dorso della mano e portarsela al volto.

«Oh, cielo» disse, per la milionesima volta di fila. «È davvero ottimo, milord. Io non so… non so cosa dire.»

«Non dite nulla, allora. O “grazie”, se proprio ci tenete... ma non c'è nulla di cui ringraziare, davvero. Nessun gentiluomo tornerebbe a mani vuote da un viaggio del genere…» disse, per poi restare in silenzio qualche attimo. «Harvey, carissimo, tutto a posto?»

«Huh?» chiese Harvey, che negli ultimi istanti si era distratto nel pensare a quanto fosse un idiota che non si era ancora rassegnato al fatto che il ragazzo che amava stava corteggiando sua sorella.

«Tutto bene? Ti vedo un po' sulle tue, oggi…»

«Sto benissimo. Stavo solo pensando a una cosa.»

«Qualcosa di bello, spero» disse lui, con uno sguardo esitante. Harvey si accorse solo in quel momento che porgeva anche a lui un libro. 

Lo prese e ne lesse il titolo e l'autore. Aveva un che di familiare, ma non sapeva dire dove l'avesse già sentito.

La sirenetta.

Hans Christian Andersen.

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