IX.2 La stanza dai mille volti

Le due ragazze scesero dalla carrozza in centro, entrambe con una buona dose di entusiasmo, e Harvey e Alexander restarono in carrozza da soli.

Per la prima volta da quando si conoscevano, passarono il viaggio in silenzio. Per la prima volta da quando si conoscevano, Harvey non lo guardò nemmeno una volta, osservando le vie di Londra che scorrevano fuori dal finestrino. Per la prima volta da quando si conoscevano, desiderò arrivare a destinazione il prima possibile.

La cabina della carrozza iniziava a dargli una tremenda claustrofobia, si sentiva soffocare.

Alexander aspettò in silenzio che fosse lui a parlare, senza fargli pressione o mettergli fretta. Forse si sentiva in torto, o magari aveva paura di averlo offeso. 

Del resto, si era comportato da offeso per tutto il viaggio e continuava a farlo, sarebbe stata una supposizione razionale.

Uscirono dal centro ed entrarono a Mayfair. Le case di città si trasformarono in villette con giardino e poi in vere e proprie ville dotate di parco.

Quando la carrozza si fermò nel viale che portava a Villa Woods, Dennis scaricò il baule e si voltò verso Alexander.

Lui tirò fuori il portafoglio di nuovo, gli diede altre sterline - ma quante ne aveva? sembravano infinite - e gli disse: «Da bravo, vai a farti un giro. E tra un po' vai a prendere le ragazze in centro e riportale a casa.»

Harvey fece una smorfia confusa ma non si voltò a guardarlo neanche in quel momento. 

Alexander si mise a trascinare il baule verso casa e Harvey lo seguì. Guardò il blasone in pietra con le tre querce che stava sul portone, e poi vide Alexander che si affannava a tirare su il baule per i tre gradini dell'ingresso. 

Il ragazzo non era mai stato un grande atleta. La prima volta che Harvey era stato nella villa, il giorno dopo il loro primo incontro, Alexander gli aveva confidato che l'unico sport in cui era sempre stato un campione era il sollevamento di libri, e Harvey ormai sapeva che non era affatto un'esagerazione.

Benché in quel momento avrebbe preferito trovarsi da qualsiasi altra parte, non riuscì proprio a vederlo in difficoltà e restare a guardare. Non ci sarebbe mai riuscito.

«Aspetta, faccio, io» gli disse, e spostandogli la mano tirò su il baule e lo buttò in casa.

«Ah, sai parlare dunque» commentò Alexander, a bassa voce.

Fu il turno di Harvey di ignorare la provocazione questa volta. «Dove sono i domestici?»

«Li ho congedati per la giornata» disse, alzando le spalle. Poi, dato che Harvey non aveva idea di dove portare i loro bagagli, aggiunse «Terzo piano.»

«E perché diavolo» sbuffò Harvey, iniziando a salire le scale a fatica, col baule che sbatteva a ogni gradino, «hai fatto una cosa del genere, di grazia? Avevi voglia di sfacchinare un po'?»

«Per poter stare solo con te a parlare, ma non mi pare stia funzionando» rispose, con un'amarezza nella voce che non riusciva più a controllare.

«Parlare di cosa, Alex? Vuoi che ti aiuti a organizzare il matrimonio? Vuoi invitarmi al tuo addio al celibato? Che vuoi da me, si può sapere?»

Dovette aver colpito nel segno, perché Alexander finalmente sembrò davvero iniziare a perdere le staffe.

«Sul serio?» sbottò. «Prima non mi guardi nemmeno in faccia e ora mi chiedi “parlare di cosa”?»

Succedeva sempre così. Davanti agli altri manteneva sempre un contegno, una facciata di educazione e talvolta ipocrisia. Sorrideva anche quando non voleva farlo, offriva l'ultima panchina del parco anche se era stanco, si fermava a salutare anche se aveva qualcos'altro da fare.

Mai con Harvey, però. Con Harvey la maschera calava sempre, con lui poteva essere sé stesso, nel bene e nel male. Poteva fare commenti inappropriati, poteva lamentarsi, poteva ridere a voce alta, sedersi scomposto. 

Poteva persino infastidirsi e iniziare a sbraitare pur sapendo che non era un comportamento educato, proprio come in quel momento.

Vedere che ancora nonostante tutto si permetteva di essere spontaneo con lui fece tentennare Harvey per un attimo. Del resto, Alexander non aveva fatto niente di male. Gli aveva solo chiesto di parlare con lui, non era una pretesa così irragionevole.

Lui però di parlare non aveva nessuna voglia. Era successo tutto troppo in fretta, e comunque non era mai stato un amante delle chiacchiere.

Per quanto potesse dirne Sarah, lui aveva sempre preferito evitare i problemi piuttosto che affrontarli. Questa era l'unica verità.

Lo guardò con l'espressione più neutrale che aveva in repertorio e disse «In tutta onestà non capisco proprio che vuoi da me.»

L'espressione distaccata e infastidita di Alexander si ruppe e lui si sgonfiò, arreso.

«Senti» disse, e la sua voce era più bassa e tremante del solito, come se avesse paura a dire quel che doveva. Come se si vergognasse. «Se ho frainteso qualcosa mi dispiace. Io credevo... credevo di aver capito che tu... mi dispiace, davvero. Si può sempre annullare, se vuoi andartene. Posso annullare tutto. Scusami.»

«Non c'è stato nessun malinteso» disse infine, continuando a trascinare il baule su per le scale. «Congratulazioni per il fidanzamento. Spero sarete felici.»

«Io credo... credo che continui a non capire. Se solo parlassimo con chiarezza per un secondo...»

«Non c'è niente di cui parlare» disse sbrigativo, poi fece l'errore di guardarlo in faccia.

Sino a quel momento gli aveva lanciato solo occhiate di sfuggita, o di spalle quando stava portando il baule. Non aveva ancora avuto il coraggio di guardarlo dritto negli occhi, di osservargli il volto e di studiarlo.

Harvey sapeva che in quel momento doveva sembrare un disastro, ma vedendo Alexander dovette ricredersi. Il ragazzo era senza dubbio persino più sottosopra di lui. Lo guardava con gli occhi lucidi, era più pallido del solito, aveva il respiro affannato, e ancora una volta sembrava che non fosse affatto intenzionato a distogliere lo sguardo.

Sapere di essere la causa di tutto questo gli diede una stretta al cuore. Non l'aveva mai fatto stare male, prima. Anzi, sino a quel momento al massimo aveva sempre cercato di farlo stare meglio, con risultati promettenti.

«Se solo tu mi lasciassi spiegare, solo un attimo...»

«Lasciami solo, ti prego» lo interruppe, senza aspettare la fine della frase. «Non ce la faccio adesso. Scusa. Io non... non ce la faccio proprio.»

«Va bene. Va bene. Se cambi idea... se cambi idea mi trovi nella stanza del pianoforte. Fai come se fossi a casa tua» disse, e l'angolo della sua bocca si piegò in un sorriso per la prima volta da quando erano scesi dalla carrozza. «Lo è, dopotutto. Casa tua, intendo. Giusto?»

Lo disse col tono con cui si dà una buona notizia. Lo disse come se fosse davvero contento di quel particolare, nonostante Harvey avesse fatto di tutto per essere odioso.

Non poté fare a meno che sorridergli a sua volta, anche se solo un pochino. «Immagino di sì.»

Alex sembrò un po' rassicurato da quel suo sorriso. Iniziò a salire le scale, poi si fermò di nuovo. Si voltò verso di lui e aggiunse «Ricorda di non entrare nel mio studio, va bene? Per il resto vai dove vuoi. Come ho detto prima, questa è casa tua ora. Se vuoi parlare... beh, sai dove trovarmi.»

Harvey annuì senza rispondere, poi lo guardò allontanarsi con riluttanza. 

Sperò che si guardasse indietro di nuovo. Forse se l'avesse fatto avrebbe mollato quel maledetto baule e gli avrebbe urlato addosso tutto quello che pensava, ma Alexander non lo fece. Continuò imperterrito a salire la scala senza voltarsi più a guardarlo neanche una volta, poi sparì.

Harvey sentì che le note del pianoforte riempivano la casa come un fiume scappato dagli argini. Erano note tragiche, dolorose, che non aveva mai sentito prima. 

Sinora quando Alexander aveva suonato per lui si era sempre limitato a valzer e balli allegri, ma non quel giorno. Le note basse e incalzanti di quella canzone gli facevano tremare il cuore.

Ci mise un po' a trascinare il baule in cima alle scale, ma quando arrivò Alexander non aveva ancora finito di suonare. Benché si trovasse un piano sotto di lui la musica era alta, quasi assordante, come se stesse picchiando sui tasti con violenza.

Arrivato al terzo piano riprese fiato e appoggiò la schiena al muro, esausto.

Guardò il baule con aria smarrita e si rese conto che non gli aveva detto in che stanza infilarlo. 

Chissà dove avrebbe dovuto dormire.

Chissà dove avrebbe dovuto dormire Sarah.

Insieme a lui, forse.

Il pensiero gli fece venire il sangue al cervello e in quell'attimo accantonò la paura e il dolore e gli montò la rabbia. 

Rabbia contro sé stesso perché aveva fatto l'idiota. Rabbia contro Sarah perché l'aveva costretto ad ammettere tutto ciò di cui si vergognava di più. Rabbia contro Alexander che insisteva a parlare con lui quando aveva reso ben chiaro il fatto che non ne aveva alcuna intenzione. 

Così, perché era frustrato, triste, arrabbiato, fece l'unica cosa che poteva per fargliela pagare. L'unica cosa che poteva permettersi per dargli fastidio.

L'unica cosa che Alexander gli aveva detto di non fare, già dalla prima volta che era entrato in quella casa.

Passò in rassegna tutte le porte e vide quella in fondo al corridoio, quella del suo studio, che aveva già visto la prima volta che era stato lì.

Si avvicinò a passi decisi e fece girare la chiave nella serratura, che si sbloccò subito. 

Non appena spalancò la porta la musica cessò. Si era persino dimenticato che sino a quel momento la Villa era stata immersa in quelle note tragiche e travolgenti, non ci aveva più pensato, ma nell'esatto istante in cui la porta si era aperta la casa era piombata con violenza in un silenzio tombale e questo contribuì alla sensazione di stordimento e assoluto sconcerto per quello che trovò al suo interno.

Come aveva detto Alexander, si trattava del suo studio. Le pareti e la scrivania erano tappezzate da decine e decine di schizzi e disegni.

Alexander era sempre stato molto vario nella sua produzione artistica. Aveva disegnato Sarah e Lisbeth, in qualche occasione suo fratello e sua madre, paesaggi, tramonti, opere d'arte famose, scene tratte dai libri che amava, ogni volta tirava fuori un soggetto diverso.

Non quella volta.

Quella volta i disegni avevano tutti lo stesso soggetto, ogni singolo pezzo di carta là dentro raffigurava lo stesso volto che si ripeteva ancora e ancora e ancora.

E quel volto era il suo.

Note autrice:
Detto così sembra la stanza di un serial killer, lol, lo so. Immagino la faccia di Harvey nel vedere le pareti tappezzate della sua faccia, poraccio.
Diciamo che ora ignorare la verità si farà un po’ più difficile... soprattutto considerando ciò che Harvey sta per trovare là dentro, perché no, le sorprese non si riducono ai disegni.
Il prossimo, nonché ultimo, capitolo si chiama “Alexander Ulysses Woods” e conosceremo bene il nostro Alex, in un modo forse un po’ poco ortodosso. Volete provare a ipotizzare come accadrà?
Quel che è certo è che i nodi verranno al pettine, siamo alle battute finali!

P.S.
No, non è venerdì. Boh, non ho nessuna motivazione per aver postato in anticipo stavolta... mi andava. Forse perché sto avendo un periodo stressante, e rileggere per revisionare e poi godermi le vostre reazioni mi consola un pochino.
Spero che il capitolo via sia piaciuto!
A questo punto, non credo che posterò il capitolo finale venerdì, penso che lo farò martedì... o magari domenica, boh, vediamo.
Non avrei dovuto postare oggi e mi si è sminchiato il calendario.
Vabbè, è già pronto come tutto il resto, dunque arriverà presto.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top