IV.1 All'inferno

Iniziò tutto con una richiesta innocente. Inizia sempre con una richiesta innocente.

«I bambini non si sentono tanto bene, potresti venire tu a casa nostra? Preferiamo non farli uscire, stavolta.»

John e Maddie avevano iniziato a mostrarsi fiacchi e impallidire, e Harvey era stato tutta la mattina insieme a loro ad accudirli mentre i genitori erano al lavoro. Li aveva tenuti a letto, aveva dato loro da mangiare e al momento di andare via si era accorto che era venuta a entrambi la febbre.

Quando ormai era chiaro che si fossero ammalati, continuò per qualche giorno a seguirli a domicilio, attendendo insieme a loro che i genitori tornassero dal turno.

Né i Darling stessi né i fratelli Connor avevano potuto chiamare il medico, che per andare sin lì a sporcarsi le mani avrebbe chiesto troppe sterline, e Harvey iniziava davvero a temere che le cose per i due si stessero mettendo male.

In particolare John sembrava molto debilitato, fradicio di sudori freddi, coperto di macchie rosse sul corpo e dalla febbre che non accennava a calare.

La mattina del quinto giorno di malattia dei bambini, Harvey si svegliò con un forte mal di gola e una leggera emicrania.

«Credo che non dovresti andare al lavoro oggi» disse Sarah, vedendo la difficoltà con cui si sedette sul letto.

«Non posso, non… oggi non vado neanche dai Darling, non ci daranno il pranzo. Se non vado a lavorare avremo finito il cibo entro domani» mormorò, con voce roca.

«Loro come stanno?» si inserì Lisbeth, anche lei appena sveglia, che si stava stiracchiando nel lettone.

«Male» disse Harvey, facendo una smorfia perché parlare gli faceva male. «Simon e Carmen non sono andati al lavoro oggi per stare con loro.»

«Se possono farlo loro puoi farlo anche tu» insistette Sarah.

«Loro domani non avranno nulla da mangiare» disse Harvey. «Mi pesa già abbastanza non poter contribuire, ci manca solo che mi moriate di fame anche voi.»

«Abbiamo un po’ di soldi da parte per i lavori extra che hai fatto nelle ultime settimane. Puoi permetterti di mancare, dureremo comunque un paio di giorni.»

«Quei soldi ci servono per le vere emergenze. Proprio perché ne abbiamo da parte è bene conservarli per quando non potremo farne a meno.»

«Già, invece se muori di chissà quale malanno potrò usarli per il funerale!» sbuffò la ragazza. «Davvero geniale!»

«Potresti morire?» chiese Lisbeth, che era schizzata a sedere. «Come mamma e papà?»

«Certo che no» disse lui freddo, guardando Sarah come a dire “visto che hai fatto?” «Conto di vivere ancora a lungo, grazie mille.»

«Non andare al lavoro, per favore! Non voglio!» protestò la bambina, alzandosi dal suo letto per andare a infilarsi nel suo. 

«No!» esclamò lui, e Sarah l’afferrò appena in tempo. «Potrei contagiarti, ferma!»

I loro genitori erano morti due anni prima per una brutta febbre, e Lisbeth ne era rimasta sconvolta. Anche la loro malattia era iniziata con un vago malessere come il suo.

«Stai tranquilla, va bene? Sono solo un po’ stanco…»

«No!» urlò, cercando di scalciare via la sorella. «Non voglio! Non voglio!»

«Stai ferma, stavo solo scherzando, non dicevo sul serio…» la pregò Sarah, già pentita di quello che aveva detto.

Harvey si massaggiò le tempie. Il suo principio di emicrania si stava evolvendo in un’emicrania vera e propria a velocità impressionante.

«Non dico niente solo perché c’è Lizzie, ma spero che il mio sguardo sia abbastanza eloquente» sibilò lui, tentando di sopportare il dolore. Stava iniziando anche a montargli la nausea.

Sarebbe stato ancora più difficile andare a lavorare in questo modo, non aveva voglia di discutere con Lisbeth, però non sarebbe davvero potuto mancare. 

Non si sentiva poi così male, tanto valeva andare sinché era ancora in grado di farlo, se poi fosse peggiorato avrebbe pensato al da farsi.

«Stamattina mi riposerò, dato che i Darling non vengono» disse, alzandosi in piedi, «e quando sarà ora-»

L’attimo dopo era steso sul pavimento e gli stava esplodendo la testa. Sarah era in ginocchio piegata su di lui, e sentiva Lisbeth piangere a singhiozzi sul suo letto. 

«-tirmi? Harvey? Riesci a sentirmi? Rispondi!»

«Sì, sì…» sussurrò, si sentiva a un passo dal vomitare anche se non aveva mangiato. «Che è successo?»

«Ti sei alzato in piedi e un momento dopo ti sei accasciato a terra. Ci hai fatto prendere un colpo!»

«Quando è successo?»

«Non più di un minuto fa. Vado a chiamare qualcuno.»

«No! È pericoloso portare qualcuno qua dentro. Dovreste uscire anche voi. Non riesco a-»

La fitta alla testa aumentò e non concluse la frase, deformando il volto in una smorfia di dolore.

«Aspetta, ti aiuto a rimetterti sul letto.»

Vide con la coda dell’occhio Lisbeth che si avvicinava e scosse la testa. Sarah si voltò appena in tempo.

«Lizzie, tesoro, è tutto a posto. È tutto a posto, capito? Non puoi avvicinarti ora, ma non è successo niente» le disse, cercando di calmarla. 

«Non di nuovo» continuava a ripetere, cercando di arrivare al fratello. «Non di nuovo, non di nuovo, non di nuovo.»

Ogni volta che apriva bocca era come se la gola fosse trafitta da un milione di spilli, ma obbligò sé stesso a parlare.

«Ehi, Liz, vieni» sussurrò, più piano possibile per non farsi male. 

«Sicuro?» chiese Sarah. «Forse sarebbe meglio-»

«Solo un po’, non molto. Qualche passo, ecco, così» disse, mentre la bambina si asciugava le lacrime e il naso con la manica.

Quando fu abbastanza vicina allungò la mano e le accarezzò i capelli. Come la toccò sembrò calmarsi, e anche Sarah le posò una mano sulla spalla.

«Facciamo una cosa, ti va? Così nessuno va da nessuna parte. Ora mi metto sul letto e…» restò senza fiato per un attimo e prese una boccata d’aria. «Ora mi metto sul letto, e tu e Sarah spostate il tavolo, così potete mettere il vostro letto dall’altro lato, vedi? Lasciando il tavolo al centro. Saremo abbastanza lontani e non dovrete andare via di casa. Io me ne starò nel mio angolo.»

«Ma poi… poi lo rispostiamo, vero? Torniamo vicini.»

«Certo. Non appena starò meglio lo sposterò io stesso. È solo un brutto raffreddore, tutto qui.»

«Avanti, ti aiuto a sollevarti, va bene?»

Harvey annuì, e se ne pentì subito. Aggiunse capogiro alla già lunga lista di sintomi.

Sarah gli afferrò entrambe le mani e tirò più forte che poteva, e anche lui raccolse ogni forza che gli era rimasta per alzarsi in piedi.

Barcollò per qualche istante, poi cadde di nuovo sul letto.

«Bene, missione compiuta!» commentò, a bassa voce. 

«Non parlare, si vede che ti fa male. Vuoi un bicchiere d’acqua?»

Fece segno di no con la testa, e la nausea salì alle stelle. Si sporse dal letto perché aveva appena avuto un conato improvviso. 

«Che schifo…» mormorò Lisbeth, arricciando il naso. 

«Fermo, pulisco io» intervenne Sarah. 

«Sì, così ti ammali anche tu. Grande idea. Dammi uno straccio, avanti.»

«Non sei in condizioni di-» 

«Hai sentito cosa ho detto? Vorrei uno straccio per pulire, non scenderò dal letto. Devo solo chinarmi.»

Sarah sbuffò, ma si alzò e si mise a rovistare nella cassapanca. «Parola mia, non lo so perché ti do retta.»

«Perché sono più grande e più saggio di te» mormorò. «Dio, si gela qua dentro.»

«Mettiti sotto le coperte, faccio io.»

«No! Ho detto che faccio io e lo farò!»

Harvey sistemò alla bell’e meglio e poi si infilò sotto le coperte, ma aveva ancora freddo. Sarah e Lisbeth disfarono il loro letto e gli diedero anche le loro, e la situazione un po’ migliorò. 

Le ragazze spostarono il tavolo e cambiarono l’ordine dei mobili, mettendo quanto più spazio possibile tra i loro letti, con il tavolo e la cassapanca al centro. Il matrimoniale era vicino  alla porta d’ingresso, il letto di Harvey addossato sotto alla stretta feritoia che era l’unica finestra. 

Lesse un po’ al mattino e riuscì a stare sveglio, ma a pranzo non mangiò e bevve nulla. Il freddo continuò ad aumentare.

Del pomeriggio non ricordava nulla, solo il dolore.

La sua consapevolezza di ciò che gli stava intorno andava e veniva. Sentiva ogni tanto una mano che gli controllava la temperatura, e Lisbeth e Sarah parlottare a bassa voce per non dargli fastidio.

Di andare al lavoro non se ne sarebbe potuto parlare proprio, ormai era più che chiaro. 

Sarah andò a comprare un po’ di provviste con alcuni dei soldi che avevano messo da parte nelle settimane precedenti, di modo che il giorno successivo potessero restare tutti e tre a casa. Provò a controllare se bastassero per il medico, ma quello era di molto fuori dalla loro portata.

Alla sera, iniziò a stare male sul serio. Si sentiva mancare il respiro e non aveva le forze di parlare. 

Era un dolore continuo e pulsante, che gli schiacciava la gola e azzerava tutti i sensi. Si accorse di aver iniziato a lacrimare perché Sarah gli stava asciugando le guance.

Oscillava da uno stato di veglia a uno di sonno in continuazione – o forse erano semplici perdite di conoscenza – sinché un rumore assordante non gli esplose in testa come un colpo di pistola.

Qualcuno aveva appena bussato alla porta con veemenza. Harvey sobbalzò, il rumore forte gli aveva trapassato il cranio come una lama rovente.

«Ma chi è a quest’ora?» chiese Sarah, che stava cercando di cucire seduta sul letto, alla luce di una candela. «Vado a mandarli via.»

Harvey sentì il suono della porta che si apriva, ma non riuscì ad aprire gli occhi per capire chi era.

La risposta arrivò da sola prima che potesse formulare la domanda.

«Dimmi che è qui, ti prego.» La voce era così tesa che non capì subito di chi si trattasse, ma quando sentì un sospiro di sollievo e un «Oh, grazie a Dio» lo riconobbe.

Alexander non parve essersi accorto di essere suonato tanto stravolto, e per la prima volta da quando lo conosceva non sembrava avere il controllo della situazione o la minima intenzione di curarsi delle buone maniere.

«Milord, che diavolo ci fate voi qui?»

«Cos’ha che non va?» chiese, filtrando la domanda come se non l’avesse proprio sentita.

«Sta male» disse Sarah, piano. «Non parlate troppo forte, Lizzie sta dormendo.»

Harvey tentò di voltare la testa di lato ma non ci riuscì. Fece una smorfia di disappunto. Aprì gli occhi ma li richiuse subito, perché la stanza aveva ricominciato a girare.

«Ehi, ehi, tranquillo» disse la voce di Sarah, «è solo Lord Woods, non agitarti.»

Harvey avrebbe voluto tanto dirle che lo sapeva benissimo ed era per questo che si stava agitando, ma non poteva e se avesse potuto non l’avrebbe fatto comunque.

«Come mai siete venuto?»

«Sono andato a prenderlo al bar e il padrone mi ha detto che non si era presentato oggi, senza preavviso. L’ho trovato strano, ho pensato che gli fosse accaduto qualcosa sulla via per andare al lavoro e ho percorso la strada a ritroso pregando di non trovarlo buttato in qualche vicolo dopo un’aggressione. Sono arrivato qui senza trovarlo, stava per venirmi un colpo» disse, con la voce che tremava. «Cos’è successo?» 

«Stamattina quando si è svegliato stava già poco bene. A un certo punto è svenuto, è crollato a terra e… è rimasto semi cosciente tutto il pomeriggio e da stasera ha smesso di rispondere. Io non…» Sarah abbassò la voce. «I nostri genitori sono morti così, per una febbre. Io non credo che…» le si spezzò la voce per un istante e la sentì trattenere un singhiozzo. «Non sopporterei che anche lui…»

«Cos’ha? Che ha detto il medico?» chiese Alexander, in un tentativo di riprendere il controllo, la voce fredda in modo glaciale.

«Il... medico?»

Harvey sentì una mano che gli toccava la fronte. Era fredda, e la sensazione piacevole lo tranquillizzò. 

«Dio, come scotta» sussurrò Alexander, poi si riscosse. «Certo, il medico! Quello che l’ha visitato! Avrete chiamato un medico, spero!»

«Noi l’abbiamo fatto chiamare, ma non è venuto.»

«Non è venuto? Come sarebbe a dire?» chiese, a volume di voce un po’ troppo alto. «Non può semplicemente non venire! È il medico, per l’amor del cielo!»

«Shhh, abbassate la voce!» lo sgridò Sarah. Harvey udì Lizzie rigirarsi nel letto. «Non è venuto perché non possiamo pagarlo. Quello che abbiamo dobbiamo usarlo per mangiare. Anzi, se non fosse stato per voi e i lavoretti degli ultimi tempi, con Harvey in queste condizioni non avremmo potuto fare neanche questo, figuriamoci pensare al medico...»

Sentì un sospiro e qualche parola tra i denti che suonava come un’imprecazione. Alexander non aveva mai imprecato prima. 

«Aspettate qui, torno subito.»

La mano lasciò la sua fronte e Harvey sbuffò per protesta. 

«Tornerò in un attimo» sentì, in tono più morbido di poco prima. 

Si sforzò di aprire gli occhi almeno un istante. La stanza fece qualche giravolta e si fermò. Cercò di offrire il miglior sorriso rassicurante in repertorio, ma non era sicuro che si notasse alcunché. 

Sarah gli si avvicinò e gli accarezzò la guancia. «Sei sveglio. Come stai?»

Harvey alzò le spalle. 

«Non riesci ancora a parlare?»

Fece segno di no con la testa. 

«Vado e torno» disse Alexander, che non si era ancora neanche tolto cappello e soprabito e sembrava davvero sconvolto. «Voi non moritemi così a tradimento, mi raccomando. Un po’ di forza d’animo!» disse sorridendo, tentando di smorzare la tensione.

Funzionò, almeno un pochino, e Harvey sorrise di nuovo.

«Prendete le chiavi» gli disse Sarah, «così non dovrete bussare un’altra volta.»

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