III.3 Quello che fanno gli amici

Hyde Park era gremito di persone, sembrava un altro mondo rispetto alle tristi vie di periferia da cui erano appena fuggiti. Era pieno di signori distinti che stringevano mani e fumavano sigari costosi, di signore con i loro vestiti alla moda e ombrellini abbinati, tutti si conoscevano e riconoscevano, sembrava una serata mondana più che un giorno al parco.

Se non fosse stato per il sole, i prati verdi abbaglianti, le panchine in ferro battuto e il lago su cui i cigni e le oche scivolavano fieri seguendo la corrente, la scena davanti ai suoi occhi sarebbe stata del tutto assimilabile a una festa elegante.

Sarah era vicina a uno dei laghetti, seduta sull'erba a osservare i cigni che sfilavano sul pelo dell'acqua.

Con il vestito rammendato di sua madre e l'ombrellino da signora anche lei a un occhio poco attento poteva sembrare una ragazza normale.

Harvey sorrise a guardarla. Gelosia o meno, era tutto quello che si meritava e tutto quello che avrebbe voluto darle.

Forse il corteggiamento, per quanto fastidioso, non avrebbe portato solo del male. Forse se si fossero sposati e sua sorella fosse diventata una lady sarebbe stata una svolta in meglio per la sua famiglia.

Sempre meglio Sarah di qualunque altra signorina in circolazione.

E comunque, se anche non avesse continuato a fare la corte a sua sorella, Harvey non avrebbe potuto sperare in nulla in ogni caso. Tanto valeva migliorare un po' le loro condizioni di vita.

George scese dalla sua postazione, afferrò Lisbeth per i fianchi e sollevandola la posò su uno dei due cavalli.

Lei gridò e il cavallo sbuffò seccato, ma non parve troppo turbato dalla presenza della bambina. L'animale appariva un po' come il cocchiere, affettato, professionale e imperturbabile.

«Beh? Soddisfatta?» chiese Harvey a braccia incrociate, guardandola divertito.

Lei abbracciò il cavallo per il collo. «Non scenderò mai più. Diventerò l'amazzone più famosa del paese! La regina mi chiamerà a sfilare a Buckingham Palace e tutti mi tireranno i fiori.»

«Mi sembra un ottimo piano. Ricordati di tuo fratello quando sarai ricca e famosa, però. Dovrai farmi un regalino ogni tanto.»

Lisbeth alzò le spalle. «Dipende da quanto farai il bravo!»

«Ah, è così? Guarda che chiedo a George di farti scendere!»

«Non ti credo!»

«Mettimi alla prova.»

La minaccia sembrò funzionare, perché la bambina sorrise, angelica. «Certo che ti farò dei regali. Io ti coprirò di regali, infatti.»

«Ah, ecco» rispose Harvey con un ghigno. «Ora cominciamo a ragionare.»

Vide con la coda dell'occhio che Alexander si avvicinava a un venditore lungo il sentiero e faceva cenno a Sarah di seguirlo.

Harvey deglutì.

Meglio lei che un'altra, lo sapeva, o almeno cercava di autoconvincersi che fosse così.

Dopo aver accettato con sé stesso di essere innamorato di brutto le cose erano andate meglio, in un certo senso. Non doveva reprimere certi pensieri e poteva almeno sfogarsi tra sé e sé, lamentandosi a mente delle sue sfortune.

Il lato negativo era che, ora che si era dato il permesso di pensarci, la sua voce interiore non parlava d'altro da settimane, il che era una bella seccatura.

Dopo che Harvey decise che Lisbeth aveva seccato George a sufficienza, che si furono rincorsi sul prato per almeno dieci minuti - al termine dei quali si era lasciato prendere, perché la sua regola era che Lizzie alla fine doveva vincere sempre - e che ebbero fatto il giro del lago, si avvicinarono a Sarah.

«Che accidenti stai facendo?» chiese, ansimando per la corsa.

«Lord Woods mi ha comprato del pane per dare da mangiare ai cigni, non vedi?» rispose, strappando un pezzo di mollica e buttandolo in acqua con un sorriso soddisfatto.

«Posso averne un pezzo? Ho un po' di fame» chiese Lisbeth, mentre osservava due uccelli spartirsi a beccate una briciola rimasta.

«Non puoi mangiare quel pane, Lizzie» disse Harvey. «È vecchio e duro, va bene per gli animali, non per le persone.»

«A me sembra proprio come quello che abbiamo a casa» commentò la bambina.

«Abbassa la voce, per l'amor del cielo! Non puoi dire queste cose in pubblico!» sibilò Sarah, brusca.

«Perché? È vero!»

«Dio, mi farai morire di vergogna...»

«La smetti di fare così?» sbuffò Lizzie.

«Guarda che io non ho fatto niente.»

«Stai facendo la dama dei miei stivali. Solo perché ora hai un ombrello non significa che sei una signora.»

«Come ti permetti, piccola insolente?»

«Basta, adesso» intervenne Harvey, «non parlare così a tua sorella, Liz.»

«E tu smettila di fare finta di essere papà. Sei più bravo a fare il fratello che il padre.»

Fu come se gli avesse dato uno schiaffo. «Io non faccio... io non faccio finta di...»

«Si può sapere che ti prende oggi?» chiese Sarah.

«Niente! Si può sapere cosa prende a voi due, invece?» protestò la bambina. «Non è colpa mia se fate gli strani!»

Sarah però non perse altro tempo con lei. «Harvey? Stai bene?»

Harvey non stava bene. Sapeva che alla morte dei suoi genitori si era sentito responsabile, che magari aveva assunto un ruolo di guida in famiglia quasi senza volerlo per senso del dovere; sapeva che essendo il maggiore poteva avere la tendenza a fare un po' l'autoritario a volte, forse senza averne il diritto, ma non aveva mai voluto sostituirsi a nessuno.

Non aveva mai cercato di fare il padre.

Sospirò e si pizzicò la base del naso con la mano per non sbottare. «Meglio che prenda un po' d'aria. E non provate a seguirmi! Nessuna di voi!»

«Hai visto? Ci è rimasto male!»

«Guarda che è colpa tua!»

Le sentì discutere mentre si allontanava, e fece l'unica cosa che gli venne in mente per stare meglio. Si lasciò cadere con un profondo sospiro sulla panchina accanto all'amico.

Alexander sembrò non essersene accorto. Muoveva le mani veloce sul foglio, aveva le labbra strette in un'espressione concentrata e la stessa luce negli occhi di quando suonava il piano.

«Salve» disse, sporgendosi per sbirciare il contenuto del disegno.

Sentendo la sua voce lui sobbalzò e trattenendo a stento quello che sembrava essere il principio di un urlo si strinse il foglio al petto, nascondendolo alla vista. «Signor Connor!» esclamò, in affanno. «Mi avete fatto prendere un colpo! Non ci si avvicina così a tradimento!»

«Scusate. Mi sembravate occupato, non volevo disturbare. Che disegnavate di bello?»

«Non l'avete visto?»

«Beh, mi sono appena seduto.»

«Disegnavo il lago» rispose allora, di fretta. «La natura è uno dei soggetti migliori.»

«Posso vederlo?»

«No!» esclamò, per poi aggiungere «scusate, non sta venendo come vorrei. Mi metterebbe in imbarazzo.»

«Sarà. A me sembra che i vostri disegni siano tutti belli» commentò Harvey.

«Questo perché vi mostro solo quelli che mi riescono» liquidò, piegando il foglio a metà e infilandoselo in tasca con cura. «Ma piuttosto ditemi, perché non mi sembrate affatto rilassato?»

«Perché non lo sono» sbuffò lui. «Voi mi trovate paternalista? O prepotente?»

«Cosa?» chiese, in tono oltraggiato. «Ma come vi viene in mente? Certo che no!»

«È per una cosa che ha detto mia sorella... lasciate stare, non è importante.»

«Ho capito, ho sentito abbastanza. Alzatevi, per favore.»

«Perché?»

«Voi alzatevi e basta. Forza!»

Harvey lo guardò perplesso ma obbedì, perché come sempre era impossibilitato a dirgli di no.

Anche Alexander si alzò, e afferrandolo per un braccio lo spostò di qualche passo. Indicò in basso e disse «Giù, avanti.»

«Volete che mi sieda sull'erba?»

«Voglio che vi sdraiate sull'erba, per l'esattezza.»

«E perché mai?»

«Perché siete stanco e di malumore e io non intendo permetterlo un secondo di più.»

Harvey aggrottò la fronte. Il malumore non era qualcosa a cui si poteva ordinare di andar via.

«Non sono sicuro che funzioni proprio così.»

«Voi sdraiatevi, poi vediamo.»

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e si sedette sull'erba umida. Guardò in alto e l'altro gli fece cenno di continuare. Sospirò e si sdraiò.

Alexander si sfilò il soprabito - uno da giorno, che come Harvey aveva imparato era più leggero di uno da sera - e lo stese sull'erba accanto a lui. Ci si sedette sopra e posò guanti, tuba e bastone alla sua sinistra.

«Chiudete gli occhi, avanti. Provate a riposare. Se si avvicineranno le vostre sorelle dirò loro che non è aria.»

«E voi che farete? Vi annoierete a morte!»

«Io? Contemplerò la caducità dell'esistenza umana in silenzio.»

A quelle parole Harvey scoppiò a ridere. Chiuse gli occhi e alzò le braccia in modo da posare la testa sulle sue mani intrecciate. «È questo che fate quando non parlate in continuazione? Contemplate la caducità dell'esistenza umana?»

«Perché questa ha tutta l'aria di una presa in giro?»

Il sorriso di Harvey si allargò. «Perché lo è. Scusate, è che siete un tale personaggio a volte, signor Woods. In senso buono, certo.»

«Ma che gran complimento» commentò lui sarcastico. «Grazie davvero, voi sì che siete un vero amico.»

«Guardate che è un complimento» disse Harvey, stiracchiandosi lungo disteso. Iniziò a sentire un certo torpore, forse sdraiarsi era davvero stata una buona idea.

«Ma certo, è logico. Chi non ama essere definito un tale personaggio

«Che permaloso che siete» commentò in tono scherzoso. «Come se non vi ricoprissi di complimenti in ogni caso...»

«Questo devo riconoscervelo» disse, e Harvey sentì il suo sorrisetto soddisfatto anche se non poteva vederlo.

«Ci mancherebbe, solo uno sciocco lo negherebbe, e voi non lo siete» mormorò, con un mezzo sbadiglio. «Credo che proverò a riposare per qualche minuto.»

«Idea grandiosa. Ora, se volete scusarmi, torno alla mia contemplazione.»

Harvey rise un'altra volta, a occhi chiusi. Sentire il sole sulla pelle era piacevole, e l'erba del prato più soffice di quanto si fosse aspettato. Si sentiva già meglio di qualche minuto prima.

Del resto, se c'era una persona al mondo in grado di ordinare al malumore di trovarsi qualcosa di meglio da fare, era proprio Alexander. Lui avrebbe potuto ordinare qualsiasi cosa a chiunque.

Si allungò sul prato come un gatto e sospirò cercando di rilassarsi. I suoni intorno a lui, dalle scarpe dei visitatori sulla ghiaia al parlottare dei passanti che passeggiavano tranquilli, sfumarono uno dopo l'altro e non si accorse neanche di essere scivolato nel sonno.

Quando aprì gli occhi, era solo. Si guardò intorno spaesato, e notò che Sarah, Lisbeth e Alexander parlavano a bassa voce qualche metro più in là.

Si stropicciò gli occhi con le mani e si alzò, un po' intontito. «Ma che è successo?» domandò avvicinandosi.

«Alla buon'ora!» disse Sarah, che sembrava più distesa rispetto all'ultima volta che l'aveva vista.

«Ti sei addormentato, ecco che è successo!» disse Lisbeth. «Scusami per prima. Non volevo offenderti. Sei arrabbiato?»

«No. Non fa niente. Anche io sono stato un po' brusco, è colpa mia.» Si grattò la testa cercando di riprendersi. Notò che il sole sembrava più basso di poco prima, e il cielo era più nuvoloso. «Ma che ore sono? Quanto ho dormito?»

Alexander alzò gli occhi al cielo. Si sfilò l'orologio dalla tasca e lesse l'ora. «Sono le quattro.»

«Le quattro? Ma vorrebbe dire-»

«Che avete dormito più di un'ora e mezza. Ne avevate bisogno, a quanto pare» disse, rimettendosi l'orologio in tasca con un sospiro.

Prima che chiunque potesse aggiungere altro, un fulmine squarciò il cielo. Lisbeth urlò.

«Credo che la nostra giornata di sole sia giunta al termine» commentò Harvey.

L'attimo dopo iniziò a piovere.

«Oh, cielo» sospirò Alexander, aprendo la mano e osservando le gocce cadergli sul palmo. «Sarà meglio andare.»

Sarah tirò Lisbeth a sé per tenerla sotto il suo piccolo ombrello da sole che iniziava già a infradiciarsi.

Cadde un altro fulmine e stavolta portò con sé un tuono. La terra tremò.

Pioveva sempre più forte e tutti intorno a loro iniziarono a scappare in ogni direzione, a ripararsi sotto gli alberi o rifugiarsi nelle carrozze. Tenendo l'ombrello con una mano e la sorella stretta a sé con l'altra Sarah iniziò a camminare a passo svelto verso il veicolo.

Alexander si girò verso Harvey e ghignò. «Se arrivo prima vi chiudo fuori» disse, poi iniziò a correre.

Harvey ci mise qualche secondo per capire cos'era successo, ma un attimo dopo si riscosse e partì all'inseguimento. «Questo è molto scorretto!» gli gridò dietro, «e per nulla da gentiluomini!»

«In guerra e in amore tutto è lecito» gridò lui di rimando.

Se Harvey non avesse saputo che era impossibile avrebbe pensato che l'aveva detto apposta.

Comunque fosse, quella frase non fu abbastanza per rallentarlo.

Era sempre stato un tipo veloce, e gli era sempre piaciuto correre. Con qualche salto passò in testa e superò Sarah e Lisbeth, che non avevano nessuna intenzione di iniziare a correre proprio in quel momento.

Saltò dentro la carrozza e si serrò dentro.

«Ehi!» esclamò Alexander, ormai fradicio, battendo sullo sportello. «Aprite la porta!»

«Non credo proprio» disse Harvey sorridendo. «Così imparate a fare il disonesto!»

«Ci sono anche le vostre sorelle! Non vorrete farle ammalare!»

Sarah e Lisbeth erano quasi arrivate, entrambe con uno sguardo rassegnato.

«Le mie sorelle sono sotto l'ombrello e stanno benissimo!»

«Questa è la mia carrozza! Non potete tenermi fuori!»

«Parola d'ordine?» chiese, allargando il sorriso.

«Andiamo, Harvey, apri lo sportello!» pregò Sarah rassegnata, giunta a destinazione.

«Sbagliata!»

«Per favore...?» tentò Lisbeth.

«Sbagliata ancora!»

«Non saprei...» mormorò Alexander. «Rigoletto?»

«Questa parola ve la siete inventata!» lo accusò Sarah.

«Ma come! Il Rigoletto! È un'opera molto famosa, è-»

«Va bene va bene, basta, entrate» li interruppe Harvey, ancora ridendo.

«Era Rigoletto vero? Ho indovinato» disse Alexander fiero, aspettando che le ragazze salissero in carrozza per farlo anche lui. «Io sono bravo a indovinare le cose.»

«No. Non c'era nessuna parola d'ordine, vi stavo solo torturando un po'.»

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. «Se mi verrà un malanno sarete voi a sopportarmi, vi avviso, perché sarà tutta colpa vostra!»

«Ma se avete anche l'impermeabile! Vedetela così, per oggi vi siete già lavato i capelli.»

«Per vostra informazione» borbottò, cercando di allisciare i capelli biondi che iniziavano a rizzarglisi sulla testa, «oggi me li ero già lavati, i capelli. E ora dovrò farlo di nuovo.»

Sentendo il tono offeso Harvey lo guardò temendo di aver esagerato. Capì subito che non c'era niente di cui preoccuparsi, sembrava sul punto di scoppiare in una risata, gli ricordò il primo giorno in cui l'aveva visto, quando aveva rubato la bottiglia e avevano passato la serata a ridere sino alle lacrime.

«A me sembrate solo due stupidi» commentò Lisbeth.

«Lizzie! Puoi dare a Harvey dello stupido, non al nostro ospite!» la sgridò Sarah.

«Oh, non preoccupatevi. So bene di essere uno stupido, non mi offendo quando me lo fanno notare.»

Harvey aveva sentito troppi commenti riguardo la sua intelligenza da parte di sua madre per lasciarlo passare. «Scherza. Lo sapete, vero? Non dice sul serio. Nessuno di noi qui vi crede uno stupido.»

Alexander lo guardò come se avesse capito quello che aveva cercato di fare. Harvey sperò che lo prendesse sul serio. Gli piaceva pensare che con loro si sentisse almeno un minimo più apprezzato.

Anche per questo cercava sempre di rimarcare i commenti positivi, e di fargli capire che scherzava se gli capitava di farne di negativi. Aveva sensazione che il ragazzo ne avesse un gran bisogno.

La carrozza partì e sentirono un altro tuono.

«Vi ho già detto che sono contento di avervi incontrato?» chiese Alexander.

«Sì, una volta. Proprio il giorno in cui è successo.»

«Beh, consideratelo sottoscritto.»

Harvey gli sorrise. «È questo che fanno gli amici, dico bene?»

Sole o pioggia che fosse, era tornato di buon umore.

Fu proprio questo il suo errore. Pensò che le cose si stessero mettendo sul binario giusto.

È quando inizi a pensare che tutto vada bene e abbassi la guardia che le cose cadono a pezzi.

Quella volta non fece eccezione.

Note autrice:
Promette male, eh?
Ma cosa potrebbe mai andare storto? Si accettano scommesse! Vi dò un piccolo indizio: si tratta di un problema comunissimo nelle storie di ambientazione vittoriana, un vero cliché dell'angst.
Comunque, Harvey e i suoi sogni poco casti stanno iniziando a sbarellare, la gelosia per Sarah non aiuta... quanto potrà durare questa situazione prima che qualcuno esploda?
Soprattutto, chi avrà ragione tra i due Connor? Sarah sostiene che Alexander pende dalle labbra di Harvey e fa di tutto per accontentarlo, Harvey sostiene che sia proprio il contrario. Secondo voi chi è il più sottone dei due?
A me sembrano entrambi abbastanza patetici con la loro sottoneria, lol, è una bella sfida.
Quel che è certo è che a me sembra tutto un poco oltre “quello che fanno gli amici”... vedremo.
E tenetevi pronti al prossimo capitolo!

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