III.2 Quello che fanno gli amici

Era il terzo sogno del genere quella settimana, e Harvey credeva seriamente di essere sul punto di impazzire.

«Succede che parli nel sonno, e che mi hai svegliata.»

L'euforia portata dal sogno iniziò a scemare e iniziò a salire il panico. «Che cosa... che ho... cosa ho detto? Sarah, che cosa ho detto?»

«Farfugliavi lamentele, hai detto che “l'ha capito”, ma che significa? Chi ha capito che cosa? Cosa stavi sognando, si può sapere?»

«Non mi ricordo» mentì, sentendo i suoi battiti che tornavano alla normalità. «Non ne ho... non ne ho la minima idea.»

«Ti sei messo nei guai al lavoro e non me l'hai detto? Sembri sconvolto.»

«Cosa?» esclamò, oltraggiato. «Certo che no!»

«Shhh! Parla più piano, o sveglierai Lizzie!»

Harvey sbuffò. «Ma che ore sono? Ormai non ha senso tornare a dormire, mi metto un po' a leggere» borbottò.

Se davvero aveva parlato nel sonno, non voleva rischiare di farlo di nuovo. Non sapeva ancora come, ma avrebbe dovuto smetterla di fare questi sogni. Sarebbe potuto scappare qualcosa di compromettente e allora sarebbe stata la fine.

Persino a casa sua, persino con Sarah. Non poteva fidarsi di nessuno.

«E io che diavolo ne so? Le campane non hanno ancora suonato e il sole non è sorto, non sono ancora le sei.»

Harvey si alzò e cercò l'acciarino a tentoni. Era ancora buio fuori, e la piccola casa era immersa nell'oscurità.

I due letti, il tavolo, gli sgabelli e la cassapanca erano tutti stipati tra loro, e quando gli occhi si abituarono al buio notò ancora una volta le condizioni misere in cui si trovavano.

Se solo avesse trovato un lavoro migliore forse avrebbe potuto aiutare di più. Negli ultimi tempi si sentiva come se avesse deluso i suoi genitori, come se non si impegnasse abbastanza per garantire alle sorelle una vita dignitosa.

Possedevano ancora qualche oggetto di valore, per la precisione uno a testa, che erano stati lasciati loro dai genitori in eredità. Harvey e Sarah avevano parlato di venderli per poter galleggiare un po' più a lungo, poi però non se l'erano sentita.

«Dovremmo rimediare un orologio» mormorò Sarah, mentre Harvey accendeva una candela mozzicata con il suo acciarino.

Posò il portacandele sul tavolo, afferrò il Barbiere di Siviglia e si sedette su uno degli sgabelli.

«Ma certo. E chi lo paga? Tu?» rispose, asciutto.

La luce della candela era flebile e tremolante, ma sufficiente per poter seguire le righe sulla pagina.

«Perché non te lo fai comprare al tuo amico? Se gli chiedessi di comprarti la luna risponderebbe “Subito, signor Connor! Vi basta la Luna o volete anche Saturno? O magari Giove?”»

«Non dire scemenze» sibilò, irritato. «Perché non glielo chiedi tu, invece? Sono sicuro che sarebbe molto più contento.»

«Ma di che accidenti parli?»

«Non fare finta di essere stupida. Ti copre sempre di fiori e regali.»

«E a Lizzie compra sempre le caramelle. Vogliamo farlo chiedere a lei?» domandò divertita. «La verità è che ti si volatilizza accanto a ogni schiocco di dita. Dico solo che potresti almeno sfruttarlo un po'. Per una persona al mondo che ti trova simpatico...»

«Ah ah ah. Sei davvero esilarante. Dovresti fare teatro.»

«Se io avessi un'amica lady che pende dalle mie labbra mi sarei già fatta comprare una montagna di vestiti!»

«Lui non pende dalle mie labbra!»

«Ma per favore, Harvey. Ora chi è che finge di essere stupido?»

Lui alzò gli occhi al cielo. «Basta ora, torna a dormire, è ancora presto. Poi se non dormi abbastanza non riesco a sopportarti.»

«Beato, io non ti sopporto neanche quando dormi benissimo.»

«Buona notte, Sarah» rispose lui brusco, per chiudere il discorso.

«Buona notte a te» disse lei seccata, infilandosi di nuovo sotto le coperte.

Harvey controllò che avesse gli occhi chiusi e si fosse messa a dormire sul serio e poi guardò verso il soprabito con aria malinconica. L’odore di colonia era sbiadito sino a svanire, era stato così bello sinché era durato...

Chiuse gli occhi e lo vide di nuovo lì davanti a lui, come nel suo sogno.

Mi sono stancato di aspettare. A volte siete così ottuso...

Fallo. So che lo vuoi, ti prego, fallo.

Quel giorno avrebbero dovuto incontrarlo nel primo pomeriggio. Quella settimana aveva smesso di piovere ed era uscito il sole, così la notte precedente, riportandolo a casa, gli aveva detto che il giorno seguente li avrebbe portati tutti e tre a Hyde Park per un pomeriggio di svago.

Gliel'aveva proposto come Alexander proponeva sempre ogni cosa, presentando il programma come un fatto compiuto. Si trattava più di una comunicazione che di una proposta, a ben pensarci.

“Domani ce ne andiamo tutti a Hyde Park. Vi farà bene, mio caro, ultimamente vi vedo un po' sciupato. Preparate le signorine e mi raccomando, alle due fatevi trovare fuori dalla porta.”

Harvey sapeva di essere fregato, alla frutta, del tutto partito. Sapeva che la cosa stava diventando troppo ovvia e forse un po' patetica, ma non poteva farci nulla. Alexander comandava e lui eseguiva, senza domande o ripensamenti.

E sì, in effetti era Alexander ad andare a prenderlo ogni giorno al lavoro, non importava cosa avesse da fare; e sì, quando Harvey menzionava di essere stretto coi soldi faceva apparire dal nulla un lavoro da sbrigare a casa sua per qualche sterlina; e sì, qualche giorno prima Harvey gli aveva accennato a quanto fosse contento che il sole fosse spuntato di nuovo e Alexander aveva proposto di portare la sua famiglia al parco, ma dei due quello che avrebbe seguito l'altro in capo al mondo era lui, e ciò che diceva Sarah non aveva alcun fondamento.

Del resto, quel che faceva Alexander non era né più né meno di quello che ogni amico avrebbe fatto. Harvey non aveva mai avuto amici, ma sapeva che il loro compito era quello di aiutarsi a vicenda. Tutti gli amici si comportavano così.

Quando alle due videro spuntare la carrozza - puntuale come sempre perché, a sentire Alexander, essere puntuali era una caratteristica fondamentale per essere un vero gentiluomo - Lisbeth spalancò gli occhi estasiata.

«Davvero possiamo salire là sopra?» chiese, lei che a una carrozza non si era neanche mai avvicinata.

«Certo che sì» rispose Alexander, che proprio in quel momento stava aprendo lo sportello e sorrideva soddisfatto. «E quando saremo al parco, se vostro fratello acconsente, potrete anche salire su uno dei cavalli.»

Lo sguardo di lei si illuminò. «Harvey?»

Il ragazzo si mordicchiò il labbro, pensieroso. «Non so, è sicuro?»

«Sicurissimo. Io ho iniziato a cavalcare che ero più giovane. E se ci siamo noi nei paraggi è impossibile che si faccia male.»

«Ti prego, Harvey, ti prego, ti prego, ti prego!»

Lui sospirò, ma poi le sorrise incoraggiante. «Ma sì dai, si può fare!»

La bambina esultò a gran voce e si arrampicò su nella carrozza. Sarah la seguì.

«Buongiorno a tutti!» esclamò Alexander, e come sempre si tolse il cappello e sfiorò con le labbra il dorso della mano di Sarah in segno di saluto. A quanto pareva, anche essere galanti con le signorine era un prerequisito per i veri gentiluomini.

La ragazza gli sorrise imbarazzata e Harvey, come ogni volta, pensò che piuttosto che vederli civettare avrebbe dato fuoco a tutta la carrozza con sé stesso ancora dentro.

Prima che chiunque potesse esprimere alcuna preferenza si infilò dentro anche lui e gli si sedette accanto.

Errore madornale. A quella vicinanza, ricordi della notte appena passata lo infiammarono di nuovo.

So che lo vuoi. Ti prego, fallo.

Quanto maledetto caldo faceva, in quello spazio ristretto? Perché tutte a lui?

«Giornata deliziosa, non trovate? Speriamo che il tempo regga almeno sino al fine settimana...» disse Alexander, rompendo il silenzio.

«Era da un po' che non si vedeva un tempo così bello, in questo periodo dell’anno!» concordò Sarah sorridendo.

La futilità di quei discorsi rassicurò Harvey. Forse il suo amico portava a sua sorella dei fiori, forse pensava a lei abbastanza da disegnarla quando non erano insieme, ma le sue preoccupazioni e i suoi sogni erano ancora destinati a lui e lui soltanto.

Andava d'accordo con Sarah e Lisbeth, ma non si esponeva mai troppo quando erano tutti insieme, i suoi pensieri li teneva ancora per quando si trovava solo con Harvey.

Come a volergli rovinare la festa dopo questi pensieri, Alexander si sporse verso Sarah e le toccò un lembo del vestito. Harvey si irrigidì.

«Vediamo un po' cosa possiamo fare per voi oggi. È lilla, non è vero? In questo trabiccolo i colori non si vedono mai con attenzione.»

«Oh, cielo, non guardatelo così da vicino, vi prego! Non è un capo dignitoso per l'occasione, lo so, ma non avevo altro da mettermi!»

Era la verità. Nessuno dei tre aveva degli abiti adatti per passare una giornata al parco, e Sarah, che per una volta si era voluta sentire quasi normale, aveva tirato fuori un vecchio vestito della loro madre e l'aveva riparato e aggiustato al meglio.

Il risultato era abbastanza accettabile, ma di certo lontanissimo da ciò a cui Alexander era abituato.

«Suvvia, non siate così dura con voi stessa, siete incantevole oggi, dico sul serio» la rassicurò lui, e Harvey voltò la testa verso il finestrino e fece una smorfia. «Stavo solo controllando il colore.»

Si chinò e prese una busta da sotto il sedile, da cui spuntavano quelle che parevano aste di vari colori. Osservò pensieroso il suo contenuto e poi ne sfilò una, rivelandola finalmente per quello che era: un ombrellino da sole dal colore molto simile all'abito di Sarah.

«Immaginavo non ne aveste uno, così sono venuto preparato. Non si è mai vista del resto una signora per bene andare in giro senza l'ombrello. Sarebbe come uscire lasciando le scarpe a casa!»

In momenti bui della sua esistenza Harvey era davvero dovuto uscire senza scarpe per andare al lavoro, perciò la frase lo fece star male.

«Non dovevate, io-»

«No, no, no, no. Nessuna considerazione su ciò che dovrei o non dovrei fare oggi. Siamo in vacanza dopotutto, non ho ragione?»

Sarah gli offrì un sorrisino più convinto. «Se proprio insistete...»

Quando arrivarono a destinazione e la carrozza si fermò, Harvey per un istante ebbe quasi l'impressione di essere una persona normale.

Non un orfano senza un quattrino che non sorrideva mai e viveva per lavorare, solo un ragazzo per bene che aveva sfruttato un giorno di sole per portare la famiglia in carrozza al parco.

Lisbeth fu la prima a saltare giù, seguita a ruota da Sarah.

Harvey fece per scendere a sua volta, ma sentì che Alexander lo afferrava per il braccio.

Si voltò con aria interrogativa e vide che lo osservava con una certa intensità e anche... era forse irritazione?

«Che succede?»

«Tutto a posto?»

La serietà con cui aveva posto quella domanda lo impensierì. «Certo. Perché lo domandate?»

«Non so, avete l'aria più cupa del solito oggi, non avete detto ancora una parola da quando avete dato il permesso a Lisbeth per il cavallo. A essere precisi, non mi avete neanche salutato.»

Sembrava piuttosto offeso, e Harvey si sentì invadere dal senso di colpa. «Buongiorno, signor Woods. Scusate. Io... sono solo un po' stanco, immagino. Ho avuto un sonno piuttosto agitato.»

«Oh, mi dispiace molto. Scusate, volevo solo capire se steste bene, tutto qui. Come mai non avete dormito? Brutti sogni?»

Harvey si strinse nelle spalle. «In realtà tutt’altro, temo. Anzi, proprio il contrario, in effetti.»

«Non credo di capire.»

Era una delle cose che Harvey preferiva di lui. Alexander parlava tanto, era vero, ma quando Harvey aveva qualcosa da dirgli gli dedicava la massima attenzione e non smetteva di fare domande sinché non aveva capito che cosa intendeva.

Non dava mai l'idea di ascoltarlo solo per non essere maleducato.

Questo suo pregio, purtroppo, aveva anche dei lati negativi.

Per esempio, in quel momento voleva sapere con esattezza cosa lo turbasse, e Harvey certo non avrebbe potuto dirgli che a tenerlo sveglio era stata la voglia irresistibile di mettergli le mani addosso e farlo suo nelle posizioni più creative proprio nella carrozza su cui si trovavano.

«Non vi capita mai di desiderare tanto qualcosa che sapete di non poter avere? Di rigirarvi nel letto e consumarvi al pensiero di non poter essere mai del tutto felice?»

Alexander parve sopprimere una risata e distolse lo sguardo. La giornata era luminosa e i suoi occhi verdi più chiari del solito. Harvey li avrebbe guardati per ore.

«Oh, non avete idea di quante volte mi è capitato» disse a bassa voce. «Anche di recente.»

«Stanotte è stato così. Ho fatto un sogno stupendo, mi sono svegliato prima del sorgere del sole, ho realizzato che ciò che voglio non posso averlo e non sono più riuscito a dormire.»

«Mi dispiace. Magari un po' di sole vi tirerà su. O preferite che vi riaccompagni a casa? Possiamo fare come preferite.»

A quelle parole Harvey trattenne il fiato, e ricordò le parole di sua sorella.

Pende dalle tue labbra. Ti si materializza accanto a ogni schiocco di dita. Chi è che fa finta di essere stupido?

Ma no, Alexander era solo un ragazzo gentile. C'era sincera amicizia nelle sue parole, nulla di più.

«Oh, no, non date peso a queste mie lagne insopportabili, davvero. Ci faremo un giro e sono sicuro che sarò come nuovo.»

«Questo è lo spirito!» esclamò, offrendogli un sorriso incoraggiante. «Uscite ora, avanti. Non vorrete sprecare questa bella giornata!»

Harvey annuì e fece per scendere dalla carrozza, poi cambiò idea. Si voltò un'ultima volta e aggiunse, a bassa voce. «Grazie.»

«E di cosa?»

«Sapete di che parlo.»

Il ragazzo sorrise. «È questo che fanno gli amici, dico bene?»

A quelle parole Harvey saltò giù senza commentare. Quella parola, “amici”, lo rosicchiava dall'interno senza lasciargli modo di respirare.

«Harvey!» esclamò Lisbeth, correndo ad abbracciargli le gambe. «Harvey, hai promesso! Hai promesso!»

«Arrivo, arrivo! Sei davvero una peste...» borbottò, prendendola in braccio. A otto anni era già piuttosto alta e pesante, ma lui sarebbe sempre stato in grado di reggere la sorellina, lo sapeva. Anche quando avesse avuto ottant'anni e lei sessantotto, l'avrebbe presa in braccio senza fatica comunque.

Era Lizzie, ci sarebbe sempre stato posto tra le sue braccia per lei.

«George, questa bestiolina vorrebbe fare un giro su uno dei cavalli» disse in tono di scuse, andando verso il cocchiere ancora seduto al suo posto.

«Se milord è d'accordo...» rispose lui, lanciando ad Alexander una annoiatissima occhiata di sbieco.

A Harvey George era sempre piaciuto. Sembrava un tipo tranquillo, non lo vedeva mai preoccupato o arrabbiato. Si limitava a rispondere con educazione e guidare.

«Ha detto di sì!» esclamò Lisbeth. «Ha detto di sì, l'ho sentito io! Mi ha dato il permesso prima!»

«Confermo» disse Alexander, in tono distratto. Ora era uscito anche lui e si allisciava i vestiti. Era un'azione che compiva spesso perché, come amava dire, “i gentiluomini vestono sempre in ordine”. Harvey cominciava a pensare che essere un gentiluomo dovesse essere una gran faticaccia. «Mi allontano un po' a disegnare. Sinché non torno ascolta il signor Connor e rispondi pure a lui in mia vece. Se ti chiede di portarlo da qualche parte fallo, se ti chiede di far salire sua sorella su un cavallo fallo. La sua parola conta come la mia. Siamo intesi?»

Se George trovò oltraggioso il dover stare a sentire un poveraccio come quello al posto del suo capo non lo diede a vedere. «Perfetto, signore.»

«Bene. Torno tra poco» disse, e tirando fuori un bastone da passeggio dalla carrozza si avviò con calma verso una panchina del parco.

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