I.3 Il Principe e il Povero

Quando la bottiglia fu svuotata, Harvey si era dimenticato di qualsiasi cosa esistesse a un raggio di più di cinque metri da lui. Il suo lavoro, la festa, l'aggressione, le sue sorelle che lo aspettavano a casa, tutto era ridotto a una nube confusa negli angoli più remoti della sua mente, sostituito da materie ben più impellenti come un caldo insopportabile del tutto incompatibile con le condizioni atmosferiche, le guance in fiamme, il cuore che gli batteva nel petto più veloce che mai, il ragazzo che rideva a meno di un metro da lui e la sensazione inspiegabile di aver appena vinto una gara a cui neanche sapeva di aver partecipato.

Si asciugò le lacrime dalle risate per una frase che si era già dimenticato, quando lo sentirono.

«Alex! Maledetto idiota, dove sei?»

Harvey vide che Alexander alzava gli occhi al cielo e provò un irresistibile e improvviso impulso di prendere a botte chi gli aveva appena fatto passare il buon umore.

«Dove sei e dove è finito il mio soprabito? Tanto lo so che l'hai preso tu! Ricordami di non invitarti mai più a nessuna festa per nessun motivo al mondo!»

Sulle labbra del ragazzo tornò un sorriso di vittoria. 

«Si può sapere che ti salta in mente? E vieni fuori, ormai hanno smesso di cercarti! Cielo, stavo per morire dalla vergogna...»

«Fratelli maggiori» commentò Alexander con uno sbuffo. «Sono tutti uguali, dei tali noiosi...»

Dalla smorfia che Harvey non riuscì a controllare capì di aver detto qualcosa di sbagliato.

«Oh, cielo. Ho appena fatto una gaffe, non è vero?»

«Se può consolarvi, so bene di essere noioso.»

Si guardarono negli occhi per qualche secondo di silenzio, poi scoppiarono a ridere. 

Harvey sentì le ginocchia che gli cedevano e si dovette appoggiare a una colonna. Vide che anche Alexander si sorreggeva con la schiena posata al muro, la testa buttata all'indietro. 

Osservandogli la gola esposta mentre rideva sentì una spinta irrazionale al posarvi le labbra, si chiese che sapore potesse avere e cosa avrebbe provato se l'avesse fatto.

Non ebbe il tempo di elaborare quel pensiero improvviso e assurdo, perché attirato dalle risate apparve un altro ragazzo poco più grande di loro, che avrà avuto circa venticinque anni. 

Aveva una camicia leggera e un gilet, e tremava di freddo sfregandosi le braccia. 

Somigliava a suo fratello in modo impressionante, avevano lo stesso taglio degli occhi, dello stesso verde chiaro. La forma del viso era molto simile e la sua espressione corrucciata sembrava identica a quella di Alexander quando lui gli aveva detto di non voler entrare in casa. 

Erano anche diversi, però. Tanto per cominciare, Alexander aveva i capelli di un biondo sporco, quelli di suo fratello erano castani ramati. Il fratello era anche poco più alto, a occhio più grande d'età, e aveva la mandibola più squadrata.

«Eccoti, piccolo insolente. Sto congelando, perché mi hai rubato il soprabito? Ti sei scolato la bottiglia, figuriamoci... chi è questo tizio?»

«Questo tizio è Harvey Connor. L'ho incontrato circa un'ora fa, un ladro mi ha aggredito e ha tentato di accoltellarmi, e lui l'ha impedito. Per questo ho rubato la bottiglia e il soprabito. Mi ha chiesto di non entrare in casa e volevo fargli un po' di compagnia.»

«Ma certo» disse, freddo. Spostò il suo sguardo su Harvey. «Che è successo? Sul serio questa volta.»

«È vero, signore. Il signor Woods era stato aggredito e sono intervenuto. Abbiamo tramortito il ladro, ma il mio cappotto si è strappato e vostro fratello si è offerto di accompagnarmi a casa.»

«Davvero? Sei stato derubato? Cosa si sono portati via?»

Harvey aggrottò la fronte. Se Sarah o Lisbeth gli avessero detto che erano state aggredite quella sarebbe stata l'ultima domanda a passargli per la mente.

«Sto benissimo, comunque, grazie per averlo chiesto» rispose infatti Alexander.

«Questo lo vedo da me» commentò lui, seccato

Alexander alzò gli occhi al cielo. Accanto al fratello sembrava ancora più giovane. «Non hanno preso nulla, grazie al signor Connor. Altrimenti avresti un fratello e un bel po' di sterline in meno.»

«Lord Hector Diomedes Woods, Conte di Dorset, molto obbligato» disse allora il ragazzo, che si abbracciava in maniera convulsa per scaldarsi. «Grazie mille per le sterline, mentre il fratello potevi anche lasciarglielo portare via. Scusami se non ti stringo la mano, ma penso che a breve morirò di ipotermia.»

«Scusate, è colpa mia» esclamò allora Harvey, iniziando a togliersi il soprabito. «Mettete questo!»

«Non credo proprio» lo interruppe Alexander, posandogli una mano sulla spalla per fermarlo. Si sfilò quello che aveva indosso e lo porse a Hector, allentando la cravatta e sbottonandosi persino i primi bottoni della camicia. «Qua fa un caldo pazzesco, comunque. Me lo sarei tolto in ogni caso.»

In effetti, a intravedere quel che si nascondeva sotto quella camicia sbottonata, anche Harvey avrebbe detto di sentire un caldo pazzesco.

«Ma quanto hai bevuto?» chiese Hector sospirando, mettendosi il soprabito e trascinando Alexander per il braccio verso il giardino. 

Il ragazzo barcollò. «Il tanto giusto.»

Harvey li seguì titubante. Quell'Hector Nonsocos’altro aveva detto cose che non gli erano piaciute affatto, ma non si sarebbe neanche sognato di contraddirlo in quel momento. Del resto, era lui che a quanto pareva l'avrebbe accompagnato a casa.

«Quando nostra madre lo verrà a sapere sarà furiosa, lo sai?»

«Ma lei non verrà mai a saperlo, perché sai che se glielo dirai darà la colpa a te. Io ti avevo detto di non voler venire, e sei stato tu a insistere. Sapevo che era una pessima idea.»

Alexander incespicò e Hector gli passò il braccio attorno ai fianchi in un gesto istintivo. Questo alzò un po' i punti a suo favore.

«Se mi verrà la febbre perché mi hai fatto girare fuori in camicia a cercarti me la pagherai, sai?»

«Poco male» rispose Alexander, alzando le spalle. «Ne sarà valsa la pena comunque. In realtà sono contento di essere venuto.»

«Tranquillo, sarà la prima e ultima volta. Hai vinto tu. Spero sarai contento...»

Harvey li guardava camminare battibeccando, uno appoggiato all'altro, e gli ricordarono un po' lui e la più grande delle sue sorelle, Sarah. Questo lo tranquillizzò.

Uscirono dal giardino sul marciapiede, il ladro svenuto se n'era andato. Harvey si sentì sollevato, non aveva più pensato a lui, ma la botta che aveva preso era stata piuttosto forte.

I due fratelli si avvicinarono a una carrozza e Hector svegliò il cocchiere addormentato. 

«Allora, signor Connor, dove siamo diretti?»

«Pottery Lane» rispose lui, abbassando lo sguardo. La sua zona non era famosa per essere perbene. «Sta a Notting Hill.»

«E sia» rispose lui, guardando verso il cocchiere che si stropicciava gli occhi dal sonno. «Sentito, George?»

«Sì, signore» rispose l'uomo, mostrando al nuovo arrivato un sorriso di cortesia. 

La carrozza era da quattro, abbastanza ridotta, dal tetto apribile che però al momento era chiuso sulle loro teste. Harvey, che era abbastanza alto, si accorse di sfiorarlo con la testa. 

Era stato solo tre volte su una carrozza prima d'allora, due con i suoi genitori e una su quella con la cassa che li aveva portati al cimitero.

Quella in cui sedeva in quel momento era più nuova e curata di tutte e tre, odorava di cuoio, di cavallo e della stessa colonia di cui era intriso il soprabito. 

Fu il primo a salire, seguito da Alexander che si sistemò di fronte a lui, e Hector che si mise al fianco del fratello.

«Arriveremo quanto prima» lo rassicurò Alexander non appena la carrozza partì. «George è molto veloce, e a quest'ora la strada è libera.»

«Allora, signor Connor» disse invece Hector, «che ci facevi in giro a quell'ora?»

«Ero al lavoro» rispose lui stringendosi nelle spalle, sperando che la conversazione finisse quasi subito. Non era mai stato un fan delle chiacchiere, anche se quella sera pareva essersene scordato per qualche ora. 

«Al lavoro? Così tardi? E stavi tornando a casa a piedi?»

Harvey non ebbe voglia di far notare che anche il loro cocchiere stava lavorando “così tardi” proprio in quel momento su loro precisa richiesta. 

«Già.»

«E lo fai tutti i giorni?»

«Nessuno escluso.»

«Ma è pericolosissimo! È un miracolo che non sia ancora successo nulla.»

«Non so, magari sono un tipo fortunato.»

«Fortunato?» Lo interruppe Alexander. «Secondo me nessuno si avvicina a voi perché fate troppa paura. Dovevi vedere come è saltato addosso a quel ladro, fratello. È stato davvero fantastico!»

Harvey sentì le guance scaldarsi. «In realtà ero nel panico, non sapevo neanche io che stavo facendo.»

«Comunque sono d'accordo con Hector. Non potete andare da Pottery Lane a Saint James tutti i giorni a quell'ora. Deve pur esserci un'alternativa!»

«Se ci fosse l'avrei già trovata, credetemi!»

Si accorsero di stare entrando a Notting Hill perché la carrozza iniziò a sussultare sulla strada dissestata. I due fratelli si scambiarono uno sguardo di leggero disagio, ma non dissero nulla. Harvey sarebbe voluto sprofondare.

Diede le indicazioni precise verso casa sua perché sapeva che non l'avrebbero lasciato in nessun posto se non davanti alla porta, e quando giunsero a destinazione e la carrozza si fermò lui sospirò.

«Io... non intendo trattenervi oltre. Grazie mille, scusatemi per avervi fatto venire sin qui»

«Non dirlo nemmeno per scherzo» disse Hector. «Grazie per avermelo riportato tutto intero, piuttosto.»

«È stato un piacere» mormorò, aprendo la porticina della carrozza e saltando giù. Le sue scarpe affondarono nel fango. Guardò verso Alexander e si interrogò sul cosa dire. Addio sembrava riduttivo.

Non ne ebbe modo, perché lui non fece una grinza e scese a sua volta. Harvey aggrottò la fronte confuso.

«Che diavolo fai?» gli urlò dietro Hector.

«Lo accompagno alla porta. Sono un gentiluomo, io» rispose, e senza aspettare repliche richiuse lo sportello. «Cinque minuti, George» disse al cocchiere, e iniziò a seguirlo verso casa.

La strada era quasi deserta, si poteva vedere solo qualche passante di ritorno dai bar che avevano appena chiuso e alcuni ragazzi che dormivano per strada in mezzo a sacchi di carbone e alle bottiglie spaccate. Le case non assomigliavano per niente alle villette del centro, erano piccoline e ammassate l'una sull'altra, più delle baracche che delle vere e proprie case. 

Harvey bussò alla porta e la ragazza che aprì aveva l'aria stravolta. «Harvey Connor!» urlò, spingendolo. Lui barcollò indietro, sorpreso. «Dov'eri finito? Io e Lizzie eravamo terrorizzate! Che cavolo ti è successo?»

«Sarah, io...»

«Puzzi di alcool. Ti sei messo a bere. Noi eravamo sul punto di uscire a cercarti e tu eri al bar a ubriacarti!»

«Scusami, è che-»

Stava per arrabattare qualche altra scusa, quando il ragazzo accanto a lui si schiarì la voce. 

«Permettetemi, signorina» disse, tendendole la mano. «Lord Alexander Ulysses Woods, tanto piacere.»

Sarah parve accorgersi in quel momento della presenza di un'altra persona. Lo guardò con diffidenza, poi la afferrò titubante.

Il ragazzo si chinò e le sfiorò appena il dorso della mano con le labbra. 

«Sarah Connor» disse lei, ancora poco convinta. Ritirò la mano e la strusciò sul vestito come se il solo fatto di averlo toccato l'avesse sporcata.

Harvey ebbe il terrore che fosse una tremenda mancanza di rispetto, ma Alexander al contrario parve soffocare un sorrisino a quel gesto. «Mi rincresce davvero, signorina Connor. Sono io la causa del ritardo di vostro fratello. Sono stato aggredito questa notte e lui mi ha soccorso, e in seguito ho insistito perché restasse con me, così che potessi accompagnarlo a casa in carrozza io stesso. Non intendevo arrecarvi disturbo, sono davvero desolato.»

Sarah alzò un sopracciglio, scettica. Aveva i capelli un po' ricci di Harvey e i suoi stessi occhi scuri e profondi, che avevano ereditato dalla madre. Portava un abito da casa bianco, semplice, e uno scialle variopinto sulle spalle per il freddo. «È vero?» chiese, rivolta al fratello.

«Giuro. È così che è andata.»

«Mh» rispose, e la sua smorfia incerta vacillò. «Va bene. Ma ora fai silenzio, o sveglierai Lizzie. Sì è appena addormentata, era molto preoccupata. Lo eravamo entrambe» disse, e poi si allontanò di nuovo dentro, senza una parola.

«Scusatela» disse Harvey, che ancora non era entrato in casa. «In genere è lei quella amichevole dei due.»

«Si è spaventata, non la biasimo» rispose lui, «nessuna offesa.»

«Bene» disse allora Harvey, facendo un passo in avanti e infilandosi nella porta spalancata. «Aspettate, ora vi rendo il soprabito.»

«Oh no, tenetelo. Sta molto meglio a voi che a me» disse, e Harvey si stupì di quanto sembrava serio nel pronunciare la più grossa scempiaggine nella storia del pianeta Terra.

«Siete sicuro?»

«Più sicuro di così si muore.»

Harvey pensò di protestare, ma qualcosa glielo impedì. Annuì. «Addio, allora.»

Fece per chiudere la porta, ma il ragazzo lo fermò un'altra volta. «Signor Connor?»

«Sì?» chiese, senza riuscire a muovere un muscolo, in attesa. 

«Siete vivo, vivissimo. Ve lo posso assicurare. Non c'è nulla che non vada in voi.»

«Grazie» disse lui, esitante. «Signor Woods?»

«Sì?»

«Voi non siete affatto stupido. E parlare con voi non mi stanca per niente.»

Alexander non rispose, ma gli rivolse il sorriso più genuino della nottata, un sorriso che portò Harvey ad appoggiarsi allo stipite della porta, perché da un momento all’altro aveva sentito le gambe molli.

Iniziò a pensare che la scusa dell'alcool, per giustificare il caldo che sentiva nello stomaco, stesse diventando sempre più ridicola. 

«Buona notte.»

«Buona notte a voi.»

A quelle parole la porta si chiuse, e tutto quello che rimase fu un soprabito grigio e un profumo.

Note autrice:
Cosa c’è di meglio per fare colpo che salvare la vita al ragazzo più bello di tutta Londra? Harvey sarà pure un po’ goffo ma di certo ci sa fare.
È convinto che non rivedrà mai più Alexander, noi sappiamo che non è così... ma come potranno incontrarsi di nuovo?
Lo scoprirete solo leggendo!

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