Capitolo 5
L'acqua sgorgò gelida dal lavello in acciaio inossidabile della piccola cucina spoglia nell'appartamento cupo di Bucky. Il moro imprecò a bassa voce con le mani gelate dal getto debole che scendeva dal rubinetto. La mano destra si limitò ad infreddolirsi, quella sinistra prese a bruciare nelle ferite più recenti ancora sanguinolente e sull'inizio di deboli infezioni.
Quel fine settimana parve assumere un'atmosfera più calma e quasi piacevole, invece che la solita routine cupa e triste che il silenzio di Bucky alimentava. Come nei film, in cui in una scena breve e monotona il sottofondo musicale basso intona una melodia carina da ascoltare; James indossava un t-shirt di almeno due taglie più grandi, straordinariamente a maniche corte. In casa azzardava qualche volta a liberarsi delle sue enormi felpe che gli coprivano del tutto il suo braccio maldestro, ma certe giornate più calde, o altre in cui preferiva avere in bella mostra i punti dell'arto meno percossi da esaminare e ferire, rimaneva a maniche corte. Era sabato, ciò stava a significare che lo studio di tatuaggi non avrebbe riaperto fino a lunedì, dato che gli affari permettevano ai due proprietari di poter prendere due giorni di riposo, Steve e Sam non si dispiacevano affatto di poter prendere il weekend intero per staccare un po'. E dei loro orari lavorativi anche Bucky ne approfittava, per stare in casa, e isolarsi nuovamente nella propria solitudine.
Dopo aver lavato due piatti di ceramica bianca scheggiati James li ripose nella credenza ancora gocciolanti, come se fosse di fretta. Aveva trascorso la mattinata a letto, dormendo fino all'ora di pranzo, dopo una notte insonne passata a gestire la propria depressione che aveva avuto la meglio, lasciandolo in uno stato tale di autocommiserazione da non dargli neanche la forza per mettere in atto altri tentativi di rimozione del braccio. Quando si era svegliato si era trascinato in bagno, a piedi scalzi dal suolo sporco e annerito. Vide il proprio riflesso sul piccolo specchio sporco ai bordi da qualche schizzo d'acqua secco, che non fece altro che aggravare il deturparsi stanco del suo volto. Enormi occhiaie gli scavavano il viso, la barba poco lunga e scura, i capelli scompigliati e attaccati sulle tempie da un po' di sudore freddo per l'agitazione che i continui incubi gli avevano recato quella notte. Bucky sospirò, abbassò gli occhi per allontanarsi più possibile da quel riflesso, per cercare di distaccarsi da se stesso. Si spogliò velocemente con agitazione, infilandosi sotto il getto più o meno caldo della doccia. L'acqua colò lungo tutto il suo viso, i capelli spinti indietro, fradici e poco insaponati ancora, il corpo nudo lievemente puntellato dalla pelle d'oca per il debole freddo sulla spina dorsale, e il braccio sinistro disteso lungo il fianco. Lo alzò di riflesso per sciacquare lo shampoo rimasto sulla testa, quando una ferita al bicipite lo fece trasalire dal dolore. Era una reazione a catena, le sue ferite gli facevano male, il dolore lo tormentava anche se Bucky riusciva a sopportarlo, ma quel continuo assillo lo faceva uscire di tetsa, e scaturiva ancora di più il suo intento, la sua disperata ricerca dell'amputazione. Lo aveva detto a Loki; «Visto?» Si era lamentato nervosamente con le lacrime agli occhi, le mani sporche di sangue e la disperazione nella voce. Visto? Mi faccio male, è sempre tutto peggio, è colpa del braccio se devo stare così male, quindi perché non posso toglierlo? Sarebbe tutto perfetto, davvero, perfetto.»
Ma perfetto non lo sarebbe mai stato, e James lo sapeva, perché per anni si era rivolto a diversi medici per provare ad autorizzare l'amputazione, ma nessuno aveva accettato una tale responsabilità. Dopotutto era un paziente clinicamente sano, il suo disturbo era a livello mentale, non avrebbero mai eseguito un simile intervento senza una motivazione specifica, quale fosse una cancrena o altre complicazioni altrettanto gravi da portare una decisione talmente estrema. Avevano affidato il caso di Bucky a diversi psichiatri, che non videro mai presentare alle loro sedute il paziente.
E mentre rifletteva su quegli spezzoni di vita decomposta Bucky guardò il proprio arto bagnato dalle gocce d'acqua sotto la doccia tremare per la frustrazione. La gola gli si chiuse in preda alla disperazione, e alla sua bocca si avvicinò il braccio. Uno scatto con i denti, e il sangue iniziò a colare nello scarico del piatto doccia, proveniente da quel morso ripetitivo. E Bucky aveva stretto forte i denti intorno alla propria carne quel sabato, da solo, nel suo appartamento. Il sapore metallico tra i denti scendeva giù per la gola, la dentatura tra la pelle, scavata, percossa, come la sua vita decomposta. Era l'unico modo per definirla, Bucky era un corpo con una parte in decomposizione sin dall'infanzia. Era vivo per metà, ma non nel senso in cui molte persone intendono, con il dolore interiore o altro; Bucky sentiva di appartenere allo stadio biologicamente terminale del corpo. Anche se solamente un pezzo, stava marcendo per colpa di quel braccio. Si morse fino a quando non sentì più dolore, perché il lembo di pelle toccato dalla sua lingua perse del tutto la sensibilità, e diventò bianco. I segni profondissimi e sanguinolenti dei canini e degli incisivi creavano delle pieghe quasi armoniose. James singhiozzò, tirando il capo indietro, facendo ricadere l'acqua lungo il collo, e sul braccio teso leggermente verso l'alto, immobile.
L'acqua gelida del lavello gli aveva quasi fatto raggrinzire i polpastrelli, ma il profumo del detersivo al limone per i piatti gli mise addosso uno strano senso di serenità, seppur l'odore fosse pungente e nauseabondo. Si sedette sul divano scuro del piccolo salotto, vecchio, e con qualche molla fuori posto che metteva un cigolio sinistro fastidioso. Al suo fianco una piccola cassetta di latta con una croce rossa stampata sopra e poco sbiadita. Bucky la aprì, con la mano destra, tenendo quella sinistra sulle gambe, in bella vista, muovendo lentamente le dita che formicolavano. Oltre la miriade di cicatrici vecchie, e segni scuri, la sua svogliata attenzione dovette concentrarsi sul morso dato quella tarda mattinata, che dopo quasi tutto il pomeriggio passato a distrarsi davanti al televisore che recepiva scarso segnale, e a mangiare qualche avanzo, non era migliorato. Per miglioramento Bucky intendeva una colorazione più rosea della carne compromessa, eppure i segni profondi di quel morso erano ancora troppo evidenti, e il rossore sanguinolento aveva preso una tonalità gialla e grigiastra tra i lividi. Sospirò seccatamente, gettando con noncuranza un bel po' di disinfettante sulle escoriazioni secche, che bruciarono vistosamente. Ne tamponò le parti più umide con un batuffolo di cotone, ed infine applicò su tutta la superficie un grosso cerotto ospedaliero bianco. L'operazione svelta fu non poco dolorosa, e James si rese conto che il cerchio di pelle chiara al centro della cornice di denti era ancora poco sensibile e pallido. Tutto quello spettacolo non gli fece tanto piacere, aumentando la sua graduale depressione che presto lo avrebbe portato ai suoi abitudinari peggioramenti. Avrebbe dovuto chiamare Loki e Natasha, avrebbe dovuto andare in ospedale e farsi medicare non solo quella più recente ferita, ma anche alcune profonde e non del tutto rimarginate. Si morse il labbro inferiore e sospirò dal naso, sommerso dai propri pensieri, quando guardò il display del suo vecchio smartphone nero dallo schermo scheggiato, e lesse un messaggio da parte di Steve.
Aveva completamente messo in secondo piano il vero intento di quella doccia, programmata per darsi una ripulita per l'invito a cena di Steve la sera. Bucky voleva radersi la barba, rendere più presentabili i propri capelli e scegliere qualche felpa meno scolorita. Ma quel morso lo aveva annullato, il suo braccio, la sua malattia, lo avevano intrappolato ancora. Si era completamente dimenticato della sua vita, l'aveva messa da parte, per il dolore.
E Steve probabilmente lo aveva sentito, Bucky non sapeva come spiegarselo; Rogers nutriva una particolare attenzione nei sui confronti, e ogni qualvolta che James nella sua solitudine stava commettendo un atto di sofferenza, il pensiero concreto di Steve arrivava alla sua mente. Nessuno dei due era in contatto, nessuno dei due parlava, si guardava o si toccava, però Steve arrivava sempre a prendere per mano il dolore di Bucky e farlo allontanare. E James lo assecondava, senza nemmeno rendersene conto.
Mise da parte il flacone di disinfettante e lo scatolino di carta dei cerotti, e con un sorriso serrato afferrò il cellulare. Sbloccò velocemente lo schermo, così da visualizzare il messaggio, che gli diceva;
-Ti aspetto sempre per il solito orario-
-È una domanda?-
-Non proprio, ma se non hai nulla di meglio da fare io sono già difronte al locale.-
Bucky sgranò gli occhi, sorpreso e quasi imbarazzato.
-Sei impazzito?-
-Mi piace arrivare in anticipo.-
-Allora, sei soltanto puntuale o anche a te piace anticipare?-
James si guardò intorno, il disordine del suo piccolo appartamento era un buco in cui era imploso il caos più totale, e addosso aveva uno straccio preso a casaccio dal povero guardaroba. Ebbe dei veloci ripensamenti, il timore e l'insicurezza gli si sedettero accanto, ma alla fine si diede una smossa. Non avrebbe lasciato andare a rotoli le cose per il suo maledetto disturbo, avrebbe invece cercato di passare una piacevole serata in compagnia di quel mezzo estraneo, così gentile e disponibile verso i suo confronti, e perché no, a che un bel po' carino.
Con il pollice della mano detersa digitò velocemente la sua risposta, che arrivò a Steve;
-Metto qualcosa di più presentabile e sono da te.-
Gli occhi chiari balenarono quando Bucky camminò abbastanza velocemente sotto il sole del tramonto in città. Sui marciapiedi grigi centinaia di persone lo superarono, tante facce tutte diverse che la memoria di Bucky avrebbe cancellato all'istante. I negozi dalla parte sinistra dello spazio pedonale trattavano perlopiù di vetrine d'abbigliamento ben pulite e bar a buon prezzo. Le mani di Bucky erano sempre nelle tasche della sua felpa, questa volta non esageratemente larga e costretta a continui lavaggi in lavanderia che l'avevano scolorita, o che in alcuni punti della manica sinistra avevano vecchie macchie di sangue. Quella che stava indossando glie l'aveva regalata Loki per il compleanno, pensando ai gusti dell'amico, ma aggiungendo del suo per valorizzare lo stile che per certi versi avevano in comune. Della sua misura, gli calzava a pennello quasi fosse un capo elegante; dopotutto James era una bellezza, seppur trascurato e indebolito dalla stanchezza e dal dolore, presentava sempre dei tratti affascinanti, sia nel viso spigoloso che sul fisico snello.
Contrariamente ad ogni gusto dark dei due amici, Loki aveva regalato a Bucky una felpa grigio chiaro, con una frase stampata sopra in corsivo, a creare una composizione bella da vedere che diceva "on the left".
Ironico quanto il suo amico dai capelli neri si divertisse con piccole malefatte simili, che in fondo facevano schernire divertito di poco anche James sulla propria sfortunata zavorra detta braccio.
A quella felpa chiara Bucky aveva abbinato un vecchio paio di jeans neri aderenti, stracciati sulle ginocchia in maniera vistosa. In fondo, il meglio del proprio guardaroba lo stava già indossando.
I capelli castani erano sciolti, alcuni dietro le orecchie, altri a solleticargli la fronte. Pochi isolati, e avrebbe raggiunto il locale in cui Steve lo stava aspettando chissà da quanto tempo. Tuttavia la mente di Bucky non riusciva a non concentrarsi su qualcosa, perché quando i suoi pensieri si rilassavano e non sfuriavano tra mille immagini, il tormento sul suo braccio veniva a soffocarlo. Per non perdere la calma, e distrarsi sull'iniziativa di sbattere il braccio contro uno ponteggio arrugginito, Bucky guardò ancora il flusso di gente che continuava a camminare per i fatti propri. Un ragazzo a maniche corte, con una ragazza coetanea dai capelli biondi accanto, aveva un grosso tatuaggio lungo il braccio destro, messo in risalto dalle maniche corte della propria maglietta. Era una fiamma, tutta rossa e arancio, sfumata sotto la pelle, a rendere quel ragazzo quasi una torcia umana, per quanto era realistica, mentre la bionda aveva tatuato sul polso il numero 4. Un altro uomo gli passò accanto, vicinissimo, a pochi centimetri dagli occhi. James alzò lo sguardo e vide di sfuggita che quello sconosciuto aveva tatuato un teschio in fiamme sul collo, che però lui riusciva a vedere solo fino a metà, per colpa del colletto del suo giubbotto di pelle. Lentamente, come se la sua mente stesse cercando di rallentare il tempo per vedere meglio quei disegni sulla pelle delle persone, Bucky ritornò a guardare difronte a se, e a camminare con le mani in tasca. Un altro uomo, un altro tatuaggio; probabilmente un operaio del ponteggio ormai alle sue spalle, l'individuo oggetto di attenzione di Barnes aveva una canottiera bianca aderente, dei basettoni scuri e i capelli brizzolati, il tutto accompagnato da un'espressione aggressiva e imbronciata. Dal petto, oltre il tessuto del vestiario, un grosso disegno nero, ricco di sfumature, rappresentava degli artigli lunghi e di metallo quasi scintillante che aprivano uno squarcio in 3D, dai colori tra il rosso acceso e il cremisi. Bucky socchiuse leggermente le labbra carnose, respirando piano, riuscendo a sentire intorno a se non più il voci flebile della città, ma proprio il suo stesso fiato. Il suo pensiero ormai era totalmente rivolto a quei disegni sulla pelle, alla storia che si celava dietro di essi, alla bravura con cui erano stati lavorati, e ai punti più insolito del corpo in cui si trovavano. Avrebbe potuto uscire di testa più del necessario, pensando a tutti i tatuaggi del mondo, a tutte le persone che li avevano, ai più svariati soggetti che essi rappresentavano. Ed era tutta colpa di Steve, dei cento sette dei suoi di tatuaggi, che Bucky bramava di osservare. Voleva sapere ogni loro significato, voleva analizzare ogni dettaglio o imperfezione, capire quali gli piacessero e quali no. Steve lo aveva plasmato nel suo mondo, dove l'oceano è inchiostro e la terra pelle. Bucky era sopraffatto sempre di più da quella dimensione in cui aveva potuto scorgere i primi particolari nello studio in cui lavorava, e proprio con Steve voleva ampliare i propri orizzonti.
Pensò ancora, camminando in silenzio, ai milioni di disegni nel mondo paragonati al numero delle stelle nell'universo. E pensò a tutte quelle stelle sul corpo di Steve, che sostituivano i cento sette tatuaggi che già possedeva. Batté le palpebre per ritornare alla relatà, quando sentì chiamare il suo nome da lontano. Il silenzio che si era creato svanì, l'attenzione di Bucky si rivolse alla voce sempre più vicina, e poi lo vide.
Semplicemente Steve, vestito con una camicia bianca ben abbottonata, dei pantaloni da cerimonia blu scuro sorretti da delle bretelle del medesimo colore, ed un mazzo di rose in mano.
Sorrise a Bucky avvicinandosi a lui, e Bucky rimase fermo a sorridere piano, senza fare ancora rumore, guardando i suoi occhi, che racchiudevano la creatività e la bellezza di tutti e cento sette i suoi tatuaggi.
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