Capitolo 23
Potrebbe sembrare un vero peccato annunciarlo, rendere ufficiosa la notizia. Con fare quasi comico Steve avrebbe detto che si trattava dell'inizio della fine.
Invece era una fine e basta, quella di Bucky che finito c'era nato.
Non ci fu un fattore scatenate ben preciso che fece capire subito a Steve che qualcosa non andava. Bucky era stato muto e aveva lasciato che quel veleno risvegliato nel suo inconscio lo intossicasse del tutto.
Una tragedia avvenuta per sbaglio, un pomeriggio nella cupa casa di James. Steve si era offerto di aiutarlo a dare una ripulita all'appartamento del compagno, concentrandosi -nel momento della tragedia- a gettare via scartoffie accumulate nei cassetti dei due comodini in camera da letto.
Steve li svuotava del proprio contenuto e porgeva quest'ultimo a Bucky, che decideva cosa buttar via e cosa riordinare. Tra un cumulo di buste bianche contenenti referti medici e ricette di farmaci mai assunti, Bucky si trovò tra le mani una piccola bustina quadrata.
Si rese conto del colpo doloroso al petto solamente quando, senza prestare troppa attenzione a quell'inutile cartaccia ancora chiusa, il pacchetto contenente una salvietta disinfettante finì nel cesto dei rifiuti.
Bucky dovette sedersi ai piedi del letto, nel disperato tentativo di regolarizzare il respiro. Una nausea incontrollata lo violò alla bocca dello stomaco, e la testa prese a girare come se potesse svenire da un momento all'altro.
Steve nemmeno si accorse di quel leggero e profondo shock che James fu bravo a nascondere.
Quella bustina vecchia e ingiallita, dai colori bianco e rosso, conteneva le salviette disinfettanti che Brock gli passava sulle ferite quando Bucky esagerava con le forbici e i rasoi.
Ne sentì immediatamente la puzza nauseabonda dentro alle narici, e il bruciore fastidioso contro la pelle. Non avrebbe mai potuto immaginare di rimanere vittima di un simile ricordo insignificante.
La malattia di Bucky ritornò ad essere un terribile gigante che spazzò via ogni cosa.
Pareva una canzone quella che gli ronzava nella testa e continuava a ripetergli che era fottuto; proprio così caro Bucky, fottuto, dilaniato, condannato senza via d'uscita, c'era ricaduto, o forse non ne era mai uscito?
Tutto l'amore che aveva fatto con Steve durante quei pochi giorni di spensieratezza aveva armai le gambe rotte dalla selvaggia malattia, e i sorrisi, i colori sulla pelle, tutte le altre cose vive usate come medicina dalla tenacia di Steve erano risultati inutili.
Le medicine Bucky aveva smesso del tutto di prenderle. Era riuscito a fingere quella recidiva i primi due, tre giorni al massimo, poi però i suoi occhi lo aveva tradito. Ma Steve non riuscì ad accorgersene subito.
Questo particolare Rogers non se lo sarebbe mai perdonato.
Bucky più di qualunque cose era maestro di furbizia, e riuscì ad escogitare nuovi ed efficaci metodi per impedire che Steve facesse caso alle nuove ferite. Solitamente si mangiava le unghia fino a farle sanguinare copiosamente e staccarne pezzi interi che tra i suoi denti si spezzettavano quasi fossero croccanti porzioni di cibo. Tutti hanno il vizio di staccarsi le pellicine delle unghie, cosa c'era di male?
Il suo modo preferito, però, rimaneva quello del ghiaccio. Impugnava tre cubetti tirati fuori dal freezer finché la pelle del palmo arrossato non si spaccava a sangue, e il punto in cui il ghiaccio si incollava alla sua carne diventava bianco ed insensibile per ore. I polpastrelli bagnati si arrossavano e delle volte tendevano al viola.
Ma a tradirlo, a farlo scoprire dal timore ingenuo di Steve, fu quella sua forza troppo cruenta e incontrollata. Il polso, il gomito e la spalla subivano quotidianamente un ciclo ripetitivo di colpi violenti. Delle volte sbatteva il polso contro il muro, altre volte sbatteva la spalla sul tavolo della cucina, ed il vizio più grave di tutti lo teneva chiuso alla porta in cui il gomito rimaneva incastrato.
Lo fece così spesso e con una forza tale da rovinarsi in maniera grave l'articolazione, ma non così tanto come desiderava. Non riusciva a rompersi quelle ossa dannatamene forti, ma le indeboliva non di poco.
Steve lo baciò con enfasi, sorridendo tra la sua bocca umida per la frenesia della voglia. Spinse Bucky contro la parete e fece per sfilargli la felpa.
James si irrigidì gemendo di dolore al semplice tocco di Steve, che lo aveva costretto ad alzare leggermente le braccia.
«Cosa c'è? Che ti fa male?» domandò subito il tatuatore, guardandolo bene dappertutto senza toccarlo ancora.
«Niente.» ammonì lui con un sorriso falso, porgendosi a baciarlo nuovamente per distrarlo.
«Non dirmi stronzate, sono tre giorni che non riesci a distendere il braccio sinistro. Che hai fatto? Non ho notato ferite recenti...»
«Sei il mio dottore adesso?» Bucky lo trafisse con sguardo antipatico e aggressivo.
«Non fare il cretino e fammi vedere.» Steve lo ignorò, porgendogli le mani e aspettando che Bucky si lasciasse toccare.
«No, non c'è nulla che devi vedere.» protestò lui.
«Bene, visto che è tutto okay allora non ti dispiacerà lasciarti toccare.» la voce di Steve assunse un'intonazione provocatoria. In fondo era piena di preoccupazione e timore, e Bucky provò quasi pena per il suo sguardo estremamente vulnerabile.
Il moro sospirò, mostrandogli il profilo in un gesto che lo allontanò dai suoi occhi chiari.
«Ho il gomito un po' indolenzito, niente di grave.» mentre Bucky iniziò a parlare con voce meno minacciosa Steve gli aveva già alzato la manica della felpa. Bucky strinse i denti e non riuscì a distendere nemmeno per metà il braccio. Il gomito era gonfio e tumefatto, incredibilmente arrossato. I segni dei colpi della porta in cui era rimasto chiuso si estendevano con evidenza, ed il movimento dell'arto era molto limitato.
«Non ha per niente un bell'aspetto.» disse Steve sfiorandolo, il gomito era incredibilmente caldo.
«E quindi?» fu come se Bucky avesse diverse personalità. Improvvisamente divenne spiritoso e sereno.
«Quindi andiamo al pronto soccorso per vedere cos'hai combinato. Ti conviene dirmelo adesso, verrò a saperlo in ogni caso.» Steve si fece seguire, uscendo di casa con Bucky alle calcagna.
«Io? Io non ho fatto nulla.»
«Bucky non negare la realtà» Steve gli si fermò difronte, guardandolo dritto negli occhi «lasciati aiutare.»
In lacrime Steve avrebbe ammesso che Bucky non si sarebbe mai fatto salvare da lui. In lacrime, per così dire, in un disegno immaginario proiettato nei fogli bianchi di Steve, Bucky sarebbe stato tutto rosso e con gli occhi chiusi.
Morto.
Povero condannato, immane peccato della mente malata. Malattia? Qualcuno riesce a pronunciarla senza avere terrore?
Però perché nessuno riusciva a capirlo? Una bestemmia infrange il singhiozzo di disperazione; Bucky non voleva morire, la sua sgomentata brama era quella di vivere come chiunque altro. Lui non tollerava semplicemente il suo braccio.
Che orrenda tragedia, che meschina delizia per il palato del dolore.
Steve, povero innamorato con il cuore infranto.
Immediatamente i medici del pronto soccorso in cui Steve aveva portato Bucky si erano preoccupati ad indagare su quell'evidente gonfiore al gomito. Qualcuno ipotizzò un'infiammazione all'articolazione, che venne accertata dagli esiti delle analisi e da un'ecografia.
I traumi ricevuti avevano fatto sviluppare una infiammazione articolare a livello osseo. Spiegata in parole povere Bucky aveva un eccessivo aumento del liquido sinoviale, causa del dolore, del gonfiore e della limitazione nel movimento. Se trascurato quel disturbo avrebbe potuto consumare la cartilagine dell'osso.
Steve sentì tutti peli rizzarsi sul collo quando Bucky sorrise con estrema gioia mentre il medico spiegava la gravità della situazione.
Si erano messi al corrente i dottori curanti di James della sua precedente condizione delicata, come se fosse un bigliettino da visita che li avvisava della sorpresa nascosta nelle cicatrici.
«Signor Barnes la soluzione più ovvia ed efficiente è un'infiltrazione alla parte interessata. Una procedura semplicissima che non possiamo nemmeno definire come un intervento.» il referto del medico.
Il signor Barnes scosse il capo; «Non lo ritengo necessario.»
«Sia coscienzioso, ragioni. È la prassi da seguire nelle sue condizioni.»
Un sorrisetto nervoso macchiò l'espressione di Bucky: «Io ragiono, perfettamente.»
Steve gli poggiò una mano sul ginocchio. Erano seduti dietro alla scrivania del medico in camice bianco, ad ascoltare ciò che aveva da dire. Steve percepì immediatamente la tensione del compagno. Avrebbe voluto dirgli che lì dentro tutti volevano solamente aiutarlo, e che nessuno pensava che fosse un malato di mente incapace di intendere e di volere.
L'uomo difronte a loro picchiettò una penna stilo contro la scrivania, tentando ancora di convincere Bucky a prendere la decisone giusta.
Al termine dell'incontro James ne uscì vincitore.
Steve lo portò a casa con se per tenerlo sott'occhio e occuparsi di lui con premura. Il braccio era bloccato come se fosse ingessato, piegato contro il petto. Gonfio e dall'aspetto preoccupante, Steve aveva persuaso Bucky ad applicargli su del ghiaccio, sotto consiglio del medico come rimedio temporaneo.
James era irremovibile, perché quel dolore gli causava gioia. Quello era l'inizio del suo abbandono; si convinse che distruggersi dall'interno lo avrebbe presto condotto al suo persistente scopo.
Seduto in tavola, cenando con Steve, fissò un punto indistinto alle spalle dell'amante e sorrise con malsano sdegno.
Finalmente se ne sarebbe sbarazzato.
Oh povero Steve. Disperato innamorato in lacrime.
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