Bucky si aspettava chissà quale difficoltà insuperabile, nel parlare della propria malattia a Steve, ed invece era finito con il riuscire a spiegarsi abbastanza serenamente, sentendosi a proprio agio.
Era la prima volta, da quando la propria condizione lo tormentava, che James aveva raccontato quella parte di se' senza escludere alcun dettaglio.
A Steve spiegò la sintomatologia e le ipotetiche cause della BID, il disturbo dell'identità dell'integrità corporea; gli parlò della durata di quel calvario, e in brevi sintesi di come era andata la sua vita riguardante il rapporto con la propria famiglia, e di quanto Natasha e Loki avessero svolto un ruolo importantissimo per lui.
Fu canonica l'intensità con la quale Bucky prese le redini di narratore e Steve di ascoltatore irremovibile di tutto quel dolore. Fu proprio quella presenza tutta piena di disegni, che non riuscì più ad ammutolire tutte quelle parole che Bucky teneva ingabbiate tra le corde vocali da tantissimi anni.
Improvvisamente, nel bel mezzo del racconto, James si ricordò di essere proprio a petto nudo, lì, seduto sul divano a casa di Steve, con Steve e davanti a Steve. Le cicatrici larghe e rosee, dalla pelle poco elastica e sottile, parevano enormi branchie di uno squalo. Con la mano destra si sfiorò la spalla, per coprirla, ma poi una vecchia poesia letta da ragazzo quasi lo forzò a smettere di nascondersi.
Era stata una coincidenza davvero inquietante, trovarsi in una piccola libreria assieme a Loki, un pomeriggio, e sfogliare un sottile libro di poesie del quale non ricordava nemmeno il titolo. Non sapeva affatto di cosa trattasse nello specifico, ma erano raccolti diversi nomi di disturbi psicotici, e tra questi, precisamente a pagina 35, nove righi sul foglio bianco li imparò a memoria leggendoli soltanto una volta.
-Il mio più grande sogno è restare offeso
Non potete immaginare quanto ci pensi spesso
Ma il mio desiderio nessuno lo accetta
Nessuno brandisce per me un'accetta
Levatemi almeno un arto
Non vi chiedo tanto
Per me è un torto
Avere due leve
E non sapere cosa toccare-
Bucky non comprò quel libro, non aveva danaro abbastanza. Però ormai quei caratteri sottili gli si erano incastrati tra le pieghe del cervello. Se la ripeteva spesso, quella poesia, quasi fosse una preghiera. E in quel momento, davanti a Steve, la pensò così intensamente da non avere più timore di censurare quelle ferite.
Spesso però nessuno capisce realmente quale sostanza cancerogena stagna nelle viscere, e prende il nome di dolore. La maggior parte della gente nota quanto tu sia insofferente, e provato, ma ciò che governa la mente, i pensieri di tutto quel male, solamente da solo puoi spiegarli.
Bucky era fermamente convinto di essere Dolore, in ogni sua forma, e spesso avrebbe voluto soltanto sparire e smettere di essere Dolore. L'inferno erano i suoi dolori, che bruciavano di sofferenza e tormentavano eternamente la sua anima. Bucky non aveva paura della morte, né tantomeno di quello che avrebbe potuto esserci dopo, in fondo, lui all'inferno c'era nato, finirci non gli faceva paura.
Però davanti a Steve non poteva permettersi di piangere, o essere arrabbiato. Non poteva. E se avrebbe pianto? Cosa sarebbe accaduto? L'avrebbe fatto così forte da far intimorire anche il mare, che dinanzi a tutte quelle lacrime si sarebbe sentito piccolo piccolo, prosciugandosi, per lasciare spazio ai litri infiniti delle sue gocce salate partorite dagli occhi.
Se si sarebbe lasciato andare? Nemmeno tutto il rumore dell'universo sarebbe riuscito a eguagliare il suo disperato lamento, tanto che sarebbe regnato il silenzio, perché lui avrebbe sostituito tutto quell'impeto rumoroso.
Bucky aveva solo bisogno di non provare nulla, di non bruciare, di non essere una cometa soltanto per un istante.
Qualcuno lo stava ascoltando? -Si.-
Fatelo smettere, avrebbe voluto urlare, mi fa sempre così male.
Ma c'era Steve, proprio davanti a lui. Aveva gli occhi tristi, ma non impietositi, o spaventati. La notte piovosa, fuori dalle finestre, ruggì con qualche tuono, mentre la pelle d'inchiostro di Rogers si puntellava per dei brividi. La barba folta gli brillava ancora poco umida, mentre i capelli rimasero straordinariamente composti.
Quando arrivò il momento di parlare di se', dopo aver finito il racconto teorico di quella situazione, Bucky seppe riassumere tutti quei sentimenti in una semplice frase;
«Non mi sento bene.»
Steve a quel punto, dopo averlo baciato piano, assaggiando il sapore amaro che le sue labbra, e le sue parole, gli avevano lasciato sotto la lingua, non perse occasione per allungare una mano e stringere quella di Bucky, la destra.
«Tu sei speciale, non malgrado il tuo braccio, ma grazie ad esso.» Steve glielo disse increspando le sopracciglia, sporgendosi verso di lui.
James perse la capacità di regolarizzare il respiro. Aveva un nodo alla gola così grande che scioglierlo avrebbe fatto male alle dita.
«Non voglio assolutamente che esso influenzi quella cosa nuova che c'è tra di noi. Tu vedi bellezza, io vedo dolore. Tu vedi neve, io vedo pioggia acida. Probabilmente tu vedi amore mente io disprezzo; come facciamo a parlare tutti e due della stessa persona in questo caso?» Bucky storpiò il propio tono di voce con aspra autocommiserazione. Ma non lasciò la mano di Steve.
Il tatuatore con un un lento gesto di carezza sul suo viso pose le labbra su quelle di Bucky. Ecco, lo avevano fatto una seconda volta. Si erano ustionati in un semplice bacio dal sapore acre.
Steve lo guardò negli occhi, non appena smise di inumidire le labbra del moro, rispondendo alla sua domanda disperata.
«Così. Lo facciamo per questo.»
Velocemente, Steve si tolse dal petto la maglia. La gettò con incuria alle sue spalle, mettendosi meglio difronte all'imbarazzo e alla sorpresa di Bucky. Tirò il petto in fuori, modellando il viso con espressione buffa e serena. James non seppe davvero da dove cominciare, quel copro pareva una galleria d'arte.
Oltre il fatto che la fisicità possente e perfetta che incalzava sui muscoli di Steve risvegliò in lui quell'attrazione ormai addormentata, ogni tonalità di colore e continuità di curve nere gli entrarono nelle iridi.
Steve gli sorrise, indicandogli con l'indice un tatuaggio sul costato del lato destro del proprio corpo. Le pelle ingrigita da tantissime sfumature faceva da cornice ad un ritratto di Frida Kahlo, tatuata nella sua bellezza di fiori, propio sul corpo di Steve.
«A te sembrano davvero così brutte le tue cicatrici, quindi guarda quello che ho io sul corpo. Magari ti piace di più, almeno, spero.» Rogers sorrise, con tono gentile e ingenuo.
Lo stesso fece Bucky, con gli occhi brillanti.
«Grazie» disse «sono meravigliosi.»
Steve si sporse sulla spalliera del divano, prendendo una coperta in pile. Era di colore viola, e odorava di ammorbidente. La spiegò in tutta la sua grandezza e la usò per avvolgere il corpo infreddolito e fragile di Bucky. Lui la strinse forte sulle spalle, con entrambe le mani portare al petto e riscaldate sotto il tessuto morbido. Rogers gli sistemò i capelli umidi e di media lunghezza dietro alle orecchie, approfittandone per sfioralo con qualche carezza sugli zigomi adesso più caldi.
Quando sorrisero, timidi nel guardarsi direttamente in viso, Steve decise di parlare ancora. Bucky aveva detto così tanto che anche lui si sentiva pieno di parole.
«Non siamo altro che delle tele fatte di organi e sentimenti. Ciò che proviamo non aspetta altro che trovare abbastanza inchiostro capace di rappresentare in qualunque forma d'arte le nostre anime. Ci macchiamo il corpo indelebilmente, con disegni fatti di sfumature e parole che ci rendo libri. Non siamo gente contorta o da evitare, non siamo la moda o la stranezza, noi siamo arte. Io che ti tatuo le foglie d'acanto sul petto e tu che provi a fare lo stesso sulla mia schiena è una scena che nella mia mente mi fa pensare che dopotutto possiamo essere il capolavoro più bello che il mondo possa avere l'onore di vedere.» mostrò a Bucky le braccia, avvicinando i polsi al suo sguardo, per vedere meglio i tatuaggi che spiccavano di più tra rosso e blu. «Ed è per questo che io, qui, adesso, farò una promessa.»
Con sorriso beffardo Steve scomparì nel corridoio buio, tornando quasi subito con in mano una scatola. Trafficò qualche minuto con ciò che essa conteneva, collegando cavi elettrici a prolunghe, e disinfettando vari aghi. Mise in un piccolo cilindro qualche goccia di inchiostro nero, passando un pezzo di carta da cucina umida sulla parte interna del suo braccio, in un pezzetto di pelle ancora libera. Il punto esatto era proprio lì, alla fine del braccio, che si fletteva verso l'interno arrivati all'articolazione del gomito.
In mano teneva la macchina per tatuare, l'ago già bagnato nell'inchiostro, e il piede poggiato su un pedale per terra.
«Cos'hai in mente di fare?» domandò confuso il moro.
«Sancisco questa promessa adesso, che fino alla fine io cercherò di guarirti.» Steve aveva già iniziato a disegnarsi sulla pelle, senza nemmeno un abbozzo iniziale.
«Cosa?! Steve smettila, che fai, il tatuaggio rimarrà per sempre.» James si avvicinò a lui, con l'intento di fermarlo, ma senza toccarlo, per non rischiare di farlo sbagliare.
«E allora?» domandò quello tra il rumore elettrico della macchina.
«Allora non puoi tatuarti...Cristo, ti stai tatuando il mio nome! Sei pazzo?! Non stiamo insieme nemmeno da, quanto? Mezz'ora? E poi, stiamo insieme noi due?»
«Bucky, che ti importa del futuro?! Pensa ad adesso, a me che mi tatuato in salotto. Pensa alla mia promessa. Poi, qualsiasi cosa strana il futuro ci riserverà, a me non importa, io non rimpiango mai il passato.» Steve ripassò meglio la punta della y alla fine del nome.
«La promessa...quella che guarirò? Mi pare di avertelo detto, io non posso guarire.» mormorò Bucky con amarezza.
«Lo dici solo perché non ci hai ancora provato.» Steve sorrise, il rumore della macchina cessò, e sul tatuaggio dal carrettiere sottile vi passò una schiuma bianca. «Sta tranquillo adesso, c'è la mia promessa, e tu sei su di me.»
Bucky non seppe davvero più cosa rispondere. Si sentì quasi in colpa ad aver fatto venire in mente a Steve di tatuarsi una cosa simile. Il suo nome, quello in cui veniva chiamato formalmente, non seguiva un carattere definito, anzi, era la semplice e schematica calligrafia di Steve, che aveva mantenuto un rigo dritto ed una distanza ordinata. Il tatuatore impregnò di crema idratante il tatuaggio, avvolto poi dalla pellicola da cucina trasparente.
Steve tornò a sedere accanto a James, coprendosi il petto nudo leggermente infreddolito, rivestendosi con la maglia spiegazzata. Lo squadrò da capo a piedi, guardandolo di profilo. Lo sguardo cruciato per l'imbarazzo, quasi arrabbiato per il suo gesto. Qualche ciocca castana gli andò sul viso, mentre stava chinato un po' di più in avanti. Bucky teneva le braccia incrociate e la coperta stretta addosso.
A vederlo in quel modo, Steve rise e scosse il capo, per tutta quella tenerezza. Era la verità, la sua, non vedeva soltanto un ragazzo malato. Bucky gli piaceva, davvero tantissimo.
Si avvicinò di più al suo fianco, poggiandogli una mano sul ginocchio, gli baciò la testa con amorevole cura.
«Tu stanotte rimani a casa da me. Ti preparo qualcosa di caldo e appetitoso da mangiare, e guarderemo film finché non ci addormenteremo, d'accordo?» ammonì Steve, cercando i suoi occhi.
«D'accordo.» annuì lui a bassa voce.
«Direi che il mio primo tentativo di guarirti è riempirti lo stomaco. Scegli tu cosa guardare, punk.» Rogers gli porse il telecomando e si diresse in cucina.
L'unica cosa che davvero agiva da medicinale a quel suo male era il fortissimo profumo di Steve, in quella casa. Così tanto tutto in una volta da penetrare nelle ferite e raggiungere le ossa. Era lì che lo avrebbe conservato, come Steve aveva fatto con lui, con quel tatuaggio.
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