Quando e perché ho scelto il liceo classico
Mi ricordo ancora quando ho detto a mia mamma, in seconda media, che avrei voluto frequentare il liceo classico: volevo far parte del Coro della scuola, di cui avevo tanto sentito parlare.
Stranamente, molte avventure della mia vita sono nate grazie all'attività corale, ma questa è un'altra storia, che forse verrete a sapere più avanti.
Mia mamma era perplessa, lo ricordo: come si può scegliere una scuola solo per il Coro?
Il fatto è che io soffrivo parecchio, da anni ormai avevo bisogno di riconoscermi in un gruppo, di essere accolta da qualche parte, di non esser lasciata sola al mio destino, di esser presa per mano.
Quindi non mi vanto di aver scelto il liceo classico perché chissà che passione avevo per l'italiano e la storia. Affatto. Quella semmai è venuta dopo.
Sono stata coraggiosa ad averlo scelto, non lo nego: a quell'età, non si sa a cosa si va incontro ma si vive solo di speranza. Come quando frequentavo le medie: continuavo a dirmi che quella situazione si sarebbe risolta, ero disposta a credere anche alle brevi e false amicizie pur di sentirmi meno sola e questa tendenza, purtroppo, è rimasta nel temperamento che mi caratterizza tuttora. Si è disposti a fare di tutto pur di non sentirsi lasciati a se stessi. Lasciavo credere a me stessa che chi mi derideva il giorno prima sarebbe potuto divenire mio amico il giorno dopo: era la mia unica salvezza, in quella nebbia.
Ero una delle migliori della classe ma neppure questo è un vanto, perché avevo alcuni compagni davvero disastrati. Quando in terza media ci sono arrivati i moduli per iscriverci alla scuola superiore, i miei compagni non erano certo sbalorditi nel vedere che il mio modulo era diverso dal loro. Lo furono i professori. Alle tre persone, tra cui me, che scelsero il liceo classico, consigliarono quella scuola solo a una, che fu l'unica tra noi tre a cambiare scuola già in quinta ginnasio poiché imandata.
Vi pare strano? Eppure è così. A me dissero che non sarei potuta andarci perché non sapevo ripetere geografia. Beh sapete cosa feci? Mi presi a cuore la geografia, così tanto che la utilizzai per dare il meglio di me, e nella mia classe ginnasiale fui l'unica in due anni a prendere 9 in orale, in un'esposizione, guardate un po', proprio di geografia, riguardo lo Stato meno popolato degli USA sul quale non c'era praticamente nulla da dire, con una delle docenti più esigenti dell'istituto, che in orale in classe nostra non ha mai messo più di 8 (e 8 e mezzo solo una volta). Una delle soddisfazioni migliori della mia vita. In quel momento ho sentito per la prima volta che potevo farcela davvero, là dentro. Non tanto per il voto ma per quel: "Perfetto." che ha coronato la fine della mia esposizione. Io non avevo dubbi sul fatto che ci avrei messo il cuore e che ce ne avrei lasciato un bel pezzo, una volta andatamene.
Mi ricordo che nella giornata di scuole aperte sono rimasta folgorata da tutto: non avevo mai visto un ambiente così bello, così caldo, così familiare, così solenne e imponente allo stesso tempo... L'aula magna poi, quella era straordinaria. Ampia, luminosa, antica. Già mi sentivo a casa.
Mi piaceva tutto, non potevo non scegliere quella scuola, capite? Poi si è esibito il Coro e quella musica risuonava per tutto l'istituto con dolcezza, quasi come le Sirene ad Odisseo dissero: "Vieni, vieni...". Infatti non ho avuto più dubbi: sono andata lì.
Non è stato facile dirlo in giro a tutti gli amici di mia mamma, anche perché mi guardavano come una pazza. Per non dirvi come mi guardò la mia prof di musica delle medie quando, al momento del ritiro del certificato delle mie competenze (chissà quali!), la incontrai sfortunatamente: con pietà e incredulità. Non ce la farai con il greco, così mi ha detto, perché sul dizionario è scritto troppo in piccolo.
Mi è salita per la colonna vertebrale una rabbia così forte che ormai ero più decisa che mai a mettermi alla prova. In quel momento, avevo colta la piena inconsistenza di quell'otto con cui ero uscita dalle medie: nessuno, nessuno, davvero nessuno tra loro aveva creduto in me.
Quell'otto era un freddo numero che avrei voluto dimenticare, che aveva concluso, o che speravo avesse concluso, la fase più dolorosa della mia esistenza, che mi derideva di gusto.
Temevo il futuro ed ero sola nel temerlo, mi sembrava di non potermi appigliare a nulla.
L'estate 2010 si è rivelata abbastanza neutra: ero molto curiosa ma non sapevo a cosa sarei andata incontro.
Se ci penso ora, capisco che quasi tutte le esortazioni a mettermi alla prova sono derivate da persone che non credevano in me. Più mi dicevano che non ce l'avrei fatta, più io avevo voglia di farcela, di vedere cosa ci fosse di tanto terribile in quella scuola.
Avevo già sofferto abbastanza e non volevo soffrire di nuovo: quella era la mia grande paura ma anche la mia grande sfida.
Alle medie avevo imparato che essere forti significava dire le parolacce, tirare pugni alle persone, spingere senza scherzare le persone contro il muro, urlare contro chi non aveva armi per difendersi, avere un telefono all'ultimo modello e avere un seguito in classe. Tutto qui. Insomma, infastidire chi appariva più debole di loro. Ma sapete una cosa? Io ero più forte, molto più forte di loro, perché sono sicura che loro, al mio posto, vedendo le cose dall'altra parte, sarebbero scappati, subito, senza pensarci. Io no, sono rimasta. In quegli anni ho vissuto come fossi in una stanza buia con mosche e serpenti velenosi che mi giravano intorno: io, appesantita persino da me stessa, incapace di muovermi.
Ora, mi chiedo perché ci siano persone che mi chiedono ancora perché io ami tanto il mio liceo classico.
Il liceo classico mi ha salvata: ho incontrato persone mature, come anche false, sì, ma non violente, non delinquenti, ho trovato docenti che senza che fosse loro richiesto hanno creduto in me, sempre, fino alla fine, proprio in me che non ho nulla di speciale, non ho mai avuto risultati brillanti: me lo dicevano, mi ripetevano: "ce la puoi fare, tu ce la puoi fare, lo vuoi capire?" e io sorridevo, perché volevo fidarmi di loro ma soffrivo troppo a causa di me stessa per fidarmi.
Il liceo classico non mi ha resa la migliore ma mi ha resa migliore, mi ha permesso di vivere forse per la prima volta, di vivere davvero, di non chiudermi nella mia diffidenza spudorata per il mondo esterno.
Il liceo classico mi ha insegnato che i voti non sono nulla ma che l'importante è imparare a vivere con se stessi utilizzando diversi ambiti del proprio sapere: volersi bene, ecco, più di tutto. Cosa che io non avevo mai provato a fare: mi sono sempre lasciata calpestare e non l'avrei fatto, se avessi avuto almeno un po' di amore per me.
Poi sono cambiata. Non del tutto ma ho capito molte cose.
Ho capito che imporsi degli obiettivi e perseguirli con tranquillità è la miglior strategia per sentirsi realizzati e capire che almeno qualcosa si vale. Mi viene difficile dirvi quanti giorni io abbia sofferto perché mi sentivo incapace in ciò che amavo e amo tuttora. Nella mia vita ho subito principalmente sconfitte ma sapete una cosa? Proprio per questo ho vissuto così bene quei pochi momenti di successo della mia vita, quei piccoli traguardi che a me parevano enormi.
Entravo ogni giorno in quella scuola sentendomi fuori luogo, incapace, inadatta, meno brava degli altri ma in cuor mio mi sentivo a casa, sentivo che in quelle mura era impresso un sapere indicibile, che avrei voluto assorbire del tutto. Volevo vivere e quella scuola me lo stava insegnando: cosa potevo volere di più?
Mi chiedono ancora perché io ami il classico... Dopo tutto questo? Non sanno come io abbia 'vissuto' prima, se si può dire così. La mia età biologica è di quasi vent'anni ma la mia età 'emozionale' è di sei anni: io ho iniziato a vivere una << vita vitalis, ut ait Ennius >> soltanto a quattordici anni.
Vivere per me non vuol dire scappare dalla realtà e guardarmi i piedi mentre cammino, sussultando ad ogni rumore, temendo un petardo ad ogni passo: no, questa non è vita. Arrivare a scuola e non sapere quante volte il proprio banco verrà rovesciato a terra. andare a fare educazione fisica non sapendo dove verrà ficcato il proprio zaino nel mentre, assaporare la solitudine amarissima ogni ricreazione per tre lunghi anni, con persone che ti sorridono e poi ti sbattono in faccia quella che sembrava amicizia, e poi tornare a casa dicendo. << Sì, sto bene. >> No, mi dispiace. Io ho iniziato a vivere al classico, il primo giorno in cui sono entrata là dentro, dove quella figura dallo sguardo imperioso, che poi si è rivelata così importante per me fino a ora, ha alzato la mano in aula magna, dopo la presentazione della preside, e ha detto: << Quarta A, con me. >>
E io ero così orgogliosa di far parte di quella nuova classe, così curiosa di veder cambiare la mia vita, di esser stata così potente da poter scegliere la migliore scuola che esista!
Il passaggio dall'impotenza totale verso la mia esistenza alla potenza di fare una scelta così decisiva mi ha segnata in maniera sconcertante.
Mia mamma aveva chiesto per me la sezione G e io sono stata inserita nella sezione A. La prima reazione di mia mamma fu quella di chiedermi se volessi spostarmi nella sezione da lei richiesta, perché dei professori della sezione A non conosceva nessuno di cui a lei avessero minimamente parlato. E lì ho sfruttato di nuovo il mio potere di scegliere, e ho detto di no, che volevo rimanere in A, che mi sentivo che sarebbe andata bene. Sapevo di rischiare a fidarmi della sorte ma volevo farlo perché il fatto che io fossi finita in A poteva solo esser un segno ben chiaro del destino: il tuo posto è lì, che tu lo voglia o no. Così è stato, forse la seconda scelta decisiva della mia vita. Allora mia mamma ha chiamato al telefono non so chi per farsi dire i nomi dei professori e io stavo in sala da pranzo a guardarmi le mani e a girarle l'una nell'altra ascoltando i nomi che mia mamma, sconcertata, ripeteva. Io invece non avevo dubbi...
Se torno indietro con la mente a cinque anni fa, sorrido nel vedermi.
Io lì, nell'aula immersa nel sole della quarta ora del sabato, come travolta da quella voce che così bene mi narrava l'epica... Ho vissuto battaglie intere, le ho viste con i miei occhi, ho provato sulla mia pelle secoli di storia emozionandomi, spostandomi agilmente tra Sparta e Atene, tra Ilio e Scheria. Ero felice, ero viva, ero forte della scelta fatta. Viva, viva più di tutto: volevo imparare ma ero ancora diffidente. Mi sembrava che tutto fosse troppo, davvero troppo bello per essere vero.
Rivivrei, se potessi, ogni singola ora, anche quelle di matematica. Tutte. Perché per ciascuna valeva la pena.
Per la mia diffidenza sono stata penalizzata e se tornassi indietro mi fiderei di più ma ci vuole forza per fidarsi, ci vuole forza per voler bene. Ci vuole coraggio, come quando ci si trova in mezzo alla nebbia, non si vede nulla ma c'è qualcuno che ci tende la mano instancabilmente, che crede in noi, che è felice di vedere i nostri successi dopo molte sconfitte.
Questo è il perché della mia ammirazione per una tale scuola: non vi sto dicendo che mi aspettassi di essere brava, e ho fatto bene perché così non è stato, ma vi assicuro che sentivo che sarebbe stata la scelta giusta e che qualunque cosa sarebbe successa, io non mi sarei mai arresa per nulla al mondo. Non c'è stata una volta che io abbia dubitato che quella fosse la mia scuola. Ho pianto spesso per paura di non raggiungere quel che volevo e spesso è successo ma ci sono state diverse vittorie come quella di cui vi parlavo prima che non vanno trascurate.
Forse ero troppo imprigionata nei numeri, sentivo di essere inadatta a me stessa, alle mie ambizioni, ai miei sogni.
Ma volevo farcela, non mi sarei arresa.
Tanto valeva, allora, incominciare.
----Non arrendetevi mai, soprattutto se vi dicono che non ce la farete. Andate avanti, non bloccatevi davanti a quel che sembra difficile perché nella vita nulla è semplice e, soprattutto, nulla è irraggiungibile per chi ha la volontà, la grinta e la determinazione. Dimostrate che potete farcela. Dimostratelo a voi stessi e sarà una grande soddisfazione per voi e una gran sconfitta per chi in voi non ha osato credere.----
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