Viola

Viola aveva quattordici anni e portava con sé ottanta chili di morbidezza.

Non erano mai stati un problema per lei. Qualche volta i suoi genitori le avevano raccomandato di perdere peso, perché era troppo grossa per la sua età, ma poi non avevano insistito ulteriormente visto che la vedevano felice e quella era la cosa più importante per loro. Anche i compagni di scuola, alle medie, non avevano mai dato troppa importanza alla sua obesità: la classe era particolarmente variegata e la presenza di un giovane sulla carrozzina con gravi problemi motori e di apprendimento aveva insegnato loro a essere molto tolleranti, a differenza dei loro coetanei, e il clima in classe si era sempre mantenuto gioviale e di amicizia.

Ma era arrivato per Viola il momento di affrontare una nuova sfida. Jeans morbidi, una maglietta un po' troppo corta che non aiutava a nascondere la pancia, lunghi capelli neri raccolti in una coda alta, viso solare ma tondo come una luna piena, cartella in spalla. Era pronta per entrare nella scuola dei grandi, piena di desideri, sogni e aspettative.

Si presentò a tutti nuovi compagni di classe col sorriso stampato sulle labbra, con una poderosa stretta di mano e con una voce vivace e squillante.

«Ciao, io sono Viola! Piacere!»

«Viola, piacere mio!»

Tutto il suo entusiasmo e il suo animo vivace trapelavano dalla sua gestualità, dalla sua chiacchiera animata e dal suo sguardo raggiante.

Dalla porta della sua nuova classe entrò una ragazza mingherlina, capelli biondi a caschetto, lentiggini e occhi azzurri talmente chiari da ricordare il ghiaccio.

Carlo e Thomas, i ragazzi con cui stava parlando Viola in quel momento, si lanciarono occhiate e sgomitate. Viola si girò, una luce le accese ancora di più lo sguardo, fece una goffa corsa verso di lei e i suoi ottanta chili avvolsero quel fisico minuto che, barcollando, quasi rischiò di rovinare a terra.

«Alice! Non ci posso credere, sei qui! Che bello!»

«Viola! Ma dai, non sapevo che anche tu avessi scelto il liceo classico.»

Era proprio Alice, quella che alle elementari era stata la sua migliore amica e che avrebbe condiviso con lei quell'avventura. Viola non poteva essere più felice.

Nelle prime settimane si delinearono subito i primi gruppi.

C'erano i tre secchioni, che occupavano i primi banchi vicino alle finestre, il gruppetto delle ragazzine truccate e in tiro come se dovessero fare una sfilata di moda invece che due ore di latino, il circolo di quelli che arrivavano insieme dalle medie e, per ultimo, il gruppo più problematico, quello dei bulletti strafottenti che si credevano i padroni della classe. Si erano trovati subito in sintonia quei cinque, fin dal primo momento, quando avevano deriso Viola il primo giorno di scuola mentre, ignara, ballonzolava in modo scoordinato e imbarazzante verso la sua amichetta.

Poi c'erano Viola e Alice, che inizialmente faticavano molto a integrarsi con il resto della classe e venivano considerate dai compagni solo quando era il momento di copiare appunti o compiti a casa. Entrambe andavano piuttosto bene a scuola e, diversamente dai secchioni che non volevano assolutamente passare nulla a nessuno, trovavano piacevole poter aiutare gli altri ed era per loro un momento in cui si sentivano finalmente considerate.

***

«Viola, puoi leggerci l'esercizio numero due della grammatica?»

Viola prese il libro di inglese, aprì a pagina quindici e cominciò a leggere serenamente l'esercizio. Ma alla seconda frase si bloccò, lo sguardo sgomento e fisso sulla pagina. A penna, sotto quella riga, c'era una grafia che non era la sua.

"I am fat" e, più sotto, "I am ugly".

Io sono grassa, io sono brutta.

Gli occhi le si riempirono immediatamente di lacrime, che cercò di trattenere con tutto lo sforzo possibile, ma che cominciò a colorarle le gote paffute di un rosa acceso. Ricordò quando Carlo, dopo la lezione di matematica, le si era avvicinato e, con finta gentilezza, le aveva chiesto di poter copiare i compiti. Lei ne era stata felice, ma ora si sentiva tremendamente stupida.

«Viola, avanti. Non hai fatto i compiti?» le domandò la professoressa che, con lo sguardo fisso sul registro, non si era accorta di nulla.

Viola sentì qualche risatina provenire dal fondo della classe, dall'angolo del gruppo dei bulli. Le voci che parlottavano tra loro le sembrarono quelle di Carlo e Thomas.

Con voce tremante riprese a leggere, ma si interruppe di nuovo dopo due sole parole. «Professoressa, non mi sento molto bene, posso andare al bagno?»

Appena varcata la porta, le lacrime le sgorgarono lungo le gote gonfie e arrossate. Si concesse solo un attimo, il tempo di ingoiare la tristezza e rientrare in classe col viso pulito e asciutto, seppure con un colorito che poco lasciava ad indovinare. Alice era accanto a lei.

«Che è successo?»

«Niente, niente. Credo di non aver digerito il panino dall'intervallo» le mentì.

Ma ormai, la sua reazione immediata e spontanea, la voce tremante e la fuga istantanea, avevano dato troppa soddisfazione al gruppetto delle ultime file, che continuò a sghignazzare per il resto dell'ora nonostante i numerosi richiami dell'insegnante.

***

I giorni passavano tutti uguali, conditi di frecciatine subdole lanciate alle sue spalle, borbottii e risatine al suo passaggio.

Viola continuava a prestare quaderni e appunti, che ormai erano zeppi di disegni fallici e parole offensive. A casa li nascondeva e mentiva costantemente ai suoi genitori, dicendo loro che andava tutto bene, perché non voleva che sua madre si presentasse a scuola urlando e sbraitando ed era certa che suo padre avrebbe contattato tutti genitori dei suoi compagni. Come l'avrebbero presa, loro? Le cose in classe sarebbero solo peggiorate, e per il momento le andava bene così: tristi, ma tutto sommato sopportabili.

Poi non era sola, c'era Alice che passava sempre il suo tempo con lei, facevano i compiti insieme e si aiutavano a vicenda nelle interrogazioni, ma che restava sempre in silenzio davanti alle battute e alle continue frecciatine rivolte a Viola, forse per paura di finirci, prima o poi, in mezzo anche lei.

Le frasi divennero ogni giorno più pesanti, come se si trattasse di una gara di pesi massimi: Viola contro le loro parole, e più lei se la prendeva, più reagiva piangendo o chiedendo loro di smetterla, più loro ci provavano soddisfazione e continuavano.

«Spostati, o devo chiamare un carro attrezzi?»

«Prof, mi scusi non vedo la lavagna, Viola mi copre tutta la visuale.»

«Quella sedia collasserà sotto il tuo peso, povera sedia!»

«Ti chiami Viola per lo sforzo che ha fatto tua madre a farti uscire.»

«Perché devo vedere questo spettacolo ripugnante tutte le mattine? Vattene.»

Le ragazze del "club alla moda" ridevano sempre con gusto andando a ringalluzzire il gruppo dei cinque screanzati. Gli altri della classe osservavano increduli e in silenzio, ringraziando di non esserci loro sotto i riflettori e pregando di rimanere trasparenti ai loro occhi ancora per lungo tempo, rifugiandosi col naso dentro ai libri o in cerchio a parlare tra loro facendo finta di non vedere e di non sentire.

Viola cominciò in breve tempo a diventare sempre più taciturna, il suo sorriso si appiattì e la luce dei suoi occhi, perennemente arrossati dal pianto, si spense giorno dopo giorno. Cominciò a usare tutta la sua paghetta per comprare maglie di due taglie più grandi della sua per nascondersi meglio sotto i vestiti e per cercare di celare il più possibile, non solo quell'enorme rotolo di pancia, ma anche quel gran culone che le dicevano fare provincia.

Cominciò anche a guardare Alice con invidia: lei era minuta, molto carina e spesso gli altri della classe avevano cominciato ad andare a cercarla per parlare con lei, soprattutto Mirko che, per quanto strafottente, era considerato il più figo della classe.

Bastò un attimo per far sì che le frasi di scherno si trasferissero dall'aria al gesso sulla lavagna, e i disegni presero forma anche sui social dove venivano spesso postate immagini denigratorie con tag e frasi offensive. Qualcuno si era addirittura premurato di creare account falsi per contattarla e importunarla ancora di più. Viola si ritrovava a dover cancellare ogni giorno una marea di messaggi offensivi ricevuti da sconosciuti che le chiedevano addirittura prestazioni sessuali. Cominciò a chiudersi sempre di più in se stessa, a isolarsi e diventare taciturna, mentre i suoi voti peggioravano di giorno in giorno.

Alice diveniva sempre più distante, aveva addirittura cominciato a negarsi dopo la scuola usando motivazioni che erano palesemente delle scuse e passava ogni intervallo o cambio d'ora in compagnia di Mirko, per cui si era presa una cotta tremenda.

***

Un giorno, durante l'intervallo come consueto, Viola era andata al bar della scuola a prendersi un panino farcito per affogarci dentro la sua tristezza e i suoi dispiaceri. Il cibo era per lei l'unica cosa che le dava sempre soddisfazione: era momento di gioia e di godimento, ma anche conforto e consolazione.

Rientrata in aula, non si accorse della gamba di Christian che, poco casualmente, si allungava ai lati della sedia e le intralciava la strada verso il suo banco.

Viola, senza quasi accorgersi di cosa stesse accadendo, si ritrovò distesa lunga a terra, la caduta ammorbidita dalla ciambella che, generosa, le circondava i fianchi.

«Ragazzi guardate! Una balena spiaggiata!»

Le risate di Carlo si fecero sonore e il suo commento trascinò l'ilarità di tutta la classe, anche di quelli che fino a quel momento avevano cercato di restare per i fatti loro, il più lontano possibile dal gruppo dei cinque.

Viola si rialzò in fretta, coi capelli arruffati e paonazza in viso, con lo sguardo appannato che cercava furiosamente la porta dell'aula in mezzo a un mare di lacrime che le offuscavano la visuale. Al primo passo un dolore lancinante a un ginocchio la fece barcollare, aggiungendosi al suo movimento già goffo dato dai chili di troppo. Non si era accorta di essersi fatta male nella caduta, tanto era forte il dolore che opprimeva il suo cuore.

Quando finalmente riuscì ad individuare la porta vide Alice, il cui viso era sfigurato da una smorfia che sembrava un misto tra vergogna e preoccupazione. In piedi accanto a lei c'era quello che ormai era diventato il suo ragazzo, Mirko, che se la rideva di gusto insieme ai suoi compari.

Appena Viola incrociò il suo sguardo, con una richiesta di aiuto silenziosa ma tremendamente esplicita stampata sul volto, Alice si girò dall'altra parte e abbassò gli occhi.

Era già qualche tempo che si parlavano poco visto: Viola si era chiusa sempre più in sé stessa e Alice non le aveva mai detto che i bulli della banda dei cinque, qualche giorno prima, le avevano dato un ultimatum: «Se stai con lei, non puoi stare con noi, e guai a te se lo dici a qualcuno». Lei non poteva restare lontana da loro, perché Mirko faceva parte del gruppo. Aveva dovuto scegliere tra la sua amica storica, con cui probabilmente sarebbe diventata vittima di angherie e scherno, e il ragazzo che per la prima volta le aveva fatto battere così tanto il cuore e che poteva garantirle protezione.

Viola non poteva sapere, ma quello sguardo mancato, sfuggente, la ferì più di ogni parola, più di ogni disegno. Non aveva più nemmeno lei, il suo sostegno, la sua alleata, la sua amica, Alice.

Corse fuori dall'aula, incapace di trattenere le lacrime, col viso paonazzo e con la ciccia della pancia che ballonzolava assecondando la sua corsa sgraziata e zoppicante nei corridoi. Arrivata in bagno, si sedette sul pavimento, rannicchiata, portando le gambe al petto, tenendole strette contro a sé. E pianse. Pianse un fiume di parole raccolte negli ultimi mesi, parole che bruciavano come lava: grassona, balena, ciccia bomba, racchia, mostro, obbrobrio... grassona, balena, ciccia bomba, racchia, mostro, obbrobrio... grassona, balena, ciccia bomba, racchia, mostro, obbrobrio.

Quelle parole disgustose si susseguivano nella sua mente insieme al volto di Alice che si girava dall'altra parte. Immagini le passarono davanti agli occhi come proiezioni di diapositive invecchiate dal tempo. Le frasi dette da Carlo, Mirko, Thomas, Christian e Simone, e i loro sguardi giudicanti, sprezzanti, crudeli.

«Che ci fai ancora qui?»
«Vattene.»
«Fai schifo.»
«Ma chi ti vuole.»
«Non hai diritto di respirare la nostra aria.»
«Sei uno scherzo della natura.»
«Non hai diritto di vivere.»

Non ci fu più giorno in cui Viola restasse in classe durante l'intervallo. Al suono della campanella, correva subito al bar, prendeva una pizza e due paste e si rifugiava in bagno o in un angolo appartato del cortile dove si ingozzava per cercare sollievo, per cercare appagamento, per cercare la forza di resistere. Ricacciava indietro le lacrime che le salivano dalla gola a riempirle gli occhi mentre masticava, e tutto questo avveniva ogni sacrosanto giorno di scuola.

Non aveva più chiesto nulla ad Alice e lei non le si era più nemmeno avvicinata dopo aver cambiato posto ed essersi sistemata vicino a Mirko.

***

Durante l'ennesimo intervallo di disperazione che Viola si apprestava ad affogare sul cibo, un ragazzo moro e corpulento interruppe la sua corsa tra il bar e il bagno. I due quasi si scontrarono nella scalinata centrale della scuola tanto erano entrambi di fretta e distratti. Lui le raccolse da terra il cartoccio delle paste mentre lei cercava di scusarsi in modo maldestro e impacciato.

Quegli occhi, con una incredibile sfumatura dal verde all'azzurro, la lasciarono senza fiato.

«Stai bene?» le chiese. Ma Viola era imbambolata e totalmente persa in quello sguardo.

«Ehi, parlo con te» tentò lui facendole un segno davanti al viso, ma ancora Viola non reagì se non sussurrando un misero «Eh?» imbarazzata.

«Scusami, proprio non ti avevo vista! Stavo cercando di capire dove devo andare qui dentro, è un labirinto! Mi hanno detto al primo piano, ma devo aver sbagliato qualcosa. Tu sai dirmi dove posso trovare la prima D?»

«Ah, eh, sì. È... di qua» rispose indicando su per le scale.

«Ti spiace accompagnarmi? Ho già fatto il giro del piano di sopra due volte e non ho trovato quello che cercavo.»

«S... sì, seguimi.»

«Ah, comunque», quello sguardo fatato in un viso luminoso come la luna nel cielo notturno la fissava intensamente allungando la mano, «io sono Michele, piacere.»

«Viola» disse lei senza rispondere al suo gesto, sentendosi impacciata con le buste del bar in entrambe le mani.

Si avviò lungo le scale e lui la seguì in silenzio, non sapendo come sciogliere il suo enorme imbarazzo. Viola si vergognava da morire sentendo il suo sguardo su di lei, pensò a quanto dovesse fargli schifo con quei vestiti enormi e con tutta quella larghezza, pensò a quanto cavolo avrebbe voluto essere come Alice e poter ancheggiare un po' davanti a quella meraviglia di creatura contro cui si era scontrata e a quanto fosse impossibile per lei piacere a un ragazzo. Sperò di non rivederlo mai più, di potersi nascondere in un anfratto della scuola e non incrociare nuovamente il suo sguardo così profondo per paura di trovarvi dentro disprezzo e leggervi quello che leggeva ogni giorno negli occhi dei suoi compagni di classe: "Balena, mostro, scherzo della natura".

Lo lasciò davanti alla prima D e corse a rintanarsi in bagno per il resto dell'intervallo.

Quando tornò in classe, camminò come sempre con lo sguardo basso fino al suo banco. Fu solo quando si sedette che una voce accanto a sé la fece sobbalzare.

«Ciao. Non mi avevi detto che questa fosse la tua classe.»

Si girò lentamente verso di lui, con il cuore che le martellava in gola.

«A quanto pare saremo compagni di banco. Mi hanno detto che questo era libero. Spero non ti dispiaccia.»

Il suo sorriso sembrava sincero e genuino, ma soprattutto il tono della sua voce era veramente gentile.

«N... no, no. Nessun problema.»

Dall'ultima fila qualcuno si stava profondamente divertendo alle loro spalle.

Quello stesso giorno, arrivata a casa, Viola si chiuse in bagno, si fermò davanti allo specchio e restò a fissare il suo riflesso. Faccio schifo, hanno ragione, pensò. Un brivido le percorse le viscere quando ripensò allo sguardo di quel ragazzo su di lei, mentre salivano le scale. Si girò di lato e osservò la sua schiena allo specchio, cercando di vedere cosa lui avesse visto. E non le piacque. Affatto. Ciccia bomba, mostro, balena. Era tutto vero, e la prima causa di tutto questo era proprio lei stessa.

«Viola, tutto bene?»

«Sì, mamma. Arrivo.»

Un'ultima occhiata allo specchio, poi il suo sguardo si spostò sulla bilancia vicino a lei. Una lacrima silenziosa le rigò il viso quando il display mostrò 85,4 chili. Altri cinque chili da quando aveva cominciato la scuola, altri cinque chili di vergogna ed umiliazione.

Finì la sua porzione di pasta in un batter d'occhio, famelica, fissando il piatto ad ogni boccone.

«Ne vuoi un altro po'?» le chiese sua madre.

Viola ebbe un attimo di esitazione, ma poi, prendendo coraggio, le rispose: «No, basta così.»

«Viola, stai bene?» Sua mamma non era abituata a un rifiuto, non sul cibo almeno.

«Sì, mamma. Sto bene. È che... ecco», abbassò gli occhi, «voglio dimagrire» disse arrossendo.

«Ok, tesoro» rispose la madre incrociando lo sguardo con suo padre, che aveva un'aria particolarmente preoccupata ed interrogativa.

«Vuoi che ti accompagni dalla dietista di papà?»

«Sì, mamma, per favore» le rispose Viola alzando gli occhi dal piatto e guardandola con immensa gratitudine per non aver fatto altre domande.

***

Il pacchetto di cracker da gustare come spuntino durante l'intervallo era di una tristezza mostruosa. Viola lo guardava con aria schifata mentre lo sgranocchiava seduta sul pavimento del bagno. Non voleva farsi vedere, non voleva essere presa in giro, non voleva sentirsi dire ancora «ti hanno tolto la paghetta per farti dimagrire?»

Cominciò a correre tutti i pomeriggi, un'ora al giorno, tanto non aveva di meglio da fare da quanto Alice non rientrava più con lei da scuola. Le prime volte furono traumatiche tanto i polmoni le sembravano andare a fuoco dopo pochi minuti, ma comunque quella fatica dava i suoi frutti, aiutata dalla cucina attenta e meticolosa di sua madre e dalle numerose dritte date dalla dietista. Il numero mostrato sul display della bilancia era sempre più basso, e ogni chilo in meno era una spinta in più alla sua forza e alla sua determinazione.

Forza e determinazione che cominciò a trovare anche in aula, riuscendo a sopportare meglio gli sfottò e le angherie, ignorandoli e mantenendo un contegno. E ogni passo avanti la rendeva più forte, le dava più energia per continuare e più sicurezza in se stessa. E insieme a quella sicurezza anche i suoi voti cominciarono ad aumentare allo stesso ritmo in cui il suo peso scendeva sulla bilancia. Più vedeva quella cifra scendere, raggiungendo un obiettivo dopo l'altro, più si sentiva invincibile.

Michele era ancora seduto nel banco accanto a lei, anche dopo aver scoperto che in realtà c'era un altro banco libero in un posto più defilato e decisamente più lontano. La cosa più incredibile era stata in realtà la sua continua gentilezza verso di lei, insieme al fatto di non essersi mai permesso di ridere alle battute offensive e denigratorie del gruppo dei cinque e nemmeno aveva mai dimostrato il minimo interesse nell'avvicinarsi a loro o al gruppetto delle vamp. Col passare del tempo, e la sicurezza che via via Viola andava acquisendo, i due si avvicinarono ed entrarono in confidenza. Lei si perdeva in quello sguardo magico ogni giorno di più, aveva visto quanto fosse incantevole il suo sorriso e si scoprì a sorridere a sua volta, cosa che non faceva più da tanto tempo, non in modo vero e sincero perlomeno, ma solo finto e trattenuto in casa per non dover raccontare cosa le stava succedendo.

Dopo mesi di duro lavoro, al raggiungimento dei sessantacinque chili, con la paghetta premio dei genitori, Viola si concesse un po' di shopping. Decise di abbandonare quel saio in cui si era rifugiata e di mostrarsi di più, senza nascondere quella morbidezza che le era rimasta ma che non le causava vergogna. Non era diventata certo come Alice o come il gruppetto delle "vamp tutta apparenza e niente sostanza" come le aveva definite Michele, ma di certo non era più grassona, balena, ciccia bomba, racchia, mostro, obbrobrio. Era solo Viola, con il suo metro e sessanta, una terza abbondante e un ampio cuscinetto su pancia, cosce e glutei, ma con una silhouette come non si era mai vista nei nuovi jeans elasticizzati e nelle magliette con lo scollo all'ultima moda.

Si fece anche sistemare i capelli, in modo da non avere più un viso circondato da un lungo, liscio e insipido sipario, ma un taglio scalato che le andasse a valorizzare i lineamenti paffutelli ma dolci.

Il giorno che rientrò in classe, si era liberata dalle lenzuola che si teneva addosso e nessuno ebbe il coraggio di aprire bocca. Nella stanza calò il silenzio, un silenzio mai sentito in assenza di professori.

Michele la accolse con un sorriso. «Stai veramente bene così, sai?»

Forse fu quel commento, quella considerazione, la sensazione positiva che le dava essere vista che le diedero la forza di domandargli, per la prima volta, di studiare insieme. E lui non se lo lasciò chiedere due volte.

Seduta accanto a Michele sul divano, le gambe incrociate con il libro di latino sulle ginocchia, Viola non riusciva a stare concentrata e continuava a buttare lo sguardo su di lui. Era così bello quando leggeva, con quell'aria da intellettuale.

«Secondo te questa frase come si traduce?»

«Eh, come? Cosa?»

Michele rise. «Ma a cosa stavi pensando?»

«A te.»

Viola non si era resa conto di quello che aveva detto. Sgranò gli occhi, guardandolo. E lui avvampò. A quel punto ormai, non poteva fare passi indietro. Tutto sommato si sentiva bellina, o per lo meno accettabile e questo le diede la forza di buttarsi, di tentare per la prima volta un approccio con un ragazzo che non fosse per lei solo un amico.

«Senti Michele, tu sei sempre stato così carino con me. Perché?»

Michele era perplesso. «Perché non avrei dovuto?»

«Perché nessuno lo era quando sei arrivato.»

«E quindi, se gli altri sono un branco di stupidi, lo dovrei essere anche io?»

«Non ho detto che sei stupido ma, io, ecco, ero brutta!»

«E allora?»

Lo sguardo di Viola si fece interrogativo.

«Beh, eri imbarazzatissima, ma simpatica, dolce, attenta a non ferire gli altri nemmeno quando loro si prendevano gioco continuamente di te, forte e coraggiosa.»

«Forte e coraggiosa? Ma chi hai conosciuto te?»

«Ho conosciuto una ragazza che ha sopportato angherie per mesi, si è messa d'impegno e solo con le sue forze ha perso, quanto? Una quindicina di chili?»

«Venti»

«Venti chili in soli cinque mesi? E ti pare poco? E poi se la persona più piacevole di quella classe. Sono tutti o troppo stronzi o troppo mosci. Tu sei... vera.»

Viola arrossì.

«Senti...»

«Dimmi.»

«Non so se faccio bene ma, ti devo dire una cosa.»

Michele rise. «E parla, ti vergogni forse?»

«Beh, sì.»

«Non dovresti.»

«Perché? Come fai a saperlo?»

«Un'idea me la sono fatta, ma non vorrei sbagliare. Su, dai, non preoccuparti.»

«Ok», Viola prese un respiro.

«Io credo di essermi innamorata di te.»

«Avevo capito bene.» Michele le sorrise gentilmente ma non si avvicinò a lei, né fece alcun tipo di mossa, solo si fece pensieroso.

«E?» lei era visibilmente in ansia.

«E... sei una bella ragazza, soprattutto ora, con il grande cambiamento che hai fatto. Ma soprattutto sei bella dentro. Hai fatto bene a dirmi questa cosa, sai? È giusto non tenersi dentro queste belle emozioni. Ti voglio bene Viola, davvero, ma solo come amica. Sto bene con te, ma ci sto bene così. Mi dispiace, non vorrei mai ferirti, ma sono felice di aver potuto mettere in chiaro questa cosa.»

Viola si intristì, abbassò gli occhi che si riempirono di lacrime. Lui le si avvicinò, la cinse e la strinse in un forte abbraccio. Lei si lasciò andare in un pianto liberatorio, tra le braccia di quello che era diventato in pochi mesi, il suo migliore amico ma anche il suo desiderio infranto.

Quando Michele salutò i suoi genitori e uscì da casa sua, Viola corse in bagno a fissarsi allo specchio.

Dopo la delusione iniziale, la sensazione di aver fatto tutta quella fatica per niente, per essere rifiutata così, con il famoso e fastidioso "ti voglio bene, ma solo come amica", il suo riflesso le parve nuovamente diverso. Si riuscì a vedere nello stesso modo in cui l'aveva descritta lui: si scoprì forte, coraggiosa e fiera di se stessa, della strada fatta, della consapevolezza e degli obiettivi ottenuti e non era più indispensabile che gli altri lo notassero, perché la cosa veramente importante era quello che le trasmetteva quell'immagine allo specchio.

Non era più sola, aveva un nuovo amico che aveva avuto il coraggio di essere sincero e di starle vicino allo stesso tempo, aveva di nuovo un ottimo rendimento scolastico che le avrebbe fatto superare l'anno, ormai agli sgoccioli, con ottimi voti. Ma soprattutto aveva una nuova se stessa, che la guardava sorridente attraverso lo specchio, con una nuova luce negli occhi, più matura, consapevole, sicura e fiera.

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