Terza prova

Ultimamente questi stupidi servitori si sono fatti ancor più umili e ubbidienti. Oggi mi hanno portato dozzine di vassoi ricolmi di cibi di ogni genere. Mi hanno donato carni pregiate, pesci freschissimi, mi hanno servito persino della disgustosa frutta, pensando di farmi piacere. Sono proprio degli incapaci.

Una dea del mio calibro meriterebbe degli schiavi ben più intelligenti, ma tutto sommato questi sono accettabili. In fondo si prendono sufficientemente cura della mia incommensurabile bellezza e mi portano una vasta scelta di cibi. Sanno bene che potrei maledire i loro cuori con una sola occhiata. E a quel punto non verrebbero mai giudicati abbastanza puri per vivere in eterno nell'aldilà.

Scendo dal mio sontuoso trono, dirigendomi verso le stanze di Thutmose. Ultimamente è stato poco bene ed è mio dovere controllare il suo stato di salute. Cammino con aria altezzosa mentre la servitù si inginocchia al mio passaggio. Adoro quando lo fanno. Normalmente avrei passato qualche minuto a tormentarli e graffiarli, è così divertente vederli soffrire impossibilitati a difendersi, ma ora la mia priorità è un'altra.

Trovo Thutmose a letto, pallido a causa della malattia che lo ha colpito. Sembra peggiorato dall'ultima volta che l'ho visto. Pensieri cupi mi hanno perseguitata in questi giorni. Temo per la sua vita e ho paura che nemmeno la mia natura divina possa salvarlo.

Sfortunatamente, ad accudirlo c'è quasi sempre sua sorella Hatshepsut. Anche oggi quell'insopportabile donna veglia il suo capezzale. Mi rivolge un sorriso falso. Finge di idolatrarmi solo perché sa che se si mettesse contro di me verrebbe uccisa.

- Mia Signora, perdonatemi, ma il faraone ha bisogno di riposare. - mi dice - Vi posso chiedere di tornare dopo?

Sbuffo ed esco dalla stanza controvoglia. È assurdo che una dea debba ascoltare le parole di un'inutile mortale. Ma so bene che Thutmose necessita di calma e riposo per guarire. Ascolto il consiglio di quella sua odiosa sorella solo per il suo bene.

Mi dirigo verso i giardini del palazzo, vogliosa di toccare quella deliziosa erba che tanto amo per potermi calmare almeno un po'.

Ed è lì che lo vedo.

Un intruso!

Ha avuto l'ardire di penetrare nel mio giardino privato! E sta toccando le mie cose con le sue luride zampacce! Come osa!

Devo soffiargli contro un paio di volte prima che si accorga della prima presenza. È un autentico villano!

Si gira finalmente nella mia direzione.

- E tu chi sei? - mi chiede arricciando il naso.

- Io sono la dea Bastet, proteggo il faraone Thutmose. E tu sei un intruso! Come hai potuto anche lontanamente pensare di poter toccare le proprietà di una dea restando impunito?

Rivolge le orecchie verso di me, guardandomi con aria interrogativa. Possiede dei banali occhi marroni. Nulla a che vedere con quelli verdi e profondi che mi appartengono.

- Io sono Amun. La tua erba è deliziosa. - dice giocherellando da quella pallina verde che sembra appezzare tanto.

- La mia erba, hai detto bene. È mia e solo mia, tu non hai di certo il permesso di toccarla. Perché non sei in una casa a farti servire dai tuoi schiavi?

Mi si avvicina con un balzo. D'istinto ritraggo una zampa, quasi come se volessi evitare di sfiorarlo.

- Penso che sia più divertente invadere le proprietà altrui che restare chiuso in casa ad annoiarmi.

Resta ad annusarmi per qualche secondo. Che sfacciato!

Mi accorgo solo ora che la mia coda si sta agitando, muovendosi ritmicamente da destra a sinistra. È quanto mai evidente che questo Amun mi dà sui nervi.

- Perché non vieni a fare un giro con me? Potresti scoprire che la vita al palazzo del faraone non fa per te.

- Che sciocchezze! Questo è il mio regno, perché mai dovrei lasciarlo.

- Come preferisci. - miagola, prima di abbandonare il mio giardino privato con un balzo.

Quando mi rendo conto che ha rubato un po' della mia preziosissima erba non riesco a fare a meno di seguirlo. A quanto pare è anche un ladro!

Lo raggiungo quando ormai ha percorso quasi un kilometro. Sicuramente quella innaturale agilità gli serve per derubare le sue povere vittime.

- Restituiscimi subito la mia erba! - gli intimo.

Lui la sputa davanti a sé, prima di riprendere a parlarmi.

- Per una dea, questo ed altro. Sai, hai un pelo veramente stupendo. Che colore è, marrone?

- Si dice fulvo! - è pure ignorante.

- Vieni con me, dea Bastet dal pelo fulvo, andiamo a derubare qualche macellaio.

Forse è l'odore dell'erba che mi rende più docile e disponibile, forse è il suo lucente pelo a chiazze che riesce a convincermi. O forse, più probabilmente, adoro la carne.

Amun ruba un succulento filetto dal bancone del macellaio. L'uomo, quando se ne accorge, si inchina davanti a lui, com'era ovvio che facesse, e gli offre un taglio ancor più pregiato di carne. Lui rifiuta con fare superbo, per poi fuggire con il suo bottino stretto fra le fauci.

Mi ritrovo ad inseguirlo, consapevole del fatto che forse non è solo la carne che mi alletta.

Dopo un meritato spuntino, Amun mi convince a recarci insieme dal vasaio. Il pensiero di rompere qualche vasetto e qualche soprammobile in argilla mi alletta non poco. Ammetto, con riluttanza, che questo ladruncolo sa come divertirsi.

Trascorriamo diverse ore insieme. Ci avventuriamo in case sconosciute, per ricevere qualche coccola e un po' di latte, addentiamo qualche topo, entriamo perfino in una sartoria per sonnecchiare all'ombra, rannicchiati sulle morbide stoffe. Non ricordo da quanto tempo non passavo una giornata così insolita. Forse non lo avevo mai fatto.

Il sole pomeridiano lascia finalmente spazio alla penombra della sera e finalmente i miei occhi, fin troppo sensibili alla luce, trovano un po' di riposo. I cuscinetti delle mie zampe sono doloranti a causa dell'interminabile vagare per le strade della città.

Mi ritrovo a riposare all'interno del mio giardino privato insieme ad un perfetto sconosciuto. In fondo Amun non è poi così antipatico. È intraprendente, non dipende dagli schiavi bipedi in alcun modo. Fa sempre quello che vuole senza avere una casa fissa. La sua vita sembra molto divertente.

- Spero che tu ti sia divertita, Bastet. - mi dice - E spero tu abbia capito che essere un reietto è meglio che essere una divinità. - parla con un tono quasi arrogante.

Scelgo di non rispondergli, stiracchiandomi e compiendo impensabili contorsioni.

L'affascinante avventuriero mi si avvicina, leccandomi il pelo e solleticandomi con le sue vibrisse.

In fondo non è così male. Ha un manto grigio folto e lucente, con macchie nere gettate sopra. Gli occhi marroni sono accompagnati da un muso grigio antracite con qualche pizzico di rosa sparso. Il corpo è snello e agile, reso ancor più aggraziato da lunghe zampe scattanti. E ha una lingua talmente ruvida da riuscire a togliermi di dosso tutti i granelli di polvere che il mio pelo ha accumulato durante la giornata.

Spingo le orecchie indietro e socchiudo gli occhi mentre Amun mi coccola.

- Non ti piacerebbe trascorrere ogni singolo giorno della tua esistenza così? - mi domanda, strusciando la sua testa contro la mia - Potremmo essere solo tu ed io, in giro per l'Egitto. Potresti essere la mia dea, anziché quella del faraone. Sarei la creatura più felice dell'intero Nilo se una bellissima divinità come te volesse restarmi accanto.

Non riesco a trattenere delle timide fusa. Spero con tutto il cuore che Amun non se ci abbia fatto caso ma a giudicare dal modo in cui le sue orecchie hanno vibrato, deve essersene accorto.

Un gruppo di servi che corre agitato lungo il corridoio adiacente al giardino mi risveglia dal mio torpore. Parlano a voce altissima, quasi assordante, e sembrano dominati da paura e dispiacere. Temo di conoscere il motivo di tanto trambusto.

Preferirei rimanere fra le zampe di Amun a farmi coccolare, ma decido di rinunciare alle sue cure, raggiungendo i corridoi del palazzo con pochi, rapidi balzi.

Forse preoccupato dai rapidi movimenti della mia coda, l'intrepido avventuriero mi segue, ansioso di conoscere il motivo della mia agitazione.

Corro verso la stanza del faraone. Ed è a quel punto che i miei sospetti si trasformano in una realtà difficile da accettare.

Hatshepsut, in lacrime di fronte alla stanza chiusa del faraone, indossa un vestito rosso. Thutmose è morto. Quella megera della sorella si finge addolorata mentre parla con i funzionari, ma sono abbastanza scaltra da capire che in realtà è felice della dipartita del fratello. Sa bene che suo figlio è troppo piccolo per guidare il regno e, dunque, il titolo di regina le spetterà di diritto.

Sono disgustata e sconcertata. Temo che quella vile donna possa cacciarmi dal palazzo, per trovarsi un'altra divinità protettrice.

- Dea Bastet, qui non hai più niente da fare. - il miagolio di Amun mi sorprende - Vieni con me e viviamo liberi come una coppia.

Mi volto verso di lui, cammino al suo fianco con passo felpato. Poi lascio per sempre il palazzo, un velo di tristezza mi accompagna. Ora sono solo Bastet.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top