παιδίον (pt.4)

I giorni successivi alla morte del fratello, Victoria si barrica in camera, rifiutando vivande e compagnia. Piange dal mattino a notte fonda, stringendosi nelle spalle e toccandosi il cuore martirizzato. Singhiozza, prega e vomita dolore e tormento. In un momento di furiosa follia si taglia i capelli per poi gemere con le ciocche ancora colorite strette tra le mani. S'addormenta, urla, geme, si sveglia per due giorni. Smette e non piange più. Il mattino del funerale di Edoardo i presenti rimangono impressionati dalla freddezza e dalla compostezza della fanciulla, giudicandola senza cuore o incapace di comprendere il lutto. Nessuno, se non la sua famiglia e i domestici, sa che ha pianto il fratello, ha permesso al dolore d'ucciderla per poi risorgere dalle ceneri come una fenice. In verità per l'intera durata della funzione i pensieri della contessina non sono rivolti alla tomba né al prete o ai presenti. I ricordi felici le offuscano la ragione sin quasi a farle perdere il contatto con la realtà se non fosse per la balia che le stringe con forza la mano mentre con l'altra preme il fazzoletto di stoffa contro le labbra. Nonostante Victoria abbia pianto abbastanza per la terribile perdita, trascorre l'intera settimana chiusa in casa, suonando il violino e rifugiandosi tra i numerosi libri gotici della libreria. Il comportamento schivo e distaccato della giovane fa spaventare non poco il conte e la contessa, che, stanchi di vederla così angosciata, si autoimpongono di parlarle il giorno a venire.

Il mattino non tarda ad arrivare ed il sole, radioso e brillante, bacia la terra bagnata ed il mare cristallino poco increspato. Il vento gelido di dicembre smuove le chiome degli alberi sempre verdi ed i rami di quelli privi di foglie. Il cinguettio degli uccelli, ora più timido, echeggia in tutto il paese, svegliando gli abitanti ancora assonnati, compresi il conte e la contessa. Victoria invece dorme d'un sonno agitato nel suo giaciglio, rigirandosi nervosamente tra le calde coperte, ma è il cigolio della porta della sua camera che la fa sospirare e voltare sul fianco opposto, mugugnando contrariata. La fanciulla si autoimpone di non dischiudere le palpebre e continuare a dormire, ma i passi, pesanti e numerosi, le fanno ben intendere che non è entrata in camera solo la domestica. Purtroppo non possiede ancora le forze per cacciare gli intrusi né di alzarsi dal letto, perciò continua a rimanere distesa con gli occhi chiusi sin quando qualcuno scosta le tende e spalanca la finestra, facendola rabbrividire ancora infagottata nel suo letto. Victoria apre pigramente le palpebre, sbadigliando e stiracchiandosi con i nervi a fior di pelle. Con estrema lentezza si mette a sedere, alza il capo e strabuzza gli occhi per la sorpresa. È raro, se non rarissimo, che entrambi i suoi genitori entrino insieme in camera sua nel primo mattino e di certo la loro presenza non può che turbarla. Inoltre i loro volti seriosi non annunciano nulla di buono. Victoria vorrebbe continuare a dormire o trovare una scusa per mandarli via, ma è meglio conoscere il prima possibile le cattive nuove, in quanto non svaniranno come per incanto. La fanciulla fa cenno loro di parlare, perciò il conte e la contessa si guardano negli occhi per poi scegliere chi dei due debba rompere il silenzio.

«Victoria.» La richiama dolcemente il padre. «Io e tua madre non riusciamo a vivere bene sapendoti così distrutta ed addolorata. Sappiamo quanto tu fossi legata a Edoardo, ma devi sapere che lui ora sta bene. Adesso è con Dio e veglia su di noi dall'alto dei cieli.»

Victoria avverte un brivido sinistro correrle per la schiena e le lacrime pizzicarle gli occhi ambrati. Percepisce una morsa dolorosa stringerle il cuore ed un macigno invisibile pressarle sul petto.

«Devi reagire figlia mia.» Sussurra il conte con sincero affetto, avvicinandosi al letto ed afferrandole la mano. «Devi vivere anche per Edoardo. Lui non vorrebbe vederti così.»

Victoria china il capo, incapace di sostenere lo sguardo severo e dolce del padre. All'improvviso avverte la gola ardere ed il dolore sgorgare fuori ancora ed ancora. Prima che possa irrompere in un pianto disperato, si morde l'interno guancia, in quanto promise di non piangere più e manterrà fede al patto. Lo deve ad Edoardo.

«Inoltre pochi giorni fa si è trasferita in paese una famiglia di marchesi, i Visconti.»

Lentamente Victoria alza il capo verso il padre, guardandolo con supplica e dinegando con forza, poiché incapace d'articolare una frase di senso compiuto.

«Oggi andremo a far loro visita.» S'intromette la contessa. «Tutti insieme

Victoria dischiude le labbra disidratate e poco screpolate, ma, prima che possa ribattere quasi priva di forza di volontà, il padre le stringe la mano e la costringe a guardarlo negli occhi. La fanciulla esegue il suo volere, osservando vacuamente le gemme vive del conte.

«Devi uscire da qui e lottare per la tua vita» Si alza e si china, baciandole la fronte. «Sii forte, figlia mia.»

Victoria non ribatte, sentendosi scossa dalle parole sincere di suo padre. Acconsente con un gesto appena visibile del capo, facendo sorridere il conte e sospirare la contessa. Immediatamente entra Abba, la balia, mentre i suoi genitori abbandonano la stanza. La negra la lava in vasca e l'aiuta a vestirsi, stringendo più che può il corsetto della contessina, per poi farle indossare una lunga gonna blu oltremare e una camicia color panna. Le spazzola i capelli lunghi, mossi e scuri come le cortecce degli alberi secolari in uno chignon basso con un nastrino di raso blu. Victoria si rilassa, sospirando ristorata, e si abbandona alle premure della balia.

«Siete bellissima come sempre.» Sussurra commossa, sorridendo appena, mentre una lacrima le solca la gote scura.

«Invece voi siete sempre molto clemente e buona con me, Abba.» Ammette Victoria in tutta sincerità. «Vi ringrazio.»

La nutrice diniega con veemenza, sorridendo amaramente, per poi battere le mani e annunciare: «È ora d'andare. Siete pronta per stringere nuove amicizie?»

Victoria rotea gli occhi al cielo ed indossa la sua mantella nera come la notte più oscura.

«Sa perfettamente che non sono una ragazza molto loquace ed ora come ora non sono molto aperta ad instaurare nuove conoscenze.» Ribatte con spiccato scetticismo. «Ciò nonostante mi comporterò con garbo.»

«Sia mai infangaste il nome della vostra famiglia!» Strilla la nutrice, strappandole un sorriso. «Chi mai placherebbe l'ira di vostra madre?»

«Credo che ci vorrebbe un vero santo per placare i suoi bollenti spiriti.»

Entrambe scoppiano in un riso allegro quando la voce squillante del conte le fa rinsavire. La balia lancia uno sguardo magniloquente alla contessina per poi scortarla sino al portone d'ingresso della grande villa. Victoria saluta la sua nutrice con troppo ardore, udendo nel mentre i sospiri nervosi della madre ed intercettando le occhiatacce del padre, per poi voltarsi e salire in carrozza. Il viaggio non dura molto se non una decina di minuti, in quanto la mastodontica villa dei Visconti non è molto distante dalla loro dimora, che alla pari è molto più umile. Non appena il cocchiere tira le briglie ed i cavalli interrompono il loro galoppo, Victoria ed i suoi genitori scendono dalla carrozza, incamminandosi verso il portone d'ingresso dove ad attenderli vi è un maggiordomo ed una domestica. I due servitori sorridono lieti ai nuovi arrivati, scortandoli all'interno dell'enorme e lussuosa abitazione, facendoli accomodare in seguito in salone dove i due padroni di casa sono intenti a discutere seduti sul sofà cremisi. Non appena i padroni di casa notano gli ospiti, si alzano in tutta fretta e si avvicinano ai tre, salutandoli con una calorosa stretta di mano ed un sorriso visibilmente ingigantito. I due marchesi mandano a chiamare i figli, o almeno quelli ancora scapoli residenti in casa, mentre invitano i conti a sedersi ed a sorseggiare del buon tè al limone. L'unica a rimanere in piedi ad osservare ammaliata la sontuosa sala è Victoria, che piroetta più volte su se stessa così d'avere una visione completa dell'incantevole loco. La contessina analizza con occhio critico il predominare dei colori rosso, panna ed oro, oltre al marrone scuro che orna ogni mobile presente in sala. Il lampadario maestoso e d'orato, ricolmo di ghirigori e bizzarrie varie, ospita più di una trentina di candele ad olio mentre le finestre alte ed imponenti permettono al sole d'illuminare gran parte del soggiorno. I due tappeti persiani spezzano la monotonia del marmo di Carrara intanto che una decina di quadri colorano meglio i muri nivei. I mobili in legno ben levigato completano al meglio il salone, accostati a divani e poltrone color porpora ed oro, mentre un lungo tavolo troneggia nella parte opposta della grande sala. Il rumore fastidioso e rumoroso dei passi dei figli dei marchesi e della domestica mettono fine all'ispezione di Victoria, attirando subito la sua attenzione.

«Conte, contessa.» Li richiama educatamente il marchese. «Vi presento le mie due figlie.»

All'istante i genitori di Victoria si alzano dal sofà ed accorrono verso le due fanciulle, salutandole con eccessivo entusiasmo tant'è che la contessina arriccia il naso infastidita. Non crede sia necessario prostrarsi in quel modo, nonostante il potere dei Visconti sia maggiore rispetto a quello della sua famiglia.

«Le vostre figlie sono così belle!» Esclama la contessa con occhi luminosi. «Sono delle dee.»

Il marchese gonfia il petto inorgoglito e sorride compiaciuto sin quando la moglie non gli assesta una gomitata nell'addome poco arrotondato, lanciandogli un'occhiataccia.

«Mi spiace non presentarvi i nostri tre figli, ma sono tutti sposati e vivono lontano da qui.» Spiega la marchesa con calma. «Di solito tornano a sud per trascorrere le vacanze di Natale o di Pasqua»

«Quest'anno sono rimasti pure qualche settimana ad agosto.» S'intromette il marchese. «Comunque anche vostra figlia è d'una bellezza inesprimibile.»

Victoria sussulta, poiché era assorta nell'ammirare le due fanciulle, per poi voltarsi verso i marchesi e sorridere di cortesia, chinando il capo.

«Eppure così educata!» Strilla la marchesa, scrutandola interessata. «Magari avrai una buona influenza su nostra figlia...vero Teresa?»

Inevitabilmente Victoria fissa una delle due fanciulle, soffermandosi più del dovuto. Teresa è una donna, giovane e bella, e presenta una vita sottile, un seno prosperoso ed un viso armonioso. Indossa un abito color smeraldo, che non sopporta, mentre i capelli lunghi, lisci e biondi sono acconciati in una stramba capigliatura retrò. Gli occhi, grandi e marroni, brillano di vita, al contrario di quelli di Victoria, nocciola e vacui. L'interesse della contessina però viene catturato dall'espressione di Teresa, che incrocia le braccia al petto ed arriccia le labbra infastidita. La marchesina si volta verso di lei, cogliendola a fissarla con interesse, sentendosi imbarazzata e turbata. Teresa la fulmina con lo sguardo, ma, al contrario delle sue aspettative, Victoria non china il capo. La marchesina, incredula della reazione della sconosciuta, fa ricadere le braccia lungo i fianchi, sorridendo eccitata. Con rapidità Teresa si avvicina a Victoria, che rimane ferma per il bizzarro comportamento della fanciulla. La marchesina accosta i loro volti e la fissa intensamente tanto da far tremare la contessina per il nervoso. Il cuore di Victoria pulsa rapido mentre una vocina le sussurra d'aver sbagliato ancora e che i suoi genitori non saranno per nulla felici. Sa che dovrebbe inchinarsi ed elogiare la marchesina, in quanto detiene un titolo più rilevante del suo, ma non è nel suo sangue comportarsi in questo modo. Prima che Victoria possa blaterale qualche insulsa formalità o prostrarsi, Teresa la stringe tra le braccia sotto gli sguardi increduli delle rispettive famiglie. Poco dopo un mormorio sommesso aleggia nel salone quando la marchesina prende le distanze dall'ospite. Victoria l'osserva timorosa, ma il sorriso sul volto della bionda dissipa ogni suo turbamento: «Noi due diverremo ottime amiche.»

Inevitabilmente la contessina sbatte più volte le ciglia per l'incredulità, ma il viso gioioso della madre e quello fiero del padre le accertano la veridicità dei fatti. I marchesi, dal canto loro, le osservano soddisfatti mentre l'altra fanciulla è ancora in piedi accanto alla domestica.

«Allora...qual è il tuo nome?» Le domanda Teresa con gentilezza, facendola sussultare.

«Victoria Caterina Martigiano.»

«Dunque ti chiamerò Viki.» Le sorride gioiosa, tendendole la mano. «Teresa Maria Visconti, ma puoi benissimo chiamarmi Terry.»

«Teresa Maria!» Tuona la madre senza riscuotere alcun risultato, in quanto la fanciulla continua a fissare Victoria in attesa della sua stretta di mano.

Per la prima volta la contessina non dà ascolto alla ragione né alle regole imposte dalla società ma al suo animo. Con un gesto rapido e pressoché impercettibile avvolge il corpo esile e slanciato di Teresa, avvolgendolo tra le sue braccia rosee e stringendola forte contro il petto.

«Amiche.»

Teresa sussulta, poiché non si aspettava una simile reazione, per poi ricambiare la stretta sotto lo sguardo sempre più sconcertato degli adulti.

«Amiche.»

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