Cedimento e accelerazione

Resistetti alla tentazione per cinque settimane.


Alla mattina del trentaseiesimo giorno, digitai con finta noncuranza il suo numero sul cellulare che mi ero stupidamente comprato giorni prima.


"Ciao, Thomas." risuonò la sua voce calda e impostata, dopo i canonici tre squilli.


Rimasi leggermente stupito dal fatto che mi avesse riconosciuto nonostante il nuovo telefono, ma, vista la segretezza che avevo subodorato, dovevo essere l'unico a disporre di quella linea.


"Salve." dissi, a bocca secca. "Prego, ti ascolto."


Mi ero preparato una sorta di discorso prima di telefonare, baldanzoso e brillante, ma che, in quel momento, faceva soltanto eco tra i miei neuroni, distorto e menomato. Cominciai allora con delle pretese, assolutamente infondate, come voler verificare lo stato dei macchinari che mi avrebbero trasportato, pur non avendone lontanamente le competenze necessarie. Il silenzio frammezzato di monosillabici assensi dello Scienziato, mi incoraggiava nelle mie assurdità, almeno finché me ne resi conto. Ne aggiunsi allora un'ultima, per arrendermi con dignità:"Vuole davvero mandare un uomo così manipolabile nel futuro?"


Lo sentii ridere sommessamente, dall'altra parte, e ne fui quasi fiero. Immaginai il suo volto da attore navigato deformarsi suo malgrado nella smorfia del sorriso e quell'immagine mi rassicurò. "Vieni domani alle dieci nel mio ufficio, Thomas." "Va bene." risposi con rassegnato sollievo."Porta il contratto, te ne sarà data una copia nuova dopo la firma."Rimasi in silenzio, accorgendomi della serietà della questione. "Se lo vorrai, naturalmente."


Fu poi preso da un'euforia generale per il tempo che mi separava dall'incontro a cui avevo acconsentito. Mi perdevo a fantasticare senza concentrazione sul viaggio, convincendomi che non potevo più tornare su certi miei imprecisati passi, e poi, quando ero preso dalla vertigine, mi ripetevo l'ultima frase dello Scienziato, come una ninna nanna.


Arrivai alla base della torre Zenqvo con soli dieci minuti d'anticipo, sintomo di una certa serenità, che inaspettatamente si leggeva anche sul mio volto sin dal risveglio. Mentre varcavo le pesanti porte in vetro, esibendo il mio badge da privilegiato, mi resi conto che mi sentivo stranamente bene. Attraversavo corridoi e ascensori come il protagonista di qualche film, con sequenze rapide e spezzate e una canzone, indefinita, a sovrastare qualunque rumore e pensiero, inevitabili invece nella vita reale.


Spalancai le porte della sala d'attesa.

"Buongiorno, dottor Precht!" mi salutò cordialmente la segretaria, più elegante del solito. Tentai un nuovo approccio, non aveva senso essere sgarbato, pensavo, con una mera esecutrice degli ordini dello Scienziato:


"Buongiorno, posso chiamarla Coppelia?" chiesi educatamente.


"Certamente... Thomas?" domandò con misurata esitazione o finta timidezza.


Annuii sorridendo e passai una mano sul legno scuro e fresco delle pareti, accomodandomi poi sull'ultima poltrona.


Nella favola di Hoffmann, Coppelia si rivelava essere un automa, costruita appunto da uno scienziato visionario e pazzo. La Coppelia che avevo davanti aveva poco di automatico, ma più la osservavo più mi sembrava una versione femminile dello Scienziato. La nostra piccola complicità forzata mi aveva portato a osservarla con un'attenzione che non avevo avuto nei nostri primi incontri. Sembrava aver almeno dieci anni di più del suo superiore e i lineamenti erano diversi, ma la luminosità dello sguardo, i riflessi argentei nei capelli, i movimenti teatrali erano gli stessi. Anche lei, da giovane, doveva essere stata affascinante. Mi persi, coscientemente, ad immaginarla quarantenne, già leggermente segnata dal tempo ma ammaliante, una sigaretta alle dita e un tailleur bianco panna. Tutto pur di non pensare al mondo tra quattrocentosettantacinque anni.

Se solo avessi voluto, infatti, avevo a disposizione capacità computazionale e dati a sufficienza per poter fare delle previsioni abbastanza buone su certi aspetti, ma ero sicuro che lo Scienziato se ne fosse già occupato e non mi piaceva rifletterci senza rigore, anzi mi spaventava. Mentre giocavo a scattare fotografie mentali alla mia Coppelia immaginaria, entrò lo Scienziato dal suo ufficio. Mi alzai di scatto, sorridente."Ciao Thomas! Sei pronto? Andiamo?" esclamò fregandosi le mani.


Notai solo allora che Coppelia, quella vera, era già in piedi con un cappottino leggero sotto braccio e una pochette discreta ma lussuosa in mano. Chissà se ci teneva le sigarette.


Acconsentii, naturalmente, e mi rassegnai a seguire i due personaggi per i corridoi che avevo percorso qualche minuto prima. Invece, svoltarono in una saletta, ancora ricoperta di velluto rosso, in cui troneggiavano anacronisticamente una piccola commode Luigi XV e le porte di un ascensore in vetro.


Lo Scienziato tirò fuori una piccola chiave da uno dei cassetti ricurvi e azionò con essa l'ascensore. La discesa fu silenziosa e vidi scorrere, illuminate dalla luce all'interno dell'ascensore, stanzette vuote e altre invece uguali a quella da cui eravamo entrati. Arrivammo in un garage sotterraneo, dove ci aspettava una strana automobile, lunga e con il centro stranamente bombato. Entrammo proprio in quel rigonfiamento e mi ritrovai in un piccolo salottino circolare, con al centro un tavolino rotondo. Una volta le porte chiuse, mi resi conto che le finestre erano completamente oscurate.


"Si tratta semplicemente di una precauzione." mi rassicurò lo Scienziato. Stavo per pensare ad alta voce che tanto potevo orientarmi con i cambiamenti di direzione, quando mi accorsi che la forma circolare dell'abitacolo non era una questione estetica. L'auto era infatti in moto, come mi confermò l'occhiolino dello Scienziato in risposta alla mia espressione sbalordita, ma non si sentiva alcuna accelerazione.


Mi sono spesso poi domandato come mai, nonostante i miei studi sul comportamento umano, fossi così cieco davanti alla pericolosità di quella strana coppia.


Le portiere si aprirono, circa un'ora dopo, in una radura in mezzo ad una foresta di conifere, ma un fabbricato largo che vi troneggiava mi impediva di vedere da dove fossimo giunti. A giudicare dai mezzi dello Scienziato, potevamo essere arrivati anche volando.


"Qui seguirai tutta la formazione necessaria per il viaggio." affermò soddisfatto il mio mentore, rivolgendosi quasi più all'edificio che a me.


Per una volta, decisi di non porre domande, ma di prepararmi al peggio, immaginando lo scenario più assurdo possibile, che, quasi puntualmente, si avverò qualche ora dopo.


Il ticchettio dei tacchi di Coppelia risuonò appena varcammo la soglia e ci accompagnò per tutta la visita. Le piastrelle lisce e lucide, decorate con arabeschi blu e gialli, stonavano con l'esterno ruvido e anonimo dell'edificio. Incontrammo una decina di personaggi, ognuno in una stanza separata, ma ogni volta che lo Scienziato mi presentava usava un cognome diverso. Non dissi nulla, assecondandolo, e partecipavo alla sua recita annuendo nei momenti che mi sembravano opportuni. Ebbi a che fare con allenatori sportivi, psicologi, coach di sopravvivenza e tecnici di vari generi. Tutti si rivolgevano a lui con riverenza, rispondendo ai suoi sguardi severi e al suo tono quasi preoccupato con garanzie devote di fare del loro meglio.


Gli spazi erano accoglienti e ben illuminati, perfino quelli più sportivi, che si aprivano sulla foresta tramite porte finestre. Ogni tanto guardavo Coppelia, completamente a suo agio, mentre prendeva appunti sorridendomi come se fossi un bambino educato in gita. Cosa scriveva, lo seppi molto dopo e non mi piacque, ma al momento ero solo estremamente lusingato dal rispetto che mi arrivava di riflesso. In fondo, apparivo come il protetto di quell'uomo straordinariamente manipolatore e genio.


L'ultima porta che mi fu aperta dava su una copia dell'ufficio dello Scienziato che avevo già visto, cambiava solo il panorama dalla finestra. Il velluto rosso scuro mi trasmise, mio malgrado, una sensazione di tranquillità.


"Allora Thomas, che te ne pare? Ti senti tutelato?" mi chiese con gentilezza misurata, mentre mi porgeva la sedia di fronte alla sua scrivania. Coppelia si mise di fianco a me, mentre lui andò a semplicemente a posare le mani sullo schienale della propria poltrona, risultando non solo più in alto di noi, ma anche in controluce.


"Mi sento già a casa."


Il breve silenzio che seguì confermò i miei sospetti più selvaggi: se avessi accettato, non avrei più avuto contatti con il mondo esterno e quell'edificio dalle mille sorprese sarebbe stato la mia dimora fino alla partenza.


"Ne sono contento, Thomas, in effetti, ci sono un ufficio e un piccolo appartamento per te qui accanto, che saranno a tua immediata disposizione non appena accetterai il contratto." affermò dopo qualche secondo.


"Posso vederli?" chiesi canzonatorio, volevo infatti ritardare il più possibile la decisione che mi aspettava, più che altro perché, fino alla firma, la realizzazione dei sogni dei due personaggi dipendevano da me e questo mi dava letteralmente alla testa. Lo Scienziato spostò allora lo sguardo su Coppelia, che incoraggiò tacitamente a rispondere in vece sua con un sorrisetto beffardo:


"Ne ha viste già tante di cose oggi, Thomas, e poi... è un piccolo incentivo per invitarla a firmare!" disse toccandomi il braccio e sfoderando un sorriso da pin-up.


"Potrebbe anche offrirmi una delle sue tazze di té miracolose Coppelia? O funzionano solo per addormentare?" quel contatto fisico mi aveva fatto innervosire, fomentando una voglia improvvisa di fargliela pagare a entrambi prima di decidere.


"Si trattava di un banale sonnifero, per darci il tempo di calcolare il suo tempo di correlazione, in effetti mi dispiace averla dovuta ingannare e ammetto che avrei dovuto porgerle le mie scuse prima."


Rimasi sbalordito da quella risposta accondiscendente, non perché stessi sottovalutando le capacità di persuasione di Coppelia, ma perché avevo proprio voglia di un sano e umano litigio.


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