Formula magica

Il foglio si sgretolò tra le mie dita e fu spazzato via come polvere nel vento.

Se avessi saputo che era così delicato non lo avrei mai tirato fuori dalla cassettiera di nonna Onice. Era rimasto sul fondo del penultimo scomparto, nascosto da altri cimeli a cui lei teneva.

Teneva molto anche a me. Diceva che io ero il nipote che le assomigliava di più e nel testamento mi aveva lasciato quel suo vecchio mobile in legno di ciliegio intagliato.

Da piccolo credevo ci contenesse i suoi tesori segreti, invece avevo trovato la sua biancheria intima, vecchie scatole colme di bigi, lettere e fotografie sbiadite, vecchie medicine e referti medici, libri di ricette e di giardinaggio, scatole vuote di profumi e un racconto che dal titolo sembrava erotico.

Posai una mano sulla maniglia a forma di foglia di edera, spingendo il cassetto per richiuderlo con un sorriso amareggiato. Se non altro avevo fatto almeno in tempo a leggere cosa recitava quel foglio ingiallito.

Ysdragtdalanfun.

Una sola parola composta da lettere mescolate a casaccio, ma la calligrafia non era quella di nonna, bensì qualcosa di più spigoloso, meno elegante e femminile. Ero così dispiaciuto di averlo rotto. Chissà da quanto tempo era incastrato lì sotto per essersi rovinato in quel modo. Volevo molto bene a nonna Onice e alle storie che mi raccontava.

Sospirai, sentendo subito la sua mancanza.

Ysdragtdalanfun.

Ripetei per non dimenticare quell'ammasso di lettere. Afferrai una penna e me lo scrissi sul palmo, una volta tornato a casa lo avrei trascritto da qualche parte. Non so per quale motivo ma mi sembrava importante.

Posteggiai la bicicletta nel vialetto di casa, all'ombra del melograno. Quella di nonna Onice si trovava alla fine della strada.

Mia sorella Agnese stava giocando, seduta su una coperta, a bere il tè con la sua bambola preferita che aveva chiamato Lady Pervinca.

«Sarà meglio tornare in casa o vi prenderete un'insolazione» stava dicendo al suo giocattolo e poi mi vide. «Ciao!» mi salutò con la manina: «Hai trovato qualche tesoro che nonna ha rubato ai pirati?». Mentre mi avvicinavo scossi la testa e lei delusa si tolse la mano che si era messa sull'occhio destro a imitare una benda pirata.

Mi inginocchiai sulla coperta e lei mi afferrò il braccio.

«Ti sei fatto un tatuaggio?» chiese con la sua curiosità da bambina di otto anni.

«Ma va, è solo una scritta».

Agnese lesse la parola ad alta voce, sillabandola per la sua difficoltà e sul cappello azzurro di Lady Pervinca si posò quella che pareva essere una fata con tanto di ali lucenti, piccolo viso e gonnella di fiori.

«Non è quello che penso?» domandò mia sorella, incredula.

Ne arrivarono altre e danzarono sulla coperta, guardandoci con i loro piccoli occhietti verdi.

«Sarà qui, sarà qui».

Sentimmo dei grugniti che mi fecero pensare a un branco di cinghiali.

Le fatine si librarono nell'aria e ci fecero segno di nasconderci in un cespuglio.

Solo allora capii che non eravamo più nel nostro giardino, ma altrove.

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