Vorrei Nuotare in Acque Profonde Insieme a Te | @SaraAutor
di SaraAutor
La musa a cui è ispirato questo racconto è Erato, musa della poesia amorosa. Il racconto è stato ispirato anche dall'immagine e dal brano qui riportati.
Vorrei Nuotare in Acque Profonde Insieme a Te
L'amore è come il mare, alle volte calmo, altre burrascoso, alle volte dona pace, altre inquietudine. L'amore è come il mare, alle volte celeste e limpido alla luce del sole, altre nero e tenebroso all'oscurità della notte. L'amore è come il mare, mai perfetto, mai costante, mai uguale, ma pur sempre bellissimo. L'amore è come il mare, dove ci saranno persone che si tufferanno nell'oscurità dell'abisso insieme a te, mentre altre resteranno lì ferme sulla riva a osservare senza fare niente. L'amore è come il mare, perché anche nell'amore ci saranno onde più forti e resistenti di altre.
Eccola! È appena entrata, si dirige verso di me. Si avvicina al bancone del bar e sorride al barista. Io sorseggio la mia birra, mentre stuzzico con delle noccioline salate. Faccio finta di niente, come se lei mi fosse indifferente; ma sapevo che sarebbe arrivata e avrebbe ordinato il suo solito caffè macchiato, accompagnato da poca acqua naturale a temperatura ambiente. Tre ragazzi seduti alle nostre spalle fanno degli apprezzamenti allusivi; sarei un ipocrita a dire che ciò che avevo sentito non mi aveva dato fastidio. Allora mi volto a guardare i tizi dritti negli occhi, loro capiscono subito e si allontanano. A quel punto la guardai nuovamente, la osservai, forse come non avevo mai fatto prima d'ora; era stanca, il suo sorriso era tirato, come se si stesse vergognando. Bramavo i suoi occhi su di me. Desideravo le sue labbra sulle mie. I suoi movimenti erano lenti; accompagnava la tazza del caffè alla bocca e sembrava quasi che stesse facendo l'amore con esso. Le sue mani curate, lo erano sempre state in verità, si posarono sul bancone, quasi a volersi sorreggere. Sollevò un piede, solo allora notai le sue décolleté nere tacco dodici, mantenendosi in bilico solo sull'altro che era appoggiato per terra. Fece una smorfia di dolore e chiese il conto. Il mio cuore stava esplodendo, dovevo fermarla, parlarle, dovevo per forza fare qualcosa. La vita è breve, mi ripetevo, non potevo sprecare nemmeno un attimo della mia esistenza. Percepisco che lei è la donna giusta; non ci ho mai parlato, ma l'ho osservata nei vari momenti della giornata; posso sembrare uno stalker questo sì, ma non è così. Conosco Lara dalle scuole medie, sono sempre stato segretamente innamorato di lei; all'epoca nemmeno mi notava, ero un ragazzino grassoccio e insicuro, andavo in giro con mio padre perché amici non avevo; oggi invece la mia vita è cambiata, il mio fisico è cambiato e vorrei rendere felice questa donna dagli occhi ambra.
Prendo un tovagliolino di carta, estraggo dal taschino interno della giacca di pelle la mia penna a sfera personalizzata, regalata dalla mia famiglia il giorno del mio primo concerto e le scrivo il mio numero di telefono con accanto il nome; spero veramente che il mio nome possa farle ricordare qualcosa di me. Approfitto della sua distrazione per farlo scivolare nella sua borsa posata sullo sgabello. Lascio una cospicua mancia sul bancone e faccio l'occhiolino a Giorgio, il barista, che si era gustato la scena.
L'aria frizzante di dicembre si fa sentire. Un leggero vento fa oscillare quei poveri alberelli di carruba sul marciapiede opposto alla mia sala registrazioni. Questa mattina non riesco a concentrarmi, osservo il mio computer, ma è come se non lo stessi guardando affatto; accendo continuamente lo schermo del mio telefono per vedere se il suo numero compare in una chiamata o in un messaggio, ma niente. Guardo l'ora impaziente, andando avanti e indietro, come se stessi per perdere un'occasione di lavoro importante. Sbuffo e mi getto sul divano in pelle nero, sorseggio un po' di caffè fumante e mi ripeto che devo essere paziente, che le cose belle pretendono del tempo, ma che alla fine tutti avranno la tanto attesa felicità. Mi sento un ragazzino, sì proprio come allora, solo e insicuro. La mia mente continua a produrre frasi del tipo: "e se ti ha riconosciuto? E se non le piaci? Sei rimasto uguale ad allora, nessuno si innamorerà mai di te."
Scuoto il capo per allontanare tutti i pensieri negativi. Io non sono più quel ragazzo, sono un uomo e i miei demoni li ho sconfitti tanti anni fa.
«Carmen io esco! Se chiama qualcuno oggi non ci sono per nessuno.»
«Va bene Massimo non preoccuparti. Io alle tre stacco, pensi di riuscire a tornare prima?»
«No, non credo. Vai pure, spegni tutto e ci rivediamo domani mattina.»
«Grazie, a domani. Ah annullo la registrazione con Regina?»
«Che scemo, sì annullala e dille che la richiamo io.»
Esco dal mio studio avvolto dal mio cappotto scamosciato, il vento tira i miei capelli all'indietro. Mi fermo di fronte al bar, che fa angolo sulla strada e butto un occhio sulla destra a poche centinaia di metri da me; la serranda del suo negozio è sollevata, sono passate da poco le nove e mezza del mattino, sicuramente avrà aperto da poco; vorrei andare da lei, chiederle se ha visto il tovagliolino con il mio numero, ma sono troppo vigliacco o codardo per presentarmi da lei; nel frattempo non mi sono nemmeno accorto che sono arrivato di fronte alla sua vetrina. Le decorazioni natalizie si iniziano a intravedere, ed eccola intenta ad appendere palline e ghirlande, da sopra una scala, su uno scaffale da esposizione. Appoggio la mano destra sulla maniglia della porta e rimango bloccato a osservarla, ma un tonfo sordo e improvviso me la fa spalancare. Lamenti deboli di dolore provengono da dietro degli scatoloni di cartone, il tintinnio del campanello posto sopra la porta annuncia il mio ingresso.
«Signorina, signorina tutto bene? Vuole una mano?»
«Ahi! La ringrazio, mi è scivolato il piede e sono finita tra gli scatoloni pieni di addobbi.»
«Quando deve fare questi lavori le scarpe con i tacchi non sono il massimo.» Cerco di trattenere una risata, ha una corona con delle pigne e bacche rosse sulla testa, i capelli arruffati e il viso bordeaux.
«Dai su, afferri la mia mano, l'aiuto a rialzarsi.» Le offro la mia mano nella speranza che l'afferri. Lei non fa un minimo movimento.
I suoi occhi mi osservano per un attimo e poi afferma: «Non si deve preoccupare, ce la faccio!»
Mentre tenta di alzarsi una smorfia di dolore le fa arricciare il naso sbuffando sonoramente dalla bocca.
«Si appoggi a me, credo che abbia preso una brutta distorsione.»
Le sue braccia sono intorno al mio collo, la sorreggo per la vita e mi perdo in quello sguardo ambra che mi ha tolto il fiato e il sonno per anni interi.
«Grazie, ce la faccio!» Si sposta da me bruscamente, perdendo nuovamente l'equilibrio. Prontamente la sorreggo e la prendo tra le braccia; la depongo su una sedia che trovo un po' più distante vicino a una scrivania.
«Ora mi dica dove ha il cappotto e le sue cose, l'accompagno in ospedale!» Il mio tono è quasi autoritario, sono preoccupato per lei, si può essere rotta la caviglia da come non riesce a tenere il piede poggiato per terra.
«Sono lì dentro...» Mi indica una porta, la apro e c'è una stanza con una piccola cucina, un divanetto a due posti in tessuto rosa antico, un armadio a due ante e una cassettiera, al centro un tavolo rotondo e quattro sedie, proprio qui vedo il cappotto e la sua borsa; è aperta e l'occhio mi cade sul tovagliolino: "è nella stessa posizione in cui l'ho messo io ieri sera", lo afferro e lo metto in tasca.
«Si sorregga a me, l'aiuto con il cappotto.» Il suo viso riprende nuovamente colore.
«Adesso mi aspetti qui che vado a prendere la macchina.»
«Non c'è bisogno, veramente, chiamo qualcuno e mi faccio venire a prendere.» La sua voce è incerta, non riesco a capire se effettivamente non vuole il mio aiuto, se si vergogna o cosa. Senza darle ascolto corro fuori a prendere l'auto. Al mio arrivo lei è in piedi con una smorfia di dolore che le cambia l'incarnato roseo, la prendo in braccio e l'adagio sul sedile passeggero.
«Dove mi porti?»
"A casa mia!" Vorrei risponderle. Ma la osservo e sorrido debolmente.
«Andiamo al pronto soccorso, la tua caviglia non mi piace proprio, è gonfia e viola.» Da quando avevamo iniziato a darci del tu?
«Comunque non mi sono presentato...» mi giro a guardarla, staccando una mano dal volante, «Massimo, piacere...»
«So chi sei, come tu sai chi sono io.» La sua voce è quasi un sussurro e il suo sguardo rivolto fuori dal finestrino.
«Tu sai chi sono?» Il mio tono è derisorio, lo sguardo fisso sulla strada.
"Siamo arrivati", svolto sulla destra per entrare nell'ospedale, cerco di trovare un parcheggio il più vicino possibile all'entrata del pronto soccorso.
«Scusa, non volevo essere scortese.» La sua mano si posa sulla mia e quel calore mi fa vibrare il cuore. Nascondere un sorriso è difficile, di conseguenza le rispondo che non c'è nessun problema.
Usciamo dall'ospedale con una diagnosi di dieci giorni con gesso.
«Ma come ti è venuto in mente?» Lara è furiosa.
«Non ti avrei mai e poi mai lasciata entrare da sola!» Mentre spingo la sedia a rotelle cerco in tutti i modi di farla addolcire, sembra un toro imbufalito. "Non capisco il suo astio nei miei confronti, credevo di fare solo una cosa carina entrando con lei non lasciandola sola".
«Ti sei fumato il cervello? Hai detto che sei il mio fidanzato, mi hai chiamato cara di fronte al dottore!»
«Dovevo...» Siamo arrivati vicino alla macchina e mi sporgo per prenderla in braccio, ma lei mi spinge con la stampella e si alza in piedi da sola.
«Non toccarmi...»
Consegno la sedia a rotelle a un oss che intanto si stava gustando la scena e ritorno all'auto.
«Si può sapere perché ce l'hai con me? Dovresti ringraziarmi...» Entro in auto mentre lei è già seduta comoda, non metto in moto e mi volto a guardarla.
«Cosa c'è? Ok ti chiedo scusa, ma non mi fido dei dottori, avevo paura che ti potesse molestare.»
«Ah ah ah, ma ti senti?» Lara scoppia a ridere, una risata quasi isterica, non gira lo sguardo verso di me.
«Adesso ti accompagno a casa...»
«No!»
Mi volto a guardarla nuovamente, ora anche lei mi osserva.
«Portami al negozio, non può stare chiuso.»
«Hai il gesso devi stare a riposo, se vuoi e sempre se ti fidi, puoi lasciarmi le chiavi e ci penso io!»
«No, no, non è possibile. Non sai niente di articoli da regalo, adesso stanno arrivando le feste natalizie anche...»
«Ok, facciamo così, andiamo al negozio, tu ti stai seduta e rilassata e mi dici cosa devo fare. Imparo subito sai?»
«Ah sì!? Credevo che... che...»
«Che cosa? Che tipi come me cantano solo canzoni sdolcinate, le scrivono e le producono senza saper fare nient'altro?»
Mi volto con un sorrisino beffardo, lei non si aspettava sicuramente questa risposta, un po' come se le avessi letto la mente.
«Non volevo offendere...»
«Nessun'offesa!» Scuoto il capo in segno di negazione.
«E che sai sui giornali si leggono certi articoli su di te, che la gente alla fine si fa un'idea sbagliata.» Il suo tono si è addolcito, come se si fosse pentita del comportamento precedente.
«Ormai ciò che scrivono i giornali non mi riguarda, chi ha imparato a conoscermi sa chi sono veramente.» Il mio sguardo si è incupito, Lara se ne accorge e non dice più mezza parola. Arriviamo al negozio e l'aiuto a scendere dall'auto.
Inizio a riordinare il macello lasciato prima senza dire una parola.
«Ora cosa vuoi che faccio?» Cerco di smorzare la situazione che sta diventando pesante. Lei mi guarda, ma non osa dire nulla.
«Mi dispiace...» Sono le uniche cose che escono quasi come un leggero soffio.
Mi avvicino e le prendo la mano.
«Dispiace più a me... Quindi adesso, indossa il più bel sorriso di sempre e dammi ordini, deve essere tutto pronto prima che arrivino i clienti!»
«Sai!? Potrei farmi pubblicità con te nel mio negozio. Massimo Di Giacomo, nel Mood Décor Home per deliziare i suoi clienti con le sue melodie.» Lara sorride mimando con le mani l'immagine di un cartellone pubblicitario e io mi perdo nei suoi occhi che luccicano.
«Allora dovrai pagarmi, le mie apparizioni in pubblico costano care...»
Scoppiammo a ridere.
«Una cena potrebbe bastarti?» Ora è seria.
«E tu vuoi sdebitarti solo con una cena? Magari acquistata anche dal cinese a due isolati da qui...» la guardo malizioso e non riesco a trattenere il sorriso.
«L'idea non è male!» continua a ridere di gusto, quel suono mi scioglie il cuore e vorrei tanto prenderla tra le mie braccia e dirle quanto ho desiderato questo momento.
Il suono del campanello mi distoglie dai miei pensieri. Nel negozio ci sono all'incirca dieci persone e a me inizia a salire l'ansia, Lara mi posa una mano sul braccio e mi dice che se voglio posso andare di là prima che mi vedano, ma non è da me; sono abituato alla gente. Mi avvicino con fare deciso e saluto i primi clienti: una coppia di anziani signori alla ricerca di un centrotavola natalizio da regalare alla nipote; mi stupisco di me stesso, riesco a convincere e soddisfare tutti i clienti e mi accorgo che la mattinata è volata.
«Ehi, sei stato bravo sai?» Lara mi si avvicina saltellando su un piede, con l'aiuto delle stampelle. Io continuo a riordinare gli oggetti in disordine e le sorrido rispondendo: «Quindi adesso che si fa?»
«Andiamo a mangiare, ti offro il pranzo invece che la cena!»
«E se andassimo a casa mia?» Mi pento subito dopo averlo detto, vedo lo sguardo di Lara sorridere, ma senza aggiungere parola.
«Scusa non volevo!» Abbasso il mio sguardo, sono stato troppo sfacciato.
«Ti ho fatto stancare abbastanza oggi, non sono la tipa che se ne approfitta.»
«Per me è solo un piacere...» Il mio sguardo è fisso nei suoi occhi.
«Ti va di rimanere qui?»
Mi guardo intorno, poi il mio sguardo cade sulla porta che mi ha indicato questa mattina.
«Ordiniamo qualcosa...» Lara mentre lo dice è già con il telefono in mano.
«Ho visto che hai la cucina, il frigo... ti dispiace se do uno sguardo a cosa offre la casa?» Mentre parlo mi incammino, sento il ticchettio delle stampelle alle mie spalle.
Inizio a sbirciare come se lì ci vivessi da anni, come se fosse casa mia.
«Non credo troverai niente di buono!» Lara getta le stampelle a terra e si butta sul divano.
«Invece ti sbagli! Ho trovato questa confezione di salmone, spero non sia scaduta!» Nascondo una risata e noto che anche Lara sta sorridendo; adoro vederla così.
Mi faccio indicare dove trovare tutto l'occorrente per cucinare e mi metto all'opera; "se non si è già innamorata, dopo queste pennette al salmone, panna acida e pepe rosa, cadrà ai miei piedi".
I miei pensieri prendono il sopravvento e non mi accorgo che Lara mi sta parlando.
«Scusa? Non ho capito!»
«Ho notato che eri troppo occupato a non bruciare il salmone per dare ascolto a me!»
Non riesco a comprendere se sia offesa, il suo tono non fa presagire nulla di buono.
«Quando cucino mi estraneo dal mondo...» Prendo un piattino e mi avvicino a farle assaggiare una pennetta.
«Mmmh, buona! Comunque ti avevo chiesto se ti ricordi gli anni ormai passati.»
«Quali?» Sono girato di spalle mentre impiatto la pasta, mi dirigo verso il tavolo servendo Lara che è già seduta comoda.
«Quelli dove eravamo solo due ragazzini!»
«Sincero? Preferirei non ricordarli... e tu?»
«Anche io. All'epoca, la scuola era l'unico posto dove mi sentivo bene.»
Mentre parla mi accorgo che non conosco la sua vita come credevo di conoscerla.
Smetto di mangiare e mi inginocchio di fronte a lei, la mia mano scivola sulla sua guancia umida, l'altra è poggiata sul suo ginocchio. La osservo come non avevo fatto prima d'ora, il suo calore pervade tutto il mio corpo, accarezzo con l'indice l'estremità delle sue labbra, è così bella, sola e indifesa. Mi avvicino ancora di più, voglio proteggerla, darle tutto l'amore che possiedo e che a lei è stato strappato. L'abbraccio, mi distacco giusto un po' e poso le labbra sulle sue, un tocco leggero, quasi impercettibile, ma che provoca delle scariche elettriche al mio cervello, continuo a baciarle le guance, gli occhi, poi a pochi centimetri dal suo orecchio le sussurro: «Voglio prendermi cura di te, voglio amarti, coccolarti, voglio donarti ciò che non hai mai ricevuto.»
Lara accarezza i miei capelli, scende con la mano sul mento e mi obbliga a guardarla, io mi perdo nel suo sguardo; questa volta è lei a posare le sue labbra sulle mie, donandomi un bacio profondo. Le nostre lingue si cercano, si trovano, si intrecciano in una danza acrobatica. La prendo tra le braccia senza staccarmi da lei, l'adagio dolcemente sul divano e continuiamo a contemplarci a vicenda.
"Avevo desiderato questo momento da molto tempo e mi sembra di vivere un sogno. Lei è tra le mie braccia."
«Mmmh, c'è ancora una cosa che devi sapere...» Si allontana un poco, tirandosi su sul divano, io la guardo basito. «Dimmi, ti ascolto!» Il mio cuore sta accelerando, non so perché, ma ho paura.
«Non so da dove iniziare...» Si morde il labbro e gira lo sguardo nella direzione opposta. Delicatamente mi avvicino e le giro il volto obbligandola a guardarmi.
«Provaci, inizia da dove vuoi, sono qui per te!» Mentre lo dico la mia voce trema e vedo che sta guardando l'orologio.
«Devi aprire il negozio?» "Forse il tempo è volato e non sa come dirmelo."
«No, c'è un'altra cosa che devi sapere. Allora... avevo vent'anni ed ero ad una festa...» Si blocca, le manca il fiato. Mi alzo e le prendo un bicchiere d'acqua.
«Grazie. Mi stavo divertendo... quando ad un certo punto un ragazzo mi ha offerto un drink, l'ho preso, sorseggiato e poi mi hanno ritrovata...» I suoi occhi si riempiono di lacrime, io rimango immobile, ho paura anche a sfiorarla.
«Mi hanno ritrovata la mattina seguente i netturbini di turno, nuda e in posizione fetale sul marciapiede, hanno subito allertato i soccorsi...» Ormai le sue parole sono singhiozzi. L'abbraccio e la rassicuro, l'ultima cosa che volevo era farle rivivere un brutto momento. Le chiedo più volte scusa, perché mi sento in colpa essendo io uomo, per ciò che quel tipo, perché non può essere definito uomo o ragazzo o semplicemente essere umano, le ha fatto.
«Devo mostrarti un'ultima cosa e poi sei libero di mandarmi a quel paese.» Lo dice mentre cerca di soffiarsi il naso. «Mi accompagneresti in un posto?»
Non esito minimamente e le faccio cenno di sì con la testa. Non so cosa aspettarmi, ma l'unica cosa che so è che niente e nessuno potrà più allontanarmi da lei.
Saliamo in macchina e Lara mette un indirizzo sul navigatore dell'auto. Il viaggio è silenzioso, arriviamo in una struttura che sembra un palazzo settecentesco.
«Vieni...» Mi offre la sua mano che stringo saldamente. «Devo presentarti una persona.» La guardo stranito, non capisco chi possa essere. Sua madre è morta molti anni fa, suo padre è in carcere, non ricordo nessun altro suo parente. Ci incamminiamo piano visto il gesso che le impedisce di andare veloce e di fronte a noi ci attende una signora con un bambino, lo osservo, ha lo sguardo dolce, ma come vede Lara con le stampelle i suoi occhi si intristiscono, le corre incontro, l'abbraccia forte e per poco non la fa cadere a terra.
«Hai visto tesoro? Sono venuta anche oggi.» Lara gli accarezza i capelli, di un castano chiaro quasi biondo e lui le indica in gesso.
«Niente tesoro, sono scivolata e ho fatto la bua, passerà presto sta tranquillo.»
La loro tenerezza mi commuove, rimango in disparte a osservare.
«Massimo vieni, ti presento Matteo... mio figlio.»
«Matteo, lui è Massimo un amico di mamma.» Il bambino mi osserva, ma senza muoversi. Lo saluto con un sorriso e mi abbasso alla sua altezza, aspetto che sia lui a fare il primo passo. Mi si avvicina e la prima cosa che tocca è l'orecchino con la piuma sull'orecchio destro.
«Ti piace?» Lo guardo sorridendo e noto un piccolo sorriso anche da parte sua.
«Appena cresci un pochino lo facciamo, vuoi?»
«Io, io sono già grande!» con un gesto del braccio come a mostrare i muscoli mi sorride.
Lara si avvicina posando una mano sulla mia spalla. Mi sollevo e saluto il piccoletto.
«Sono veramente sorpresa, non parla con nessuno. Lo hai ammaliato con il tuo fascino da cantante!» Mentre ci dirigiamo nuovamente all'auto Lara mi fa riflettere.
«Come mai non è con te?» Le domando entrando in auto.
«È una lunga storia...»
«Ho tutto il tempo.»
«Ok... Quando ho saputo di essere incinta ho deciso di tenerlo, mia madre era morta da poco e io vivevo con mia zia, sorella di mamma, colei che mi ha lasciato il negozio. Durante le visite, la dottoressa mi disse che c'erano delle complicanze, fui ricoverata per fare una serie di analisi e risultò che il bambino aveva la sindrome di down. Mi dissero che se volevo potevo interrompere la gravidanza, anche se avevo ormai superato il terzo mese. Mi ricordo che in quel momento mi toccai la pancia e decisi che non sarei stata un'assassina. Quel bambino sarebbe venuto al mondo, anche se io non avevo le possibilità economiche per crescerlo e soprattutto non avevo un luogo adeguato dove tenerlo. Lo affidai appena nato, volontariamente, ai servizi sociali, con la consapevolezza che un giorno qualcuno lo avrebbe potuto adottare, sono trascorsi cinque anni e nessuno lo ha mai voluto, allora ho firmato per riconoscerlo e mantenerlo nella struttura, nella speranza che un giorno io possa riuscire a offrirgli qualcosa di meglio...» Mentre dice queste ultime parole mi osserva. «Io vivo in negozio, non possiedo nient'altro, le tasse da pagare alle volte non mi fanno mangiare e né dormire, come potevo prendermi cura di lui? Matteo è un bambino speciale, in tutti i sensi. Non voglio che pensi che mi stia approfittando di te, avrei potuto aspettare, non dirti niente e poi presentarti il conto; lui è parte della mia vita e non posso fare altrimenti. Ho molte paure, non sono la ragazza allegra e solare che pensi di conoscere e prima di farti male e affondare nel mio abisso, ho voluto raccontarti tutto. Tu sei un ragazzo di mondo, hai una fama non indifferente e io non voglio essere d'intralcio.»
Fermo l'auto sul lungomare, aiuto Lara a scende e ci accomodiamo su una panchina di ferro. Il sole ormai è quasi scomparso all'orizzonte e l'aria di dicembre sembra ancora più fredda vicino al mare. Rimaniamo in silenzio a osservare la meraviglia di fronte ai nostri occhi. Poi, inizio a parlare.
«Vedi? Oggi il mare è calmo, il cielo è limpido, oggi, anche la mia vita sembra essere così, serena, calma e limpida. Però ho avuto molte tempeste, che ho superato, con le unghie e con i denti. Oggi il mio nome compare su più testate giornalistiche, alcuni articoli sono verità, altri pura fantasia. Però sai, non ho mai voluto vendicare tutto il male subito, anzi mi sono sempre detto che nessuno avrebbe dovuto sopportare ciò che ho sopportato io. In confronto a ciò che hai dovuto passare tu, il mio male è un granello invisibile nell'oscurità del mare più profondo. Io ti ho sempre osservata...» Mi volto a guardarla anche lei ora è girata verso di me.
«Avevo si e no quindici anni quando mi sono promesso che un giorno ti avrei reso felice, ho aspettato con pazienza, tenacia, perseveranza, mi sono ripetuto che se il destino esiste, allora noi due eravamo destinati a stare insieme. Sai quante volte ho sognato i tuoi occhi?» Lara fa un cenno di negazione con la testa, i suoi occhi sono lucidi.
«Tante. E sai quante volte ho sperato in un tuo gesto in quei piccoli attimi che ti incontravo nel bar?» Ora è paralizzata, mentre una piccola gocciolina vola via dalla sua guancia.
«Altrettante. Ho avuto delle avventure, non lo posso nascondere, ma non erano te.» L'abbraccio e lei posa la testa sulla spalla, un altro silenzio ricco di parole urlate dal cuore.
«Se tu lo vorrai, io voglio essere tutto per te, il tuo migliore amico, il tuo amante, l'ancora della tua salvezza. Io, vorrei nuotare in acque profonde insieme a te e risalire in superficie gridando al mondo: ce l'ho fatta, sono l'uomo più felice della terra.» Lara si sposta, mi prende le mani tra le sue e mi guarda negli occhi.
«Non so se sono brava, ma voglio provarci. Voglio nuotare in acque profonde insieme a te.» Per molti può essere una proposta d'amore scontata, ma per me è la più bella che Lara potesse farmi.
"Al calore ardente di una fiammella le mie mani danzano sulla tua pelle candida, un tocco delicato, una pennellata d'arte da imprimere nella mia mente. Carezze delicate, quasi sussurrate dalla dolce melodia dei nostri respiri, vogliono essere per noi dolci promesse di affetto, di amore. Tra dita intrecciate e baci soffusi scivola e si aggrappa il nostro amore, in queste lenzuola stropicciate. Queste mura finalmente hanno un nome, quello del nostro amore che da oggi e in avanti chiameremo casa. Il tuo tocco è conforto, il tuo corpo è sicurezza e purezza e non smetterò mai di contemplarti come questa nostra prima notte d'amore."
La luce del mattino penetra dalle persiane socchiuse, Lara è distesa sulla schiena e dorme ancora beata, io la osservo e ripenso alla splendida notte passata insieme a lei. Vado in cucina e preparo la colazione, scongelo due cornetti crema e cioccolato, riempio due tazze con caffè nero bollente, metto tutto sul vassoio e vado a svegliarla.
«Buongiorno dormigliona!»
Lara apre gli occhi e rimane immobile, il suo stato mi spaventa. Non mi muovo e quasi non respiro. Sì è pentita?
«Buongiorno cantante del mio cuore!» Come neve al sole mi sciolgo sentendo le sue parole. Ho in programma tante cose, la prima è andare a prendere suo figlio, lo voglio qui con noi, deve sentire tutto il nostro amore e poi penseremo al restante.
Mentre le espongo il mio piano i suoi occhi sono una cascata irrefrenabile e le sue labbra non smettono di ringraziarmi. Per questi giorni il negozio lo gestirà Nella la sua migliore amica, mentre noi saremo impegnati ad organizzare la nostra vita.
Andremo a comprare tutto ciò che serve a Matteo, perché prima che entri in un posto nuovo deve sentirsi accolto sia da noi che dall'ambiente. Sotto supervisione dell'assistente ho liberato quella che dovrà essere la sua camera da letto e un'altra la organizzeremo come sala giochi e studio.
I negozi sono in fermento, c'è tanta gente in giro che entra ed esce carica di buste decorate. Anche noi abbiamo preso tutto ciò che ci serve e ci stiamo godendo una tranquilla passeggiata in centro. Passiamo vicino a una gioielleria e faccio avvicinare Lara, lei subito mi dice di non farmi strane idee, ma la trascino dentro con forza. Il gioielliere, un ragazzo più o meno della nostra età venticinque-trent'anni, ci sorride e ci fa entrare. Chiedo subito di mostrarmi qualcosa per la mia ragazza, c'è l'imbarazzo della scelta, Lara si ubriaca da tanta bellezza, allora decido io per lei: un solitario con diamantini da un lato e dall'altro. Lo infilo al suo dito e sembra creato apposta per lei.
Iniziamo a sistemare tutta la casa, la gioia sul viso di Lara è altamente visibile. Nelle prime ore del pomeriggio attendiamo l'arrivo di Matteo, non vediamo l'ora di mostrargli la sua nuova camera, i suoi giochi e tutto ciò di cui ha bisogno, vogliamo che si senta amato prima di tutto e felice. La tempesta della vita si sta trasformando in un bellissimo arcobaleno.
Tra un boccone e l'altro si ride e si scherza, ci si fanno promesse, quelle promesse dettate dal cuore e mantenute dall'anima. Mi osservo intorno e ciò che ho sempre desiderato è intorno a me. È la vigilia di Natale e io il mio desiderio l'ho già avverato, il regalo più bello che potessi mai ricevere è proprio questo dono chiamato "famiglia". Il brindisi della mezzanotte, con ormai Matteo addormentato nel suo nuovo letto, era rivolto a loro, non a me, ma a loro il gioiello più prezioso.
"Suono di vetri rotti, il sapore amaro si percepisce nell'anima in fermento. Lacrime calde scivolano dal tuo bel viso: non piangere angelo mio, sono qui accanto a te. Sirene spiegate e parole incomprese fanno eco nel mio essere inerme. Osservo, ma senza muovermi. Oscillo, ma senza muovermi. Respiro, o forse no, ma senza muovermi. Ascolto, me senza percepire. Mi aggrappo alla vita, ma forse senza lottare. Perché l'amore è il carburante del cuore e io sento il tuo che galoppa alla velocità della luce."
«Signora lo teniamo sotto osservazione e in coma farmacologico ancora per qualche giorno. Il suo cuore ha smesso di battere per un po' di tempo, non siamo riusciti a risalire a quanti minuti esattamente, non dovrebbero esserci danni, ma è meglio tenerlo sotto osservazione.»
«Grazie dottore. Lo so che non dovrei nemmeno fargliela questa domanda, ma potrei portare mio figlio?»
«Faccia come crede signora, l'ospedale non è un posto per bambini, ma se lei vuole portarlo può farlo.»
"Notte di silenzi, di respiri spezzati, la pioggia fa eco alle lacrime che scorrono inesorabili sul tuo volto. Vorrei placare il tuo dolore, farti capire che io ce la farò, perché se tu sei al mio fianco io posso combattere. Inseparabili ormai io e te, due gocce di pioggia che salvano il mondo dalle nuvole. Così cantava Mr. Rain.
Nel profondo dei sentimenti noi siamo Supereroi e mentre le lacrime scorrono e il cuore si spezza, lascia che questa pioggia ti culli nel più bel sogno. Perché noi siamo angeli in grado di volare al di sopra delle nuvole, perché noi siamo tempesta in un mare di sentimenti."
"Sento i tuoi respiri, caldi e dolci sul mio petto, sono immobile, troppo immobile. Le luci dell'alba si fanno spazio tra gli spifferi. Sogno e sono vivo. Amo e combatto. Perché l'amore cura, l'amore salva, l'amore fortifica. Ecco il mio campione! No, tu non piangere, perché gli "omini" forti come noi non piangono, non si spezzano, non cadono, non muoiono."
"Vibrazioni sottili di emozioni infinite nell'io più profondo, danzano nell'ombra del mattino in un rituale divino, come note di un rituale antico si disperdono e scappano dall'anima, donando una scarica di adrenalina; sottopelle come un linguaggio senza parole emozioni indelebili si schiudono. La vita inizia a pulsare in un'energia in costante movimento. Quando tutto si placa, sento le vibrazioni, sento l'anima che mi abbraccia, sento il calore di essere vivo."
"Sono vivo"
Dipingo tramonti e sorrisi brillanti, il tempo è trascorso e il ricordo vive in me. L'amore di un bambino speciale è più forte di mille medicine. Sono qui a scrivere l'inizio di una nuova storia d'amore, di due ragazzi conosciuti in tenera età, persi per caso, ritrovati per scelta, perché se è vero che il destino esiste, ognuno di noi ha scritto già dalla nascita il suo. Noi siamo quell'onda del mare più forte delle altre, siamo il sole dopo la tempesta, siamo l'amore e la vita.
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