Circe, Figlia del Sole | @Aivlim2020
di Aivlim2020
La musa che ha ispirato questo racconto è Calliope, musa delle arti figurative e della poesia epica.
Circe, figlia del sole
"... di là navigammo e all'isola Eèa arrivammo. Vi abitava Circe dai riccioli belli, Dea tremenda con voce umana, sorella germana d' Eèta pericoloso. Entrambi erano nati dal Sole e madre fu Perse, figlia di Oceano. Là dirigemmo in silenzio la nave, in un porto sicuro e un Dio ci guidava."
La guida, che si chiamava Claudia, si era fermata a leggere questa strofa del Canto X dell'Odissea, quello in cui Omero narra dell'approdo di Ulisse al Circeo. Mentre leggeva stava in piedi accanto a un busto in pietra calcarea, anzi neanche un busto, era solo la scultura di una testa di donna, appartenente -sempre spiegatoci dalla Guida- alla figura mitologica di Circe. Tale scultura, continuò, era stata ritrovata nel 1928 sul promontorio, da un pastore del luogo, tale Luigi Tassini. Il resto del corpo della scultura femminile non era stato mai ritrovato. Si supponeva che giacesse sotto masse di detriti e terra accumulatesi nel corso dei secoli.
Guardavo quel volto femminile, il suo sguardo placido e sicuro di sé, le labbra morbidamente chiuse; i capelli lunghi e riccioluti raccolti in un'elegante acconciatura che si annodava dietro la nuca e che le donava un portamento elegante. La prof ce l'aveva mostrata in foto sui libri, ma averla lì davanti, poterla toccare e osservare da vicino, provocava tutto un altro effetto. Chissà chi era l'autore di questa opera, mi chiesi, e da cosa era stato ispirato per realizzarla? Chi era stata la donna che aveva posato per lui? Non sembrava la donna malvagia descritta da Omero; sembrava semplicemente una donna dignitosa di quello che era.
Provai compassione per lei, per quel corpo mutilato che mai si era più congiunto alla sua testa.
«Ma la testa dove è stata trovata esattamente?» chiesi.
«Su al Picco del Promontorio, dove si pensa esistesse il Tempio di Circe dell'antica città di Circeii» rispose sempre lei.
«Noi andremo lassù?» formulai, speranzosa, la domanda.
«No, il programma del vostro campo scuola non prevede l'escursione su al Picco perché è un itinerario più impegnativo e richiederebbe quasi un'intera giornata» rispose.
La nostra classe di Primo Ginnasio aveva in programma questo campo scuola di tre giorni al Circeo, sede dell'omonimo Parco nazionale, fin dall'inizio dell'anno scolastico. La nostra insegnante di lettere era un'appassionata di natura oltre che di letteratura e ci aveva trasmesso il suo stesso entusiasmo per questa futura escursione – che lei aveva già vissuto negli anni precedenti con altri studenti – e l'aveva definita "un'esperienza indimenticabile" . Da Roma occorrevano due ore scarse di pullman per raggiungere il Circeo, aveva detto, ed era una ricchezza quasi unica per noi studenti del liceo Classico avere a portata di mano un pezzo di storia greca da poter vivere direttamente sul luogo, aveva aggiunto.
Eravamo arrivati in albergo intorno alle undici di mattina – saremmo potuti arrivare anche prima, ma due mie compagne avevano supplicato la prof di fare sosta per ben due volte perché soffrivano il mal d'auto – avevamo portato i bagagli in camera, una sosta veloce in bagno e poi ci eravamo riuniti nella sala pranzo dove ci attendeva Claudia.
L'albergo era piccolo – venti camere in tutto – ma sufficiente per la nostra classe e si trovava incastonato tra il verde e l'azzurro che facevano da cornice al promontorio. A Maggio la luce era intensa, il cielo di un azzurro luminoso e la vegetazione lussureggiante risaltava ancora di più sotto quella luce. Nella zona dove si trovava il paese quella vetta mostrava una parte verso le cime dei monti Lepini e un'altra verso la costa dove si poteva ammirare la cittadina di Terracina. All'orizzonte si intravedevano anche le isole pontine. A quell'ora il sole spiccava sulla vastità del mare trasformandolo in un nastro dorato. La temperatura calda si faceva già sentire, tant'è che ci eravamo liberati delle felpe per rimanere in T-shirt.
Claudia ci spiegò che per tutti e tre i giorni ci saremmo spostati sempre a piedi per visitare tutta l'area, dalla parte bassa bagnata dal mare, alla parte alta dell'Acropoli dove si trovava ciò che restava delle mura ciclopiche dell'antica città.
Peccato non poter raggiungere anche il Tempio di Circe, pensai. Dall'inizio dell'anno scolastico ero stata rapita dai racconti epici di Omero e, in particolare ero stata catturata dall'avventura di Ulisse con la Maga Circe, infatti, prima ancora di raggiungere la lettura dell'Odissea, con lo studio dell'Iliade in corso, io mi ero portata avanti fino alle avventure di Ulisse e avevo trovato particolare interesse nel Canto X, dove appunto, Ulisse approda al Circeo. Avevo immaginato questa donna piena di fascino, potente e seducente che ammaliava il prode Odisseo mentre trasformava tutti gli altri uomini in animali e in particolare appartenenti alla specie suina.
Riflettendo su un tragico fatto di cronaca avvenuto proprio lì, al Circeo, mi ritrovai a pensare che tutto sommato quell'associazione era davvero significativa. A quanto pare, la fama di basso livello assegnata a una certa categoria maschile, era nota fin dall'antichità. Forse Omero era lo pseudonimo di una donna, pensai, magari un anagramma di Emoor, Moore, Oorem, Oorme o Oreom dietro il quale si nascondeva un'abile autrice che però, dati i tempi, non aveva la possibilità di svelarsi.
Quanto avrei desiderato possedere un po' della sua potenza, sicurezza, bellezza!
Dividevo la stanza con Lucia. Non che fossimo particolarmente unite, ma le altre avevano già deciso chi sarebbe andata con chi, e noi due restavamo le uniche che non avevano pianificato l'organizzazione notturna. In realtà Lucia desiderava segretamente di far parte di quei gruppetti che si erano formati fin dai primi giorni di liceo. Alcune di loro già si conoscevano dalle medie. Io non conoscevo nessuna di loro, e neanche Lucia. Però, mentre lei desiderava conquistare la loro stima, a me non importava. Erano troppo diverse da me e io da loro. Si vedeva che gli piaceva apparire, essere notate per il loro aspetto fisico. Si truccavano, si vestivano in modo appariscente; acconciavano i loro capelli o gli cambiavano colore. Venivano a scuola con scarpe dai tacchi alti – francamente non so come facessero – e accessori firmati.
A scuola trascorrevano più tempo a specchiarsi e a rifare il trucco che ad ascoltare le lezioni. E mi lanciavano sempre sguardi di sufficienza e si indispettivano quando facevano figuracce davanti a domande improvvisate della prof mentre io riuscivo a rispondere sempre in maniera esaustiva. Che dovevo fare? A me il classico piaceva, erano loro che dovevano chiedersi perché avessero scelto quel tipo di scuola.
Durante tutti i mesi precedenti, in aula, si era delineato uno schema di relazioni sociali abbastanza naturale. Giulia, Natasha e Jessica erano le belle della classe e stavano sempre insieme. Luca, Francesco, Tommy e Silvano le sbavavano dietro. Tommy forse un po' meno, ma siccome era amico di Francesco – che aveva un po' ruolo di capobranco – seguiva quello che faceva lui e gli altri senza un proprio spirito di iniziativa. Era un peccato, perché secondo me Tommy era diverso da loro e in un paio di occasioni ne avevo avuto dimostrazione.
Quella volta che prima di entrare a scuola, a pochi metri dall'ingresso, Francesco mi si era parato davanti con atteggiamento provocatorio, quasi a volermi impedire di passare oltre. Lo avevo guardato, più infastidita che intimorita e a lui questa cosa che io non fossi spaventata da lui gli aveva dato fastidio così mi aveva tirato via il berretto di lana che portavo in testa, lanciandolo a diversi metri da me.
«Smettila!» gli avevo sibilato a denti stretti mentre mi voltavo per recuperare il mio cappello, ma qualcuno me lo stava porgendo di già.
«Fa freddo stamattina eh?» aveva detto Tommy allungando la sua mano che teneva il mio berretto. Lo sapevo che Francesco era suo amico, ma lo avevo apprezzato. Indossava un giubbotto di finta pelle, di quelli pesanti che secondo me sono solo apparenza e ti si gelano addosso più di ogni altro indumento. Io stavo abbozzolata nel mio eschimo, una sciarpona mi avvolgeva collo e parte del viso. Credo che si vedessero solo gli occhi. Però mi aveva fatto piacere quel suo approccio, così avevo abbassato la sciarpa, accennato un sorriso e avevo detto:
«Sì... Tu non vieni in autobus, vero?»
«No, vengo in scooter con Francesco». Già, Francesco, sempre lui. Mi ero voltata istintivamente per cercarlo con lo sguardo e lo avevo visto spostarsi verso le tre "bellezze", insieme agli altri tre idioti. Poi si era voltato verso noi, io mi ero girata di scatto, ma con la coda dell'occhio avevo notato che lui e Tommy si erano guardati. Dopo qualche secondo Tommy mi aveva scaricata con un «Ci vediamo in classe» e li aveva raggiunti. Non avevo avuto modo neanche di dirgli Ciao. Improvvisamente quel lieve sprazzo di soddisfazione che mi aveva fatto visita nel momento in cui lui mi aveva parlato era stato immediatamente sostituito da un sentimento di disprezzo e compassione Vai, vai...Vai dal tuo branco che ti chiama, idiota!
La seconda occasione fu durante una gita al Palatino. La Prof voleva mostrarci dove era stato il primo insediamento romano e come questa popolazione avesse risentito per tutto un lungo periodo dell'influenza etrusca. Ero assorta a prendere appunti, come sempre mi ero abituata a fare fin dalla scuola media, quando avevo sentito sussurrare dietro al mio collo «Sempre diligentemente studiosa eh! Vuoi farci sfigurare per tutto il resto dell'anno?» Mi ero voltata lentamente e avevo subito messo a fuoco la bella faccia -- perché non potevo negarlo, bello era bello – e arrogante di Francesco. Subito dietro di lui il trio Luca, Silvano, Tommy. Ma mentre gli altri due ridacchiavano come cretini, Tommy stava serio e mi era sembrato quasi di scorgere nella sua espressione un moto di disagio. Avevo considerato che non valesse nemmeno la pena di rispondere, così mi ero spostata di qualche passo e poi avevo ripreso a camminare quando tutto il gruppo si era mosso.
«Non farci caso, lui fa così, ma non è cattivo. Non sopporta quando in classe c'è qualcuno brillante che mette in ombra tutti gli altri» mi aveva mormorato Tommy affiancandomi durante la ripresa del percorso.
«Io non metto in ombra nessuno!» avevo risposto indignata «Sto semplicemente facendo quello che mi piace fare, studiare». Lui aveva dato l'impressione di voler dire qualcosa, ma non aveva forse trovato le parole e io ripresi a parlare «Ma tu come mai lo giustifichi? Sei il suo difensore?» avevo chiesto aspra.
«Siamo amici, ci conosciamo da tanti anni» aveva risposto semplicemente. Per il resto della mattinata non ci eravamo scambiati più nessuna parola. Solo, qualche volta, mi ero sorpresa a incrociare il suo sguardo. Poi per il resto dell'anno non era successo più niente di importante, accadeva solo che durante le interrogazioni, mentre io esponevo il concetto in risposta alla domanda che mi era stata posta, se mi capitava di buttare un occhio verso i banchi, il solito trio Francesco, Luca, Silvano ridacchiavano con scherno, invece lui no, Tommy rimaneva serio e mi guardava.
Poi c'era il gruppetto delle dark Mara, Sonia, Ylenia. Loro stavano sempre insieme e condividevano lo stile di abbigliamento, accessori, trucco, capelli. Erano pallide, con gli occhi vistosamente contornati di nero e viola. I capelli nero corvino e ovviamente sempre vestite di nero con lunghe catene argentate che tintinnavano quando si muovevano. I due gruppetti si odiavano, loro tre con il gruppo delle "belle" intendo. Erano decisamente diverse, ma devo riconoscere che contrariamente a Giulia e le altre, a modo loro studiavano ed erano preparate, anche se mettevano sempre tutto in discussione, a volte, con argomentazioni assurde, però movimentavano il dibattito. Mara e le altre simpatizzavano soltanto con Alessio, dark come loro, ignorando tutti gli altri; preferivano socializzare con i ragazzi di altre classi. Inoltre tenevano testa al gruppo di Francesco, Mara in particolare non gliele mandava a dire di certo.
Poi c'erano Paolo e Alessandro che formavano un gruppo a sé. A loro gli argomenti di studio interessavano relativamente, era lo sport l'argomento che li appassionava più di ogni altra cosa. Se ne stavano tutto il tempo a parlare di calcio, principalmente, di ciclismo e altro che non saprei dire. A loro le ragazze sembrava non interessassero.
.
E infine io e Lucia, che sembravamo le naufraghe nell'oceano e neanche nella stessa scialuppa. Lucia leggermente sovrappeso, non mostrava ancora una propria identità. Sembrava ancora una ragazzina di scuola elementare e provava grande senso di disadattamento. Non era una sicura di sé, desiderava far parte di un gruppo, ma era distante da entrambi. Il gruppo di Giulia era palesemente discriminante nei suoi confronti, mentre quello di Mara probabilmente non rispondeva alle sue vedute sociali. Mara e le altre non assumevano un atteggiamento di esclusione verso Lucia, ma quando stavano vicine lei sembrava la pecora bianca nel gregge di pecore nere. Il loro stile era lontano mille miglia così pure le visioni sociali, artistiche, spirituali. Invece io a Mara piacevo. Mi cercava spesso e mi stimava perché anche a lei piacevano le materie classiche, ma avevamo stili di vita diversi. Loro avevano fretta di mostrarsi cresciute, io no. Però convivevamo civilmente portandoci rispetto.
Io di certo non ero il tipo che faceva voltare i ragazzi quando passava, ma... diciamo che non mi sentivo brutta. Non indossavo capi alla moda. Vestivo semplice seguendo la mia sensazione di comodità. Avevo capelli lunghi e lisci senza alcun tipo di acconciatura. Magra e abbastanza piatta, non mi truccavo, ma sicuramente i miei occhi non passavano inosservati. Quello a cui tenevo di più era l' intelligenza. Non un'intelligenza ostentata come saccenteria, un'intelligenza umile e dignitosa, ecco. Rispetto a Lucia, io non avvertivo il bisogno di stare per forza in un gruppo. Stavo bene così, come individuo a sé.
Nella sala da pranzo dell'albergo, Claudia ci aveva esposto il programma di quelle tre giornate. Come prima tappa avremmo visitato il paese e i due musei presenti all'interno di esso: uno sulla preistoria e l'altro sulla civiltà greco-romana. E proprio all'interno di quest'ultimo ci eravamo fermati ad ammirare la scultura di Circe.
La prof, dopo che Claudia aveva letto il passo dell'Odissea e risposto alle mie domande, aveva chiesto se a qualcuno avesse fatto piacere raccontare il seguito dell'avventura di Ulisse. Così Mara prese a illustrare la scena in cui Ulisse affida alla sorte la scelta su chi andrà in perlustrazione sul promontorio. Quando arrivò a descrivere quel momento in cui Euriloco torna sconvolto alla nave, iniziò ad alzare un polverone sull'intervento di Ermete in aiuto di Ulisse. Mara criticò quella discriminazione tra Ulisse e i suoi compagni affermando che non era giusto che gli altri dovessero sacrificarsi sempre per la sua smania di avventura e che non era giusto che lui ne venisse fuori sempre sano e salvo. La prof sorrise, ma apprezzava lo spirito critico di Mara. Poi rivolse lo sguardo a me:
«Elena, tu che ne pensi?». Fui colta di sorpresa. Credo di essere arrossita. Mi godevo quel momento di confronto con rilassatezza e piacere - dal momento che ero convinta che in quell'occasione avrei svolto solo un ruolo di spettatrice- invece mi vedevo improvvisamente chiamata in causa. Guardai la prof, poi la guida, poi guardai i miei compagni. Sembravano in attesa, tutti, di conoscere il mio pensiero. La faccia sghignazzante di Francesco, l'espressione di sufficienza di Giulia e compagne erano in ogni caso in attesa. Guardai Tommy.
Improvvisamente avvertii un forte calore avanzare dal ventre verso l'alto, su al viso e poi alla testa. Come se un'energia sconosciuta mi attraversasse per intero. E dentro i miei pensieri arrivarono delle immagini che non avevo mai visto prima.
L'erba moly non è mai esistita. È solo un'illusione della quale Ulisse ha voluto impregnarsi per apparire come un preferito dagli Dei. È sufficiente credere nella magia perché le cose accadano, perché l'uomo crede vero ciò che desidera.
Pensaci Elena! Pensa al potere che abbiamo. Oh, se solo ve ne rendeste conto!
È il potere della vita.
A noi basta un solo uomo per riprodurci infinitamente e godere della nostra pacifica sorellanza.
Possediamo la vita. Siamo sorellanza, maternità, amore incondizionato.
Possiamo essere uniche, piacevoli, desiderabili, ma sempre il genere maschile ci ha svalutate.
Temute perché incomprensibili per loro e, tutto ciò che è incomprensibile è incontrollabile e per questo pericoloso.
In tanti sono arrivati fin qua credendo di poterci sottomettere, come fanno con voi. Vi regalano doni preziosi e poi vi imprigionano; vi legano a loro e poi vi annullano; vi dichiarano amore eterno ma in realtà vi schiavizzano e se osate dire di no, vi ammazzano. Vi vogliono scoperte per sollazzare i loro istinti animaleschi, ma poi vi vogliono anche coperte del tutto.
Per quale motivo credi che Ulisse abbia rilasciato una versione falsa dei fatti? Ma ci pensi? Che figura avrebbe fatto? Lui, l'eroe dal multiforme ingegno completamente soggiogato dal potere femminile. Senza armi, senza complotti, senza inganni. È bastato che facesse ingresso in questo Palazzo perché tutto il suo spirito guerriero venisse meno e, docile come un lupo che si nutre ancora al capezzolo della propria madre si è lasciato addomesticare, come un cagnolino. Siamo noi che abbiamo usato lui e non il contrario come è scritto sui libri. Libri sempre scritti dagli uomini e mai dalle donne.
Uomini che non sanno custodire la vita. La sprecano, la insozzano, la ripudiano con le guerre, i conflitti, la sottomissione, la schiavitù. Ulisse avrebbe potuto terminare qui il suo viaggio. Era felice, aveva tutto quello che un uomo poteva desiderare e, no, non è stato per Penelope che è ripartito. Se fosse rimasto la sua fama non sarebbe stata la stessa e lui non avrebbe saputo rinunciarvi.
Non credere a tutto quello che è scritto. I fatti narrati vengono narrati come più fa comodo a chi è assetato di potere. È qui che dimora il nostro regno femminile, nutrendoci di quell'amore puro che ci distingue e per il quale non siamo disposte a barattare in nessun modo, neanche per apparire sui libri di storia. Non dimenticarlo mai.
«Elena! Elena!» Sentivo chiamare il mio nome da una voce lontana, i suoni mi arrivavano come stessi sott'acqua, ma non riuscivo a rispondere e faticavo ad aprire gli occhi.
Mentre pian piano mettevo a fuoco i volti e gli oggetti intorno a me, ebbi difficoltà a riconoscere quel luogo.
«Elena, santo Cielo che spavento ci hai fatto prendere!» diceva con enfasi la voce della prof. Aveva un tono preoccupato, ma un'espressione gentile.
«Non ho ancora chiamato i tuoi genitori, non volevo farli preoccupare, ma dimmi, se vuoi tornare a casa ti facciamo accompagnare». La sua voce apprensiva arrivò più chiara alle mie orecchie.
Mi trovavo nella stanza d'albergo che avevamo scelto con Lucia. Adesso le immagini erano nitide.
«La Guardia Medica ti ha visitato. Ha detto che è tutto a posto e di lasciarti riposare. Dopo lo facciamo tornare per controllarti» continuò la prof.
«Sto bene, mi sento solo un po' stordita. Ma che ore sono?» chiesi.
« È quasi l'una» disse un'altra voce. Mi voltai e vidi Lucia, in piedi lì in un angolo della stanza.
«I tuoi compagni hanno fatto a turno per tenerti compagnia» riprese la prof guardando in direzione di Lucia, poi si alzò e mentre si dirigeva verso la porta disse:« Vado a riferire agli altri. Lucia resterà un po' qui con te».
Nei primi attimi, dopo che la prof era uscita dalla stanza, provai imbarazzo in quella situazione. Mi guardai intorno, poi guardai la mia compagna che aveva un'espressione dolce, accogliente.
«Che è successo?» chiesi timidamente.
«Non ti ricordi?» mi chiese lei di rimando. Feci no con la testa. Lucia stava per dire qualcosa ma udimmo bussare energicamente alla porta che si aprì subito dopo.
Era Mara insieme alle sue amiche, e c'era anche Alessio, che però rimase appoggiato allo stipite della porta richiusa dietro di loro, con fare impacciato. Portava sempre quella ciocca lunga di capelli che gli copriva metà faccia, una fila di orecchini argentati ad adornargli il bordo dell'orecchio. Mi ero sempre chiesta cosa ci facesse al Classico. Non avevamo mai scambiato una parola. Francesco e gli altri non lo avevano mai importunato, credo che avessero timore di Mara e il suo gruppetto, sapevo che il padre era avvocato... chissà forse era quello il motivo.
Senza chiedere il permesso Mara sedette sul letto e così anche Ylenia. Sara invece si accomodò su una sedia. Lucia restò in piedi, addossata a una parete.
«Sei svenuta, ma non è stato un normale svenimento. Sembravi in uno stato di trance» proruppe Mara guardandomi intensamente negli occhi.
«Hai detto delle cose. Sembrava come se stessi delirando, ma per noi non è così» intervenne Ylenia.
«Glielo hai detto?» chiese Mara rivolgendosi a Lucia.
«No, la prof è appena uscita e lei ha detto che non si ricorda» rispose lei timidamente.
Io le guardavo senza capire. Cosa volevano da me? Poi a un tratto mi venne da dire:
«Ho sentito delle voci, anzi una voce... e ho visto delle cose».
«Che tipo di cose?» chiese Mara sempre più incalzante.
«Alte colonne all'ingresso di un palazzo maestoso; luce intensa che abbagliava le mura interne... Un canto soave proveniente da una fonte misteriosa e io ...
Mi sentivo a casa» dissi senza sapere bene quello che stavo dicendo, ma semplicemente descrivevo quei frammenti di immagini che erano rimasti nella mia mente.
.
Mara mi guardava estasiata, con occhi sbarrati. «Hai avuto una visione» disse.
«Non lo so...» mormorai.
«Dai, non preoccuparti, piuttosto hai fame?» disse gentilmente Ylenia, con mia grande sorpresa. Credo che dall'inizio dell'anno forse questa era la seconda volta che mi parlava e la precedente era stata appena un "Ciao". Mi guardava con interesse attraverso i suoi occhi ingigantiti dal mascara, che spiccavano appena al di sotto della frangia cortissima.
«Forse sì» risposi incerta.
«Lucia, perché non scendi a prenderle qualcosa da mangiare? È avanzata un sacco di roba» disse Mara determinata. Quel modo di fare nei confronti di Lucia mi infastidì.
«Ma no, posso scendere» dissi con l'intenzione di evitare alla mia compagna di fare da cameriera.
Mara però mi fissò con uno sguardo penetrante e non riuscii a fare e ad aggiungere altro.
Appena Lucia fu uscita, le mie compagne si avvicinarono di più a me, anche Sara si alzò dalla sedia e si unì alle altre. Stavano in piedi, disposte come la formazione di un coro e chiudevano la visuale in direzione della porta e di Alessio.
«Dobbiamo parlare» disse Mara senza distogliere il suo sguardo dai miei occhi.
«Di cosa?» chiesi io.
«Vogliamo chiederti di andare a fare un'escursione notturna, stanotte». Mentre Mara parlava io non provavo stupore per quella richiesta, anzi desideravo fortemente accogliere quella proposta e nella mia testa visualizzavo già il percorso.
«Va bene» risposi.
Poco dopo tornò Lucia con un vassoio di cose buone da mangiare e scoprii di avere appetito. La prof ci raggiunse in camera che avevo appena terminato il gradito pasto.
«Hai visto che carine le tue compagne? Si sono preoccupare di farti pranzare» commentò guardando il vassoio «adesso dovremmo riprendere il programma e proseguire la nostra escursione. Tu preferisci rimanere qui?» aggiunse. Guardai velocemente Mara che sembrò comunicarmi una specie di assenso poi rivolgendomi alla prof dissi:
«Voglio venire anche io. Sto bene». La nostra insegnante mostrò per alcuni secondi un'espressione dubbiosa, ma subito dopo sorrise e disse:
«Va bene, allora dai alzati. Non fare altri scherzi però... e prima passeremo di nuovo dalla Guardia Medica» aggiunse mentre usciva dalla stanza.
Raggiunsi il resto della classe giù in sala pranzo, accompagnata da Lucia. Appena feci ingresso nel locale il brusio di voci di poco prima si arrestò per un attimo lasciando il posto a un silenzio profondo. Tutti stavano lì a fissarmi, ma non erano sguardi di scherno, sembrava più una sorta di curiosità. Poco dopo Giulia e le sue amiche ripresero a parlottare con il gruppetto di Francesco. Cercai con gli occhi Tommy, lo vidi che se ne stava in disparte a guardare fuori dalla vetrata.
La prof annunciò a tutti che io stavo meglio e che quindi mi sarei aggregata a loro per il proseguimento del Campo Scuola.
Uscimmo dall'hotel e ci incamminammo in corteo. La Prof e Claudia stavano in testa. Con la coda dell'occhio vidi Tommy che mi stava raggiungendo, ma tempestivamente Mara, Ylenia e Sara lo precedettero sistemandosi ai miei lati, come guardie del corpo. Lucia e Alessio stavano davanti a noi.
Percorremmo un sentiero lungo un fianco scosceso del promontorio. Numerose varietà di piante rupestri, con le loro foglie coriacee e le radici indurite che scavavano nella roccia, circondavano il nostro cammino. Ce ne era una che cresceva soltanto lì, ci informò la Guida, si chiama Centaurea cineraria circe.
Di sotto potevamo ammirare tutta la costa a tratti sabbiosa e a tratti rocciosa. In una piccola insenatura spiccava come un intruso sgradito il porticciolo turistico. Claudia ci spiegò che purtroppo quell'insediamento, seppur per un breve periodo estivo, disturbava molto l'equilibrio naturale dell'ambiente. Udii i miei compagni commentare con entusiasmo le imbarcazioni di lusso parcheggiate alle banchine.
«Purtroppo tra meno di un paio di mesi qui sarà tutto un via vai di chiassosi motori puzzolenti e un pullulare di turisti d'assalto» disse con tono severo Claudia. Paolo, Alessandro, Francesco e gli altri si atteggiavano scioccamente immaginando di essere proprietari di una di quelle imbarcazioni e Giulia e le sue amiche civettavano stando al gioco.
Mentre avanzavamo Natasha lamentava la scomodità del sentiero, troppi insetti, troppi rami spinosi.
Li detestavo. Sentii montare dentro di me una collera antica.
Rientrammo in hotel dopo le diciannove. Il cielo era ancora colorato di rosa. La prof ci raccomandò di scendere puntuali per la cena. Qualcuno si lamentò per la stanchezza. Molti di loro non erano abituati a camminare.
Il responsabile di sala aveva organizzato un'unica tavolata dove la prof si era sistemata a una delle estremità e Claudia all'altra. Io avevo scelto di sedermi verso la zona dove stava seduta la nostra Guida, accanto a me stava Lucia e alla mia sinistra Mara e Ylenia che conversavano amichevolmente con Claudia. Di fronte sedeva Tommy, che stranamente non aveva raggiunto il suo gruppetto -sistemato verso la zona della Prof.
Durante tutta la cena scorrevano occhiate fugaci intense come energia elettrica per tutta la tavolata. Mara guardava in direzione di Giulia e questa di fronte a lei fissava Francesco. Perfino Paolo e Alessandro li scoprii più di qualche volta a fissarmi per tornare a guardare subito dopo gli altri compagni.
Sembrava che tutti sapessero cosa sarebbe accaduto. Tutti tranne io, anche se la sensazione che provavo era quella di un'antica conoscenza.
Con la motivazione della stanchezza tutti, dopo cena, comunicarono alla prof il desiderio di ritirarsi in camera, con stupito piacere di lei. Sembrava come se all'improvviso fossero diventati tutti più adulti, maturi, consapevoli.
Alle ventidue circa bussarono alla porta della nostra camera.
«È lei » disse Lucia alzandosi ad aprire.
Mara apparve sulla porta.
«Siamo pronti» disse telegraficamente. Io e Lucia la seguimmo. Uscimmo in giardino da una porta laterale che ci avrebbe evitato il passaggio nella sala di sotto. Scendemmo lungo una scaletta e dopo pochi passi, sotto a una distesa di ulivi, trovai tutti i miei compagni.
«Come li hai convinti?» sussurrai a Mara.
«Fascino femminile» rispose lei senza guardarmi. Non sapevo proprio cosa avesse detto loro, ma tutti attendevano. Poi guardai Mara.
«Ti seguiamo» disse lei.
Il mio corpo si mosse senza intenzione studiata. Sapeva dove doveva dirigersi ma nella mia mente non vedevo alcun schema.
Camminammo per oltre un'ora abbondante lungo un percorso a tratti impervio. L'oscurità era interrotta soltanto da un paio di piccole torce che le altre avevano portato. Giulia, Natasha e Jessica a volte emettevano sbuffi di disapprovazione, ma stranamente Francesco e gli altri le incoraggiavano a proseguire e le aiutavano anche.
Finalmente giungemmo in cima. Lo spettacolo che si presentò dinnanzi ai nostri occhi fu per me di una meraviglia incontenibile. Il manto stellato ci avvolgeva con le sue delicate lucine. Sotto si poteva intuire la vastità del mare con qualche piccola imbarcazione di pescatori al largo. Il silenzio era totale rotto soltanto da qualche bisbiglio.
«Ora sai tu cosa devi fare» mi sussurrò Mara all'orecchio. Esitai solo un attimo poi mi parai davanti a tutti loro e presi a parlare.
«Pensavate di venire fin quassù per trovare chissà quale segreto, vero? Pensavate che ognuno di voi avrebbe ottenuto un vantaggio personale, non è così? Egoismo, sempre e solo egoismo! Gli esseri come voi non meritano di alimentare la specie. Gli antichi Dei mi hanno nominata».
«Aspetta, che vuoi dire?» gridò spaventato Francesco parandosi tra me e gli altri.
«Voglio dire che il primo sarai proprio tu!» esclamai con severità. Lo toccai con decisione sui capelli e lui sparì all'istante. Giulia e le altre gridarono terrorizzate. Si ammucchiarono addosso a Silvano e Luca, anch'essi paralizzati dal terrore. Mi chinai verso terra e con fare spavaldo tesi il palmo per accogliere un grillo campestre che muoveva le sue piccole antenne come a voler comunicare.
«Insetti! Soltanto insetti è la vita che vi attenderà qui» continuai ancora con durezza e mi avvicinai a loro minacciosa. Le ragazze si accucciarono giù coprendosi il volto per non vedere; i ragazzi tentarono di scappare ma due di loro rovinarono a terra inciampando tra i cespugli e le rocce. In un attimo tutti andarono a unirsi al loro simile.
Mi voltai e vidi Tommy che mi fissava, impavido. Esitai.
«Non indugiare, Elena, non farlo! Non diventerà diverso dagli altri» mi disse Mara con voce severa.
Lo guardai ancora un attimo, poi gli andai incontro, lo baciai e subito dopo al suo posto svolazzava intorno a me un bellissimo volatile notturno.
***
Oggi il cielo sembra più limpido del solito. Stormi di uccelli dal piumaggio variegato colorano la volta celeste. Dall'alto ammiro il mare immenso, fino all'orizzonte dove si intravedono le isole, qualche imbarcazione di pescatori rompe il magico silenzio col suo ronzio. Da un lato la costa sabbiosa con i laghi costieri che l'accompagnano nella morbida lunghezza. Dall'altro tratti di roccia si alternano a lembi sabbiosi, giù fino a scrutare le isole partenopee. Piante tutto intorno a me emanano le più seducenti fragranze. La notte il popolo del crepuscolo ci accompagna nelle nostre perlustrazioni, i fedeli grilli allietano le ore col loro mantra e il mio amico barbagianni resta sempre al mio fianco.
È passato tanto tempo da quella notte. Quello che più mi è dispiaciuto è stato il dolore che abbiamo provocato nella nostra professoressa. È sempre stata una brava insegnante, non meritava di conservare quel ricordo terribile della sua prima uscita dell'anno. Un'intera classe scomparsa.
Da allora tante cose sono cambiate qui. Il porto turistico non esiste più, al suo posto sostano soltanto imbarcazioni di pescatori. Gli abitanti del luogo hanno rievocato antichi mestieri e antiche pietanze e gli stranieri che vengono a far visita quassù sono tutti magicamente autoselezionati.
Quando a volte capitano gruppi non idonei, accadono eventi misteriosi, così che per lunghi periodi non vediamo nessuno spingersi fin quassù.
Alessio è stato determinante per la nostra riproduzione. In questo modo garantiremo alla nostra Madre Dea la custodia di questo prezioso luogo.
Nel museo, ora Circe può finalmente ricongiungere la sua testa al corpo che abbiamo ritrovato e riposare così in pace.
Siamo felici. I bambini crescono sani e gioiosi, gli animali si sono ripopolati, le piante si sono moltiplicate dando vita a fitti boschi dove crescono frutti di ogni specie e con la ricchezza di animali e piante sono tornate anche le fonti di acqua naturale.
L'uomo non ha bisogno di altro.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top