🍁1
• LEI •
Ti guardo negli occhi e tu di rimando, ma so che non mi vedi davvero. Ti stringo al mio petto e tu mi imiti, ma non c'è più traccia di quel calore che mi hai sempre dato.
Ora, solo ghiaccio.
Tu mi hai chiamata e io, come una stupida, ti ho risposto con un sorriso, consapevole che non avresti mai potuto vedermi attraverso il telefono. Poi non hai più parlato e, decisamente, qualcosa non andava. Mi hai detto così tante cose, senza lasciarmi il tempo di parlare, metabolizzare, reagire, o anche solo versare qualche lacrima.
La vita non è un romanzo e, di questo, ne sono stata consapevole solo nell'attimo in cui mi hai riversato addosso tutte le tue parole, pugnalate dritte all'anima, ferite così laceranti che temo non si richiuderanno mai. Ogni verbo, ogni sostantivo, ogni articolo mi è entrato dentro raggiungendo il cuore e, lì, ogni frase rimarrà persistente, adombrando la mia essenza.
Riuscivo solo a pensare che non era giusto che usassi frasi fatte, adatte a personaggi letterari creati da qualcuno che non si cura minimamente dei loro sentimenti: tu avresti potuto scegliere di non ferirmi, ma non l'hai fatto. Noi non siamo finzioni, siamo nella vita vera e fa male. Fa tremendamente male.
Preferirei non provare nulla e tornare in uno stato di apatia, senza le lacrime a intorpidirmi la vista e i sensi. Ma poi i ricordi spuntano, come fiocchi di neve, impercettibili e sullo sfondo, fino a che non sono tanti da gelarmi le dita delle mani e le punte dei piedi nelle scarpe estive.
Lascio il telefono, allontanandolo con calma dal mio orecchio, mentre lui ancora parla. Il sorriso è sfumato, dalle mie labbra e dai miei occhi, e si è tramutato in una smorfia di sofferenza. Di dolore. In un attimo una sensazione di nausea mi costringe ad abbassare le palpebre, nello sforzo di tenere tutto dentro: lo stomaco si è attorcigliato su se stesso, sento distintamente le mie viscere che si annodano, poi ritornano al proprio posto e infine prendono nuovamente a intricarsi, come se volessero dirmi che, nonostante tutto, sono ancora viva.
Stai somatizzando la sofferenza, dico a me stessa. Abbandono il cellulare, incapace di ascoltare ancora una voce che non avrei mai pensato potesse arrecarmi tanta pena. Mi cullo nella finzione, mi costringo a pensare che non sia possibile che lui mi stia facendo tutto questo. Mi obbligo a credere di essermi immaginata tutto: la chiamata, la sua voce ferma, le frasi prive di qualsiasi emozioni.
Conto fino al dieci, come lui mi ha insegnato, conto ogni bacio rubato, ogni sorriso donato, ogni carezza nascosta. Conto i passi che ci distanziano prima di un abbraccio, conto le dita intrecciate, i capelli sfiorati. Conto i "ti amo" che ci siamo detti e quelli che ci siamo dimostrati, ma non serve a niente. Non serve a sostituire la realtà.
Mi lascio scivolare a terra, sulle piastrelle fredde, perché ho paura di non poter reggere. Non realizzo veramente cosa sia accaduto finché il telefono torna a illuminarsi. È una chiamata in arrivo. Non è lui. Lo prendo e lo lancio distante, con tutta la forza che vorrei avere nell'anima, non nelle braccia. Spero si rompa, che si frammenti nella miriade di pezzi in cui in anche io mi sento ridotta, ma atterra sul tappeto soffice con un leggero rimbalzo, quasi a indicarmi che, per ogni caduta, ci sarà sempre qualcuno ad attutire il colpo. Non per me.
«Vorrei un telefono che faccia delle fotografie decenti» asserisco, risoluta.
«A cosa ti serve un telefono per fare delle fotografie?» ribatte lui. Certo, per lui è semplice: ha le migliori macchine fotografiche e fermare il tempo sulla carta lucida è la sua passione. Ma ogni tanto sento anche io il bisogno di immortalare un ricordo.
«Non ci sarai sempre tu, con le tue macchine da guerra appese al collo. Non voglio una fotocamera. Voglio un telefono per chiamarti e per fare fotografie.»
«Fotografie che spero condividerai con me, dolcezza.»
Sbuffo, mentre il commesso si volta imbarazzato. «Oh, ti prego. Non avrai nemmeno una mia fotografia, se non mi aiuti a scegliere un cellulare» mi spazientisco alla fine.
«Non mi serve una tua fotografia, quando ti ho con me in carne e ossa» conclude, catturandomi in un abbraccio stretto.
Resto ancora un po' a terra, cercando di capire perché gli occhi non mi si inumidiscono quando sento solo il bisogno di sfogare la mia rabbia sorda o isolarmi in me stessa. Poi capisco che non è questo che voglio: non merito di chiudermi nel mio dolore, non merito di doverlo affrontare così.
Mi alzo, decisa, e apro l'armadio con vigore. Prendo una maglia pulita e recupero da una sedia un paio di jeans. Mi infilo le scarpe mentre esco, saltellando su un piede e prendendo la giacca con la mano libera. Non lo accetto.
Se davvero crede in ciò che ha detto, voglio che mi dica in viso quello che ho sentito attraverso il telefono.
Voglio che mi guardi, mentre mi parla.
Voglio vedere i suoi occhi decisi, il suo viso immutato, voglio sentire la sua voce ferma.
«Scusa, non pensavo facesse così freddo, qui fuori.» Ha le mani nelle tasche dei pantaloni, mentre si volta verso di me. Le sopracciglia aggrottate formano una linea proprio sopra il naso, gli occhi si incastrano nei miei. Non posso pretendere nulla da lui, a malapena lo conosco, ma mi ritrovo a desiderare che mi offra un braccio, per stringermi a sé e scaldarmi. Scuoto la testa, per negare i miei pensieri o per rispondere alle sue parole.
«Mi piace il freddo» confesso.
«Non sei una ragazza d'inverno.» Ora è il mio turno di aggrottare le sopracciglia. Lui se ne accorge e un angolo della sua bocca – solo uno, il sinistro – scatta in alto. «Non sei algida, distaccata. Non ti elevi al di sopra di tutti. Non sei la classica reginetta delle nevi. Tu sei colore, arancio e giallo e rosso.» Faccio per ribattere, ma lui mi ferma ridendo. La sua risata. È una delle prime volte che la sento. «Lo so, lo so, non ti piacciono i colori. Sei sempre rigorosamente pro-nero. Ma, dolcezza, tu sei il calore portato dal vento, quando fuori è freddo e gli alberi sono spogli. Sei il giallo che illumina il grigiore. L'arancio che riscalda la terra. Il rosso del fuoco che scoppietta.» Fa una pausa. «Tu sei l'autunno. Freddo e caldo insieme, un ossimoro non banale.»
Non so cosa dire, così sto zitta, continuando a camminare al suo fianco. Chi è, questo ragazzo, tanto risoluto e tanto onesto? Sta solo cercando di impressionarmi o pensa davvero ciò che dice?
«E io, cosa sono?» mi chiede, dopo quelli che sembrano anni. Faccio alcuni passi, fino ad arrivare alla riva del mare. Le onde lambiscono la sabbia, levigandola con un lavorio costante e incessante. Immergo i piedi nell'acqua ghiacciata, mentre la luna si specchia davanti a noi.
«Tu sei l'estate» sussurro, «tu sai di libertà.»
Adoro il freddo, ma potrei fare anche un'eccezione.
A stento so dove sto andando, la testa persa tra le parole che vi rimbombano dentro e che mi sconquassano, mi distruggono, mi spezzano. I miei piedi conoscono già la strada e la percorrono senza che io dica loro nulla. Sanno dove andare, sanno dove voglio che vadano, mentre la mia mente è occupata a mantenere insieme i pezzi che rimangono di me.
Passo attraverso luoghi conosciuti, ricordi incarnati nell'angolo di marciapiede dove ci siamo scambiati l'ultimo bacio, nel bar sotto casa che accoglie le nostre mattinate più pigre, nel semaforo che lo fa arrabbiare ogni volta che gli blocca il cammino. Vedo ogni simbolo del nostro amore e vorrei fermarmi e accogliere tutte le tracce di noi nei miei occhi aridi, per trasformarle in lacrime liberatorie.
Ma tutto mi sfugge via dalle dita, già incapaci di trattenere gli stralci di una felicità che, ora, inizia a diventare dolorosa.
•CONTINUA•
NdM. Ho recuperato questa storia dalle bozze, risale a circa due anni fa e faceva parte di una pubblicazione a sé. Sto però cercando di portare tutte le OS/storie brevi qui e, a differenza di quelle già presenti, questa ha più capitoli, ma sono tutti brevi.
Ah, e lo so, è un'altra storia triste e probabilmente sarà piena di errori >-< E, se non si fosse capito, l'incipit all'inizio è un flashforward, mentre le parti corsive successive flashback (un mappazzone, insomma).
Spero possiate apprezzarla, perché ci tengo particolarmente e, soprattutto, tengo alla persona che è nascosta sotto le spoglie della protagonista.
Grazie per avere letto fino a qui, il prossimo capitolo sarà presto in arrivo.
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