Credici


Crediamo alle bugie più spesso di quanto confidiamo nella verità. Le menzogne hanno così fascino da catturare tutta la nostra attenzione. Mentre la verità è così irreale da essere così poco credibile.

I tre ragazzi erano rimasti ad osservare la scena attoniti. Tutti avevano visto ciò che era successo, non poteva essere stato frutto della loro immaginazione, eppure quando incrociarono lo sguardo tra loro, tacitamente si promisero di non parlarne mai con nessuno. Il cielo venne oscurato all'improvviso da torreggianti nuvole nere che si diffusero ovunque cancellando ogni piccolo raggio di sole. Una pioggia torrenziale bagnò, in pochi secondi, i ragazzi ancora paralizzati vicino al pozzo. Forse, fu proprio quella botta d'acqua a spronarli a tornare verso le loro abitazioni. Dapprima camminarono, ma il passo si fece sempre più veloce e finirono per correre a perdifiato. I loro piedi presto furono zuppi di fango e i polmoni bruciavano chiedendo una tregua. La pioggia non cessava invece diventava sempre più fitta, tanto da impedire pure la vista della stradina di campagna che li conduceva a casa. Sembrava essere un vero e proprio diluvio. 

Quando tornarono a casa e i loro familiari gli fecero la classica domanda di rito: «Com'è andata oggi?» Ciascuno di loro rispose nella stessa maniera «Tutto normale.» Forse era stata la paura a farli mentire. Oppure quelle bugie nascevano dal senso di colpa. Ma l'unica vera ragione che li aveva portati a mantenere celato ciò che era realmente successo era che quella verità fosse inaccettabile e inimmaginabile. 

Quel oscuro avvenimento sarebbe finito in un angolo buio e polveroso della loro memoria, ma il ragazzo con gli occhi verdi non dimenticò. Si chiamava Diego e in quel momento dalla sua stanza dietro il vetro osservava la potenza dell'acqua, che nutriva i piccoli ruscelli facendoli diventare in pochi attimi fiumi pronti a straripare e a devastare qualsiasi cosa si opponesse a quel flusso ininterrotto. Una saetta di luce tagliò di netto il cielo. 

Diego cominciò a contare 1, 2, 3... continuò fino a quando non sentì il rombo di un tuono. Era un trucchetto che gli aveva insegnato suo padre per calcolare la distanza del punto in cui il fulmine si era infranto. Ripeté la stessa operazione anche con la successiva folgore, capì così che il temporale si stava avvicinando. Voleva uscire, tornare in quel pozzo e chiamare a gran voce quella ragazza. Era la disperazione e l'incapacità di non esserle stato d'aiuto a farlo soffrire immensamente. Sferrò un pugno al muro per la frustrazione, ma quel gesto non servì a nulla se non a farlo sentire ancora capace di fare qualcosa di inutile. Promise a se stesso che questa volta sarebbe stato diverso, i suoi errori costanti erano diventati così tanti da rendere impossibile tenerne il conto. E non aver tratto in salvo la ragazza era stata la goccia che aveva fatto straboccare il vaso degli sbagli che gli pesava sulle spalle. Si mise il cappuccio e aprendo la finestra facendo attenzione a non scivolare sgattaiolo fuori di casa scendendo dal tetto agile come un felino.

Siria affondava trascinata da quella presa che non accennava a mollarla. Si dimenava e tentava di urlare. L'acqua le entrò nei polmoni bruciandole la gola. Vedeva solo buio e pensava che presto sarebbe morta soffocata. La ragazza dagli occhi azzurri era stata inghiottita da un vortice d'acqua che la trascinava lungo dei contorti scivoli bui. Poi improvvisamente fu accecata da una luce prima ambrata che pian piano divenne sempre più luminosa. Non vedeva nulla attorno a lei, quel colore così forte aveva invaso tutto. Poi le sembrò che la gravità non esistesse più, vagava in un luogo di perdizione. "Devo essere morta" pensò Siria. 

Ormai non sentiva più l'acqua nei polmoni, ma era avvolta da una sorta di nuova pelle. Poi mentre aleggiava nel nulla accecata da quella luce intensa, venne improvvisamente spinta verso l'alto e prima che potesse accorgersene perse i sensi. Siria non sapeva che mentre lei aveva gli occhi chiusi il suo corpo era avvolto da una bolla rotonda d'acqua azzurra che volteggiava in aria sopra un'immensa distesa d'acqua. Dormì fin quando fu necessario per il suo adattamento in quel nuovo mondo. Quando spalancò gli occhi, inizialmente fu disorientata, ma dopo pochi attimi ricordò tutto. Pensò che stesse ancora dormendo, perché era dentro una bolla d'acqua e volteggiava in aria insieme a tante altre. Ma solo la sua era l'unica piena. Guardò sotto i suoi piedi e vide che non c'era altro che liquido azzurro. Sembrava l'oceano. Aveva dei brutti ricordi legati a quell'elemento. Anche se era dentro quella bolla, i suoi vestiti erano perfettamente asciutti e riusciva perfino a respirare senza difficoltà. Aveva solo un piccolo fastidio ai lati del collo. Lo tastò con i polpastrelli e notò che le erano spuntati quattro tagli netti che quando inspirava si riducevano e quando espirava si allargavano. Branche. 

Siria adesso era proprio convinta che stesse sognando. O forse era semplicemente uno dei suoi tanti incubi legati all'acqua. Non provò panico, era abituata a quei brutti sogni. Così si guardò intorno. Si rese conto di essere in un posto a lei molto familiare. Non ricordava di esserci stata eppure sentiva un legame con quel luogo. Non c'era nient'altro che acqua e bolle che stavano sparpagliate sopra quella superficie. «Rimarrò qui dentro finché non mi sveglio» sussurrò sbuffando incrociando braccia e gambe. In quel preciso momento però la bolla che la sosteneva scoppiò e lei cominciò a precipitare. Con un forte tonfo e schizzando ovunque, Siria finì in quell'oceano infinito. D'istinto cominciò a nuotare e aveva trattenuto l'aria. Provò immediatamente a tornare verso la superficie, ma le fu impossibile come se avesse dei macigni al posto delle caviglie. Quando le mancò l'ossigeno emise delle bolle sia dal naso che dalla bocca. Si dimenò e poi si lasciò andare. Ma come dentro la bolla scoprì che riusciva a respirare anche lì. "Strano" pensò. Scese lentamente fino a toccare la sabbia sul suolo. Una luce calda simile a quella del sole ma viola filtrava dalla superficie. Quel posto sembrava deserto e disabitato. Oltre alla sabbia non si vedeva niente di niente. Né un pesce e nemmeno altre creature. Però, poco più in là, c'era un'ombra scura che si stagliava prepotente in quel paesaggio monotono. Si diresse in quella direzione curiosa e sbigottita allo stesso tempo. 

Camminare sott'acqua non era difficile anzi si sentiva molto più leggera e poteva spiccare dei salti altissimi. Avvicinandosi capì che era un grosso scoglio. Si domandò cosa potesse farci in quel vasto nulla un unico masso. In quel preciso istante però qualcosa uscì da un piccolo foro. Proprio di fronte a Siria comparve una strana creatura. Era piccola e tonda, non più grande di un pallone da basket, osservo la ragazza con i suoi grandi occhi da pesce e dei piccoli tentacoli che aveva sulla testa ondeggiarono. La consistenza assomigliava a quella di una medusa, molliccio e quasi trasparente con delle macchie blu e nere che ricoprivano il corpo. Era il pesce più strano che avesse mai visto. In realtà, ebbe il dubbio se appartenesse veramente al genere animale o se fosse frutto interamente della sua fantasia. Al centro del viso sotto gli occhi c'era una sorta di piccola proboscide simile a quella degli elefanti che aveva visto in un libro. Lui sembrò annusarla. Siria allungò la mano per toccare quella creatura così strana, ma quando il suo dito quasi sfiorò un tentacolo quel bislacco pesce scomparve. In realtà si era diviso in più parti come se fosse esploso. I pezzi si ricomposero in fretta e la creatura ricomparve di fronte a lei. Era curiosa di ripetere la stessa azione per vedere meglio cosa accadeva, ma una voce la bloccò. «Ferma! Per tutte le bolle!» Si guardò incuriosita attorno per capire da dove provenisse, ma non c'era nessuno tranne lei e quello strano essere. Siria lo guardò intensamente. «Sì, questi ultrasuoni provengono da me» continuò a dire quel bizzarro pesce. «Ciao, è un piacere conoscere una Hydor» disse confondendo ancora di più le idee di Siria.

«Io, in realtà sono Siria.» Provò a dire la ragazza, ma stranamente non aveva usato la bocca per parlare eppure la creatura sembrò averla sentita lo stesso.
«Quello è il tuo nome» spiegò il "forse pesce." «Ma discendi dagli Hydor. I tuoi lineamenti e il colore dei tuoi occhi sono inequivocabili. Poi c'è anche l'altra questione...»
«Quale?» domandò Siria continuando a non capire quasi niente, questo era il sogno più strano che la sua mente avesse mai partorito.
«Il fatto che la nostra grande e liquidamente maestosa madre ti ha permesso di accedere qui.»
«E chi sarebbe questa madre?» Il pesciolino spalancò gli occhi sbigottito a quella domanda. Cominciò a roteare dicendo «L'acqua! L'acqua! L'acqua!»
«Oh, scusami ma non lo sapevo» mormorò Siria producendo degli ultrasuoni molto bassi.
«Non sai molte cose piccola Hydor» esclamò la creatura fermandosi ad osservarla. «Cominciamo dal principio... ma non è questo il luogo adatto dove discutere. Se vuoi seguirmi, c'è bisogno di una bella conchiglia di infuso di alghe.»
Il grosso masso si aprì in due mostrando una botola rotonda. Sembrava fatta d'acciaio e la sua superficie era piena di ghirigori simili a coralli dalle punte arrotondate. Siria prima che la botola si spalancasse lesse una parola: Veyla.
«Prego, prima gli Hydor» disse la creatura invitandola ad entrare. Non si vedeva niente se non un infinito buco nero rotondo. Siria prese una bella boccata d'acqua per farsi coraggio e dopo si addentrò. 



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