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30.

Era arrivato qualche ora prima per evitare che lei lo andasse a prendere in aeroporto, smancerie inutili che era meglio evitare in pubblico. Aveva visto i suoi occhi spalancarsi di gioia e stupore quando l'aveva trovato davanti alla porta e nel giro di un quarto di secondo era già volata tra le sue braccia, neanche quello riuscì a farlo sentire un verme. Tutto di lei gli faceva pensare ad una prigione. Tutto. Perfino i suoi occhi al pensiero di come lo avrebbero guardato.

Non aveva dormito nulla quella notte, costringendosi in un angolo del letto per allontanarsi il più possibile da lei. Non aveva fatto una piega quando le aveva detto che era stanco e aveva bisogno di dormire, si era solo accoccolata di più a lui. Perché diavolo non reagiva?! Si era limitata solo a chiedergli mille volte se andasse tutto bene e si arrendeva tutte le volte che lui affermava di si, innervosendolo ancora di più.

Ma la reazione che Harry stava cercando era in fase di elaborazione fin quando la sera del giorno seguente non esplose:

- Harry sono due giorni che sembra che ti stia portando dietro un masso da 50 kg! – cominciò non riuscendo più a sopportare il suo atteggiamento freddo e distaccato - Si può sapere cos'hai? – erano entrambi in piedi nella sua camera da letto, lui le dava le spalle e guardava concentrato la finestra, non si voltò neanche quando rispose.

- Niente –

- No non dirmi niente per l'ennesima volta – lo rimproverò sentendo il peso di un macigno opprimerle la voce. Qualcosa non andava decisamente e l'avrebbe costretto a parlare.

- E tu non chiedermelo per l'ennesima volta – sbuffò evitando ancora il contatto visivo tra loro – Mi stai sempre addosso – ringhiò come spesso aveva fatto in quei giorni, come se non sopportasse niente di lei.

- Cosa? – strabuzzò gli occhi avvertendo la rabbia salire mischiandosi all'angoscia di una brutta sensazione che aleggiava intorno a loro, come un buco nero dal quale non riesci ad uscire - Ma se non ci vedevamo da un mese! –

- Ci siamo sentiti tutti i giorni – replicò lui come se fosse stato un obbligo e non un piacere.

- Scusami, se era un peso potevi dirmelo! Stai certo, mi sarei fatta viva di meno! – questa volta fu il suo turno di sbuffare, cominciò a fare su e giù per la stanza a passi pesanti.

- Puoi evitare di sbattere i piedi così forte? – domandò accigliato – Mi peggiora il mal di testa! – frenò la voglia di tirargli una scarpa in testa. Non si era mai comportato in quel modo.

– Non prendermi in giro – avvertì con tono minaccioso - Cosa credi che non abbia visto le foto sul giornale? Non ho detto niente perché non volevo buttarti addosso ansie inutili –

- Avresti fatto meglio a dirmelo, a chiedermi spiegazioni – rispose capendo che il momento per parlare era arrivato.

- Perché stai dando a me la colpa di tutto! – urlò inferocita. Non sopportava più questo suo modo di fare, sembrava quasi che la stesse...sopportando! – Te lo sto chiedendo ora –

- Sono uscito con Jennifer – dichiarò atono mentre lei veniva avvolta da una doccia gelata.

- E lo dici così? – grugnì

- Come dovrei dirlo? –

- Non sembri uno che si è pentito o che sia dispiaciuto di non avermelo detto! –

- Non lo sono infatti – replicò senza nessun segno di emozione, senza nessun segno di interesse.

- Ok, sono confusa – si sedette sul letto quando avvertì le gambe cedere, qualcosa in tutto ciò non tornava, ma mancava per completare il quadro - Anche se uscite come amici, sai cosa lei rappresenti per me, ti avevo chiesto almeno di avvisarmi quando l'avresti incontrata! –

- Volevo vederla – un colpo assordante quanto uno sparo sfrecciò nella sua testa. Voleva vederla. Ok. Respirò con forza sebbene non sentisse alcuna aria arrivare ai polmoni. Harry finalmente abbandonò la finestra per posizionarsi proprio davanti a lei. Stranamente non riconobbe i suoi occhi – Credo di non amarti più – disse e anche il suo cuore tremò.

Mmm, what you say? that you only meant well? Well, of course you did. What you say? Mm, that it's just what we need? And you decided this. What you say? What did you say? What the hell is going on? Ransom notes keep falling out your mouth. Speak no feeling, no I don't believe you. You don't care a bit. You don't care a bit.

Non era vero. Non poteva essere. Non era la stessa persona che un mese prima le aveva detto di amarla, le aveva detto di stare tranquilla, la stessa persona con la quale aveva trascorso gli ultimi tempi in gioia e armonia. Si era accorta gli ultimi giorni prima del suo arrivo che era sempre nervoso, stanco, parlava poco e mandava messaggi solo in caso di necessità, rare volte. Aveva fatto finta di niente credendo, sperando che si trattasse dello stress dei concerti, delle interviste, del tour, era stata in silenzio sopportando le sue poche parole e le sue poche chiamate, ignorando le foto sui giornali per non stressarlo ulteriormente, arpionandosi alla fiducia che doveva avere in lui. Aveva sempre sperato di non essere lei il problema, che fosse un momento passeggero che sarebbe volato via con il tempo. Aveva ingoiato ogni rospo per poi scoprire che il fulcro di tutto, di tutti problemi, di tutte le colpe, era lei. Era come se un fulmine l'avesse colpita, ogni parola era stato un'opprimente vuoto d'aria che le aveva scombussolato il respiro. Il cuore aveva sussultato mentre un silenzio claustrofobico si era alzato tra quelle quattro mura lasciandola senza aria. Chiuse gli occhi, cercando una corazza che la proteggesse da quel dolore. Aveva sopportato di peggio, si disse. Così li riaprì, lucidi e lucenti lo guardarono, senza in realtà vederlo. La persona di cui si era innamorata non c'era più, perché quello davanti a lei era solo un patetico sostituto, la carcassa di ciò che era stato lui per lei. Si alzò in piedi ignorando il tremolio alle gambe – Mi dispiace – aggiunse quell'inutile ammasso di ossa. Lo odiava, con ogni singola fibra del suo essere, e nello stesso tempo odiava se stessa. Se lui non l'amava più, non doveva odiarlo, non era colpa di nessuno. Balle su balle, avrebbe voluto spaccare tutto oltre che la sua faccia.

- Va bene – rispose e lui tacque, un silenzio più tagliente di un insulto. Non avevano davvero più niente da dirsi.

Sbatté la porta della stanza degli ospiti quasi a voler dare sfogo al suo dolore, alle sue frustrazioni. Avrebbe voluto correre via, scacciare quelle maledette lacrime che le tagliavano le guance, più dolorose di ferite vere, invece se n'era andata a passi lenti lasciandolo solo nella SUA stanza! L'aveva presa in giro, era stato un fuoco di paglia, una voglia che si era tolto. Ora anche lei, la più difficile, quella con una storia complicata alla spalle era caduta nella sua rete. Ma ciò che faceva più rabbia, tanto da credere di esplodere, era che era stato grazie a lui che lei era andata avanti, che aveva superato quel dolore che l'aveva accompagnata per più di un anno come un fedele servitore, senza mai scollarsi da lei, era silenzioso, ma sempre presente pronto a tormentarla in ogni momento. Si gettò ai piedi del letto, raccogliendo le gambe al petto, come avrebbe voluto fare con i cocci di un cuore ormai rotto e sanguinante. Pianse, pianse perché ne aveva bisogno, pianse perché non l'avrebbe vista nessuno, pianse perché sebbene non ci fosse paragone, anche quello faceva male.

Sparkling gray, through my own veins, any more than a whisper, any sudden movement of my heart. Just get through this day. Give up my way and lose myself, not today, that's too much guilt to pay. Sickened in the sun you dare tell me you love me, but you held me down. You know I'd never hurt you that way. Give up my way and I'll make my own way, without your senseless hate, hate, hate, hate. So run, run, run and hate me, if it feels good, I can't hear your screams anymore. You lied to me but I'm older now, don't bother breaking the door down, I found my way out and you'll never hurt me again.

Partì il giorno stesso, sentendo ancora un tumulto contrastante dentro di sè, una tempesta senza un vero significato gli accartocciava ogni muscolo. Si era aspettato urla e strepiti invece era rimasta tetramente seria, non aveva posto domande, si era solo allontanata a passo calmo quasi stesse volando via. Ignorò ogni dolorosa martellata del suo cuore, annullò ogni voce di dolore e sofferenza, aggrappandosi alla convinzione che era stata l'unica giusta decisione da prendere.

Nils continuava a credere che fosse andato li per farle la proposta, per questo anche quando lo vide tornare un giorno prima non si era minimamente preoccupato, anzi l'aveva accolto saltellando e sorridendo.

- Allora cos'ha detto? Oh... - s'interruppe di colpo e tutta la sua allegria svanì come evaporata – Dalla tua faccia deduco che non l'abbia presa bene –

- L'ho lasciata – disse in un soffio volontariamente deciso.

- Ma tranquillo, magari era solo spaventata.... – fece una pausa non appena registrò le sue parole – Che cosa?! – il silenzio non fu una risposta soddisfacente – Mi stai prendendo in giro?! – alzò la voce di colpo, ma ricevette ancora silenzio – Ma...ma come è potuto succedere? – balbettò agitato, non era possibile, quando l'aveva deciso? E soprattutto perché, continuava a domandarsi – Come accidenti ti è venuto in mente? – urlò dispiaciuto – Cosa diamine ti è preso? Si può sapere?! – era incredulo e continuava a non capire.

- Lasciami stare – andò via sbattendo la porta con la sensazione che non fosse solamente la bottiglia sul comodino ad essere andata in mille pezzi, scossa dal tonfo della porta fino a cadere in terra. Aveva appena mandato all'aria la cosa più bella e vera che avesse avuto da quando era diventato famoso. Un regalo prezioso che la vita gli aveva generosamente concesso. Doveva, si ripeté, era troppo giovane per commettere certe imprudenze e vicino a lei non avrebbe ragionato. Doveva allontanarsi, doveva lasciar passare il tempo per poter capire quale fosse davvero la cosa giusta da fare. Si era sentito legato, aveva sentito l'aria mancare, opprimendolo in una sensazione di fine che si era sempre augurato di non provare mai. Per ora desiderava solo godersi la vita come tutti i ragazzi della sua età facevano, che significava tutto, fuorché un matrimonio.

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