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29.

I giorni passarono fino a trasformarsi in settimane, Lene ed Harry lentamente scoprivano piccole sfaccettature l'uno dell'altra, assaporando le giornate una ad una, dormivano quasi sempre insieme, godendosi le gioie del risveglio intrecciato di gambe o mani, godendosi il riflesso del primo sole negli occhi, la prima doccia insieme rapida e l'ultima decisamente più approfondita. Avevano ricominciato a trascinare Lene alle feste sebbene non avessero ancora deciso di mostrarsi in pubblico, lei lo osservava di nascosto per controllare che non facesse il cretino con qualche fan o vecchia amica. Ma lei non era gelosa, assolutamente. Andava meno frequentemente al cimitero, ma non aveva mai smesso di farlo, Harry non le diceva nulla quando andava via, ma quando tornava aspettava sempre un gesto da parte sua e una volta ricevuto sembrava rilassarsi. Sapeva che non aveva nulla da temere, per lei non esisteva nessun altro. Aveva perfino imparato ad amare i suoi tatuaggi, anche se erano sempre il bersaglio principale delle sue minacce. Ricordò quanto aveva protestato quando si era tagliato, ai suoi occhi, un po' troppo i capelli e l'aveva avvertito che se fosse diventato pelato lei l'avrebbe costretto ad attaccarsi il parrucchino, ricordò la sua faccia inorridita quanto fosse stata buffa. Aveva portato Gigi e Nils al drugstore ed erano letteralmente impazziti, fino a tornare a casa carichi di roba inutile, tra cui altri cuscini simili a ravioli farciti che Harry insultò non appena li vide.

Entrambi vivevano la quotidianità senza paura di cadere nella routine, anche perché Harry aveva imparato a sue spese che lei non era assolutamente capace di fare qualcosa di normale, non erano mai neanche riusciti a vedere un film dall'inizio alla fine, per esempio, e lei sembrava un tornado sempre pieno di energie che finiva per travolgerlo con qualche strampalata idea. Ma lui ne era completamente contagiato, finalmente aveva ricominciato a sentirsi come un ragazzo normale, sottolineando che di normale la sua vita non aveva nulla, eppure bastava incrociare i suoi occhi per assaporare la genuinità della vita e dei sentimenti. Imparava quotidianamente piccoli dettagli, di ciò che amava e odiava fare, aveva scoperto quanto le piacesse il linguaggio sporco in certi momenti e quanto quel lato di lei, che lui chiamava oscuro, emergesse in quei momenti, trasformandola da innocua cerbiatta ad una selvaggia pantera. Le piaceva dominare, e anche a lui. Amava perfino la sua ingenua sincerità, e la sua capacità di complicare le situazioni invece di semplificarle, ed in quello era particolarmente brava, soprattutto a fare clamorose figuracce dovute al suo inesistente filtro tra testa e bocca. Un giorno lei aveva difeso con forza il punto di non essere una sua fan, quasi se ne vergognasse, avrebbe dovuto arrabbiarsi invece ne era divertito, anche quando criticava le loro canzoni, ogni tanto finiva per correggerglieli o suggerire qualcosa di nuovo. Ma lei lo amava per quello che era, lo percepiva in ogni sguardo, come lui amava lei per la pazza psicopatica che era. Amava perfino i suoi orrendi pigiami. Ricordò quando nella foga ne aveva rotto uno e lei, dopo l'amplesso, si era arrabbiata spiegando che non ne avrebbe mai trovato un altro uguale, grazie al cielo aveva pensato lui! Le giornate erano volate ma non temeva la partenza che di li a poco avrebbe rotto la loro, già precaria routine.

- Devo partire – annunciò una sera senza particolare enfasi, ma Lene sbiancò.

- Quando? – chiese sedendosi sul letto proprio di fronte a lui

- Domani – tremò, accidenti poteva avvisarla direttamente dopodomani! Come faceva ad essere così tranquillo?!

- Quanto starai via? – domandò ancora cercando di controllarsi

- Due mesi più o meno –

- Quanto?! –

- Hai sentito – le prese una mano quasi volesse rassicurarla, lui non era preoccupato e non capiva perché dovesse esserlo lei. Partiva per concerti, tanto lavoro poco divertimento e anche se fosse stato il contrario, nel suo cuore c'era posto solo per lei.

- Non capisco, sono solo io ad esserne terrorizzata o tu la vedi come una liberazione? – domandò spaventata ed Harry si offese della sua poca fiducia.

- Cosa di preciso ti spaventa? –

- La folla di ragazzine urlanti che ti salta addosso, per esempio! – Harry scoppiò in una fragorosa risata e lei sembrò accigliarsi maggiormente – Si può sapere cosa ti ridi? –

- Ti ricordo che non avevi un'alta opinione di tutte loro –

- Ti ricordo che voi uomini di solito non siete attratti dal cervello –

- Mi offendi –

- Jennifer ne era un esempio! –

- Sa essere simpatica –

- Non la stai difendendo vero? –

- Per carità! – alzò le mani in segno di resa e poi strinse di nuovo le sue – Non dovresti preoccuparti, passeranno velocemente e appena potrò tornerò qui – spiegò tentando di tranquillizzarla – Io non ho paura di un po' di distanza, ma tu dovrai tenere alla larga tutti quelli che ti staranno intorno altrimenti verrò di persona – minacciò improvvisamente serio e Lene tentò di non ridere al ricordo del suo ultimo ammiratore logorroico e appiccicoso.

- Se dovessi sentire la mia mancanza, potrei venire io a trovarti – aveva ragione, doveva avere più fiducia in lui, nella loro storia. Lui sembrava così sicuro che sperò trasmettesse un po' di quella sicurezza anche a lei.

- Che gentile! – ghignò avvicinandosi a lei fino a collegare le loro labbra – Mi mancherai moltissimo – le sussurrò quando i loro respiri erano ancora mischiati e le labbra ancora si toccavano, faticando a staccarsi.

- Tu a me per niente – lo prese in giro baciandolo ancora

- Non ne avevo dubbi – sorrise – Vorrà dire che cercherò qualcuna con cui distrarmi – lei mutò la sua espressione da divertita a furibonda.

- Provaci e poi vedremo quanto di maschile resterà in te – sibilò

- Minacciosa – la prese con forza fino a mettersela a cavalcioni e lei non perse tempo prima di afferragli i capelli con forza e congiungere ancora una volta le loro bocche avide.

- Lo sai – soffiò cominciando a strusciarsi su di lui sensualmente, facendolo distendere con la schiena poggiata sul materasso, beandosi della visione di lui sotto di lei. La posizione di supremazia terminò troppo presto quando Harry la ribaltò e la liberò dei vestiti per poter cominciare l'assalto alla sua pelle, al suo corpo, alla quale lei rispose colpo su colpo. Era l'ultima notte prima della partenza e sarebbe dovuta bastare ad entrambi per quasi due mesi, ciò significava solo che avrebbero passato la notte in bianco.













Il giorno seguente accompagnarono i ragazzi all'aeroporto, che era un ingorgo di macchine, polizia, fan scatenate e poveri innocenti capitati li in mezzo per errore che davano di matto. Lene era estremamente triste anche se cercava in tutti i modi di autoconvincersi che il tempo sarebbe voltato e che presto lui sarebbe tornato, ma la sua vocina interiore rispondeva sempre la stessa cosa: ti mancherà e sarai preoccupata comunque. Grazie!

Anche Harry cominciava a sentire la tensione montare, l'abbracciò stretta quando capì che mancava solo il controllo di polizia, e che lei fin li non sarebbe potuta arrivare.

- Stai online su skype, ti chiamo – sussurrò prima di baciarla, incurante di chi lo vedesse o meno – E stai tranquilla – le accarezzò il viso con turbolenta dolcezza mentre sentiva il cuore scoppiare non appena vide i suoi occhi velarsi di una luce acquosa e scintillante che presto contagiò anche i suoi. La strinse più forte e lei ricambiò l'abbraccio con altrettanta foga, ispirando il suo profumo ancora una volta, tentando ancora di concentrarsi per non piangere – Sono tuo, sempre – le disse all'orecchio e le sue gambe divennero veramente della consistenza di un budino.

- Sono tua, sempre – le rivolse un sorriso tremante prima di porre la temuta distanza tra i loro corpi, le teneva ancora una mano e la baciò prima di abbandonare anche quell'ultimo delicato contatto.

- Buona fortuna per il concerto – disse respirando a fatica

- Grazie, torno presto – si voltò di scatto per non farsi rapire dalla voglia di tornare indietro e trascinarla con sè, s'impose la tranquillità mentre si avvicinava a passi pesanti verso il poliziotto.

- Harry! – per un attimo pensò di aver sentito male, ma quando si voltò la trovò sporta oltre lo sbarramento che lo guardava con quei suoi occhi grandi e profondi che in quel momento parlarono con voce chiara e forte, seppure dalla sua bocca, rimasta aperta, non uscì alcun suono.

- Lo so – le disse sorridendo e lei ricambiò anche se poco convinta, con il peso della distanza che veniva alleggerito dalla consapevolezza che non avrebbe spezzato il sentimento che li univa e che mai li avrebbe abbandonati.

You are my avalanche, one world away, my make believing, while I was wide awake, just a trick of light to be bring me around again. Those wild eyes, a psychedelic silhouette. You are the snowstorm, I'm purified. The darkest fairytale in the dead of light. Let the band play out as I'm making my way home again, glorious we transcend into a psychedelic silhouette. I never meant to fall for you but I was buried underneath it all and all that I could see was white. My salvation.




Abbracciata a Gigi tornò a casa, con una montagna di gelato in freezer che aspettava solo di consolarli.

- Sono solo due mesi amico – Luke gli aveva poggiato una mano sulla spalla – Lo so che ti mancherà , ma presto torneremo qui e sono sicuro che vi chiuderete in casa per giorni – sghignazzò contagiandolo. Aveva ragione, inutile tentare di ingannare la ragione, gli sarebbe mancata come l'aria, ma sarebbe tornato presto da lei, la sua libertà, la sua aria, il suo cuore, la sua salvezza.

My salvation, my my.
















I primi giorni per lei erano stati come macigni, aveva atteso la sua telefonata con esagerata impazienza e quando finalmente aveva visto la sua faccia su skype non avrebbe mai voluto attaccare. Fortunatamente era solo il tour europeo, quindi il fuso non cambiava molto. Avrebbe voluto chiamarlo ancora ma si tenne una mano nell'altra. Non doveva essere assillante accidenti!

Stupida! Doveva calmarsi! Non aveva motivo di essere così agitata, più se lo ripeteva più s'innervosiva e il risultato non faceva che peggiorare. Gigi era seraficamente calmo, ma sapeva benissimo che anche lui era profondamente nervoso e traballante. Almeno potevano farsi forza a vicenda e tentare di concentrarsi su qualsiasi cosa avrebbe fatto scorrere il tempo più velocemente, riducendo così sempre di più quella distanza che sembrava infinita.

Harry invece aveva vissuto i primi giorni di distanza in maniera frenetica che quasi non era riuscito a trovare il tempo per chiamarla, sapeva sarebbe stata in ansia e il sospiro di sollievo che fece una volta vedendolo, anche se attraverso lo schermo del telefono, gli confermò la sua teoria. Eppure le aveva ordinato di non preoccuparsi, omettendo smancerie del tipo che era sempre nei suoi pensieri, sebbene fosse la verità, ogni volta che guardava le sue fans più scatenate pensava a lei, ogni volta che cantava una canzone che a lei non piaceva, pensava alle sue critiche, ogni volta che qualche ragazza provava a rimorchiarselo, sentiva la rabbia salire al pensiero di qualche schifoso pesce lesso che poteva avvicinarsi a lei in ogni momento. Prima di addormentarsi, quando non era troppo stanco, ricordava le loro giornate insieme e di quanto fosse perfetto svegliarsi con lei attorcigliata addosso ed i suoi capelli in bocca, sudato come un disperato per quel eccessivo calore che irradiava il suo corpo.

Have you ever seen such a beautiful night? I could almost kiss the stars for shining so bright, when I see you smiling I go. I would never want to miss this, 'cause in my heart I know what this is. I've got somewhere I belong, I've got somebody to love. This is what dreams are made of.

Quella notte in particolare ne sentiva davvero la mancanza, forse perché era in una suite di un albergo di Parigi dalla quale si vedeva in lontananza la Tour Eiffel, che lo portava sempre a pensare che avrebbe voluto che quel viaggio lo avessero fatto insieme. La notte passò tra un  turbinio di pensieri che la mattina dopo lo costrinsero ad alzarsi prima degli altri e farsi portare in un negozio famoso, dal quale ne uscì con un pacco, esaltato come un bambino.

Nils fu il primo che incontrò a colazione, mentre aveva ancora il pacchetto in mano. Il biondo spalancò gli occhi quando riconobbe la busta dall'inconfondibile color turchese.

- Hai fatto shopping? – ironizzò capendo perfettamente che si trattasse di un regalo per lei.

- Se giuri di non parlare ti dico cos'è – abbassò di colpo la voce per evitare che qualcuno sentisse e l'amico non se lo fece ripeter due volte, annuì e spalancò le orecchie pronto ad ascoltare - Ho comprato un anello di fidanzamento – Nils credette di non aver capito bene, ma poi, superato il primo momento di stupore, lo abbracciò di slancio battendogli sonore pacche sulla schiena.

- Allora hai intenzioni serie! –

- Certo, cosa credevi! – replicò lui quasi offeso

- Allora udite udite signore il playboy da strapazzo si ritira a vita privata per sposare il grande amore della sua vita! – scherzò imitando il suono della voce storpiata da un megafono, si fermò solo quando Harry gli aveva lanciato un'occhiata minacciosa ed era diventato tutto rosso, tanto che avrebbe voluto immortalarlo.

- Smettila! – sibilò

- Oddio non sto nella pelle! – esclamò entusiasta – Quando pensi di darglielo? –

- Quando finiremo il tour – rispose ed il biondo sembrò deluso.

- Pensavo volessi farle una sorpresa facendoti trovare a casa con l'anello in mano! –

- Non esagerare – replicò – E poi non avrei il tempo al momento –

- Non vedo l'ora! – Nils sembrava davvero felice della decisione del suo amico – Me lo fai vedere? – chiese con occhi supplichevoli mirando alla busta nascosta tra le gambe dell'amico.

- Scordatelo! -

Le settimane successive erano state uno stress continuo, un vero inferno, non sopportava più nulla, anche le telefonate con lei erano diventate opprimenti. In quel momento aveva solo bisogno di stare da solo, qualche istante fuori da mondo. Era arrivato a non sopportare più neanche la presenza dei ragazzi. Quella sera fu sorpreso di trovare un chiamata persa: Jennifer. La richiamò più per curiosità che per voglia e stranamente uscì quando lei gli disse che era proprio a Berlino e che le avrebbe fatto piacere prendere una birra insieme. Stranamente non ci pensò due volte. Naturalmente la ragazza non era li per solo per fare quattro chiacchiere, le sue intenzioni erano quelle di rispolverare i tempi passati, ma lui la fece desistere e ancora più stranamente le confessò la serietà delle sue intenzioni quando lei si mostrò titubante davanti alle suoi presunti buoni propositi. Quando tornò in albergo era più confuso, stressato e nervoso di quando era uscito. Jennifer come al solito aveva tentato di sedurlo, quella volta aveva usato tutte le sue armi dato che lui si era dimostrato reticente e non aveva ceduto. Poi alcuni amici li avevano raggiunti e verso la fine della serata gli avevano sottolineato che fidanzarsi significava legarsi e rinunciare a tutti i divertimenti della vita, gli avevano fatto notare di quanto fosse prematuro per uno come lui, con le sue possibilità, prendere in considerazione l'idea di fidanzarsi seriamente. Ancora più stranamente fu Jennifer a dargli il colpo di grazia: aveva davvero analizzato ogni possibile lato della vita matrimoniale, gli aveva chiesto, era davvero sicuro che non si sarebbe mai pentito,  era troppo giovane per essere sicuro di voler trascorrere la sua vita solo con una persona accanto. Tra una chiacchiera e l'altra, la musica, l'alcohol, gli avevano mostrato o ricordato quelle mancanze che nessun matrimonio, per quanto felice, potesse compensare, le mancanze di una giovinezza bruciata. E se non fosse stata lei la persona giusta? E se non avesse avuto abbastanza tempo per capirlo? Una marea di dubbi cominciavano a montare nella sua testa. Si gettò sul letto frustrato e ed insoddisfatto. Quella stupida gli si era strusciata addosso tutta la sera e adesso si ritrovava confuso e neanche lontanamente appagato, con i sensi di colpa per qualcosa che non aveva neanche fatto. Ringhiò strizzando gli occhi e tirandosi i capelli, rigirandosi nel letto come un animale prigioniero. Era questo che l'aspettava? Una prigione di divieti e sensi di colpa? Il telefono vibrò, e quando vide che era lei per la prima volta non rispose. Un messaggio ne seguì: "volevo darti la buonanotte :* ". Si sentì ancora più schifoso.
















I giorni passavano, i dubbi crescevano e la sensazione che fosse lei a tenerlo con un cappio sempre più stretto, non faceva altro che aumentare le sue incertezze e le sue paure, perfino le chiamate erano diventate un laccio che sembrava non riuscire a sopportare, oppresso. Si sentiva oppresso. Incontrò Jennifer un'altra volta e ancora testò che più che sensi di colpa, in quei momenti desiderava solo riabbracciare la sua vecchia vita, balzando da un letto all'altro, senza preoccupazioni, senza legami, senza obblighi o doveri. La vita che un vent'enne come lui doveva fare e al quale lui stava sottraendosi spontaneamente troppo presto.

- Che programmi hai domani? Non ci sono concerti, quindi dovresti essere più libero – era sempre lei che dirigeva le loro conversazioni telefoniche. Harry  continuava a chiedersi se davvero non si accorgesse che qualcosa non andasse o se fingesse di non accorgersene.

- Domani torno, starò tre giorni, poi riparto – disse di colpo. Aveva deciso di riprendersi la sua vita in mano.

- Davvero?! – lei esultava dall'altra parte dello schermo, ma quando si accorse che dal suo viso non era passata alcuna emozione, gli fece una battuta – Frena l'entusiasmo eh! –

- Sono solo stanco – tentò di giustificarsi

- Ok, allora ti lascio andare a dormire, ci vediamo domani, sono tanto felice! – gli mandò un bacio al volo e chiuse. Quelle telefonate stavano diventando una tortura quasi pari al doverle mentire, sapeva che non si meritava un comportamento simile, ma lui non poteva fare altrimenti, infondo era stata lei a legarlo e trascinarlo in quel tunnel senza uscita e lui, al momento, desiderava solo fuggire. Cacciò l'anello in una tasca nascosta della valigia, solo vederlo gli faceva rivoltare lo stomaco, era troppo.

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