APPUNTAMENTO SEGRETO
La mattina seguente il sole splendeva pallido nel cielo nuvoloso e grigio. La nebbia mattutina si era appena levata dalle calli e dai canali dell'isola, scoprendo Torcello dal suo manto bianco, freddo e umido della notte precedente.
L'isola era ancora semi deserta. I pescatori erano fuggiti al largo e avevano già gettato le reti in mare aperto, solo alcuni mercanti trasportavano la loro merce su casse depositate sopra a dei carrettoni in legno a quattro ruote.
L'aria che si respirava era pacata e serena.
Evelina, quella notte, non aveva chiuso occhio, tormentata dalla promessa fatta al padre che doveva per forza mantenere e la consapevolezza che si era innamorata di un ragazzo austriaco dagli occhi blu come il mare.
Si scoprì il corpo dalle coperte ruvide, sbuffando nervosa.
Svogliata si alzò in piedi.
Andò verso il guardaroba, aprì le due ante davanti a sé e tirò fuori un abito verde pastello ricamato con una fantasia floreale quasi invisibile.
Lo indossò subito.
Il vestito le cadeva lungo fino a metà polpaccio lasciando scoperto solo l'orlo in merletto della sottoveste. Aveva le maniche lunghe a sbuffo provviste di polsini ed era chiuso sul centro davanti da una serie di bottoni piccolissimi.
Sopra di esso indossò il suo solito grembiule bianco stropicciato, bordato da una balza arricciata che lo andò a chiudere sul dietro con un enorme fiocco.
Poi prese le calze bianche in lana sopra alla sedia, e si coprì le gambe.
Successivamente andò a rovistare sotto il letto per estrarre i suoi soliti scarponi logori; li mise ai piedi e se li allacciò stretti.
Infine andò davanti allo specchio con la spazzola in mano e iniziò a pettinarsi i capelli ondulati e si strinse dietro alla nuca una fascia dello stesso colore del vestito.
Prima di uscire dalla stanza aprì la finestra e fece entrare l'aria fredda autunnale. Rimboccò le coperte del letto, sistemando infine l'intera camera. Ogni oggetto era ritornato al suo posto.
La fanciulla non sopportava il disordine.
Prima di dirigersi verso il piano terra, si fece coraggio e trasse un lungo respiro.
Aprì la porta e scese le scale lentamente, sorreggendosi con una mano appoggiata al muro.
Piombò in sala da pranzo, soffermandosi però sull'ultimo gradino.
Intravide Chicco seduto al tavolo che stava gustando avidamente un barattolo ricco e pieno di Zaletti, un tipico biscotto veneziano in farina gialla, mentre la madre era intenta a chiudere i vasetti delle ultime confetture. Milo, invece, era seduto accanto allo zio Berto, entrambi stavano contando dei soldi in moneta.
«Buongiorno Evelina.» La salutò il fratellino con un bel sorriso raggiante.
«Oh, buongiorno tesoro.» La salutò anche la madre.
«Buongiorno a tutti.»
La giovane andò a sedersi al suo posto, di fronte a Chicco.
Gli prese il barattolo di biscotti dalle mani.
«Ehi! Ma che fai! Quelli sono i miei biscotti! Mamma, Evelina mi ha rubato i biscotti, li stavo mangiando io, non è giusto, ridammeli subito!»
Chicco tentò di afferrare il contenitore, ma le sue braccia erano troppo corte per arrivare fino alla sorella, allora si alzò in piedi sulla sedia.
Elvira vedendo il figlio arrampicarsi sul tavolo, sgranò gli occhi dal terrore, così lo prese subito in braccio e lo adagiò sulla sedia.
«Chicco! È pericoloso stare in piedi su una sedia, potresti cadere e farti molto male.» Lo rimproverò con tono duro e severo.
«Sì, ma lei ha preso i biscotti! Li rivoglio indietro. Sono miei! Accidenti! Li stavo mangiando io!» Ribatté innervosito, battendo i pugni sul tavolo.
«Chicco, ora basta!» Le urlò la madre. «I biscotti non sono solo tuoi. Evelina ieri sera non ha toccato cibo, quindi lasciala mangiare qualcosa in santa pace.» Poi aggiunse, rivolgendosi alla figlia. «Tesoro, vuoi che ti prepari un tè o vuoi che ti riscaldi un po' di latte?»
«No mamma, grazie. Sto bene così.» Si prese l'ultimo biscotto e poi chiuse il barattolo.
Suo fratello Milo la stava osservando in cagnesco. Evelina se n'era accorta, ma non le importava nulla.
La fanciulla si alzò e andò verso la porta di casa.
«Io vado al mercato a preparare il nostro banco della frutta e del pesce.»
«Evelina aspetta un attimo, per favore.» Le disse la madre, intenta a riporre le confetture dentro a un sacco vecchio di patate.
«Perché? Papà sarà già lì che ci aspetta tutti quanti.»
«Tuo padre questa mattina tornerà solo verso il primo pomeriggio, è in mare aperto con altri pescatori. Oggi si dirigerà al Mercato di Rialto a vendere il pesce, ci serve qualche soldo in più. Noi venderemo solo frutta e verdura. Andremo tutti insieme e resteremo per poco, perché voglio evitare gli sguardi delle persone, ieri è stato veramente vergognoso la lite fra tuo padre e il generale austriaco e poi tuo zio desidera parlarti in privato.»
«Abbiamo già parlato ieri sera, non ho più nulla da dirti zio», rispose con tono quasi seccato.
«Io invece devo dirti ancora due cose, solo se ci tieni, ovviamente.» Lo zio le fece un lieve sorriso di intendimento.
«Va bene, quando vuoi.»
«Chicco vai ad aprire la porta e tu Milo smetti di guardare male tua sorella e aiutami a portare fino in piazza le confetture», ordinò ai figli maschi.
Milo sbuffò e afferrò in mano il sacco stra colma di vasetti.
Elvira prese per mano Chicco ed uscirono dall'abitazione.
Milo passò accanto alla sorella e le sibilò come un serpente arrogante. «Ti tengo d'occhio.»
Evelina gli rispose. «Impara a farti gli affacci tuoi una buona volta.»
«Milo sbrigati su...» Lo richiamò la madre, lui uscì e si richiuse la porta alle spalle.
«Evelina siediti qui vicino a me. Devo darti una lettera.»
«Una lettera? Io non ricevo mai lettere.»
La giovane era davvero sorpresa, agitata e tutta sulle spine che si sedette immediatamente davanti allo zio.
Berto estrasse dalla tasca dei pantaloni una busta con su scritto il nome "Evelina" in corsivo, sul retro.
La fanciulla guardò lo zio.
Prese la lettera e la fissò fra le mani.
«Aprila che aspetti?»
Evelina strappò la busta e ne estrasse un foglio piegato in due, lo aprì lentamente, con le mani che tremavano dall'agitazione.
Iniziò a leggerla, spalancò gli occhi e diventò rossa in volto quando realizzò che si trattava del ragazzo austriaco.
«È di Fabian! Mi ha scritto una lettera. O se venisse a saperlo mio padre o Milo, non ci penserebbero due volte a ucciderlo, dopo la tragedia che è successa ieri, per non parlare di suo padre, il generale Moritz, se lo verrebbe a sapere pure lui scoppierebbe una guerra...» La fanciulla appoggiò la lettera al tavolo e si mise le mani in volto, ancora una volta scioccata e assai preoccupata.
«Ma cosa dice la lettera Evelina?» Domandò lo zio.
«No, io non posso...» Fece per ripiegarla, ma Berto la trattenne per un braccio. «Dai su, sono curioso, voglio sapere. Lo sai che io voglio solo aiutarti e vederti felice.»
Evelina era interdetta, ma presto cedette. «Mi ha scritto delle scuse per quanto è successo ieri mattina, ma vuole comunque rivedermi perché vuole stare con me. Ha detto che non riesce a smettere di pensarmi.» La fanciulla accennò un lieve e dolce sorriso sul volto.
«Bene, allora forse provate entrambi gli stessi sentimenti. Perché non vi rincontrate da qualche parte sull'isola? Tuo padre non tornerà prima di questo pomeriggio, mentre gli altri non sapranno nulla di ciò.»
«Ma come, ormai è impossibile da...»
«Evelina cara, lasciami finire di parlare. Come ti ho già detto ieri sera, vi coprirò io. A tua madre dirò che oggi non eri dell'umore adatto per venire a servire al mercato, dato che ieri è stato tutto così scioccante per te e perciò oggi meriti un po' di riposo.»
«E va bene zio. Io di te mi fido.»
«Stai pure serena e tranquilla Evelina.» Le posò la mano sulla sua. «Adesso vai, trovalo e divertitevi, ma senza dare troppo nell'occhio, mi raccomando.» Lo zio le rivolse un sorriso malizioso.
Evelina molto fiduciosa si alzò dalla sedia, aprì la porta e corse verso di lui, diretta al loro luogo preferito.
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