AMARA SCOPERTA
I due giovani fanciulli, con i piedi in ammollo nell'acqua e gli occhi sognanti rivolti verso l'orizzonte, se ne stavano ancora lì seduti in silenzio a contemplare l'azzurra laguna.
I minuti passavano mentre il pallido sole cominciava lentamente a calare verso ovest.
Evelina in quel preciso istante di assoluta pacatezza ricordò che qualcuno aveva bisogno del suo aiuto.
Le venne un colpo al cuore: si era dimenticata della sua famiglia che la stava aspettando al mercato dell'isola per poter offrire il suo aiuto alla madre a vendere le sue confetture golose.
Suo padre, sebbene con lei non fosse così severo come lo era con i suoi fratelli minori, sicuramente lo avrebbe trovato piuttosto irritato per il suo enorme e imperdonabile ritardo, ma soprattutto si sarebbe presa una bella sfuriata dal suo fratello, seppur minore, Milo.
Nonostante questo, non le importava più di tanto aiutare i genitori quella mattina. Infatti non voleva andarsene dal suo luogo preferito, ma soprattutto non voleva abbandonare lui.
Lo aveva appena conosciuto.
Uno strano e nuovo sentimento l'attirava a lui.
Inoltre sarebbe risultata davvero una maleducata se lo avesse piantato di punto in bianco in riva alla laguna senza una ragione ben valida per andarsene.
Quindi non disse nulla e rimase con Fabian. Decise che non si sarebbe mossa da lì finché non lo avrebbe fatto lui per primo.
«Qui non si riesce a pescare proprio niente. Nemmeno un'inutile e piccola sardina...», sbottò molto seccato il giovane.
Evelina che si era persa nei suoi pensieri, venne risvegliata dalla sua voce infastidita e gli rispose guardando il suo viso di profilo.
«Oh, qui in laguna non c'è molto pesce. Dovresti pescare in mare aperto. Mio padre possiede dei piccoli pescherecci, potrei prenderne uno in prestito.» Gli sorrise con sguardo dolce e gentile.
«Non posso purtroppo. Mio padre non vuole che mi avvicini a gente estranea come te e poi mi ucciderebbe se venisse a sapere che ho guidato e sono salito sopra a una barca di un pescatore veneziano.»
Il volto di Evelina si intristì e si sentì a disagio. «Ti do forse fastidio? Vuoi che vada via?»
Fabian guardò la fanciulla incredulo per ciò che aveva appena domandato.
«No, ma che dici, non mi disturbi, anzi, mi fa piacere averti incontrata qui. In questo posto dimenticato.»
Scrutò il mare leggermente mosso.
«Sono felice di averti conosciuta. Ho bisogno di qualcuno che non mi faccia sentire solo. Non ho mai conosciuto persone e non ho mai avuto amici veri da quando sono piccolo. Quando è morta mia madre mi sono chiuso in me stesso e non mi sono più rapportato o affezionato a nessun'altra anima viva. Conosco solo mio padre e non lo sopporto quasi mai.»
Rivolse il suo sguardo di nuovo verso Evelina, che non smetteva di osservarlo.
«È tutto vero. Non ti sto mentendo. Tu sei la prima ragazza con cui dialogo.»
Si sporse verso di lei, a pochi centimetri dal suo grazioso volto.
«Mi ispiri fascino e mistero. C'è qualcosa in te che mi attrae, tuttavia non riesco a comprendere. Ti trovo diversa. Sembri uscita da una fiaba. Mi piacerebbe passare altro tempo con te, per conoscerti meglio. Io non vorrei perderti.»
Le prese delicatamente la mano, accarezzandola lievemente.
Evelina guardò le loro mani intrecciate e rivolse i suoi occhi verso quelli del giovane.
Il suo respiro si fermò.
Il mondo smise di girare.
«Evelina?»
Lei venne scossa da un brivido nel sentir pronunciare il suo nome da lui.
«Vuoi essere mia amica?»
A quella innocente e infantile proposta alla fanciulla le sbocciò un radioso sorriso in viso.
«Sì Fabian lo voglio tanto.» Gli rispose con sguardo sognante e innamorato.
Il giovane ragazzo si distaccò dalla fanciulla e cominciò ad avvolgere il filo della canna da pesca su sé stesso.
Fabian quando lo sollevò del tutto si rattristò. Era molto dispiaciuto.
«E nemmeno oggi non ho pescato nulla. Pazienza. Non importa.»
«Andrà meglio domani. Vedrai. Non è la fine del mondo.» Lo rassicura la voce calma di Evelina.
«Lo dico sempre anch'io. Ormai ho perso le speranze.»
Fabian si sentiva davvero avvilito.
Pensò che non avrebbe mai più pescato, d'ora in poi si sarebbe dedicato ad altro.
Fabian posò quindi la canna da pesca sulle assi in legno del pontile, si rialzò, si rinfilò gli scarponi in cuoio sporchi e stropicciati e si inchinò per allacciarseli.
Evelina lo guardò amareggiata.
Le dispiacque immensamente nel vederlo così affranto, che si rabbuiò pure lei.
«Ma stai andando via?» Le chiese sconcertata.
«Sì. Ritorno a casa, vado a lavarmi e a cambiarmi. Mio padre sicuramente mi starà aspettando al mercato nella piazza.»
«Aspetta vengo con te. Anch'io dovrei andare al mercato. Anzi dovrei essere lì già da un bel po' di tempo. La mia famiglia sarà in pensiero. Comunque ti accompagno fino a casa, se vuoi.»
Evelina si rimise ai piedi i suoi scarponi logori e si rialzò in piedi.
«Per me va bene», disse Fabian, mettendosi in spalla la lunga canna da pesca.
«E allora andiamo.»
I due fanciulli abbandonarono il pontile infiltrandosi tra gli alti verdi giunchi della palude.
Ripercorsero uno accanto all'altro, avvolti nella quiete, la via di casa.
Attraversarono indisturbati calli e ponti, incrociando di rado qualche sconosciuto.
La piacevole tranquillità che regnava nell'isola di Torcello venne rotta, improvvisamente, da un chiacchiericcio eccessivo e arrogante che proveniva dall'altra parte del canale.
In un primo momento Evelina e Fabian lo sentirono come un sordo brusio di voci impercettibili in sottofondo che si andava a disperdere nell'aria.
Entrambi i ragazzi non gli prestarono molta attenzione.
Salirono su per un ponte senza parapetto, in ben che non si dica, alle orecchie di Evelina arrivò la voce rauca e profonda del padre.
La fanciulla confusa, pensando si trattasse solo di un malinteso, alzò lo sguardo dagli scalini e in realtà lo vide.
Si trattava proprio di suo padre Ennio.
Stava discutendo animatamente con un uomo a lei sconosciuto, alto, pallido e rasato.
Evelina non riusciva a identificare l'altro umano dato che era girato di spalle, però indossava una specie di uniforme.
Da come riusciva a intravedere suo padre da in cima al ponte, sembrava davvero su tutte le furie.
Lo si vedeva a distanza quanto fosse pervaso dalla collera, perché era sicuramente in procinto di mettere le mani addosso a quell'uomo dal volto ignoto.
La giovane sapeva vedere benissimo la rabbia che suo padre teneva dentro di sé.
La intravedeva nei suoi profondi occhi neri come le tenebre.
Riusciva quasi a percepirla e in fondo lo capiva come si sentiva quando qualcuno provava a dargli ordini.
Lei sapeva perfettamente che suo padre non si faceva comandare da nessuno.
Evelina si trovò immobilizzata sul quel ponte.
Gli occhi sgranati e incantati rivolti verso il padre.
Tutto intorno a lei divenne ovattato, l'unico suono che percepiva era la voce rugosa di Ennio.
Si accorse che si trovava proprio davanti alla porta della sua umile dimora e che dietro di lui c'erano anche sua madre, quasi in lacrime, dall'espressione sconvolta e Milo con le braccia conserte, sguardo severo e gli occhi ridotti a due fessure scurissime verso l'uomo pallido e rasato.
Tutti e tre contro uno.
Fabian era disceso dal ponte quando percepì che non era più affiancato dalla giovane fanciulla.
Si girò di scatto, sobbalzando preoccupato di non vederla più e invece era lì, ancora in cima al ponte, assorta e incantata a guardare il canale dall'acqua torbida verso un punto che non riusciva a identificare, non sapeva nemmeno cosa la ragazza stesse fissando così ipnotizzata, con un velo di misto timore e preoccupazione.
La guardò dall'alto al basso, il volto girato leggermente di lato.
Ammirò i lunghi capelli dorati, le lievi lentiggini sparse sul naso, la mascella morbida, le guance accaldate e le labbra vellutate.
Le sembrò incantevole.
Si incantò a osservarla, fino a quando un cane dal pelo grigiastro mezzo spelacchiato, gli abbaiò contro ridestandosi dalla visione di lei, che si trovava ancora in posizione inerme sopra il ponte.
«Evelina?"
Non rispose.
Riprovò a chiamarla più forte.
«Evelina tutto bene?»
Niente da fare, la fanciulla non riusciva a sentirlo.
Era troppo presa dalla scena che stava assistendo.
Fabian leggermente irritato, salì quattro gradini battendo gli scarponi rumorosamente per terra e questa volta la chiamò a sé in modo deciso, ma pacato.
«Evelina? Su dai, dobbiamo andare a casa.»
Per fortuna lo sentì.
Distolse lo sguardo dal canale e si ricompose.
Scese gli ultimi gradini affiancandosi a lui.
«Scusa mi ero imbambolata.»
«Me ne sono accorto », rise impacciatamente.
«Forse è meglio che ci salutiamo qui, io abito qualche casa più in là. Ci possiamo vedere domani se vuoi?»
Evelina con l'indice indicò la sua strada di casa.
«Oh ma io ti accompagno. Tanto anche io abito qui vicino.»
La fanciulla sorpresa, ma soprattutto preoccupata ed agitata dal fatto che suo padre fosse già in collera per i suoi motivi, non voleva affatto che la vedesse in compagnia con un ragazzo austriaco.
Nonostante ciò, gli rispose con un sorriso forzato.
«Va bene, come preferisci.» Aveva cominciato a sudare freddo.
I fanciulli voltarono l'angolo della calle e vennero colpiti dal panico totale.
Fabian vide di sorpresa il padre in divisa, che stava animatamente litigando con uno sconosciuto veneziano, ma dall'aria vagamente familiare.
Il giovane in mezzo a quel trambusto pronunciò.
«È mio padre quello.»
A quelle parole sussurrate dal ragazzo, la fanciulla spalancò gli occhi per la spaventevole rivelazione.
Il suo bel viso si fece presto pallido e si scansò da Fabian, che era intento a fissare da dietro la figura paterna, incerto se avanzare verso di lui o scappare lontano.
«Come è tuo padre?»
Evelina molto incredula non riusciva a realizzare ciò.
«Sì quello è mio padre. È il generale Moritz Schneider. Vuole impadronirsi di Torcello.»
La giovane sapeva chi era, ma non lo aveva mai incontrato di persona e non avrebbe mai immaginato che fosse anche il padre di Fabian e invece lo era eccome.
Evelina lo notò solo adesso: avevano lo stesso colore di capelli, biondo platino, gli stessi occhi azzurri chiarissimi e la carnagione pallida.
Erano anche quasi alti uguali.
Si sentiva affranta e dispiaciuta.
Era in pena per il padre, che a causa loro stava passando insieme a sua madre e a suo zio le pene dell'Inferno.
«Tu sai chi è l'uomo con cui sta litigando?»
«Sì», rispose sottovoce, ma non si sbilanciò oltre.
«E chi sarebbe?»
Non poteva mentirgli, tanto prima o poi l'avrebbe scoperto da solo di sicuro e sarebbe stato peggio.
Quindi fece un respiro profondo per cercare di sciogliere quel soffocante nodo che le si era creato in gola.
Deglutii, voltandosi verso Fabian e guardandolo diritto negli occhi.
«È mio padre e le persone dietro e a fianco a lui sono mia madre e mio fratello minore Milo.»
«Ah.»
Questo fu quello che gli uscì dalla bocca dopo la sconvolgente confessione.
Nemmeno il giovane austriaco voleva crederci.
«Io sono Evelina Diavoli, sono la figlia maggiore di Ennio Diavoli. La nostra famiglia è la più ricca e la più antica famiglia dell'isola di Torcello e tu sei il figlio di quello che ci sta distruggendo», confessò con un tono di superiorità, che celava rabbia e frustrazione.
«Non è colpa mia. È mio padre che fa troppo sul serio, sembra un dittatore.»
Fabian in quel momento si sentì indifeso come una vittima.
Pensò che la loro nuova amicizia sarebbe finita in mille pezzi.
«Tranquillo. Non me la prenderei mai con te. Si vede che sei un povero ragazzo innocente.»
«Quindi non hai nulla contro di me?»
«No affatto. Scusami se ti ho riposto sgarbatamente, ma come vedi la mia famiglia sta soffrendo molto in questo ultimo anno.
È stato un piacere conoscerti. Mi sembri un bravo ragazzo. Non m'importa se sei austriaco. E poi non ho nessun amico con cui passare il mio tempo libero.»
Evelina si riavvicinò a Fabian e gli prese la mano e gli sorrise dolcemente.
Il ragazzo gliela strinse affettuosamente.
«Tu sei la prima persona che ho conosciuto su quest'isola e mi piacerebbe davvero molto essere il tuo nuovo amico. Sei una persona speciale. Lo intravedo nei tuoi occhi verdi smeraldo.»
I giovani restarono insieme con le mani giunte sorridendo confusi e imbarazzati, fino a che la loro amorevole risata innocente arrivò alle orecchie di Ennio, che distolse lo sguardo da Moritz. Vide sua figlia sghignazzare con un ragazzo dalla carnagione chiara, così simile al generale che sgranò gli occhi, quando subito dopo realizzò che si trattava di suo figlio.
L'aveva riconosciuto.
Dalla indignazione, ignorò Moritz e urlò alla figlia.
«Evelina! Vieni immediatamente qui. Ti è proibito conversare con gli austriaci!»
La fanciulla venne distratta dalla voce del padre, che lo guardò con gli occhi grandi e spalancati e le guance rosse accaldate dallo spavento.
Si era accorto della sua presenza, anche se era lontana ancora metri, e aveva notato che era in compagnia con il figlio del generale austriaco.
«Evelina, insomma, vieni qui e allontanati da quel ragazzo straniero.»
Moritz confuso si degnò di voltarsi per vedere con chi ce l'aveva Ennio.
Si voltò con espressione seccata, nervosa e confusa, ma appena vide che si trattava di suo figlio Fabian, gli lanciò una brutta occhiataccia rabbiosa.
Fabian invece stava fissando in cagnesco il padre, che se ne accorse subito e lo fulminò con i suoi occhi glaciali.
Il giovane tremò e gli si serrò la gola.
Non riusciva a sopportarlo, quasi lo odiava.
«Fabian vieni subito qui, cosa credi di fare? Non azzardarti ad attaccare briga con nessuna di questa gente o ti sistemo per bene, mi hai sentito bene?!»
«Sì...», rispose timidamente, tremando come una foglia d'autunno.
«Allora muoviti, accidenti a te.»
A quelle parole il fanciullo lasciò la mano di Evelina e tremolò di nuovo. Con passo lento e titubante, come chi sa che sta andando verso un ipotetico pericolo, si affiancò al padre.
Ennio e la sua famiglia li squadrarono dalla testa ai piedi con superiorità.
«Finalmente ho l'onore di incontrare tuo figlio», affermò Ennio, concentrandosi solo sul giovane austriaco e rivolgendogli una brutta occhiata di disprezzo.
Fabian scosso e impaurito, si strinse nelle spalle, si fece piccolo e timido vicino al padre.
Evelina raggiunse il padre guardandolo dal basso, con occhi lucidi, imploranti e innocenti.
Ennio la osservò con severa superbia e con lo sguardo le fece cenno di mettersi vicino alla madre e al fratello.
Erano quattro contro due.
Ennio ripose di nuovo la sua attenzione sul generale austriaco, che rivolse occhiate maliziose alla figlia.
«Graziosa vostra figlia.» Si rivolse a lei. «Com'è che ti chiami scusa?»
«Evelina.» Gli rispose imbarazzata e spaventata con le guance in fiamme dalla paura.
«Ebbene», Moritz fece un passo avanti puntando addosso alla fanciulla i suoi occhi minacciosi.
«Non ti azzardare mai più a toccare o semplicemente a intrattenere alcun tipo di dialogo con mio figlio Fabian o ti distruggo quel bel visino che ti ritrovi! Mi hai capito bene signorina?» Le mostrò la sua espressione più rugosa, malefica e spettrale e con un ghigno scoprì i suo denti giallognoli.
La Signora Diavoli scioccata e indignata cinse la figlia per la vita con gesto protettivo e indietreggiò.
Ennio ringhiò come un cane randagio e i suoi occhi diventarono due nere e profonde fessure.
«Tu! Feccia di austriaco, come osi solamente pensare di poter toccare mia figlia. Bada bene a come parli altrimenti io...»
Ennio alzò la voce e anche il suo indice come per ammonizione verso Moritz, ma si fermò trattenuto dallo sguardo preoccupato e sconvolto della moglie.
«Altrimenti cosa pensi di farmi?»
Il Generale Schneider si trovava a pochi centimetri da Ennio, che lo fissava con gli occhi in fiamme pieni di oscura rabbia. Fu a quel punto che Ennio non resistette più alla sua incontrollabile impertinenza e arroganza dell'austriaco che gli cacciò un ceffone talmente forte da schiacciarlo a terra come un moscerino.
«Ennio!» Urlò Elvira scandalizzata a morte.
Moritz, con il fiatone corto e lo zigomo arrossato di sangue, si rialzò e partì in attacco verso il Signor Diavoli che venne trattenuto per le braccia dall'intera famiglia, alla quale si aggiunse anche Berto, comparso dal nulla dietro di loro che stava ritornando dal mercato.
Si intromise immediatamente.
«Ehi, ma che state facendo? Smettetela subito di azzuffarvi. Perché dovete sempre a stare a litigare? Basta! Vi ordino di smetterla all'istante! Non potete sempre comportavi in questa maniera! Finirete per farvi del male sul serio. Accidenti!»
Berto si pose fra i due litiganti per cercare di fare terminare la loro incessabile guerra; con le mani e le braccia provava a tenerli a dovuta distanza.
«Elvira apri la porta di casa», ordinò alla cognata.
«Sì subito.»
Elvira prese le chiavi di casa dalla tasca della gonnella e si diresse verso l'uscio, correndo frettolosamente alla porta.
Inserì le chiavi nella serratura e fece un giro.
La porta emise uno scatto secco e si aprì.
La Signora Diavoli spalancò con impeto la porta che andò a sbattere contro il muro dell'abitazione.
«Evelina, Milo, andate dentro immediatamente, non fate storie e filate in camera vostra», ordinò Berto ai suoi nipoti.
Milo obbedì e sgattaiolò in casa, mentre Evelina rivolse con occhi tristi, preoccupati e lucidi, un'ultima occhiata a Fabian e gli sussurrò.
«Mi dispiace tanto.»
Con le lacrime agli occhi, fuggì dentro casa, salì le scale e si chiuse nella sua stanza da letto.
Elvira cercò di strattonare il marito per invitarlo ad entrare, lo stesso fece Berto riuscendo a spingerlo dalla parte opposta dell'austriaco, ma prima che potesse varcare la soglia di casa gli urlò.
«Brutto insolente bastardo! Se proverai a toccare solamente uno dei miei figli, questa sarà la volta buona che ti ammazzerò. Lo giuro! Se proverai ad azzardarti, anche con un solo dito a toccare mia figlia, io ucciderò il tuo
di figlio!»
Berto ed Elvira spinsero finalmente in casa Ennio.
Berto chiuse la porta così forte da far a tremare la loro dimora.
«Mi hai sentito?!» Ennio urlò le ultime sue parole all'austriaco, ma lui non lo sentì.
Berto chiuse a chiave la porta di casa.
Fuori, in mezzo alla calle veneziana, Moritz e il figlio Fabian si guardarono in faccia senza proliferare una sola parola.
Avevano entrambi un'espressione assai scossa e sconvolta.
«Andiamo a casa», disse infine il generale Schneider, dirigendosi verso casa mezzo zoppicante e con il labbro rotto e sporco di sangue.
«Sì padre.»
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