Di ritorno dall'Inferno
New Orleans 1924
In un vicolo vicino alla stazione ferroviaria di New Orleans, Antony Hughes camminava con difficoltà, schiacciando sotto le scarpe il suolo coperto dalla brina mattutina, con l'aria fredda che gli sferzava il volto tumefatto mentre lo sferragliare dei treni e le sirene lontane offrivano una sorta di colonna sonora al tumulto dei pensieri che si rincorrevano velocissimi.
Sfinito dalle numerose ferite rimediate nel corpo a corpo con Giacalone, si accasciò sui gradini di un deposito, all'apparenza abbandonato all'incuria del tempo. Se avesse avuto un briciolo di energia in più, avrebbe tentato di forzare la porte per avere un riparo, seppur momentaneo. Si maledì per non aver previsto un piano B, ma era stato sicurissimo di lasciarci le penne pure lui nell'esplosione.
Dopo aver dato il colpo di grazia a Giacalone, aveva atteso il botto con rassegnazione. Era trascorso un intero minuto e non era accaduto nulla. A quel punto aveva capito che c'era qualcosa che non andava. Si era trascinato verso la botola e si era accorto che la miccia si era spenta. Che fare? Lasciare tutto com'era, con Carmela Bosco viva al piano di sopra, non avrebbe risolto nulla. Era lei la testa del serpente. Andava eliminata. Aveva scartato subito l'idea di salire nella sua stanza da letto e ucciderla nel sonno, perché c'erano troppe variabili e lui non era nelle condizioni fisiche per affrontarle. Non potendo rischiare di fallire si era convinto che il piano originario andava portato a termine a qualsiasi costo.
Era tornato al cadavere di Giacalone, l'aveva perquisito e aveva trovato la scatola di fiammiferi svedesi. Si era dovuto calare nella botola perché la miccia era consumata per metà, e l'aveva riaccesa. Risalire era stato doloroso e difficilissimo ma la sua voglia di sopravvivere era stata più forte di tutto.
Era uscito dalla villa un attimo prima che tutto saltasse in aria.
Dopo ricordava solo di aver ripreso conoscenza. Era svenuto quando l'esplosione l'aveva scaraventato contro il muretto di pietra del giardino. A giudicare da quanto si era sentito intorpidito doveva essere passato un po' di tempo. Gli ci erano voluti un paio di minuti per mettersi a sedere con cautela. Aveva cercato di stabilire se c'era qualcosa di rotto. Poi chissà come era riuscito ad alzarsi e lasciare quel posto che sapeva di morte. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era che lo trovassero lì.
Chiuse gli occhi e si sdraiò per terra con una fitta di panico allo stomaco. Il pensiero di andare via da New Orleans lo turbava. Lasciare la città avrebbe significato lasciare Tabitha e, soprattutto, Evelyn, proprio ora che l'aveva ritrovata. Non poteva però fare altrimenti. Aveva compiuto con molta probabilità una strage. Non sapeva e non gli era importato sapere il numero delle persone presenti nella villa al momento dell'esplosione. Non era tipo da farsi scrupoli se doveva raggiungere un obiettivo. La polizia lo avrebbe arrestato. E c'erano ancora i fratelli Bosco in vita. Chi gli assicurava che non avrebbero cercato vendetta? Il loro era un sangue maledetto. Lui lo sapeva bene, visto che scorreva nelle sue stesse vene.
Doveva andare via, far perdere le sue tracce per qualche tempo, se avesse avuto fortuna lo avrebbero creduto morto nell'esplosione.
Un rumore di passi trascinati gli fece aprire gli occhi. Il sinistro era bello gonfio, perciò la sagoma che gli stava venendo incontro appariva sfocata. Una folata di vento sferzò la strada. La terra sembrò ondeggiare sotto il suo corpo e Antony si sentì come una formica sulla schiena di un gigante. Come se da un momento all'altro una mano enorme dovesse cadere dal cielo e schiacciarlo.
«Hughes!»
Antony riuscì a mettere a fuoco con difficoltà Billy Rothe e, soprattutto, la pistola che gli puntava contro. Dio! Quanto ho sperato di non dover rivedere il suo brutto muso da sbirro! Gli avrebbe dovuto piantare una pallottola nel cranio, quando ne aveva avuto l'occasione. Lo avrebbe fatto volentieri anche in quel momento, se avesse avuto una pistola. E invece si ritrovava indifeso, perché non poteva mica sperare di usare il coltello che aveva con sé contro una pistola.
Lo guardò negli occhi e notò che c'era qualcosa di diverso in lui. Sembrava meno sbirro del solito.
«Alzati, andiamo!»
Antony non diede segno di voler ubbidire. Rothe si avvicinò un po' di più. L'arma, stretta in pugno, ora era abbassata. «Non farmi perdere tempo. Non voglio ammazzarti, anche perché altrimenti a quest'ora saresti morto» mormorò.
«Tu non uccidi gente a sangue freddo, capo» constatò Antony. Poi scoccò un'occhiata oltre Billy Rothe e vide due energumeni in divisa piantati all'entrata del vicolo. «Sono con te quelli?»
Rothe parve sorpreso. «Ah, sì. Sono con me.»
«Per un ragazzino ti servono pure i rinforzi?» lo derise.
«Tu non sei un ragazzino. Ma bando alle ciance, alzati e seguimi.»
«Stai facendo un grave errore. Io non ho fatto niente, perché dovrei venire con te?»
Rothe inarcò le sopracciglia. «Hai fatto saltare in aria una villa, maledetto bastardo!» ringhiò.
«Io non ne so niente. Mi sono salvato per miracolo dall'esplosione» disse Antony con voce pacata.
«Ho parecchie prove che sei stato tu: mi hanno detto che eri proprio tu che ti occupavi degli esplosivi e che negli ultimi giorni li avevi fatti spostare in cantina; ho un testimone che ha descritto un ragazzo con le tue fattezze uscire dal Pyro City Firework e potrei continuare...» cantilenò Billy Rothe.
«Te lo ripeto, capo: sparami, perché io non ho nessuna intenzione di spostarmi da qui!»
Il bastardello era ostinato, davvero! D'un tratto Rothe dovette prendere fiato per alleviare una fitta al centro del petto. Ultimamente i dolori lo tormentavano con frequenza allarmante, mozzandogli il respiro e dandogli la nausea. Sospettava di sapere quale fosse il problema, ma non avrebbe fatto nada per prevenire l'infarto del miocardio che si preparava a colpirlo. Niente dottore, niente test dello stress, niente di niente. Quando fosse arrivato il momento, sarebbe stato pronto. Strinse i denti e ritrovò un certo equilibrio, aveva una faccenda da sistemare. «Non voglio portarti in galera. Sarebbe uno spreco!»
Antony sgranò gli occhi e li piantò in quelli di Billy. Lo sbirro sembrava sincero.
Si raddrizzò e si mise in posizione seduta.
Rothe emise un gemito. Trasse una serie di respiri corti per tenersi cosciente malgrado il dolore sempre più intenso, poi lentamente la fitta si attenuò.
«Stai bene, capo?»
Billy fece un gesto di noncuranza con la mano. «Sto bene quanto basta per chiudere questa faccenda con te» borbottò.
Antony si mise in piedi a fatica. «Allora, capo, cosa hai in serbo per me?»
Sguardo fermo, espressione calma e letale, voce pacata e cortese. Aveva il pieno controllo di sé stesso e della situazione anche in un frangente come quello e in condizioni fisiche precarie.
Antony Hughes era perfetto, constatò Billy con una certa soddisfazione.
«Un talento come il tuo non può essere sprecato in un carcere o al servizio di qualche criminale che non si vuole sporcare le mani. Ti offro un'alternativa: lavorare al servizio della Nazione.»
Nonostante il dolore alle costole, Antony non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere. «Vuoi fare di me uno sbirro? Capo, tu sei un fottuto pazzo!»
Rothe non sembrò sorpreso della reazione del ragazzo. «No, saresti un pessimo poliziotto. Sei un bastardo senza scrupoli, senza nessuna integrità morale» sibilò. L'idea di Antony Hughes che indossava una divisa gli procurava una certa repulsione. «Ti addestreranno, affineranno le tue 'doti' e poi ti manderanno in giro per il mondo a sbarazzarti di eventuali pericoli per la sicurezza degli Stati Uniti.»
Rothe scrutò Antony per accertarsi che avesse capito. Ne percepì la resistenza, vedendolo lì appoggiato al muro con il sorriso tirato e i muscoli tesi come i cavi di un ponte. Certo, sembrava si fosse ripreso, però dietro la facciata da Mister Duro c'era un'altra verità. Lo stress post battaglia - perché per lui si era trattato, immaginava, di una vera e propria guerra contro la sua famiglia - non era affatto uno scherzo: ti faceva a pezzi il cervello e ti rendeva un pericolo per te stesso e gli altri. Dopotutto andare in giro con i nervi sballati era uguale ad avere un'arma alla cintura pronta a sparare a tradimento da un momento all'altro. Rischiava di esploderti in mano.
Percorse con lo sguardo tutto il corpo di Antony. Di sicuro aveva un'arma addosso, per ora sembrava non volerla usare. Lui però non aveva smesso di stare allerta. Avere a che fare con Antony Hughes era come tentare di accarezzare in gatto selvatico. Da un momento all'altro avrebbe potuto affondarti le unghie nella carne. Eppure aveva appena diciassette anni. Per un attimo fu colto dagli scrupoli. Se avesse accettato la sua proposta, avrebbe dovuto dire addio alla speranza di avere una vita tranquilla. D'altronde che scelta aveva? Non aveva una famiglia e in carcere dubitava sarebbe riuscito a sopravvivere. Non poteva neanche lasciarlo andare: era un assassino e chissà cosa avrebbe combinato se lo avesse lasciato in balìa di se stesso.
«Ho bisogno di una risposta, ora!»
Lo sguardo di Antony sondò il viso dell'altro. «Non mi lasci scelta, capo.»
«La tua scelta l'hai fatta quando hai deciso di fare saltare in aria Villa Bosco con tutti quelli che si trovavano al suo interno.»
Antony pensò per un attimo a Evelyn, poi scosse la testa. No, non si tornava indietro, ora se ne rendeva conto pienamente. Il destino è un macchinario che si costruisce nel tempo: ogni scelta aggiunge una marcia, un ingranaggio. Poi ti trovi con il prodotto finale, e non c'è modo di rifarla. Non puoi guardare il risultato e dire: oh, aspetta, volevo costruire macchine da cucire anziché pistole, ricominciamo da capo e rifacciamo tutto. Una sola possibilità. Non hai altro.
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