Capitolo XXXIX
Billy Rothe aveva iniziato come poliziotto di quartiere a New Orleans come i suoi fratelli, i cugini e il padre. Una quindicina di anni prima gli avevano sparato in servizio e allora gli avevano trovato un posto dietro la scrivania. E si era scoperto che non solo la gamba rimasta offesa non gli faceva male se stava seduto, ma che era bravissimo con le scartoffie. All'inizio doveva solo compilare moduli, col tempo era diventato indispensabile e una istituzione al dipartimento, tanto che se c'era una rogna, di qualsiasi tipo, chiamavano lui a sbrogliarla. Lì dentro, nessuno si soffiava il naso ormai senza il permesso di Billy. A lui il suo lavoro piaceva, anche se ogni tanto doveva tornare sul campo. Per esempio quella mattina, sul presto. Alle sei. Lo avevano buttato giù dal letto perché una pattuglia aveva trovato un cadavere. Niente di straordinario, aveva pensato, succedeva spesso che nei giorni di festa ci scappasse il morto. Per cui aveva berciato contro il poliziotto che lo aveva svegliato così presto per l'omicidio di un senzatetto, o un ubriacone o un negro. Tommy Childe, il fortunato scelto per recarsi a casa sua e avvertirlo, non si era lasciato intimidire e aveva insistito affinché lo seguisse sul luogo del delitto. «È un casino, capo», gli aveva sussurrato, mentre Billy si infilava alla meglio la divisa.
Giunti su Rampart Street, Tommy aveva fermato l'auto e, senza aspettare Billy, si era diretto verso un palazzo in costruzione di un cantiere abbandonato con, a occhio, cinque edifici, nessuno dei quali portati a termine. Probabilmente il finanziatore aveva ricevuto una ferita mortale al conto in banca. Sempre che non stesse già compilando i moduli per la bancarotta. L'edificio in questione - uno scheletro di cinque piani con finestre color prugna - sorgeva al centro di un prato circolare che confinava con una serie di campi incolti. Il parcheggio sul retro era nient'altro che terra battuta, insomma un posto abbandonato, eccetto per la presenza di altre due auto della polizia.
«Ci sono già due pattuglie qui, perché cazzo sono dovuto venire pure io?» disse Billy, mentre con la mano si massaggiava la gamba sinistra. Gli faceva male. Il già pessimo umore, per essere stato tirato giù dal letto la mattina di Capodanno, peggiorò. Gli venne voglia di bestemmiare mentre arrancava dietro Childe, che con la sua andatura dinoccolata lo precedeva celere, per niente preoccupato del fatto che lui non riuscisse a tenere il passo. «Ehi, Tommy, rallenta» disse, dopo qualche passo, in tono asciutto.
L'interpellato si girò e aggrottò la fronte. «Scusa, capo!»
«Sei un coglione. Spera che ne sia valsa la pena...»
Billy si infilò una sigaretta fra i denti, senza accenderla, stava cercando di smettere di fumare. Tommy gli lanciò un'occhiata preoccupata. Billy era più scorbutico del solito: grosso, nervoso e sempre dritto al punto, era comunque un buon capo. Gli occhi azzurri lo trafissero come schegge. Deglutì. Appena avesse scoperto l'identità del morto, le cose sarebbero peggiorate. Ne era certo.
Con un gemito di dolore Billy si apprestò a salire le scale dell'edificio che Tommy gli aveva indicato. Si appoggiò con la mano alla parete. Il suo corpo martoriato aveva appena cinquant'anni e se ne sentiva centomila, ma così è, quando sei un sopravvissuto, pensò.
Il morto ammazzato era al primo piano. Ripreso un po' di fiato, vide subito Eddie Casse, il partner di Tommy, che stava coprendo il volto del cadavere, steso in mezzo al pavimento pieno di calcinacci, col lenzuolo.
«Scoprilo, fammi vedere la faccia di questo bastardo per cui mi sono dovuto scomodare» ruggì. Si avvicinò, zoppicando in modo vistoso. Eddy tirò indietro il lenzuolo scoprendo il volto e poi ripiegò il tessuto sul petto con una strana delicatezza. Si girò verso Billy. Questi, riconosciuto il cadavere alla prima occhiata, fece uscire il fiume di bestemmie che aveva trattenuto da quando aveva dovuto lasciare il suo letto.
***
La mattina del 1 gennaio 1924 era iniziata nel migliore dei modi per Paul Bosco, che allentò la tensione nelle braccia, abbandonandosi pesantemente sul letto e voltandosi su un fianco. All'apparenza anche Joseph era sfinito, perché seguì il suo esempio allungandosi dietro di lui. Il suo braccio però non si mosse. E ciò che contava in quel momento, a dispetto di tutto ciò che era appena accaduto, era il peso di quell'arto rilassato. Abbandonato in quel modo, quel braccio faceva di loro non due maschi sdraiati casualmente fianco a fianco dopo aver fatto sesso, ma due amanti. Dietro di lui Joseph, ancora col fiatone, irradiava calore; erano ancora una cosa sola.
Paul pensò di approfittare di quel momento di pace: lentissimamente - se non si muoveva troppo in fretta, Joseph non ci avrebbe fatto caso - coprì l'avambraccio del ragazzo col proprio, poi mosse la mano sopra quella di lui. Chiuse gli occhi e pregò che fosse tutto okay. Che potessero restare così almeno per un po'. L'improvvisa paura che lo assalì era a dir poco una tortura, e lo spinse a interrogarsi sulla natura del coraggio. In modo particolare quanto poco ne aveva avuto con Joseph. Era stato un vigliacco, allora, no?
«Mi sento messo a nudo» sussurrò.
«Cosa?» fu la reazione assonnata.
«Mi sento...» Esposto. Se Joseph si fosse staccato in quel momento, sarebbe andato in mille pezzi impossibile da rimettere insieme.
Tirando su col naso, Joseph spostò il braccio di scatto, avvicinando Paul ancora di più, invece di spingerlo via. «Hai freddo? Stai tremando.»
«Ti va di scaldarmi?»
Ci fu un certo movimento, e una coperta fu gettata sopra tutti e due. Joseph fece un respiro profondo all'apparenza contento di starsene lì tranquillo vita natural durante; Paul chiuse gli occhi e si azzardò a intrecciare le dita con quelle di lui, sigillando le loro mani in una stretta. «Stai bene?» chiese Joseph con voce impastata. Come se ormai nel suo cervello restasse solo una lancetta accesa, ma si preoccupasse comunque per Paul.
«Sì, un po' infreddolito.»
Aprì le palpebre, al buio. Si vedeva solo il filo di luce sotto la porta, a livello del pavimento. Mentre Joseph scivolava nel sonno, col respiro sempre più lento e regolare, Paul tenne lo sguardo davanti a sé, pur non vedendo nulla. Il coraggio. Aveva creduto di avere tutto ciò che gli occorreva, che il modo in cui era stato educato fosse quello giusto, che soddisfare le aspettative della madre, del fratello, della società fosse l'unica via. Che il suo modo di vivere, isolato dai sentimenti, significasse essere forte. Che era al sicuro. Ma non si era ancora misurato col vero coraggio. Dopo fin troppi anni di menzogne era andato a Chicago e aveva detto a Joseph di essere innamorato e di voler vivere con lui a qualunque costo. Era stato quello il vero spartiacque. Un gesto compiuto senza riserve. Era il lancio senza paracadute, il salto nel buio, il tutto senza rete nel vuoto. Joseph l'aveva fatto non una, ma parecchie volte; sì, certo, Paul avrebbe voluto tornare indietro, a ciascuno di quei momenti di vulnerabilità. E prendere a botte il se stesso di allora fino a schiarirgli le idee, fino a fargli riconoscere l'opportunità che gli era stata offerta. Purtroppo però le cose non funzionavano così. Era giunto il momento per lui di ripagare quella forza e, con ogni probabilità, di sopportare tutto ciò che sarebbe accaduto dopo.
Chiuse a forza le palpebre e si portò alle labbra le nocche di Joseph posandoci un bacio. Cercando di non svegliarlo, si staccò da lui, sarebbe stato solo per qualche ora, giusto il tempo di parlare con Louise. Le doveva almeno una spiegazione. Lei avrebbe capito. Poi sarebbe sparito insieme al suo unico, grande amore.
Appena fuori dall'appartamento in Iberville Street, Paul inspirò a pieni polmoni l'aria fredda di gennaio. Si fece forza per compiere il tragitto fino all'automobile, parcheggiata a qualche isolato di distanza per non dare nell'occhio. Doveva andare a casa di sua madre, parlare con Louise e poi tornare a prendere Joseph e partire per una nuova vita, lontano da New Orleans. Aveva organizzato tutto nei minimi particolari. Il respiro gli si mozzò in gola per l'enormità di ciò che stava per fare. Era la cosa giusta.
Quando raggiunse la villa era un fascio di nervi, preoccupato di incontrare qualcuno dei familiari e rischiare domande o, peggio, essere invischiato in qualche "problema" appena sorto nella vita dei Bosco. Come previsto, Gilbert, il maggiordomo, lo accolse sulla porta. Sembrò noioso come sempre, quando lo salutò formalmente. «Non mi ero reso conto che fosse uscito, signore» aggiunse. Gilbert corrugò la fronte prima di abbassare gli occhi, poi lo guardò in modo interrogativo. Paul fece un sorriso forzato. «Sono uscito presto.» In realtà non era proprio rientrato. Aveva incontrato Joseph e passato la notte con lui nell'appartamento al Quartiere.
«Sì, signore.»
Paul si avviò verso le scale, poi si fermò. «Mia madre è sveglia?»
«Sì, signore. Si trova nella serra.»
Tirò un sospiro di sollievo, finché era occupata con le piante, non c'era il rischio di incontrarla.
«Vuole che vada a chiamarla?»
«No, non c'è bisogno.»
«Come desidera, signore.»
La grande scalinata che portava alla parte notte della villa era deserta. Arrivato davanti alla porta della stanza che era stata assegnata a lui e a Louise, bussò. Non rispose nessuno. La spinse e scoprì che non era stata chiusa. La stanza era immersa nella penombra, avanzò contratto dalla circospezione, i passi obliqui e precisi, posando appena la punta del piede per non fare rumore, con gesti lenti e cronometrati dell'intruso, spiando nel silenzio la grande stanza con il respiro accelerato, perché, per quanto cercasse di convincersi che non stava succedendo niente, che sua moglie dormiva, qualcosa dentro, una voce anteriore e rintronante gli diceva che c'era qualcosa che non andava.
«Louise?» chiese all'aria, più che altro per scaricare la paura di quel silenzio sepolcrale. Più che vedere immaginava - nella penombra e tra un brivido e l'altro - la disposizione dei mobili e degli oggetti, le dimensioni e gli angoli della stanza in cui si sentiva smarrito e vulnerabile. Nel vuoto della camera gli sembrava di ascoltare l'ansioso e stridente battito del proprio cuore. «Louise?»
Finalmente scorse una sagoma nel letto. Gli bastò avvertire l'immobilità e lo strano silenzio di quella figura per capire che qualcosa non andava. Un brivido di allarme gli raggelò la spina dorsale. Fa' che non le sia successo niente, mormorò fra sé e sé, niente. Pronunciò ad alta voce il nome di Louise e poi, impaurito, lo fece di nuovo, con tono interrogativo più acuto.
Una mano sottile spuntava da sotto la coperta, pallida come se fosse stata di cera e rigida come la zampa di un uccello morto. Paul si avvicinò al letto, sollevò le lenzuola e girò il corpo che vi giaceva. Sua moglie non reagì. Ma non sembrava morta, anche se Paul non aveva mai visto un cadavere e non era del tutto sicuro di saperne riconoscere uno. No, non poteva essere morta. Era fredda e bianca e aveva le labbra pallidissime, senza colore, ma non blu. Paul cercò di prendere il polso ma, benché si concentrasse con un'attenzione feroce, non riusciva a sentire niente. Poi, intuì, più che sentire, un battito debole nel polso della moglie. Fece appello a tutte le proprie risorse perché sapeva di dover mantenere la forza sufficiente per chiamare aiuto, cercando inutilmente di controllare il tremito delle mani.
Un debole sussurro lo raggiunse. «Pau...» Alzò la testa di scatto e vide che aveva ancora gli occhi chiusi. «Louise... vado a chiamare il dottore.»
«Il bam... bambino...»
Paul rimase interdetto poi guardo il corpo di sua moglie e distinse all'altezza della vita una macchia scura sulla camicia da notte. Sangue. L'odore ferroso lo investì. Come aveva fatto a non accorgersene? Non chiese altro. Si precipitò giù per le scale urlando.
Raggiunse l'apparecchio telefonico in biblioteca e chiamò il dottore.
«Cosa sta succedendo?» chiese Carmela, apparsa sulla porta, appena ebbe messo giù la cornetta. Paul non la degnò di uno sguardo mentre le passava accanto. «Louise sta male. Ha perso il bambino» disse, mentre risaliva le scale.
«Era incinta?» chiese la madre, stravolta. Lui non le rispose e si precipitò di nuovo a fianco della moglie. Non gli importava nulla del bambino, o di come fosse rimasta incinta, a lui interessava soltanto che stesse bene. Per la prima volta nella sua vita Paul Bosco pregò sul serio.
***
Quando Billy Rothe entrò a Villa Bosco, dopo essere stato accolto e annunciato da un uomo azzimato in divisa da maggiordomo, la prima cosa che notò fu un androne impressionante. Una scalinata di marmo saliva fino a perdersi in un lunghissimo corridoio che si indovinava fin dal portone di ferro. Nell'estremità dello scorrimano, un leone di pietra sedeva reggendosi con eleganza e dignità. Pregò di non dover salire tutti quei gradini.
«Signore, mi segua.»
La voce stridula del maggiordomo lo riportò alla realtà e gli fece constatare, con un moto di sollievo, che era atteso al pianterreno. «I signori l'aspettano in biblioteca», aggiunse.
«Fai strada» disse Billy, sbrigativo.
Il maggiordomo si fermò davanti a una porta a due ante spalancata. Al loro arrivo, i tre occupanti la stanza si voltarono. Come fossero stati uno solo, la loro attenzione cadde sulla divisa da poliziotto, i loro volti freddi e impassibili.
L'unica donna presente, i capelli neri con qualche filo bianco tra di essi, gli zigomi pronunciati e le zampe di gallina attorno agli occhi che rendevano più profondo il sorriso di circostanza che gli rivolgeva, fece un gesto di stizza quasi impercettibile, che a lui però non sfuggì.
La madre, pensò. Senza aspettare le presentazioni, Billy andò dritto verso di lei.
«Signora Bosco, sono William Rothe, agente del District 1 di New Orleans.»
Lei stava in piedi, rigida, dietro un divano. I due uomini, uno dei quali molto somigliante alla donna, fecero un passo avanti come a frapporsi tra lui e la signora.
L'uomo più basso tra i due strinse i pugni. «Signor Rothe, la nostra famiglia sta attraversando un brutto momento. Mia cognata ha avuto un malore. Se potesse tornare in un altro momento...»
Billy lo interruppe. Voleva sbrigare quella faccenda il prima possibile.
«Mi dispiace, signor?»
«Frank... Frank Bosco» rispose l'uomo a denti stretti.
Non si fece intimidire. «Signor Bosco, mi dispiace ma devo informare lei e la sua famiglia che stamane all'alba abbiamo rinvenuto il cadavere di Arturo Bosco.»
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