Capitolo XXXIII
Cipria, capelli dorati, vestiti dai colori tenui, collana di perle, scarpe alla moda, rosari profumati di petali di rosa, l'Immacolata Concezione sul comodino e scatole di sali di bromuro, una donna sola e perfettamente rispettabile. Sua madre.
Louise aveva sempre pensato di essere stata il risultato di uno dei suoi ultimi incontri con il padre perché, per quanto ricordasse, dormivano in camere separate e non si erano mai concessi, almeno davanti a lei, alcun genere di contatto fisico. Non si guardavano neanche negli occhi.
Sua madre era ordinata e meticolosa fino all'esagerazione. In casa un estraneo poteva anche entrare e aprire qualsiasi armadio, qualsiasi cassetto, senza trovare niente che potesse farla vergognare perché ogni cosa era sempre impeccabilmente e meticolosamente a posto. Avrebbero potuto mangiare sul pavimento del bagno. Sì, sua madre era la santa patrona dell'abnegazione e del sacrificio. Cuciva, rammentava, stirava, puliva, ricamava e faceva quadri a mezzo punto. Nonostante suo marito guadagnasse parecchio, non aveva mai voluto una donna di servizio.
Aveva faticato molto per restare incinta e, di fatto, l'aveva concepita quando ormai aveva perso ogni speranza. Aveva recitato novene a Santa Sara che era rimasta incinta all'età di novant'anni, e a Santa Rita, patrona di tutti i desideri impossibili, dopo aver avuto tre aborti che l'avevano ferita come altrettante pugnalate nel fisico e nell'animo. E quando ormai trentaseienne, finalmente, nacque lei, il frutto del suo ventre atteso per sedici lunghi anni, le sembrò di aver adempiuto alle più sacre delle missioni. Man mano però che quel neonato dalle membra paffute cresceva cominciò a sentirlo come una cosa estranea a sé, e alla fine divenne 'altro'.
Il tocco di Elisa sul braccio riportò Louise al presente.
«Devi parlarne con Paul...»
La mora sbuffò. «A cosa servirebbe?»
L'altra la trascinò a sedere sul letto. «Paul è tuo marito e...»
Louise le impedì di continuare. Era stanca di sentir tirare in mezzo alla sua vita un uomo che non ne aveva mai voluto far parte, nonostante si fosse affrettato a sposarla appena dopo averla conosciuta. Si era accaparrato il paravento perfetto, la ragazza difficile e bisognosa d'affetto che neanche i genitori volevano.
«Paul sarebbe felice e contento di mettere a tacere, una volta per tutte, le chiacchiere sulla sua virilità, farebbe contenta la madre e si leverebbe di torno Arturo. Si farebbe scattare qualche foto con me e il bambino e ci accompagnerebbe nelle occasioni mondane come il più bravo dei padri e dei mariti; dopodiché ignorerebbe anche il bambino, come fa con me.» Pronunciò ogni parola, scandendola, e guardando fisso la cognata; mantenne fermo il tono di voce, sembrava la personificazione della calma e della determinazione. «Non metterò al mondo questo bambino per offrire a Paul un altro comodo paravento.»
Elisa fece una smorfia che coinvolse tutto il corpo. «E il padre del bambino?»
Louise scosse la testa. «È difficile...», ma non c'erano parole. Poi si alzò e si sistemò alla meglio il vestito color champagne ormai spiegazzato. Fece tappa nel bagno per studiare la sua faccia allo specchio. Le occhiaie raccontavano lo sconvolgimento emotivo delle ultime ore. Si ravvivò i capelli con le mani, sperava in qualche modo di distogliere l'attenzione di chiunque l'avesse incontrata dal proprio viso.
Elisa taceva. Aspettava il momento in cui lei fosse ritornata nella stanza per affondare il colpo.
Louise inspirò profondamente e uscì ad affrontarla.
«Potresti fuggire con lui e crescere insieme il bambino. Da quello che mi hai raccontato lui vorrebbe avere un futuro con te...»
Louise arricciò le labbra. «Non è questo il problema, anche se temo che Arturo mi inseguirebbe in capo al mondo pur di farmela pagare per aver offeso l'onore dei Bosco.»
Elisa sollevò un sopracciglio biondo. «Qual è il problema allora?»
Per tutta l'infanzia Louise aveva vissuto con la netta consapevolezza che la madre fosse malata, anche se nessuno mai le aveva spiegato con precisione in cosa consistesse la sua malattia. Sapeva che non conveniva farla innervosire né sottoporla a forti emozioni, che non poteva bere alcolici, che doveva prendere le medicine che teneva sul comodino e che lei chiamava 'la sua cura'. La prima volta che assistette a uno dei suoi attacchi doveva avere sei anni. Lo ricordava abbastanza bene, anche se logicamente nella sua memoria rivedeva quella scena in modo un po' annebbiato. La memoria è menzognera e spesso ci inganna modificando gli eventi del passato. È, inoltre, selettiva e soggettiva perché quando rammentiamo un episodio già accaduto siamo incapaci di ricostruirlo minuto per minuto, mentre ricordiamo solo i dettagli che consideriamo più rilevanti.
La memoria si scioglie piano nell'oblio, come lo zucchero nell'acqua.
Ragion per cui Louise cercava di ricostruire la scena come poteva, benché fosse sicura che la sua percezione venisse alterata da un sacco di lacune ed errori che la sua stessa mente aveva ormai incorporato a quel pranzo che tanto la colpì. Doveva essere un fine settimana, perché erano seduti tutti e tre, suo padre, la madre e lei, al tavolo del tinello. La luce del giorno si rifletteva sulla credenza, e da ciò poteva dedurre che non si trattava di una cena. I genitori stavano rinfacciandosi in tono acido la sua mancanza di educazione (non ricordava di preciso cosa avesse combinato quella volta).
A un certo punto sua madre aveva alzato la voce a un livello insolito anche per una casa come la loro in cui le urla erano all'ordine del giorno. Subito dopo si era accasciata come una marionetta a cui avessero tagliati i fili, con la capigliatura bionda che contrastava con il tessuto damascato della tappezzeria. Era bianca come la tovaglia. Un sottile filo di bava le cadeva dalle labbra socchiuse e scendeva verso la mandibola. Boccheggiava come un pesce strappato all'acqua, ed era scossa da spasimi che le contorcevano il corpo, come se le stessero applicando scosse.
Il padre era balzato in piedi come azionato da una molla, si era precipitato su quella bambola bavosa e floscia, che fino a poco tempo prima era stata sua moglie, e le aveva ficcato come meglio era riuscito un tovagliolo in bocca. «È tutta colpa tua che la fai agitare! Vado a chiamare il dottore», le aveva urlato prima di sparire lasciandola terrorizzata e incapace di distogliere lo sguardo da sua madre.
«Quindi vuoi sbarazzarti del bambino e, sperando di non rimetterci la vita, tornare da lui, come se nulla fosse?» chiese Elisa, lanciandole un'occhiata allibita. Louise non le rispose. Mentre la osservava andare avanti e indietro, capì che l'amica stava combattendo contro i propri demoni e, a giudicare dall'aria atterrita, stava perdendo di brutto. Non sapeva come aiutarla. Era una battaglia che doveva combattere da sola... fino a un certo punto. Non poteva rischiare che si mettesse nelle mani di una ciarlatana, come Mama Milly. Accidenti a quel mondo che non permetteva a una donna di decidere del proprio corpo!, pensò.
Nel 1914 era nata la NBCL, National Birth Control League, che conduceva una vasta campagna per promuovere l'educazione sessuale e metodi per prevenire il concepimento. Un gruppo di donne che si occupavano di politica a New York, guidate da Emma Goldman, Mary Dennet e Margareth Sanger avevano iniziato a preoccuparsi delle difficoltà che il parto e l'aborto auto-indotto potevano portare alle donne a basso reddito della classe operaia, con conseguenze talvolta assai gravi per la loro stessa incolumità fisica. Elisa aveva seguito con passione le vicende della Sanger, esiliata e arrestata più volte per aver diffuso informazioni sulla contraccezione, sfidando in modo palese le Leggi Comstok le quali avevano bandito la diffusione di qualsiasi informazione contraccettiva.
Quando nel 1917 era iniziato il procedimento penale a carico della Sanger, per aver venduto un cappuccio cervicale nella clinica che aveva aperto a Brownsville, Elisa, di nascosto dai Bosco, aveva finanziato il comitato per raccogliere fondi per l' NBLC. All'inizio di quell'anno avevano aperto una seconda clinica ed Elisa aveva avuto la sensazione che anche a livello legislativo vi potesse essere un'apertura, invece si era intensificata l'opposizione della chiesa e ciò non faceva ben sperare.
Sull'aborto invece la situazione sembrava ancora troppo ingarbugliata. Se prima del 1860 alcuni medici e, soprattutto, ostetriche che si affidavano a tecniche tramandate di generazione in generazioni, potevano praticarlo, dal 1860 al 1880 erano state emanate ben quaranta leggi contro l'aborto. I medici e le ostetriche che lo praticavano erano diminuiti notevolmente, ce n'era ancora qualcuno ma operava in clandestinità. Il numero degli aborti non era diminuito perché dichiarato fuorilegge, solo che a praticarlo erano, nella maggior parte dei casi, persone senza alcuna formazione medica. Il numero delle donne morte nel tentativo di abortire infatti era salito vertiginosamente.
Elisa aveva paura per Louise. Se non poteva convincerla a non abortire, e ci avrebbe provato fino alla fine, doveva almeno persuaderla a rivolgersi a un medico, a qualsiasi costo. Intanto doveva spingere il tasto sul sentimento che provava per il padre del bambino, per cui non si preoccupò di risultare pressante sulla questione, anche se non avrebbe voluto fare altro che alzarsi, abbracciarla e dirle che sarebbe andato tutto bene, che loro due avrebbero risolto, come sempre, tutto. «Allora, Louise, dopo aver ucciso il frutto del vostro amore, pensi di riuscire a guardare il tuo Fabrice ancora negli occhi?»
Louise guardò per terra e la sensazione di disagio che le stritolava le viscere divenne più forte. Si voltò e andò verso la finestra, fingendo di interessarsi al bel giardino sottostante. Il temporale nella notte aveva creato un po' di scompiglio tra gli arbusti delle piante di solito ordinatissimi. Sentì forte la tentazione di aprire la finestra per sentire l'odore del terreno ancora bagnato. Le era sempre piaciuto fin da bambina. Non c'era tempo per la nostalgia, per ciò che era stato, doveva riacquistare la padronanza di sé. Si sentì sfiorare la schiena.
«Vuoi bere qualcosa, un the, dell'acqua?»
«No.»
Con le braccia lungo i fianchi si girò. «No. Lascerò Fabrice prima.»
Elisa incrociò il suo sguardo, ma lo distolse subito, sconvolta da quell'atteggiamento blasè assunto dall'altra all'improvviso.
«Chi sei?» disse senza riflettere.
«Scusa?»
«Mi spaventi» ammise Elisa. «Eri sconvolta fino a un momento fa e ora ti comporti come se il bambino e... Fabrice fossero una cosa qualunque.»
Louise fece un passo indietro e incrociò le braccia. «Non posso tentennare.»
La bionda la squadrò, cercando di trovare una chiave d'accesso. «Louise, io invece credo che tu non abbia riflettuto abbastanza.»
La tristezza e il dolore crebbero, finché non si sentì soffocare da un peso opprimente e le lacrime le riempirono gli occhi. Si aggrappò al braccio di Elisa e buttò fuori l'aria. Non poteva abbandonarsi al dolore. «Non voglio che poi loro mi odino...»
Elisa l'abbracciò.
Dopo la crisi a cui Louise aveva assistito per la prima volta, sua madre era stata ricoverata in una casa di cura per un po'. Di lei si era occupata la nonna che non si era fatta scrupolo nel farla sentire in colpa per ciò che era accaduto a sua madre. «Se solo fossi una bambina più tranquilla...» sospirava. «Devi essere buona con tua madre...» ribadiva. «Potrebbe succedere anche a te...» sentenziava.
La nonna le aveva poi raccontato che la prima volta che la madre ebbe una crisi aveva cinque anni e le accadde mentre stava facendo un girotondo con altre bambine, e così si sparse la voce che fosse indemoniata. A nulla valsero i tentativi dei medici per curarla. L'unico rimedio che offrirono furono raccomandazioni per non farla agitare e sali di bromuro. Quando la bambina era cresciuta, la nonna e il nonno si misero d'accordo per non farla restare a Belle Chasse perché lì tutti sapevano della malattia e non avrebbe più trovato marito. Il nonno, che faceva l'avvocato e aveva studiato, non intendeva condannare la figlia alla maldicenza degli ignoranti, e alla nonna e alle zie sembrava un vero peccato che una bimba così deliziosa, così fine e bella dovesse restare zitella. Quando ripensava a quel discorso a Louise venivano i brividi pensando che se sua madre non fosse stata bella, alle donne della sua famiglia sarebbe sembrato logico condannarla a ricamare e ascoltare messe per il resto della vita.
Così la mandarono a New Orleans, a studiare dalle suore francesi dove le signorine delle famiglie bene imparavano l'economia domestica, a cucinare, a ricamare, preparandosi a diventare buone spose e madri. Le religiose, informate del suo problema e pagate profumatamente, sapevano per filo e per segno cosa fare in caso di crisi. Inoltre lì viveva una zia rimasta vedova presto che si era impegnata a cercarle marito. Le aveva trovato un avvocato giovane e bello a cui quella ragazzina arrivata dalla provincia piacque molto.
Nel giro di un anno, il giorno in cui lei compiva diciotto anni lui, che era già vicino alla trentina e si professava stanco di avventure mondane e desideroso di mettere la testa a posto con una ragazza come Dio comanda, si dichiarò. Non appena la notizia arrivò a Belle Chasse fu indetta una riunione di famiglia durante la quale si decise che la ragazza doveva fermarsi ancora a New Orleans, perché se fosse tornata la distanza avrebbe messo fine al rapporto con il rischio di lasciarsi sfuggire un simile partito. Se poi fosse venuto a Belle Chasse per una visita alla sua amata, qualcuno avrebbe finito per spifferargli il problema della ragazza, quando, almeno per il momento, era meglio tenerlo segreto.
Fu così che la famiglia decise di lasciarla vivere, avendo finito la formazione scolastica dalle suore, dalla zia vedova. Quando finalmente fissarono la data del matrimonio sua madre dovette risolvere un serio problema morale. Il fidanzato non aveva la benché minima idea della sua malattia. Le suore avevano custodito gelosamente il segreto, proprio come erano state istruite, e per fortuna, lui non aveva mai assistito a una delle sue crisi. Anche perché negli anni, man mano che cresceva, si erano diradate.
La malattia era ereditaria avevano detto i dottori, lei lo sapeva, e capiva molto bene che nessun uomo avrebbe voluto farsi carico di una moglie con un simile problema. Non sarebbe stato difficile mantenere il segreto, proprio come le consigliavano la nonna e le zie, e in seguito, quando fosse sopraggiunto il primo attacco, assicurare che si trattava del primo, perché tanto nessuno era al corrente della cosa, e non erano rari i casi in cui la malattia si era manifestata solo in età adulta. Sua madre sapeva che mentire era un peccato, un peccato la cui gravità veniva accentuata dal fatto che si considerava che avrebbe coinvolto la persona con cui avrebbe condiviso il resto della vita, a cui si sarebbe unita in un vincolo basato sul rispetto, la lealtà e la mutua sincerità. Fu così che si consultò con il suo confessore e decise di raccontare tutto al fidanzato.
A lui non importò molto, si informò della malattia e decise che non si trattava di un ostacolo al matrimonio. Sua madre fu felice perché si erano sempre presi cura di lei, i genitori, le zie, le suore, la zia vedova, e lei non poteva figurarsi una vita in cui qualcuno non fosse perennemente attento alla sua persona. Ma lui non era così. Lui, che si era immaginato bambini che gironzolavano in casa, uno o due maschietti che portassero avanti il nome e una bambina che ereditasse la bellezza della madre, si sentì deluso quando vide che i figli non arrivavano, e si stancò presto di lei, come un bambino che, annoiato dal gioco, relega per sempre in un cantuccio l'automobilina che aveva desiderato per molti mesi. Nel corso di quegli interminabili anni vuoti, si era allontanato, infastidito dalle lamentele e dai sospiri della moglie, dall'amarezza che avvelenava l'aria domestica.
Lei non aveva mai pensato che non avrebbe avuto figli. All'inizio era infastidita, poi si disperò, e infine divenne un'insopportabile isterica. Quando finalmente la concepì, da tempo si era rassegnata all'idea di aver perso l'amore del marito, ma pensò che non le importava più, che da quel momento ci sarebbe stata la figlia a coccolarla, adorarla e prendersi cura di lei. Non riuscì mai a perdonarla per non averlo fatto. L'insoddisfazione e il rancore si gonfiarono nella loro casa e alla fine deflagrarono.
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