Capitolo XXIV
Paul aprì lo sportello a Louise. Le offrì la mano, e lei, dopo un secondo di esitazione, la prese per uscire dalla lussuosa A-68 Roadster V8 nera. Il marito arrivò girando dietro l'auto e si mise alle sue spalle, così vicino che lei riusciva a sentire il calore del suo corpo. Gli rivolse uno sguardo interrogativo. Erano giorni che a mala pena si rivolgevano la parola, dopo che lui si era lavato le mani della faccenda del medico da cui Carmela voleva trascinarla. Lui rispose con un sorriso appena accennato, così leggero che, se lei non avesse conosciuto tanto bene le sue espressioni facciali (i primi anni di matrimonio lo aveva studiato tanto con la speranza di capire cosa si nascondesse dietro la facciata di suo marito), non lo avrebbe neanche notato.
«Tanto vale dare il meglio di noi, così mamma sarà contenta» le sussurrò. Lei allora mise su un sorriso che non si sforzò di far apparire naturale, e si girò per andare via; non appena si mosse, Paul la seguì. Rimase sempre dietro di lei, come una torreggiante figura silenziosa. Quasi a proteggerla. Louise non riuscì a trattenersi e sbuffò. Poi si chiese perché se la prendesse tanto, avrebbe dovuto essere abituata all'ipocrisia di Paul.
Per prima cosa, andò sorridente verso Elisa e Frank che erano arrivati qualche minuto prima di loro. «Come stai?» le chiese Elisa sottovoce, dopo averla salutata con enfasi, nascondendo l'apprensione per la situazione dell'amica, a beneficio degli ospiti che stavano arrivando. «Resisto...»
Salutarono alcuni conoscenti e poi entrarono nella villa. Louise rivolse l'attenzione al personale che Carmela Bosco si era portata da New York. Iniziò dal maggiordomo, di cui non ricordava il nome, piuttosto anziano, dallo sguardo nervoso e dalle mani inquiete, che diede loro il benvenuto. Non doveva essere facile lavorare per la suocera a giudicare dall'aria nervosa, pensò. Si concentrò allora su una cameriera per chiederle se poteva portarla dalla festeggiata, che ancora non si vedeva. La giovane donna, taciturna e dallo sguardo impenetrabile, le rispose a monosillabi. Lasciò Elisa, Frank e Paul a intrattenere gli ospiti, nell'attesa che la padrona di casa si facesse vedere, e seguì la cameriera.
Intravide per un attimo un'enorme scalinata, un atrio e dei corridoi, seguendo la donna verso il retro della casa. Dovunque c'era legno lucidato che splendeva. Pavimenti di marmo luccicanti. Ogni volta che faceva un passo, riusciva a vedere il riflesso della suola della scarpa, appena prima che il piede toccasse il suolo.
Un'esorbitante fortuna in opere d'arte decorava l'atrio e i corridoi del piano inferiore. I dipinti erano per la maggior parte paesaggi naturali di autori vari. Le sculture avevano linee morbide e slanciate, ed erano tutte in metallo. Adornavano l'ambiente, raggiungevano altezze impossibili e luccicavano con un delicato gioco di potere che ristorava la mente, mentre la forma fisica faceva lo stesso per gli occhi.
Tutto in quella tenuta era controllato e preciso, dallo stile georgiano della villa fino ai terreni curati nei minimi dettagli. Una simile esposizione, nella loro proprietà a New Orleans, sembrava ponderata come tutto il resto. Intrattenevano alleati e soci in affari in quel luogo. Avevano offerto loro degli assaggi della ricchezza dei Bosco per allettarli, o tutte quelle opere erano solo un modo per ostentare ricchezza e potere? Sospirò. Si sentì perseguitata dai Bosco. Non sopportava il fatto che Carmela occupasse così tanto spazio nei suoi pensieri, dato che avrebbe solo voluto saltare sulla sua tomba e cantare "Ding dong, la strega è morta!" Dopo averlo fatto, si vergognò subito di quel pensiero. Che persona era diventata per sperare nella morte di sua suocera? In fondo Carmela era solo una grandissima impicciona.
Arrivarono davanti a una porta pannellata già aperta, e la cameriera si fermò da un lato, facendo un lieve inchino. Louise la ringraziò e, senza pensarci, si avviò nella stanza. Lo studio era arredato in modo mascolino con mobili di pelle scura, dall'aria più comoda che elegante; c'erano scaffali sparsi, una grande scrivania di mogano in un angolo e un camino. Grandi finestre si affacciavano sul giardino sul retro, dove il paesaggio scendeva dolcemente verso un piccolo lago. Un imponente dipinto di un panorama marino dell'artista inglese Turner era appeso su un grande camino in pietra. La personalità di Carmela o di Arturo non si rispecchiavano per niente in quella dimora. D'altronde avevano comprato la tenuta solo qualche anno primo dal vecchio proprietario finito in bancarotta.
Un rumore la fece voltare verso la porta. Fece una smorfia di fastidio quando vide entrare Arturo, che chiuse la porta a chiave. Tutto si contrasse: lo stomaco, i pugni, la faccia. Conta fino a dieci, si impose. L'uomo le arrivò vicino in tre lunghi passi, con il volto scuro. Lei alzò una mano per indicargli di fermarsi, mentre lottava per calmarsi. Non le avrebbe fatto niente, la casa era piena di gente e lui non era solito sporcarsi le mani di persona. «Cerco tua madre» riuscì a dirgli.
«Per?»
«Volevo farle gli auguri» si affrettò a rispondere. Non era quello il principale obiettivo, voleva parlarle a quattrocchi della follia del medico.
«Glieli farai con tutti gli altri, più tardi. Ora dobbiamo parlare...» disse con aria impassibile.
Louise espulse l'aria che tratteneva nei polmoni. Andò fino a una poltrona e si sedette. Le gambe le tremavano. Inclinò un piede verso l'alto, e rimase a guardarlo. Parlando alla scarpa, con voce inespressiva, disse: «Non abbiamo niente di cui parlare».
Lui si avvicinò di più. «Invece penso che noi due dobbiamo fare una bella chiacchierata.» Il tono con cui pronunciò la frase la costrinse ad alzare lo sguardo per fissarlo negli occhi.
«Allora dimmi, mi aspettano di là!»
«Tu non mi piaci, lo sai... però voglio darti un 'consiglio', vai all'appuntamento che mia madre ti ha fissato con il medico senza troppe storie.»
Lei lo interruppe. «Non sono cose che vi riguardano...»
Lui strizzò gli occhi. «Tutto ciò che concerne la famiglia Bosco ci riguarda.»
Louise si alzò in piedi con un balzo e cominciò a indietreggiare verso la porta. Un braccio la prese per il collo. «Vai a sederti e non costringermi ad azioni che non voglio fare» disse a denti stretti, poi la sospinse di nuovo verso la poltrona. «Tu farai quella visita. Se il dottore non troverà niente di difettoso in te, andrai a letto con Paul finché resterai incinta.»
Lei gli rise in faccia. «Credi di sapere tutto? Tuo fratello ha sempre rifiutato il mio letto!» sibilò.
«Trova un modo per fargli fare il suo dovere, perché se non ci riesci, dovrò pensarci io...» ringhiò.
Il respiro si fermò e Louise rimase pietrificata. «Cos... cosa vuoi fare a tuo fratello?»
«A lui niente...», fece un sorriso maligno e continuò, assaporando ogni parola che pronunciava: «Per quanto tu mi faccia schifo, ci penserò io a metterti incinta».
No,no,no. «Tu sei pazzo!» urlò, alzandosi di nuovo in piedi. Lui scoprì i denti e si getto in avanti. La prese per i capelli. «No, pratico... Ti avverto, non avvicinarti a nessun uomo che non sia Paul per farti mettere incinta o vi faccio ammazzare. Mia madre avrà un nipote con il sangue dei Bosco in un modo o nell'altro.»
***
Camminava per l'enorme salone confondendosi tra gli invitati e osservandone i volti, quando 'la vecchia' lo vide. Bastò una sua occhiata di rimprovero che Antony fece marcia indietro e uscì dalla casa. Non era gradito lì mentre c'erano gli ospiti. Non sia mai qualcuno di quella 'bella gente' si chiedesse chi fosse il ragazzo dai capelli rossi e qualcuno dei Bosco, imbarazzato, avesse dovuto inventarsi di sana pianta un'identità nuova di zecca per il bastardo, per non ammettere che si trattava del nipote illegittimo della festeggiata! e sai che tragedia se la 'cosa' fosse venuta fuori!
L'aria ancora calda della sera lo investì appena uscì all'aperto. Si girò a guardare la costruzione che aveva davanti. La parola 'casa' non rendeva giustizia all'edificio bianco. Dovette alzare la testa per guardare tutto, fino al tetto. L'unica cosa che lo sconvolgeva più dell'altezza della villa era la sua lunghezza. Non riusciva a capire dove finisse il lato destro, perché una fila di sempreverdi gli bloccava la visione, ma tutto ciò che c'era alla sua sinistra si estendeva per ettari di terreno. Qualcuno gli aveva raccontato che un tempo era stata la tenuta di un ricco e nobile proprietario terriero che, con l'abolizione della schiavitù, si era ridotto sul lastrico e piano piano era stato costretto a vendere tutte le sue proprietà, compresa la casa in cui viveva. I Bosco, come nuovi ricchi, avevano approfittato del fatto che l'uomo era con l'acqua alla gola per comprare tutto a un prezzo stracciato. 'La vecchia' si rammaricava ancora di non essere riuscita ad acquistare pure il titolo nobiliare del disgraziato. Sul viso di Antony si dipinse il disgusto. Alla 'strega' mancava solo il titolo di baronessa, con cui magari si poteva illudere di riuscire a coprire il marcio dietro gli affari che avevano fatto diventare i Bosco ricchi e potenti in poco meno di due decenni. Non erano altro che delinquenti, dal primo all'ultimo!
«Antony.»
La voce di Luke, uno degli autisti di Arturo, attirò la sua attenzione. L'uomo non si preoccupò di nascondere un sorrisetto sarcastico, mentre lo guardava. Aveva intuito che era stato messo alla porta dai parenti che si vergognavano di lui. Antony Hughes non era simpatico a nessuno, neanche ai dipendenti. Lui ingoiò l'umiliazione e si stampò sul viso una maschera d'indifferenza. Andò vicino all'uomo, appoggiandosi alla fiancata dell'auto, e gli si posizionò accanto.
Un signore distinto, in là con gli anni, e che non aveva mai visto, stava salendo in quel momento la scalinata che portava alla villa. «Chi è?» chiese, con aria annoiata a Luke. In realtà aveva sempre avuto una specie di smania nel voler conoscere tutte le persone che si muovevano attorno ai Bosco. Amici, conoscenti, soci in affari e nemici. Nemici soprattutto. Cercava però di non darlo troppo a vedere.
«Quello è Lee Bailey! Un tipo strano, ma ricco... molto ricco. È il proprietario del Louisiana, è in affari con Paul e Frank per gli alcolici. Ho sentito che vuole acquistare anche un paio dei nostri palazzi nel Quartiere Francese. Sta trattando con Paul...»
Antony sbuffò quando sentì "nostri". Si sbalordiva sempre come gli uomini dei Bosco non si rendessero conto di non far parte della famiglia, ma di essere solo oggetti, cose. Perciò come potevano possedere alcunché, tanto meno le "altre cose" dei loro padroni? Comunque questo Lee Bailey era uno da tenere d'occhio. Non aveva certo dimenticato il fatto che nel suo locale lavorava l'attuale amante di Louise. Non li aveva colti sul fatto, quindi non era sicuro al cento per cento, ma non si era sbagliato. I tentativi di sviarlo e l'imbarazzo di Tabitha erano la conferma che ci aveva visto giusto. I pensieri sulla ragazzina e la scarsa capacità di mentire che aveva vennero interrotti dall'arrivo dell'ennesima lussuosa automobile, da cui scese un'altra recente conoscenza legata alla moretta, lo scimmione Maurice. L'uomo aprì lo sportello per farne uscire uno più anziano, piccolo di statura, dai capelli radi e la faccia da topo. Antony diede una gomitata a Luke. «E quello?», aveva il sospetto di sapere chi fosse, ma voleva la conferma.
«Ah, quello è un pezzo grosso, Donny Ryan. Ha molti affari in ballo con noi, principalmente edilizia...»
Questa volta il ragazzo sorvolò sul 'noi' e guardò attentamente l'uomo, 'il pezzo grosso', i suoi occhi scuri lo seguirono con attenzione finché sparì all'interno della villa.
«Pare gli piacciono pure le ragazzine, ho sentito» disse, con noncuranza, ma osservando con curiosità la reazione di Luke. Questi sembrò imbarazzato. «Sì, si dice in giro...»
Antony continuò a scrutarlo. «Non ci credi?»
«Sì, ci credo... ma io mi faccio i fatti miei», sembrò voler aggiungere qualcosa, ma poi ci ripensò.
Antony Hughes invece non era tipo da lasciar perdere, provava un piacere sottile a pungolare chi gli stava accanto. «Quanti anni ha tua figlia, Luke?»
L'interpellato lo guardò in tralice. «Tredici...»
Il rosso gli sorrise in modo inquietante e non aggiunse niente altro. All'uomo però quello sguardo sembrò comunicargli molto altro, per cui si sentì in dovere di aggiungere: «Mia figlia è con la famiglia a New York!». La frase parve mettere fine al discorso spinoso in cui si era impelagato.
«Pensi non ci sia un Donny Ryan anche a New York?»
Luke strinse i pugni. «Nessuno toccherà mia figlia!» sibilò. «Sono una persona rispettata» disse, più per convincere se stesso che il suo interlocutore.
«Perché tu pensi che ad Arturo Bosco fotta qualcosa di te e della tua famiglia se ci si mettono di mezzo i soldi? Pensi di essere più importante dei pruriti degli uomini con cui tratta affari?» domandò, scandendo ogni parola.
L'uomo si girò verso di lui con aria minacciosa. «Chi cazzo pensi di essere?», la furia a stento trattenuta.
«Una cosa... una cosa dei Bosco, sacrificabile al Dio Denaro e Potere» rispose serio, dopodiché scoppiò in una risata e diede una pacca sulla spalla dell'altro. Con uno scatto si staccò dalla fiancata dell'auto. «Vado a prendere una di quelle bottiglie di whiskey della mia riserva personale, perché non vai a chiamare l'autista di Ryan così facciamo quattro chiacchiere... in allegria.»
Luke lo guardò stranito, quel ragazzo era davvero strano. Certe volte gli faceva saltare i nervi, ma non si poteva toccare, il signor Bosco era stato piuttosto chiaro in quel senso. Tutto quel discorso l'aveva irritato, ma il cambio repentino d'argomento lo aveva spiazzato. Meglio berci su, per cui si incamminò per andare a invitare l'autista di Ryan. Quattro chiacchiere e del buon whiskey era ciò che gli serviva per scacciare dalla bocca il sapore acre che le parole del bastardo gli avevano lasciato in bocca.
Con la coda dell'occhio Antony osservò Luke dirigersi verso Maurice, poi si mosse anche lui; prima di andare nella sua stanza, doveva fare un salto nel capanno degli attrezzi sul retro della villa. Per un caso fortuito gli alloggi dei dipendenti, dove lui era stato sistemato, erano vicini. Non avrebbe impiegato troppo tempo per fare ciò che andava fatto.
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