Capitolo XXIII

Quel sabato pomeriggio Lee Bailey arrivò al Louisiana molto più tardi di quanto avesse programmato. Percorrere a passo di tartaruga la strada piena di curve, immersa nel verde brillante dell'estate, che dalla villa portava in città, non era bastato perché il suo animo si acquietasse. Entrò dalla porta sul retro del locale a passi strascicati, i sessant'anni dipinti dalla ragnatela di rughe impresse, più del solito, sul viso.
Fabrice si stava prodigando in un assolo molto spinto, ma quando lo vide, si fermò di colpo. Gli occhi verdi da gatto guardarono interrogativamente lo smoking che aveva indossato. Si alzò dallo sgabello e gli andò incontro.
«Abbiamo qualche 'ospite' importante stasera?»
Lee scosse la testa e si accarezzò pensieroso la curata barbetta ormai quasi del tutto bianca poi, con voce grave, parlò: «Sono invitato al genetliaco della signora Carmela Bosco».

A sentire il cognome, Fabrice trasalì. Non vedeva Louise da più di una settimana; gli aveva detto, come al solito, che l'avrebbe cercato lei. Nient'altro. Forse era questo che la teneva lontana da lui. Forse.
«Chi è?» chiese, non aveva mai sentito il nome.
«La matriarca dei Bosco. La madre di Paul, Frank e... Arturo.»
«Dal tono intuisco che non sei felice di andarci...»
Lee sbuffò. «Felice di essere stato invitato da quel criminale di Arturo Bosco?»
Il tono della voce si alzò notevolmente. Accortosi di aver attirato l'attenzione di tutti gli presenti, si zittì.
«Non andarci!» disse Fabrice, scrollando le spalle.
«Fosse facile rifiutare...»

In quel preciso istante anche Jim si palesò. «Che succede, capo?»
«Arturo Bosco mi ha mandato l'invito per la festa di sua madre...»
Negli occhi scuri del barista baluginò una strana luce.
«Non puoi rifiutarti...»
«No. Sono in affari con Paul e Frank. Un mio rifiuto attirerebbe l'attenzione e tu sai che non ne abbiamo bisogno.»
Jim fece cenno di sì con la testa. Fabrice passava lo sguardo dall'uno all'altro, confuso. Alla fine non resistette. «Volete dirmi cosa sta succedendo con i Bosco?» Non pensava c'entrasse la storia con Louise, erano stati attenti, ma meglio accertarsene.

Lee e Jim si guardarono, poi l'uomo di colore fece un cenno affermativo, dando il suo consenso a mettere a parte di ciò che era accaduto Fabrice. «L'agguato davanti al locale era diretto a Joseph e il mandante Arturo Bosco.»
«Che senso ha?» chiese il biondo, interdetto.
Jim fece un sospiro. «Tanto vale che tu lo sappia! Joseph se la fa con Paul, e al fratello la cosa non va giù.»

Fabrice impallidì. Di tutte le rivelazioni che si era aspettato, quella non l'aveva messa in conto. Non si scandalizzava certo, era nato in strada e con un appetito sessuale superiore alla norma, non gli era difficile capire che le regole dell'attrazione non seguivano una strada predefinita. Né si sentiva di biasimare Joseph se gli piacevano gli uomini, ma Paul Bosco... il marito di Louise... Solo in quel momento si rese conto di una cosa: lui di lei sapeva poco. Sentiva che c'era un muro tra di loro, e di non possedere né la forza né gli strumenti per poterlo abbattere.

All'inizio gli piaceva, perché negarlo, l'andamento titubante di quella relazione perché così evitava di cadere nell'ennesimo rapporto destinato al fallimento. Lei era sposata, meglio non compromettersi o fare promesse o assumersi responsabilità; ma poi, man mano che il sentimento era cresciuto, man mano che era cresciuta la sua dedizione, aveva cominciato a non capire più bene a cosa servissero i silenzi e la diffidenza. Si sforzava di immaginare cosa faceva Louise senza di lui. Leggeva, faceva l'amore con il marito, passeggiava lungo il Garden District. Insisteva con un trappola di immagini sgradevoli perché non conosceva altro modo per avvicinarsi a lei, inventava un passato che immaginava orribile proprio perché lei non ne parlava mai. Tutto quello che non sapeva, quello che le faceva tacere tutte le cose, quelle che sapeva nascondere tra altre cose che, benché insignificanti, comunque gli chiariva. Quello che la faceva fermare nel bel mezzo di una frase, ragionare tanto su una banale osservazione, come chi teme che la spontaneità possa svelare una verità. Quello che lo costringeva a sua volta a restare zitto e a non fare domande. Il muro di dubbi e di riserve che si ergeva tra di loro con tanta forza come la distanza enorme e vivida che li separava. Tutto quello che non sapevano: lui di lei e lei di lui ed entrambi di loro due.
I loro discorsi erano fatti attraverso il sesso. Lo capiva. Ciò nonostante, percepiva il loro vincolo come qualcosa di solido e intenso.

Avrebbero potuto essere grandi amici, immaginava, ma il sesso si era messo tra di loro e li aveva trasformati in contendenti, perché sulle loro teste gravava la minaccia di una serie di pretese che non sarebbero sorte nel caso di un'amicizia senza sesso. Anche se lui fingeva che non gli importasse di Paul, gli importava e si malediva per non avere il coraggio di chiederle di mettere fine a quel rapporto e proporle un futuro insieme. Desiderava di più, voleva di più da lei, nonostante i tanti problemi che questo avrebbe comportato. E ora sapere del marito da una persona che non fosse lei, lo faceva sentire tradito. O forse lei non lo sapeva. Le mogli spesso fanno finta di non accorgersene mentendo a sé stesse. No, lei non poteva non saperlo.

Ignaro della conversazione che continuava tra Jim e Lee, si accorse alla fine di essere stato interpellato. «Cosa?»
Jim alzò gli occhi al cielo. «Lee pensava di mandare Joseph a Chicago al locale di Jo Burton. Per allontanarlo da qui finché le acque non si calmano.»
«Sì, sarebbe una buona idea... anche se mi dispiace privarmi di lui, e non solo perché Gerald non è alla sua altezza come sostituto. Ma sono affezionato a quel ragazzo e di fronte alla sua sicurezza non vedo quale altra soluzione ci potrebbe essere se non allontanarlo per un po' di tempo.»
Lee e Jim lo guardarono straniti. Fabrice Gautier non era mai stato un uomo di troppe parole, né ricordavano di avergli sentito mai pronunciare una frase così lunga.

Lee Bailey lasciò il locale appena prima che questo cominciasse a riempirsi di clienti. Jim si posizionò dietro il bancone con il solito sorriso comprensivo stampato in faccia. C'erano un sacco di uomini soli in città, Jim non dubitava che ci fossero anche un sacco di donne sole, ma poche avevano il coraggio di venire a trovare consolazione al Louisiana. Lui ascoltava le loro storie da dietro il bancone del bar. Le donne e gli uomini che avevano amato e poi perso, gli sballi che avevano provato, le pene, le gioie e gli incidenti di percorso.

Ascoltava così tante storie di amori finiti e solitudini che credeva di poter pubblicare un catalogo. Arrivava al bancone e in pochi secondi poteva dire quanti dei clienti si sentissero soli. L'alcol li aiutava solo per qualche ora. A volte neanche. Spesso avevano già bevuto dalle scorte private che avevano in casa, erano intontiti, ma in fondo rimanevano soli. Non c'è alcol o altra roba che la curi la solitudine. C'era un ragazzo che se ne stava sempre appoggiato in fondo al bancone, che gli raccontava ogni sera di aver conosciuto lì la ragazza dei suoi sogni. Una rossa tutta curve. Avevano bevuto e flirtato. L'avevano fatto selvaggiamente dentro l'atrio di un portone. Lui avrebbe voluto chiederle di rivedersi, ma non aveva avuto il coraggio. Sapeva appena chi era. Quando finalmente aveva avuto la forza di provare a cercarla, sapeva che lavorava come sarta lì nel Quartiere, non l'aveva più trovata. Poi aveva pensato che fosse passato troppo tempo. E se lei aveva conosciuto qualcun altro? E se non si fosse ricordata di lui? Neanche lui la ricordava più tanto bene. Non avrebbe saputo descrivere il suo setto nasale né come abbassava le palpebre né la tonalità esatta dei suoi capelli. Non si sentiva in grado di giurare che fosse poi così meravigliosa come gli sembrava di ricordare. Veniva sempre al Louisiana, dove l'aveva incontrata, ma non l'aveva più rivista. Da allora aveva sempre dormito solo.
C'era una ragazza, una di quelle che la maggior parte della gente giudica 'perduta', che portava scritta sulla fronte la parola 'amante'. Si innamorava sempre di uomini sposati. Aveva fatto l'amore negli hotel, sui sedili di automobili, nei parchi e in molti altri posti. E tuttavia non sapeva cosa significava svegliarsi accanto a qualcuno e a fare colazione a letto.

New Orleans era troppo grande, diceva qualcuno, ti riusciva difficile mantenere i rapporti...
Insomma, ognuno aveva la sua storia.
New Orleans era piena di uomini che cercavano alla cieca una donna nel buio di un locale...
Avrebbe ascoltato tante storie anche stanotte.
Anche lui aveva la sua storia.
Anche lui aveva avuto qualcuno che aveva amato e che aveva poi perduto. Non gli aveva dato spiegazioni. E lui non gliele aveva chieste. In ogni modo alla fine lo aveva lasciato. O forse l'aveva lasciata lui. Non gli aveva più rivolto parola. Supponeva che avesse le sue buone ragioni.

Avrebbe dovuto spiegare a tutta quella gente che veniva a ordinare da bere al bancone con l'espressione di agnellini sgozzati che non potevano riempire i loro vuoti, che anche lui era stato lasciato dal suo amore e che, per di più, il jazz cominciava a dargli sui nervi.

La musica che Fabrice e i ragazzi suonavano risaliva in strati avvolgenti, cercando di fare singhiozzare l'animo degli ascoltatori.
Dal bancone intravedeva un intreccio iridato di braccia, gambe e vestiti brillanti, una massa umana e multicolore di chiome, ondeggianti al ritmo della musica. Quando doveva attraversare la sala per ripulire i tavolini coperti di bicchieri, si sentiva come se stesse nuotando controcorrente. Attorno a lui si spingevano, le persone non erano più persone perché l'identità dei singoli si fondeva nel crogiolo della massa, e quello che sentiva intorno era un magma in ebollizione, con piccole bolle che di quando in quando emergevano in superficie.

Con la coda dell'occhio vide una bionda andare verso Fabrice. La stronza dei quartieri alti era tornata con le sue illusorie arti a cercare di tappare la solitudine e l'ansia di abbandono che il pianista si portava dentro, anche lui, come tanti altri.

La vita era triste e la notte di New Orleans non era poi così meravigliosa come molti pensavano. Lo diceva lui, che ci viveva dentro.

Fabrice si era accorto di essere osservato per tutto il tempo che durò l'assolo. Quando lo aveva finito e si era girato, aveva trovato gli occhi chiari di Amanda Pellier fissi su di lui. Indossava un vestito nero aderente che rilevava con la più incredibile sfacciataggine le curve vertiginose dei suoi cinquantotto chili, un tantino esagerato, forse, per la ragazza d'oro del Garden District ; o forse no, potere e spavalderia cesellati in nero sul suo corpo. Di certo, il padre non avrebbe approvato. A Fabrice poco interessava. Le girò le spalle con l'intenzione di cominciare un altro brano. Lei però gli posò una mano diafana sulla spalla.
«Mi suoni Crazy Blues?» gli chiese con la voce da gattina, di quando voleva qualcosa da lui.
«Non è in programma, stasera!» rispose, secco, senza nemmeno girarsi.
«Sei arrabbiato con me...» disse lei, mettendo il broncio.
Lui si girò a guardarla, sbuffando. «Non mi interessa più... avere a che fare con te», stava per dirle qualcosa di spiacevole, ma si morse la lingua e sostituì la frase che aveva in mente con una più diplomatica, ma altrettanto chiara. Qualche mese prima avrebbe pregato per avere un'altra possibilità con lei, ma ora... ora era diverso.

Amanda represse un moto di stizza, non era abituata la figlia del procuratore Pellier a ricevere un rifiuto, tanto meno da Fabrice. Fin dalla prima volta che lo aveva visto al Cafè fu Monde aveva deciso che doveva essere suo. Non si era minimamente preoccupata del fatto che lui avesse messo gli occhi sulla sua amica allora e, in fondo, non si preoccupava molto neanche ora, dopo che lui l'aveva rifiutata. Se lo sarebbe ripreso. Suo padre si era calmato dopo che si era fidanzata ufficialmente con il figlio maggiore del suo migliore amico, e non le stava più con il fiato addosso.

Lo diceva già Valmont che la strada più diretta per la perversione passa attraverso l'innocenza più assoluta, e che non c'è niente di più facile che insegnare a una novizia pratiche sessuali che la prostituta più navigata si rifiuterebbe categoricamente di attuare. E se consideriamo il caso di Amanda Pellier, allora il signor visconte di Valmont aveva ragione, perché come tante ragazze di buona famiglia cresciuta in una scuola di suore, lei non aveva ricevuto nessunissima educazione sessuale, eccezion fatta per quella derivante dall'esperienza diretta, perché nessuno, nessuno parlava di sesso in casa sua. Ovviamente a scuola il tema non veniva neppure menzionato. Le informavano, questo sì, che dovevano arrivare vergini al matrimonio (povere suore, che ingenuità!) e questo era tutto. E descrivevano sempre gli uomini come una specie di maniaci sessuali che desideravano solo Una Cosa e che non appena l'avevano ottenuta, le avrebbero lasciate. Le costò molto rendersi conto, anni più tardi, quando era ormai diventata 'esperta', che la maggior parte di loro non le lasciava, anzi, non si accontentava di una botta e via e si arrabbiava e molto se lasciavi intuire di aver sperato che si sarebbe subito tolto di torno.
Comunque, un giorno sua cugina più grande le aveva mostrato di nascosto una rivista e quella era stata la sua scoperta del sesso. Quando le riviste non erano state più sufficienti, sempre la cugina, con l'amante del momento, l'aveva portata in un bordello dove aveva potuto assistere a "Coucher de la Maríee" e a "L'Ecu d'Or ou la Bonne Auberge".
Come risultato di questa educazione sessuale atipica le era rimasta l'idea che i maschi venissero sempre fuori, tranne quando volevano avere figli. E le era venuta la fissazione per i membri grossi, ah, povera Amanda!, che non l'avrebbe più abbandonata; ed era stata una sciagura perché il tempo e l'esperienza le avrebbero insegnato che, contrariamente a quanto i giornaletti le avevano fatto pensare, le verghe di venticinque centimetri non erano la regola, ma l'eccezione.
Forse era stato proprio quello a farla infatuare di Fabrice in quel modo (non che avesse mai pensato di avere un futuro con lui!): il fatto che incarnava tutte le sue fantasie da adolescente, quello che i giornaletti porno le avevano fatto coltivare. Perché lui aveva un membro enorme e la resistenza di uno stallone, e faceva tante acrobazie quanto i protagonisti maschili dei giornaletti.

Con il fidanzato scelto dal padre inoltre aveva dovuto recitare la parte della sacra vergine, ma quel ruolo cominciava a starle stretto. Aveva provato a vedersi con qualcun altro di nascosto, ma era stato un totale fallimento, nessuno era all'altezza di Fabrice, per cui, nell'attesa di sposarsi e mettere la testa a posto, che male c'era a continuare a spassarsela con lui?

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