Capitolo XL

Sei ore dopo l'arresto di Fabrice, Lee Bailey si trovava alla stazione di polizia, non sapeva come comportarsi e si sentiva completamente in preda alla paura. Non si era mai avvicinato a un posto del genere. Le 'sovvenzioni' che elargiva al Dipartimento passavano attraverso il suo avvocato, Blaine Givry, che da ore stava tentando di avere un colloquio con Fabrice.
Tutto intorno a Lee era freddo e sterile. Lugubre. Ma, ancora di più, spaventoso. Sperava con tutto se stesso di non doverci entrare mai più. Benché gli sembrasse terribile essere lì per tirare fuori il suo ragazzo, non riusciva neanche a immaginare quanto peggiore dovesse essere per lui trovarsi nella parte più terrificante dell'edificio, per di più in compagnia di uomini arrestati per chissà cosa. Certo, Fabrice non era un angelo, era cresciuto per strada, aveva fatto parte di una banda, ma non era un assassino. Doveva tirarlo fuori di lì a ogni costo.

«Gliel'ho detto, avrebbe fatto meglio a restare a casa, signor Bailey» gli disse l'avvocato. Basso e con i capelli radi spolverati di grigio. Molto distinto e garbato, Givry era uno degli avvocati più importanti di New Orleans.
«Signor Givry, può incontrare il suo cliente, ora!» urlò un uomo in divisa dallo sguardo annoiato, sbucando fuori dalla porta che conduceva alle celle.
Lee cercò di seguire Blaine Givry, ma l'uomo in divisa gli fece cenno di no. «Solo l'avvocato» sentenziò.

Givry andò dietro al secondino e si maledisse per aver accettato il caso, ma non poteva dire di no a Lee Bailey e alla sua generosità. Il fatto che la famiglia del morto fosse quella dei Bosco però lo preoccupava molto.
Il biondo che l'agente aveva fatto uscire dalla cella era un metro e novanta. Aveva la divisa da carcerato ed era ammanettato mani e piedi con una catena di acciaio che passava davanti alle gambe e girava intorno alla vita. Lineamenti severi, guance scavate - zero grasso corporeo -, i capelli erano lasciati un po' lunghi. Un grappolo di lividi intorno agli occhi, una fasciatura candida vicino all'attaccatura dei capelli e una chiazza rosa sul collo, come se l'avessero strattonato a forza. Malgrado le manette e il secondino che lo portava fuori avesse i muscoli di un bulldog e anni di esperienza nella gestione di uomini suscettibili, non doveva essere stato facile arrestarlo.

Il ragazzo di Bailey non lo guardò negli occhi; restò a fissare il pavimento mentre veniva spintonato nello stretto spazio tra la sedia e il tavolo. L'uomo in divisa si chinò a sussurrargli qualcosa all'orecchio. A ringhiare qualcosa, per meglio dire. Poi guardò Givry e gli rivolse un sorriso tirato, come se quella situazione non gli piacesse per niente, e volesse affrontarla con professionalità.
«Rimango qui, fuori dalla porta. Se ha bisogno chiami, arrivo subito.» A voce più bassa aggiunse: «Ti tengo d'occhio, amico».
«Grazie» replicò l'avvocato.
«Nessun problema, signor Givry.»
E poi restò solo con Fabrice Gautier che, con la testa china, continuava a fissare il tavolo.

«Sono Blaine Givry. Il signor Bailey mi ha chiesto di accettare il suo caso.»
Il biondo non alzò la testa e annuì. Givry continuò :«Ogni cosa che deciderà di dirmi resterà tra noi. Entro i limiti della legge, non la rivelerò a nessuno». Aspettò. Silenzio.

Fabrice respirava regolarmente, tutta la sua forza compressa nelle mani ammanettate e posate sul tavolo e nel corpo atletico, immobile. Al primo incontro la maggior parte dei clienti si accasciava sulla sedia con aria scocciata; qualcuno faceva l'indignato e l'offeso, qualcuno tentava di discolparsi. Lui no. La schiena dritta come un fuso, non diceva una parola. Givry si schiarì la voce. «Le accuse mosse contro di lei sono gravi. Arturo Bosco è stato rinvenuto cadavere a causa di un colpo inferto alla nuca ai confini del Quartiere. Diversi testimoni affermano che poco prima della morte avete avuto un duro scontro. Al momento lei è accusato di omicidio di primo grado.»
Niente.
«Signor Gautier, posso farle qualche domanda?»
Nessuna risposta.

Givry si appoggiò allo schienale. «Mi sente almeno?»
«Sì, signore.» Una voce profonda e melodiosa. Due parole pronunciate con una dolcezza in contrasto con le proporzioni del corpo e la severità dei lineamenti. L'accento marcato del Sud.
«Sono qui per aiutarla, signor Gautier. Lo capisce, vero?»
«Senza offesa, signore, ma non credo possa aiutarmi. Hanno già deciso.»

«Prima che lei rifiuti il mio aiuto» riprese, «le suggerisco di fare due riflessioni. Non è stata fissata una cauzione, quindi resterà qui mentre il suo caso va avanti. E potrebbero volerci mesi. E poi, forse, l'ha già sentito dire... chi si difende da solo ha un pessimo avvocato. Io non sono il nemico. Sono qui per...»
Finalmente Fabrice lo guardò. Occhi color foglia, in cui serpeggiavano le ombre di uno spirito inquieto. E quando quello sguardo cupo e sfinito lo attraversò, Givry si sentì gelare il cuore. Seppe all'istante che quell'uomo non aveva ucciso nessuno, ma si sarebbe lasciato condannare. Givry tamburellò le dita sul tavolo. «Lasci che provi a fissare una cauzione. Iniziamo da qui, va bene? Poi penseremo alla linea di difesa...» S'interruppe, vedendo che l'altro aveva chiuso gli occhi. Be', non gli era mai capitato di far addormentare un cliente nel bel mezzo di un colloquio.

«La sto annoiando, signor Gautier?» domandò dopo un momento.
Fabrice si domandò perché a Lee Bailey importasse tanto di un uomo inutile come lui. A giudicare dalla caparbietà che leggeva negli occhi dell'avvocato, doveva averlo pagato profumatamente. Forse perché era ricco e annoiato. Forse c'era una motivazione religiosa. In ogni caso, era molto determinato. Fabrice non voleva coinvolgere nessuno nei suoi guai. Lee, Evelyn, quella testarda di Tabitha. Sapeva però che tutti loro avrebbero smosso mari e monti per tirarlo fuori dai guai.
«Le sarei grato se potesse aiutarmi, signore.»
L'avvocato tirò un gran sospiro di sollievo. «Bene. Allora siamo d'accordo. Tra mezz'ora vado a parlare con il giudice. La cauzione sarà elevata, ma il signor Bailey non ha problemi a garantire qualsiasi cifra.»
L'avvocato si alzò. «Torno da lei appena ho...»

La porta si aprì e rientrò l'energumeno che aveva prelevato Fabrice dalla cella. «Vado a parlare con il giudice» disse Givry al secondino. «Mi auguro di non trovare nuovi lividi sul mio cliente quando tornerò.»
Il poliziotto trasalì, poi tirò Fabrice in piedi quasi con cautela.

***

Qualcuno avrebbe detto che Arturo Bosco era stato una creatura malvagia; altri più ben disposti, avrebbero sostenuto che era stato uno squilibrato, o che non sapeva cosa voleva o chi era. Quando Evelyn ritornava con la mente al periodo in cui lo aveva amato, a volte le veniva da pensare di essere stata sfortunata, altre volte si diceva di essersi andata a cercare tutta la sofferenza che lui le aveva inflitto. Il suo cuore era sempre stato blindato con un sistema di sicurezza segreto che non si poteva disattivare a patto di introdurre una determinata combinazione, e in questo modo vi potevano accedere solo determinate persone in possesso di peculiari caratteristiche: persone in fuga da se stesse, come Arturo, o incapaci di trovare pace, come Fabrice.

Uno era morto e l'altro accusato di averlo ucciso. Le loro voci, una grave e tenebrosa, l'altra dolce e strascicata si fusero nella sua mente in una che non apparteneva a nessuno dei due, dissociata dalla loro presenza fisica, assumeva una sfumatura diversa e suonava estremamente desiderabile. La prendeva con la stessa immediatezza con cui la musica rapisce i sensi. E di colpo fu assalita dalla necessità imperiosa di sentirla vicina, di ballare al ritmo di quella voce cadenzata, di lasciarsi trasportare dalla sua corrente di testosterone. Quella voce però non esisteva nella realtà, era l'ennesimo canto illusorio di sirene.

Impossibilitata a starsene seduta su un divano alla maison a piangere per Arturo, nonostante non meritasse affatto le sue lacrime, e a preoccuparsi per Fabrice in galera, scese in strada.
Si stava posando la brina, cadeva la notte, e la nebbia si impossessava della città alla stessa velocità con cui l'angoscia la divorava dentro; si sfumavano i contorni degli edifici minacciosi, il mondo sembrava leggero e un tantino vuoto. Camminava per Basin Street e si sentiva come in un sogno. I punti di riferimento - le case di tolleranza, quelle da gioco, le sagome di lugubri magazzini - sospesi nell'aria come scenari teatrali, isolati e sconnessi in mezzo alla nebbia. Andava alla deriva in un paesaggio incompleto, una specie di bozzetto della New Orleans che conosceva, nell'aria disseminata di puntini luminosi. All'improvviso la vide in cielo, immensa, presaga, velata dalle lacrime e dalle nubi e dal vapore del suo stesso alito. L'immagine offuscata dalla luna piena. Un brivido le percorse la schiena. Una premonizione forse.

Si rese conto di essersi allontanata troppo. E così, rifece lo stesso tragitto all'indietro verso la maison, zigzagando per i marciapiedi, schivando ubriachi, riflettendo. Si sentiva in colpa per aver messo Fabrice nei guai. A nulla era valso dire ai poliziotti che non si era mosso dalla maison fino all'indomani mattina. E poi voleva vedere suo figlio. Come aveva reagito alla morte di suo padre? E ora che Arturo non c'era più, come avrebbe fatto a convincerlo che tutto ciò che il padre gli aveva raccontato era una menzogna? Lui le avrebbe creduto? Ne dubitava. Quello che faceva male, quello che faceva male davvero era una ferita infetta di impotenza, quel volere e non potere che la mangiava viva.
Si fermò di colpo davanti alla porta della maison, un uomo stava chiedendo di lei a Celeste.

«Sono io. Lei chi è?» chiese, sopraggiungendo alle spalle dello sconosciuto. L'interpellato si voltò di scatto al suono della sua voce.
«Billy Rothe del Dipartimento di New Orleans. Devo farle delle domande...» rispose, adocchiandola con un certo imbarazzo.
«Entriamo» disse Evelyn, e lo precedette.

Billy non era mai stato in un bordello, cosa singolare per un uomo della sua età che lavorava nel Quartiere. I suoi colleghi invece erano assidui frequentatori, vuoi per lavoro - accadevano spesso crimini all'interno dei bordelli - vuoi per piacere. Per quanto lo riguardava, le indagini che lo richiamavano sul campo, come quella in corso, erano davvero rare; inoltre era stato sempre un marito perfetto, o quasi, fino a cinque anni prima, quando la moglie lo aveva lasciato per una brutta malattia. Non toccava una donna da quasi dieci anni e, a dirla tutta, non sentiva la mancanza del sesso. E poi, cosa mai poteva offrire a una donna sul piano fisico? Era un vecchio catorcio! Con la buonanima della moglie c'era affetto e rispetto, ma le maratone di sesso - ai suoi tempi ci aveva dato dentro - dei primi anni di matrimonio erano un lontano ricordo. La condizione di vedovo dunque era quella ideale, si disse con convinzione, nonostante il suo sguardo si soffermasse sul fondoschiena della stangona dai capelli rossi raccolti in una crocchia che gli faceva strada.

Arrivarono in una specie di ufficio, piuttosto spoglio al confronto dell'opulenza delle stanze in cui venivano intrattenuti i clienti. Madame si girò verso di lui e gli indicò due sedie separate da un tavolinetto di mogano. «Prego, si accomodi» gli disse. Nel movimento che fece per sedersi, Billy avvertì il suo profumo. Dio... questo è il profumo della voluttà! Si vergognò subito del pensiero inopportuno. Doveva condurre delle indagini, non invaghirsi come un citrullo della proprietaria di un bordello!

«Agente Rothe, ho cercato di parlare con i suoi colleghi, ma non mi hanno dato ascolto...»
L'accento di Evelyn Walsh faceva sembrare scritta da Shakespeare anche la frase più banale. Come fosse finita a fare il mestiere era un mistero. Nonostante l'accento curato non era snob; e pur avendo dei pensieri che la preoccupavano, a giudicare dalla faccia, cercò di rivolgergli un sorriso sincero. «Perciò sono venuto qui, signora», si affrettò a rispondere. Stirò la gamba offesa con un sospiro di sollievo.
«Le posso offrire qualcosa?» chiese, notando la mano di Billy che si massaggiava la gamba offesa.
«No, la ringrazio» rispose, lapidario. Non voleva pensare a tutto ciò che Evelyn Walsh avesse da offrire a un uomo.

«Signora Walsh, perché Fabrice Gautier e Arturo Bosco hanno litigato ieri notte?» Billy la guardò negli occhi verdi da gatta. E intuì la risposta, per lei, avevano litigato per lei. L'esitazione nel rispondere, lo indispettì. «Non provi a mentire... sarebbe inutile.»
Evelyn deglutì. Cosa doveva fare? Inventarsi una scusa o dire la verità? Entrambe le opzioni erano pericolose. Dire la verità significava tirare in ballo la sua storia con Arturo e, soprattutto, Antony. E lei non voleva mettere in mezzo suo figlio. Lo avrebbe protetto a qualunque costo. Anche se ciò avesse significato mettere nei guai Fabrice? Forse poteva dire una mezza verità e sperare che l'agente Rothe se la facesse bastare.

«Arturo Bosco e io abbiamo avuto una relazione anni fa. Non lo vedevo da tantissimo tempo, poi qualche mese fa ha bussato alla mia porta con la pretesa di riprendere la relazione...»
C'era curiosità e un barlume di scetticismo negli occhi azzurri di Rothe. «E Fabrice Gautier cosa c'entra?»
Evelyn sospirò. «È il mio amante attuale.»
Billy fece un cenno di assenso con la testa. Dalle testimonianze raccolte dai colleghi risultava che Madame e Gautier andassero a letto insieme. «Quindi, Gautier, geloso di Bosco, l'ha ucciso.» «No!» Evelyn si alzò in piedi e strinse i pugni. «Fabrice non aveva motivo di essere geloso di Arturo Bosco!»

Sul volto di Billy Rothe lo scetticismo aumentò. «Quindi mi vuol far credere che tra uno spiantato pianista e un uomo ricco e potente come Bosco, lei, che vive vendendo sesso agli uomini, avrebbe scelto il primo?» Le parole taglienti di Billy grondavano sarcasmo. Tutta la malia che Madame aveva esercitato su di lui era sparita davanti alla consapevolezza che fosse una bugiarda. Billy Rothe detestava i bugiardi.

Evelyn si conficcò le unghie nei palmi. Prese un respiro per calmarsi. «Che lei ci creda o meno, signor Rothe, anche le donne come me non sono sempre in vendita. Arturo Bosco mi piantò dopo avermi promesso di sposarmi. Fui cacciata di casa dai miei genitori e accolta dall'ex proprietaria della maison... » Si sedette di nuovo.
Rothe non sembrava colpito dalle sue rivelazioni. «Quindi anche lei aveva motivi per odiare il signor Bosco?»
Evelyn gli rivolse un sorriso amaro. «Io avevo molti motivi per odiare Arturo Bosco. Certamente ne avevo più di Fabrice Gautier che ha litigato con lui solo per difendermi dalle sue molestie.»

Billy si strofinò il mento, pensieroso. «Sta confessando, signora Walsh?»
«No, signor Rothe! Né io né tanto meno Fabrice abbiamo lasciato la maison fino a stamattina. Dopo la lite ho dato una stanza a Fabrice... era provato, io mi sono occupata di ristabilire un po' d'ordine tra i clienti e le ragazze. C'è stato subbuglio dopo la lite...»

Rothe continuava a guardarla come se volesse scavarle dentro. Il tempo sembrava essersi fermato, anche i rumori della casa, il via vai dei clienti sembrava attutito alle orecchie di entrambi. Rothe inarcò le sopracciglia. «Nessuno ha visto Gautier dopo la lite. Lei è il suo solo alibi, così come lui è il suo. O sbaglio?»
«Non sbaglia. Le posso assicurare che Fabrice non è uscito dalla maison fino alle dieci di stamattina» rispose, ostinata. «Per quanto mi riguarda, Dora e Celeste le possono confermare che mi sono occupata della maison fino a chiusura. E poi, signor Rothe, mi ci vede ad accoltellare un uomo o a sopraffarlo in qualunque altro modo?» concluse, indicando se stessa.

Billy fece un sorrisetto astuto. «Signora Walsh, il signor Bosco non è stato accoltellato o sopraffatto in modo frontale, ma è stato colpito alle spalle... chiunque avrebbe potuto farlo, anche una donna o, addirittura, un ragazzino.»

Lui notò il pallore cadaverico sul volto di Madame. E dentro di sé gongolò. Billy Rothe sapeva bene di essere un bastardo senza scrupoli quando si trattava di raggiungere un risultato. Ma non era malvagio. Lasciava in pace la stragrande maggioranza degli innocenti, inoltre non rubava le caramelle ai bambini e non torturava gli animali. E una volta - nel lontano 1910 - aveva aiutato una vecchietta ad attraversare la strada, anche se nelle condizioni in cui era, l'aiuto sarebbe servito a lui. Quindi non era proprio cattivo, in fondo. Detto ciò, se nell'espletamento delle sue funzioni doveva comportarsi da vero bastardo, con chi con molta probabilità non se lo sarebbe meritato, non si tirava indietro, be', così andava il mondo: se volevi ottenere qualcosa non ti dovevi preoccupare di fare vittime collaterali. Alla lotteria della vita qualcuno ogni tanto perde. Quindi non si fece ammansire dello sgomento che aveva provocato in Madame, e ne approfittò per sferrare il colpo finale. «Allora, signora Walsh, è pronta a dirmi finalmente la verità?»

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