Capitolo X
La mattina dopo Louise si svegliò con il profumo di Fabrice sulla pelle. Si sorprese più volte nella giornata ad annusarsi cercando di mantenerlo vivo, registrarlo per sempre nel suo olfatto, seppellirlo nella ghiandola pituitaria, perché sapeva che presto o tardi sarebbe scomparso e non sarebbe più riuscita a ricordarlo in modo esatto. Avrebbe saputo che sapeva di cedro e arancio, e questo sarebbe stato tutto, non avrebbe mai più sentito quel solletico familiare nella narice. Così, nonostante quella mattina si sentisse sfinita, godeva di un ottimo umore, cosa strana per lei, l'umore che Fabrice le aveva trasmesso, l'umore che le si era appiccicato alla pelle insieme al suo profumo. E girava per i corridoi di casa sua quasi in punta di piedi, come se non potesse toccare il pavimento, da tanto si sentiva felice. Non sapeva quanto sarebbe durato, quanto ci avrebbe messo a svanire, come l'avrebbe ricordato nel giro di una settimana, ma in quel momento la sensazione era così vivida che le bastava chiudere gli occhi per vedere Fabrice come in una fotografia.
Non incrociò Paul, era uscito presto, e fu per lei un sollievo. Approfittò del fatto che la loro convivenza da anni routinaria avesse distanziato anche il debole rapporto amichevole. Si sentiva falsa, anche se non mentiva, si limitava a occultare la verità, che era diverso. Stava attenta a non ferirlo, così come faceva lui. Era vero che andavano a letto con altri e sentivano entrambi la mancanza di molte cose, ma non volevano ferirsi, sbattendosi in faccia la verità. Fabrice era qualcosa d'imprevisto. Proprio quando aveva deciso di chiudere la porta ad altri uomini, ma con molta probabilità, desiderando inconsciamente qualcosa, si era dimenticata di chiudere le finestre, e loro avevano permesso che Fabrice entrasse.
Rosa fece capolino dalla porta del soggiorno per ricordarle l'appuntamento con sua cognata Elisa, la moglie di Frank Bosco. La minuta domestica le lanciò uno sguardo incuriosito. Per un attimo ebbe timore che le si leggesse in faccia come aveva passato il giorno prima, ma poi si rassicurò, riflettendo sul fatto che era strano trovarla così di buonumore la mattina. La ringraziò e con un sospiro cominciò a prepararsi.
L'aria fuori si stava scaldando con velocità, Louise aprì il finestrino dell'auto. Profumi, dolci o piccanti che fossero, turbavano chiunque si addentrasse in quelle strade. Anche Elisa abitava nel Garden District, ma dalla parte opposta alla sua. Era il Quartiere più bello di New Orleans, pieno di alberi, storia e dimore antiche. I dolci arbusti lungo i marciapiedi aggiungevano una forte fragranza all'aria, mentre i cespugli di azalea costituivano una tumultuosa massa di colore su prati spaziosi e dentro i giardini privati, insomma ovunque si volesse posare lo sguardo. Entrò in un vicolo più stretto, dove recinti in mattoni si elevavano sotto archi di mattoni, si alzavano cancelli in ferro lavorato da entrambe le parti attraverso i quali era possibile vedere dei giardini straripanti di aiuole tra tortuosi sentieri. L'auto sfociò poi in una strada più larga, dove alte ville di città stavano tutte raggomitolate una accanto all'altra. Man mano che procedeva, le ville erano sempre più grandi, e i giardini erano prati, e i prati sempre più estesi. La vettura passò case di ogni stile, da quelle coloniali, alle residenze più moderne, davanti a una di queste si fermò.
Elisa, bionda e morbida, l'aspettava sulla soglia di casa con un vestito lungo blu pavone che metteva in risalto le curve generose. Era la sua migliore amica, anche se, a dir la verità, lei non riusciva ad aprirsi del tutto. Louise era abituata a rimanere in superficie di sé stessa con gli altri, si limitava ad ascoltarli sviscerare dubbi, incertezze, problemi della vita. Da quando Elisa era diventata madre la loro vicinanza era sbiadita, si era offuscata come i contorni di un'isola all'orizzonte. Prima invece avevano vissuto un'amicizia piena di complicità e confortante. Quando i rispettivi mariti erano fuori città per lavoro, Elisa si precipitava a casa sua.
Il letto di Louise aveva avuto per Elisa il fascino di una casa di campagna, quello di uno spazio che si conosce e in cui ci si muove a proprio agio, ma che, nonostante tutto, non si domina completamente. Elisa e Louise dormivano spesso insieme, e questa abitudine adolescenziale si spiegava, in teoria, con il fatto di sentirsi sole in case grandi e senza mariti. Ma sapevano entrambe, anche se non lo dicevano, che c'era qualcos'altro dietro. C'erano state notti di sbronze in cui il concetto di ammirazione si era allargato, dentro a quel letto, oltre il limite di quanto fosse accettabile per la morale. C'erano state mattine di silenzio, in cui nessuna delle due era riuscita a parlare di quella cosa che non potevano definire perché non sapevano che nome darle.
Mentre saliva i gradini della scalinata che portava alla villa, Elisa la guardò con gli occhioni blu sgranati e lei ritornò con la mente all'ultima volta che avevano dormito insieme tre anni prima.
Il corpo di Elisa si era stretto a quello di lei, cercando e invocando un benessere sconosciuto, in preda a un'emozione contraddittoria, un miscuglio di angoscia e conforto, di stupore e profonda intimità.
La bionda le sorrise e ritornò anche lei a quel momento. Ricordava gli occhi di Louise scintillare come diamanti, maliziosi e carezzevoli e di non poter fare a meno di ammirarli, pur sapendo che non erano occhi di cui fidarsi troppo. Ma brillavano con una luce tale sul viso delicato di Louise ed Elisa si sentiva così bene nel letto di Louise, vicino al tepore di Louise, calda e protetta sotto le coperte, che era stata disposta ad amare a priori Louise ancora più di quanto l'avesse amata prima e l'amasse in quel momento, con tutto il suo cuore imprudente. Perché Elisa sapeva, da molto tempo, che in fatto di emozioni il suo cuore si poteva solo definire imprudente, se non addirittura temerario, ma il fatto di saperlo non ne frenava minimamente le ambizioni. Aveva amato Frank in un momento della vita in cui gli uomini le facevano paura e amava Louise, l'irrequieta Louise, anche se non la capiva fino in fondo, perché lei era un bellissimo castello protetto da una cinta muraria invalicabile e a cui si poteva accedere solo tramite un ponte levatoio pericolante.
Si ricordava di aver posato la testa sul petto di Louise, che, circondandola con un braccio, le aveva accarezzato il collo e le spalle con dolcezza, con lo sguardo perso sul soffitto. Elisa poteva ascoltare i battiti accelerati del proprio cuore palpitante.
«A cosa stai pensando?» le aveva chiesto la mora.
«Alla felicità... ho capito che è fatta di momenti puntuali, come questo, di cui mi impadronisco e poi custodisco nei ricordi come se si trattasse di pietre preziose... »
Louise aveva sospirato e terminato la frase per lei: «Anche se sai che quanto più felice è il momento, tanto più doloroso sarà il ricordo della distanza. Quello che non possiamo ancora sapere è come ci farà male quel preciso ricordo».
Detto ciò, aveva tirato le coperte verso di sé e accomodato il proprio corpo contro quello di Elisa, aderendo alla cavità accogliente che creava l'esuberante anatomia della bionda.
Elisa aveva sentito che le saliva dalla punta dei piedi fino alle radici dei capelli, passando attraverso la colonna vertebrale, una specie di solletico di piacere, una calda e voluttuosa ondata d'affetto. Si era raggomitolata con il petto contro la schiena di Louise, che aveva addosso una vecchia e striminzita camicia da notte di cotone, e aveva infilato la mano sotto la stoffa per abbracciarla e accarezzare la sua pelle, tiepida e morbida come quella di un neonato. No, non era desiderio, aveva pensato tra sé e sé. Era qualcosa di più forte.
«Dormi. Domani mattina devo alzarmi presto... »
Le parole di Louise, formulate da una coscienza riscattata in extremis dai confini del sogno, erano colorite da una voce ruvida che le graffiava la gola, come se stesse asfissiando.
Tre mesi dopo Elisa aveva annunciato di essere incinta. Nei suoi ricordi Louise rivide tutto ciò che era seguito dopo come una specie di scarabocchio, un groviglio di ore umide e grigie che passavano in monotona successione; un rosario di date gonfie di nostalgia, una dietro l'altra, distinte solo dal nome che il calendario assegnava ai vari giorni. L'angoscia, come un vascello fantasma, sprofondava lentamente nel tempo melmoso; quell'angoscia di fronte alle cose cancellate, perdute, che si depositava dentro, come una pioggia interiore. Inutile qualsiasi tentativo di zittirla. Ma ora, pensò, eccola qua la mia amica, così vicina da poterla afferrare.
«Ti trovo bene» le disse solo, a dispetto delle tante cose che avrebbe voluto comunicarle, del tipo: "mi manchi".
«Sono felice che tu sia riuscita a venire. È tanto che non ci prendiamo un po' di tempo per noi.» Mentre le parlava, Elisa l'aveva presa sottobraccio con un gesto pacato e trascinata in casa.
«Le gemelle?»
«Sono a passeggio con Angelique... la figlia della governante. Anche lei ora lavora per noi.»
Elisa la pilotò verso il salotto. Lo sguardo di Louise vagò sul pavimento di marmo chiaro e sull'affresco dalle tinte delicate che decorava la parete. Vide cose che da molto non notava, e si ricordò di avvenimenti che si era lasciata sfuggire di mente. Un grande lampadario di cristallo pendeva da un soffitto alquanto elaborato, in cui prismi di luce danzavano scherzosamente, giocavano e si rincorrevano lungo le volute e i fiori che formavano l'intricato disegno. «Ricordi quando Frank e io insistevamo nel dire che il lampadario era troppo pacchiano e tu ti sei messa a ballare dicendo che ti faceva sentire luminosa?» Louise sorrideva al ricordo.
«Non ho mai avuto i vostri gusti raffinati!» rispose Elisa, prima di scoppiare a ridere.
«Come sta Frank?»
La bionda tornò seria. «Siediti... » disse, indicandole un divanetto accanto alla grande vetrata della finestra. Elisa amava la luce.
«Sta bene. Un po' preoccupato per l'arrivo di Arturo e sua madre.»
«Non mi dire» ironizzò.
«Non so se avere più timore di nostro cognato o di nostra suocera... »
Lasciò la frase in sospeso, aspettandosi che l'altra la terminasse.
Louise fece un gesto distratto con la mano, poi tirò fuori dalla borsa il lungo bocchino d'argento e un pacchetto verde scuro, da cui prese una sigaretta. Si alzò e andò dritta verso una scrivania, dove trovò una lampada per l'accensione; azionò la piccola manovella al centro. Dopo un paio di tentativi ne scaturì una scintilla che le permise di accendere la sigaretta. I Bosco amavano godere di tutte le nuove invenzioni prima di chiunque altro. La piccola diavoleria era arrivata un paio di mesi prima dall'Europa, realizzata da un chimico tedesco, Döbereiner. Anche a casa sua ne aveva una. Certo, era un po' ingombrante, ma con il tempo forse sarebbero riusciti a farne una versione più piccola e maneggevole.
Il primo tiro la confortò. Andò di nuovo a sedere accanto a Elisa. «Tra un prepotente e un'arpia la scelta è ardua» sospirò.
«Sai cosa mi ha detto l'ultima volta che è stata qui? Quando mi farete un bel maschietto! Sa benissimo che con le gemelle ho rischiato la vita.»
Louise fece una smorfia, scacciando uno dei suoi ricordi peggiori, quando Elisa aveva rischiato la vita partorendo.
«Frank avrebbe dovuto mandarla al diavolo.»
La bionda sembrò imbarazzata, non sopportava la minima critica nei confronti del marito. «Sai com'è Frank con la madre.»
Louise aspirò un'altra boccata di fumo. Tacque per un po', godendosi l'effetto del tabacco. «Lo so. Paul mi ha chiesto di farmi mettere incinta da un altro.»
«No?!»
«Sì.»
«Che hai intenzione di fare?» chiese preoccupata.
«Non sono come te, Elisa, sarei una pessima madre. Non voglio creare altra infelicità.»
«Troveremo una soluzione» le rispose sicura Elisa.
Louise l'abbracciò forte e pensò che abbracciando lei abbracciava un pezzo di se stessa, dal momento che Elisa, come ogni amore, era, al di là della propria identità, una costruzione, un sostegno su cui investire. In lei, come in ogni amante, c'era una parte di Louise, delle sue aspirazioni, dei suoi bisogni. E da lei, come dagli altri, aveva in cambio, pertanto, un riflesso di se stessa. Ciascuno aveva agito come uno specchio diverso permettendole di vedersi in modo differente. Era arrivata a Paul sentendosi orribile perché il padre non l'amava. E i passati amanti, che la desideravano, l'avevano resa bella; e grazie a Fabrice, da cui si era sentita ammirata, era diventata anche intelligente. E con Elisa, infine, da pari a pari, era tornata a essere una persona. Aveva costruito una piramide in cui ogni faccia, ogni triangolo, reggeva gli altri, e la somma di tutto era la stessa Louise.
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