Capitolo V
Storyville era l'unico quartiere a luci rosse legalizzato del Nord America, e rimase aperto fino al 1917.
I bordelli si trovavano principalmente nella zona di Basin Street e si affacciavano nella Southern Railway line. Il The Arlington, la Mahogany Hall e lo Star Mansion erano quelli di lusso, rinomati per la magnificenza degli arredi e per il fatto di ospitare le performance di grandi musicisti, pianisti o ensemble di archi, che le madame chiamavano per intrattenere gli ospiti, e questi accorrevano con piacere visto che i frequentatori di bordelli erano uomini piuttosto danarosi e prodighi di mance.
Qualche mese prima della chiusura, Fabrice aveva avuto la fortuna di esibirsi alla Mahogany. Avrebbe tanto voluto ripetere l'esperienza, ma le cose erano andate diversamente: i bordelli erano stati dichiarati illegali, anche se alcuni resistevano nella clandestinità, e i musicisti sostituiti con un grammofono o con un pianoforte a gettoni, come ai tempi d'oro si usava fare nelle case di appuntamento di più basso livello.
Sempre intorno a Basin Street, c'erano quelli che venivano chiamati cribs (lettini), delle bettole con una o due stanze dove le prostitute lavoravano su turni, e in pessime condizioni. Fabrice se ne era sempre tenuto lontano, lo riempivano di una tristezza tale da fargli passare ogni tipo di appetito. E il suo appetito sessuale era sempre stato superiore alla media, ma se era impegnato in una relazione, non cercava altrove, concentrandosi tutto sull'amata. Amanda una volta gli aveva detto che era "impegnativo" da quel punto di vista. Forse era così. In verità lui aveva sempre avuto l'impressione di non essere abbastanza bravo con le parole, che il più delle volte neanche ce la facevano a uscire dalla bocca, a esprimere l'intensità delle emozioni che provava. Sopperiva a quella sorta di afasia con il corpo. Come se usarlo per dare piacere all'altra potesse comunicare il sentimento che provava. Quasi che il piacere fisico potesse cementare il legame emotivo, che aveva paura di non riuscire a stabilire. Era forse servito a qualcosa? A niente.
In amore, come in borsa, più si investe più ci si rimette, tutto qua, perché a nessuno piaceva l'eccessiva devozione. L'angoscia della perdita esercitava una presa sull'oggetto delle sue ambasce, una presa più forte persino della serenità, e così finiva per amare sempre ciò che si temeva.
La donna che gli camminava davanti con movimenti felini lo portò dritto verso la sua alcova. L'aveva conosciuta qualche anno prima grazie a Maurice, assiduo frequentatore di bordelli. Anche quel giorno si era lasciato trascinare lì dall'amico, ma Madame, invece di assegnargli una delle ragazze, lo aveva portato nelle sue stanze.
Quando non aveva una relazione fissa, Fabrice tornava da lei, che non permetteva a nessuna delle prostitute di avvicinarsi a lui. Non se ne dispiaceva, anzi, l'ardore che la donna mostrava nei suoi confronti lo lusingava.
La casa era su due piani, il primo comprendeva una serie di saloni decorati, tra cui Il Salone Turco, Il Salone Giapponese, Il Salone di Vienna, ecc. C'era anche una Sala degli Specchi, di solito molto apprezzata dai clienti, e altre salette più piccole, tutte decorate con pitture, tende, statue e mobili in stile. Le ragazze che si aggiravano in quegli ambienti indossavano costosa e ricercata lingerie francese. Evelyn invece era vestita con un elegante abito nero, senza fronzoli, che le fasciava il corpo sinuoso. Aveva una morigeratezza nel vestire che contrastava in modo netto con la sensualità che il corpo emanava. A lui quel contrasto piaceva molto, soprattutto perché non amava trine, pizzi e merletti su una donna.
Salirono per una scala che portava al secondo piano, e alla fine di un lungo corridoio, anch'esso decorato in modo opulento, si trovarono di fronte alla stanza di Madame.
La mano di lei stringeva quella di Fabrice, tiepida e morbida. La sensazione del contatto gli parve elettrica, corrosiva, e la sentì scendere nel petto come una scarica calda e vibrante. Gli ronzavano le orecchie. Si dibatteva tra il vibrante desiderio di baciarla e prenderla lì, in piedi, contro la porta della stanza, e la voglia di attendere, assaporare pian piano il momento. Fu lei a prendere l'iniziativa, appena varcata la soglia della stanza, baciandolo. Si lasciò condurre da lei. E subì una sorta di caduta. Era felice, sentiva la vertigine avvolgente prodotta da ogni carezza di lei, dalle sensazioni che gli trasmettevano le sue terminazioni nervose, dallo sfregamento elettrico di ogni poro al contatto con le dita itineranti di lei.
Poi d'un tratto Evelyn posò la testa sull'ampio petto di Fabrice e la fermò lì, ninnata dal battito del suo cuore. Lui le accarezzò la guancia, lentamente, poi lasciò che le sue dita serpeggiassero tra i ricci della nuca di lei e poco dopo provò a scendere lungo la colonna vertebrale. Ed Evelyn gli si strinse ancora più addosso, raggomitolandosi come una gattina maliziosa. Fabrice le mordicchiò un orecchio. Lei chiuse gli occhi mentre quasi faceva le fusa dal piacere. Poi li aprì di scatto e lo guardò negli occhi. Riusciva a scorgere le diverse emozioni che rabbuiavano una dopo l'altra, così come cade su un prato l'ombra delle nuvole in corsa, e il viso angelico trasfigurato dalla forza del desiderio. E il desiderio di lui la fece sentire potente. Lo baciò di nuovo con forza, con decisione.
Raggiunsero il letto senza staccarsi, sempre baciandosi e inciampando nei mobili, spensierati come animali. Si spogliarono l'un l'altra e caddero allacciati sul letto. Mentre la baciava, e anche dopo, con l'ansia della pelle che affiorava fino ai denti, mentre continuava a mordicchiarla e a divorarla, Fabrice notò che c'era una candela accesa sul comodino.
Braccia si tesero verso altre braccia... Un ponte intimo e solido. La candela crepitava vane promesse contro la penombra. Quando lei pronunciava il nome di Fabrice la sua voce cambiava intonazione, diventava meno acuta fino quasi a tremare, come se tubasse, come se antichi sospiri fossero rimasti in sospeso nel suo petto per anni e le bastasse pronunciare il nome di lui per liberarli.
Evelyn era distesa bocconi, con le gambe piegate all'indietro e la schiena che si offriva come un sacrificio. La chioma rossiccia, che alla luce della candela assumeva tonalità capricciose e danzanti, le cadeva in cascate di spirali sulle spalle. Fabrice, da dietro, le afferrava le natiche per penetrarla con precisione rettilinea, irresistibile. Faceva male. Evelyn ricordava alcuni dei giochi che più le piacevano da bambina. La maggior parte di essi aveva a che fare con la fantasia che contemplava, come premessa, il fatto di venire legata. Principesse rapite, boia e prigioni... una corda, la canna del giardino, catene... Accessori per un complesso susseguirsi di passatempi rituali.
Quando lui toccò il fondo, entrambi emisero un gemito di sincronizzata soddisfazione. Il membro cresceva dentro di lei, come se si alimentasse della propria dimora. Faceva male, ma lei esalò un brivido ebbro di sottomissione.
Il tempo diventò totale come un oceano. Un oceano che, tuttavia, non placava la sete. Un oceano profondo e abissale in cui Evelyn si immergeva, tremando come una goccia, come un'onda fatta di tutte le onde, di scrosci di acqua sferzata dal proprio peso, di acqua versata alla confluenza delle gambe - là dove il suo sesso palpitava - di un turbolento fiume straripato con violenza.
Era difficile descrivere il dolce languore dei sensi che inebriava la coscienza, che cullava Evelyn con infinita dolcezza, le luci blu che arrivavano a illuminare i piaceri di quella lotta agonica. Gli occhi chiusi tremavano e tutto sembrava felicità che si estendeva alla morte, pace che arrivava al vuoto. Tra un uomo e una donna, tra un corpo e un altro corpo, tra un attimo e quello successivo, si aprivano spazi immensi che neanche il pensiero poteva misurare e mondi interi che li riempivano. Lei si trovava in un tempo congelato e tutto intorno girava e vacillava in quell'ultima ubriacatura, un'ebbrezza vitale, una musica strana e ipnotica che le ronzava dentro.
Evelyn gridava, gemeva convulsa fuori di sé, mordeva le lenzuola, conficcava le unghie nel legno del letto. Eseguiva una sinfonia di gemiti, serva e padrona del suo sesso, diapason di carne che teneva il tempo, si apriva e si chiudeva in un puro ritmo animale. E poi moriva dolcemente felice, e tutto si placava. Alcune pulsazioni annunciarono l'imminente sferzata di sperma. Tutta questa serie di sensazioni invisibili si incanalava di nuovo in uno spettacolo ricorrente e visibile: non avevano inventato nulla; per secoli, uomini e donne avevano giocato a inventare nel letto straordinari e grossolani insetti a otto zampe.
Quando tutto era finito, aveva alzato gli occhi e incrociato quelli di Fabrice. Si erano guardati cupi, come vincitori stanchi su un campo di battaglia.
Poi si addormentarono, sfiniti.
In sogno Evelyn avrebbe poi vissuto tante di quelle volte l'accaduto, che nel ricordo avrebbe sempre stentato a distinguere quanto aveva davvero fatto da quanto aveva solo sognato. La morbidezza della carne bruciante come se lei l'avesse incendiata, un luccichio di lacrime dentro un paio di occhi verdi, morsi, corpi mescolati e sudati, dolori piacevoli, l'odore dolciastro del sesso risultavano come qualcosa di incredibilmente forte e aspro e allo stesso tempo delicato, tenero, sfumato.
Quando la luce la colpì in piena faccia tornò lentamente alla realtà, benché non sapesse ancora in quale possibile realtà sarebbe riaffiorata.
Fabrice aprì gli occhi al raggio del sole nascente che filtrava dalla finestra, strappando fiammate fiammeggianti alla chioma leonina di Evelyn.
«Tornerai presto?» I sussurri pronunciati tra lenzuola suonavano amplificati, moltiplicati per dieci: tale era il potere del silenzio.
«Non lo so» rispose lui. «Forse.»
«E poi tu non dici mai bugie.»
«Non sarebbe una bugia. Non lo so.»
Evelyn si stirò come un gatto, e i capelli bagnati di sudore le si appiccicavano alla fronte ardente come un braciere. Mostrava ancora i segni del viaggio, del piacere: gli occhi verdi accesi come un semaforo, il collo teso, la bocca ilare e umida, e capezzoli turgidi, il ventre palpitante. E il suo corpo era come una bottiglia di vino svuotata del contenuto: ricordava la baldoria ed evidenziava un vuoto.
Evelyn, però, non si era comportata come avrebbe voluto, non aveva dato di sé tutto quello che poteva dare. Si era vergognata del proprio corpo, quel corpo che non aveva mai capito, che aveva odiato per tanti anni perché si trattava di un corpo di donna, perché lei l'avrebbe voluto piatto, senza seni e fianchi, un corpo che non la condannasse a essere una Evelyn che non voleva essere. Non aveva voluto essere attraente perché non riusciva a smettere di pensare alla ragazza che stava con Fabrice, al suo corpo che immaginava perfetto, senza cellulite o smagliature, esattamente come era stato il suo dieci anni prima, quando aveva ancora l'età della ragazza bionda con cui lo aveva visto al Cafè du Monde, e aveva rivisto quel viso da bambina, si era torturata al pensiero che quel corpo avesse a che vedere con il corpo di Fabrice più del suo - il corpo che lo teneva lontano da lei -, e così non aveva voluto che lui la vedesse. Si era limitata a lasciarlo agire e si era avvicinata solo alla metà di quanto avrebbe potuto dare di sé, delizia passiva, senza sforzo, astratta, assente, gioia senza riserve ma senza trascendenza, e alla fine si era addormentata con una certa sensazione di contatto epidermico, come se avesse toccato qualcosa con i polpastrelli delle dita senza però essere riuscita ad afferrarlo. E la sensazione aumentò ulteriormente durante il sonno, proprio come quando da bambina assaggiava una fetta di torta e le restava la voglia di mangiarla tutta, perché l'assaggio si era limitato a tentarla ma non l'aveva saziata.
Fabrice, al suo fianco, nella penombra della candela, avvolto nel grande silenzio che sembrava farsi ermetico attorno a lui, stava osservando le macchie di umidità sul soffitto come se vi fosse scritta la risposta alle sue domande. La percezione di soddisfazione che gli veniva dai propri sensi strideva con il senso di infelicità che ancora si sentiva addosso per la fine della relazione con Amanda. D'altra parte, quanto aveva fatto era avvolto da una vaghezza ideale che lo attenuava: era stato sedotto, e non da una donna qualsiasi. Evelyn era una donna particolare sotto molti aspetti. E sapersi scelto, tra tanti che sapeva disposti a pagare cifre esorbitanti per passare una notte con lei, lo lusingava, e gli dava un piacere paradossale, una sensazione di vanità che arrivava a coprire il disprezzo per se stesso per essersi consolato così velocemente mentre soffriva per un'altra.
Lanciò un ultimo sguardo grato alla donna che riposava al suo fianco, poi si alzò dal letto e si rivestì.
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