5. La vittima
Dopo il discorso di Dippett su quanto sia importante rispettare il prossimo, prettamente convenuto dopo lo scherzo dei Cavalieri, Dolohov addentò un coscio di pollo che teneva da parte sul suo piatto da almeno mezz'ora. Diventato ormai freddo e molliccio, quindi non più succulento come si presentava prima, Abel spostò il coscio di pollo verso il piatto di Mulciber, il quale senza farsi troppi problemi, lo spolpò in mezzo secondo.
Il serpeverde era ancora incupito dal discorso tenuto con la fidanzata, per così dire, che non si era nemmeno presentata nella Sala Grande per cena, lasciando un posto vuoto a tavola tra Walburga Black e Rosier.
Sebbene Dolohov fosse stato costretto dalla famiglia ad avere una relazione con lei, in un primo momento non negava di esserne felice; la trovava di una bellezza amara, quasi proibita, che non aveva mancanze di niente.
Eppure, dopo averla conosciuta, si era pentito di fare considerazioni tanto positive su di lei.
La verità è che Abel la riteneva una persona spregevole, che si divertiva gratuitamente ad usare la violenza, seppur non ce ne fosse bisogno, solo per il vano piacere personale.
E non aveva nemmeno provato ad entrare nella sua ottica, perché si era allontanato pressoché subito dalla ragazza, stipulando un accordo con lei sul non frequentarsi in situazioni sociali.
Era come condividere il cuore con il silenzio.
Con l'invisibilità.
Con un fantasma.
Al primo segnale di stanchezza, Dolohov si alzò dal tavolo suscitando sguardi confusi da parte degli amici, e si diresse verso l'uscita della Sala Grande con il permesso accordato da Riddle.
Scendendo verso i sotterranei si accorse di quanto fosse profondo il Lago Nero.
La luce verdognola penetrava dalle finestrate gotiche, lasciando intravedere spicchi di abisso che risplendevano timidamente al chiaro di luna.
Numerose creature come calamari e maridi popolavano gli infertili fondali del lago, facendosi spazio tra lunghe alghe imbrunite e viscidume appiccicato al vetro della finestra.
Rientrando nel dormitorio, Dolohov riuscì subito ad individuare Lilith e Davina, rigorosamente distanti l'una dall'altra, intente a leggere dei libri simili in genere; l'una leggeva "Alla ricerca del tempo perduto" di Marcel Proust, l'altra sfogliava tra gli antichi manuali di Babbanologia sul tempo e la mortalità.
Il tempo è un concetto astrattamente concreto. Sembra distante, intoccabile, e spesso inspiegabile, eppure tange ogni creatura allo stesso modo; chi viene graziato da esso e riceve una vita lunga e degna di essere raccontata, e chi, ahimè, scende a patti troppo duri. Ma tutti prima o poi diventano vittime del tempo.
E Dolohov sapeva che sarebbe ben presto stato pure lui un innocente martire del flusso del tempo. Avrebbe sicuramente rimpianto ogni azione non fatta. Ogni parola non detta. Ogni lacrima non versata.
E sarebbe stato accolto da un senso di colpa.
Perciò in quel momento parlare con Lilith gli sembrava la cosa più giusta da fare. Non voleva avere rimpianti. Voleva chiarire le cose con lei, voleva in qualche modo provare a scusarsi per la storia della Guferia. Voleva redimersi ai suoi occhi.
E non sapeva bene perché lo stesse facendo pur non essendo nel torto.
Ma non voleva, in quel momento, essere vittima della fuga del tempo.
La fuite du temps.
Lilith leggeva esattamente quelle quattro parole, quando sentì la voce di Abel provenire dalla sua destra.
"Io vorrei tanto provarci, ma tu me lo rendi difficile"
"Senti se sei venuto un'altra volta a fare la predica, puoi andartene e non tornare mai più."-sentenziò Lilith senza staccare gli occhi dal libro.
"Vorrei provare ad essere il tuo fidanzato, a capirne di più su di te. Vorrei provare a risolvere l'enigma che ti porti dentro. Ma tu non me lo lasci mai fare."
"Ti prego Dolohov, non ades-"
"Se non ora, quando? Il tempo fugge Lilith e noi siamo schiavi di questo momento. Nessuno ci guarderà mai dalla fine. Dovremo salvarci da soli un giorno. E perché non provare a redimerci ora?"-chiese il ragazzo, ottenendo come risposta il silenzio.
"E se io non volessi redimermi? Non ho nulla da cui salvarmi, se non da me stessa. E tu pretendi di venire qui a farmi un discorso incoerente sul tempo, quando sei stato tu il primo a volermi allontanare da te? Il tempo fugge, e noi lo lasceremo fuggire, non che potremmo impedirlo comunque..."-la ragazza si ribellò, chiudendo il libro sopra le sue gambe e rivolgendo finalmente lo sguardo ad Abel, che sembrava essere sull'orlo delle lacrime.
"Non possiamo alienarci dal tempo stando insieme, saremo sempre e solo un fugace attimo in una linea dritta e infinita che è il tempo, pensi che al tempo importi di noi?"-continuò lei.
"Il tempo non è necessariamente una linea dritta, io lo considero come un cerchio, un loop infinito che un attimo dopo la fine riparte da capo, come quando dalle 23:59 scatta la mezzanotte, ed è un altro giorno. E noi possiamo inserirci tra le lancette e tornare. Torneremo nelle prossime vite, non saremo Dolohov e Vervain ma saremo parte del cerchio. Due anime destinate a legarsi? Forse. Due perfetti sconosciuti? Probabile. Ma io credo che se dovremo stare insieme per sempre, dovremmo per lo meno provare a coesistere pacificamente."
Dall'altra parte della stanza Davina ascoltava questi discorsi coprendosi il volto con il libro per evitare che qualcuno la vedesse piangere. Le parole di Dolohov l'avevano colpita nel profondo, e il suo cuore sentiva esattamente quelle parole destinate a sé.
Anche lei forse era vittima del tempo.
Vittima della famiglia.
Vittima di un sentimento che non poteva condividere. Vittima della società.
Vittima del patriarcato.
Vittima del giorno e della notte.
Forse Davina un giorno avrebbe trovato il suo posto nel mondo, esattamente come Dolohov e Vervain avrebbero trovato il loro.
E si vive conoscendo null'altro che l'attimo in cui si esiste.
"Secondo me possiamo ancora rimediare. Siamo una canzone della quale abbiamo sbagliato a scrivere il testo"-si giustificò Dolohov, mentre Lilith si alzò in piedi fronteggiandolo.
"Senti non so bene cosa ti sia preso oggi Abel, ma stai veramente iniziando a scocciarmi, perciò vedi di andartene e di non farti mai più vivo con me fino al giorno del matrimonio forzato che dovremo affrontare."
Lilith se ne andò, lasciando Dolohov lì in piedi, con le mani che ripetutamente colpivano la testa. "Idiota, sei un'idiota"-si ripeteva.
Dei singhiozzi distrassero Dolohov dalla punizione che si stava auto infliggendo; Davina cadde come una roccaforte sotto assedio, piangendo e cercando di non darlo a vedere, ovviamente senza successo.
"Sono stato così penoso?"-chiese Dolohov alla Black, la quale si stava asciugando le guance con la manica del maglioncino.
"Oh no, è che questo capitolo del libro su...Gesù Cristo e la rinascita dell'Impero Romano è così commovente"-disse lei per dissimulare.
****
I Serpeverde tornarono nei loro dormitori dopo la cena.
Un centinaio di persone circa invase la sala comune, incontrando nel loro percorso Davina e Dolohov, vicini a parlare in uno dei divanetti.
Riddle, sebbene non ne capisse il motivo, sentiva una sensazione strana che cresceva dentro di lui. Perché Davina era riuscita ad ottenere la fiducia di uno dei suoi migliori amici? E perché lui stava fraternizzando con il nemico?
"Dolly ti ricordo che sei fidanzato"-sentenziò Avery non appena raggiunti i due serpeverde intenti ad intraprendere una piacevole conversazione sul tempo e sulle sue conseguenze.
"E io ti ricordo che Dolly è un soprannome che odio"-rispose lui alzandosi in piedi.
"Non c'è bisogno di sottolineare il fatto che sia fidanzato, credo che lo ricordi sin troppo bene"-a parlare questa volta fu Davina, la quale ricevette la curiosità di tutti i cavalieri.
"Ci rincontriamo di nuovo eh? Davina Black prima o poi mi farai impazzire"-la riprese subito Abraxas Malfoy spostandosi il ciuffo da destra a sinistra.
"Se fossi un po' più come Abel mi farebbe anche piacere parlare con te, peccato che, da quanto ho capito, vuoi solo portarmi a letto entro le vacanze di Natale, non è così Malfoy?"-rispose la ragazza con tono acido.
"Accidenti che udito felino"-commentò di rimando Abraxas, non sapendo che l'animagus di Davina fosse proprio un gatto.
"Già, proprio un udito felino"-ironizzò lei amaramente.
Riddle colse l'occasione per fare una proposta che lo avrebbe avvicinato al suo obiettivo; uccidere Davina per avere la sua anima da trasformare nel prossimo Horcrux.
Di Horcrux già ne aveva creati due.
Il primo era il suo stesso diario, ottenuto con l'omicidio di Mirtilla Warren, mentre il secondo l'aveva creato da poco durante la commissione importante che lo aveva tenuto occupato per un paio di giorni, l'anello di suo nonno Marvolo Gaunt, ottenuto con l'omicidio del suo stesso padre, Tom Riddle Sr.
Tom voleva che Davina Black fosse il suo terzo omicidio, e fremeva dalla voglia di creare un Horcrux con il suo sacrificio; il Medaglione di Salazar Serpeverde.
"Perché non ti unisci al gruppo?"-chiese lui sperando di manipolarla all'interno della cerchia, ma sapeva che il lavoro da fare con Davina sarebbe stato più impegnativo di una semplice domanda.
"Vedi i motivi per cui non dovrei farlo sono tanti, potrei metterci un po' ad elencarli tutti, e non sono sicura che tu staresti ad ascoltarmi tutta la sera"-rispose lei guadagnandosi le risa di Mulciber e Dolohov.
"Illuminami allora"-Tom si mise seduto vicino a lei guardandola intensamente negli occhi, sperando di metterla in soggezione.
"Potrei partire dal fatto che sei un pallone gonfiato per esempio. E che il tuo amichetto biondo platino non ha una buona affinità con me. Gli altri sono persone per bene, credo."
Mulciber le fece un occhiolino, facendole cambiare idea quasi simultaneamente.
"...e quello laggiù l'ho appena aggiunto ai perché non entrerò nel gruppo"-borbottò infine indicando Mulci che per tutta risposta si prese una gomitata da Avery.
"Ti imploro, ci manca una ragazza nel gruppo, per insegnarci qualche tecnica di rimorchio in più...cosa fare e cosa non fare con le ragazze per capirci meglio"-a parlare fu lo stesso Charles Avery.
"Ecco, quello che stai dicendo ora per esempio, non dirlo mai più, è sessista e da deficiente"-lo rimproverò lei, facendo guadagnare occhiatacce al ragazzo, specialmente Mulciber che qualche secondo prima era stato percosso proprio per un occhiolino innocente.
"Ragazzi lasciatela in pace, ha dato la sua motivazione, quindi perché insistere?"-spiegò Nott, forse dotato di un grande buon senso, o forse semplicemente rispettoso delle opinioni altrui.
"Prima di entrare nella vostra combriccola, se mai dovessi farlo, non mi dispiacerebbe conoscere i vostri nomi"-sentenziò infine Davina alzandosi in piedi.
"Io sono Nathaniel Mulciber"-si espresse il ragazzo di colore porgendole la mano.
"Io Frederick Lestrange, piacere"
"Ralston Nott"-accennò un gesto con la mano.
"Charles Avery, ma tu puoi chiamarmi come vuoi"
"Anche idiota?"-chiese lei
"Anche idiota può andare".
"È un piacere, io sono Étienne Rosier"-il ragazzo dai lineamenti più belli che Davina avesse mai visto le porse una mano, e stringendola lei riuscì a percepire un'energia sconosciuta, quasi piacevole. Il ragazzo emanava delle vibrazioni positive.
Ed Étienne si accorse subito che Davina lo guardava con occhi più dolci rispetto a come guardava gli altri.
E pure Riddle si accorse dei teneri convenevoli.
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