3. Il troviere
"Il sortilegio dell'impulsività,
avvicenda il ricordo
della mia più grande condanna
sentimentale.
Amarti, oserei dire
mi rivelò felice e tormentato
adorante e trasportato
dal dolor.
Grembo
dell'amor
mio per te, il tuo
olor che mi compiange."
Rosier aveva appena finito di recitare davanti ai suoi Cavalieri la poesia che aveva scritto per una misteriosa 'lei', la quale identità non aveva intenzione di rivelare, almeno non per un futuro così prossimo.
La candida e biancastra pelle di Abraxas quasi arrossiva all'udire le gentili parole scritte dall'amico Étienne, che a sua detta ci sapeva fare molto con le parole.
"Quanti giri di parole solo per portarla a letto Rosier, devi smetterla di leggere i romanzi da donna o finirai per diventare uno schiavo dell'amore"-Abel Dolohov dall'altro canto sembrava non apprezzare troppo le strofe in poesia del bruno.
"Secondo me invece è proprio così che si arriva al cuore di una donna, essendo affiliato a lei, rendendola partecipe dei tuoi sentimenti...cioè almeno così dicono"-si addentrò timidamente Frederick, il quale aveva smesso di prestare attenzione ai suoi compiti di Pozioni per dibattere.
"Se la rendi troppo partecipe finirà per manipolarti, prendi le redini della situazione in mano prima che ti ritrovi con le braccia legate come una marionetta"- rispose infine Abel addentando poi una mela verde.
"Parli così per esperienza Bel?"-Abraxas, che fino a quel momento non aveva azzardato una parola, si era immischiato nel discorso, forse per provocazione.
"Diciamo che né io né Lilith ci facciamo mettere i piedi in testa l'uno dall'altra"-si difese Abel continuando a mordere il succulento frutto.
"Ma se neanche vi parlate più ormai! È finita da un bel po', solo che siete troppo abituati a stare insieme per lasciarvi"-il biondo platino aveva iniziato a toccare dei tasti dolenti.
Abel e Lilith ormai stavano insieme da poco più di due anni, e la relazione era iniziata per una convenzione familiare. Ai Vervain serviva un appoggio economico da parte dei Dolohov, mentre questi ultimi vedevano nei Vervain dei buoni alleati contro Nati-babbani e Mezzosangue che minacciavano pericolosamente la meticolosa purezza del sangue magico. E con il matrimonio si sarebbe ripristinata la millenaria faida tra le due famiglie.
Perciò i due erano stati costretti ad avere una relazione, che si ripercuoteva ogni giorno nella loro quotidianità, fino ad arrivare ad una soluzione comune, ovvero il non parlarsi, e questo aveva migliorato le loro vite e il loro rapporto.
"Brax non entrare in discorsi che non ti riguardano"-l'aveva fermato l'amico Riddle, che prevedendo una risposta fisica da parte di Abel, aveva preferito prevenire.
"Potremmo fondare una società di poeti decadenti...temi come l'amore, la vita e il tempo, stronzate del genere che potrebbero fruttarci guadagno"-a parlare questa volta fu Mulciber, che stava ritagliando dei cuoricini di cartone da appendere fuori dalla sala comune per abolire gli stereotipi del 'cattivo serpeverde'.
"Ma se l'unico che sa mettere due parole sensate in fila è Rosier..."-ci fu un commento quasi generale da parte dei ragazzi, che trovavano azzardata la proposta di Mulciber di fondare una società di poeti, seppur segretamente l'idea non dispiaceva né a Lestrange, né a Rosier.
"Ci possiamo provare no? Io ho un paio di rime:
Oh civetta che scendi in picchiata
dal cielo azzurro
dalle nuvole bianche
con la tua scopa fiammante
lascia che ti..."
Mulciber non riuscì a terminare la poesia perché ricevette un colpetto sulla nuca da Dolohov.
"Che cos'è questa merda? Una civetta? Con la scopa fiammante?"-commentò Avery dall'alto del suo metro e ottantacinque.
"Beh è un paragone; vedi la civetta sarebbe la ragazza, che scende in picchiata con la scopa, magari a lezione di volo"-si giustificò Mulci, fallendo miseramente e scatenando le risa generali.
"Lasciamo la poesia a Rosier per favore, adesso ho bisogno del vostro aiuto"-Tom Riddle si immerse nel discorso, divenendo perno delle attenzioni dei ragazzi.
Assicuratosi di avere piena udienza continuò "dovrò assentarmi per qualche giorno, per andare a trovare mio padre."
"Ma come Tom, non odiavi i tuoi genitori?"-chiese Mulciber confuso, ricevendo uno sguardo di ghiaccio come risposta.
"Sì, certo che li odio imbecille, ma devo fare una commissione importante, poi tornerò qui, ma ho bisogno che se qualcuno dovesse chiedervi dove sono, gli direte che ho ricevuto una chiamata dall'orfanotrofio dove sono cresciuto e sono andato lì per ritirare alcune vecchie cose che mi appartenevano, e dovrete dire tutti la stessa versione"-il tono di Tom era cambiato, sembrava come famelico e alterato. La sua commissione era così importante da non poter essere rivelata ai Cavalieri? O forse l'avrebbe fatto una volta tornato?
Abraxas si riempiva la testa di domande, ma annuiva come risposta solo per gratificare il capo. Nella vita quotidiana lo chiamavano Tom, a lezione, nella sala comune, persino tra di loro nei dormitori. Ma quando arrivavano le sere di riunione nella Stanza delle Necessità, lui diveniva Lord. Odiava che i seguaci lo chiamassero con il suo nome babbano, perciò per il breve tempo che caratterizzava le loro riunioni, lui assumeva un'altra identità, quella di Lord Voldemort.
"Per quanto ti assenterai?"-chiese infine Brax dopo aver accantonato le mille domande mentali.
"Un giorno, forse due, massimo tre"-rispose Riddle soddisfatto perché i suoi seguaci non avevano fatto troppe domande scomode.
****
Vagando per i corridoi dei sotterranei del castello, Abraxas fiutò un odore di biscotti appena sfornati che proveniva in direzione delle cucine, e decise di deviare la rotta.
La stanza che si apriva davanti a lui era immensa, quasi più grande della Sala Grande, riempita di postazioni da cucina per gli elfi, con calderoni che bollivano e rilasciavano fumi rosa o gialli. Le creature domestiche cucinavano senza sosta ed avevano tutte uno stesso abbigliamento, ovvero un sacco di iuta che copriva parzialmente i loro corpicini lavoratori.
"Che cosa ci fai qui?"-a parlare era la studentessa di Serpeverde più temuta dagli altri studenti.
"No, che cosa ci fai tu qui?"-sentenziò di risposta Abraxas che non si aspettava di certo di trovare la Vervain in una cucina piena di elfi; probabilmente li stava flagellando.
"Non sarai mica venuta ad avvelenare il cibo"-chiese poi Brax facendo qualche passo indietro.
"Per quanto mi piaccia l'idea di vedere tutti quegli idioti morti, no, sono venuta a mangiare un paio di biscotti"-rispose la ragazza dai capelli corvini, che si rigirò verso la teglia in cerca dei biscotti più grandi.
"È così che si placa un demone? Con i biscotti?"-se ne uscì sarcasticamente Brax, con la successiva ed impellente paura di essere cruciato sul posto.
"Se mi conoscessi veramente..."-bisbigliò Lilith, senza accorgersi di star parlando e non di pensare e basta.
"Se ti conoscessi veramente? Continua mi hai incuriosito"-chiese Brax.
La Vervain si gelò sul posto, rassegnata al fatto che Abraxas l'avesse sentita.
"Okay, farò finta di non aver sentito per smorzare l'imbarazzo"-dichiarò il serpeverde seguito da un ghigno della ragazza.
Dopo vari secondi di silenzio, Malfoy riprese i suoi passi sulla via del ritorno, con un paio di biscotti in mano e uno in bocca. Lasciava la cucina abbastanza contento di aver avuto un'interazione civile con una ragazza così temuta, tanto che iniziò a pensare che forse non era così cattiva come veniva dipinta dall'esterno.
Era sicuramente stata responsabile di qualche osso rotto e dente scheggiato tra gli studenti, ma tutto sommato quella doveva essere solo una corazza, perché il modo in cui avevano interagito qualche minuto prima non prometteva una ragazza maligna.
Necessariamente, la persona che poteva saperne più di tutti doveva essere Abel. Anche se i due non si parlavano più da qualche tempo ormai, nei primi momenti di relazione c'era stata un'intesa, che tutta via era scialacquata in fretta.
Forse solo lui poteva conoscere la vera Lilith Vervain, ed era ora missione di Brax fare scoprire a tutti che non si trattava di una ragazza violenta, ma solamente di una incompresa.
L'unica amica che si era procurata la Vervain era Walburga Black, una ragazza altrettanto macabra e maligna, con la differenza che la Black aveva decisamente molta più influenza sociale, visto e considerato che era una strega ricca e potente. Walburga non si presentava da subito come perfida, solo con il tempo si poteva arrivare a capire quanto potesse spingersi oltre, fino alla morte, per ottenere i suoi obiettivi. Non a caso pure lei era stata smistata in serpeverde.
Al contrario di sua cugina Davina, Walburga era accecata dalla purezza di sangue, e difendeva gli ideali di sterminio dei "nati Babbani" con tutta sé stessa.
Non poteva permettere che il mondo magico fosse contaminato da cotanta sporcizia.
E i suoi ideali avevano ben preso preso piega nella mente di Lilith, che aveva iniziato ad appoggiarla e a denigrare assieme a lei tutti quegli studenti che non appartenevano di diritto familiare al mondo della magia.
Abraxas poteva considerarsi nel mezzo; non odiava l'idea di purezza del sangue, ma non era nemmeno ossessionato da essa. L'unico motivo per il quale proseguiva con codeste idee era l'influenza che la sua famiglia aveva su di lui.
Ma nessuno si era mai interessato di cosa importasse a Brax veramente. L'unica cosa che poteva liberarlo dal marcio del mondo nel quale viveva era l'amore.
Un amore che, però, non era libero di vivere.
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