22. Veritas

TW: disturbi alimentari.
"Verità"

Qual è la realtà dei fatti?
Cosa si prova dopo aver scoperchiato l'ammasso di polvere e cenere che la copre?
Che copre la verità.

Qual è la geniale sensazione che si nasconde dietro di lei?

Quanto è sonoro il tonfo di un corpo che cade a terra, stremato dal fatto che non ha più energia per continuare ad elevarsi?
Quanto è profonda la ferita di quello stesso corpo che per anni ha finto di non avere niente?
Quanto tempo servirà per rimarginare il danno?
Per coprire le cicatrici.
Per assimilare.

Le domande erano sempre di più, crescevano copiosamente, come cresceva il numero di arabesques.
Sollevare la gamba all'indietro senza energia era un'impresa.
Ed era diventata un'impresa anche nascondere questi problemi al resto del mondo.
A passare le giornate fingendo che andasse tutto bene, mentre in realtà niente andava bene.

L'unico attimo di gioia veniva donato a quel corpo solo da lei. La sua certezza. La sua verità.

Una pirouette dopo l'altra.
La prima liberava lo spirito da quel senso di appetito costante.
La seconda liberava la mente dai problemi.
Ancora una terza e una quarta sovvenivano in aiuto alle altre due per sgombrare quel corpo da ogni preoccupazione.

Ma il corpo non ce la faceva, doveva accasciarsi a terra.
Il corpo voleva sparire.
Si sentiva ingombrante.
Troppo.

E ancora una volta rialzarsi in piedi per continuare quella danza infernale.
Un elevé a contrastare la pesantezza sul dorso.
Uno chassé finale, perché cacciare era diventato fondamentale per quel corpo.
Cacciare via il cibo dalla gola.
Cacciare via l'ansia con la danza.
Cacciare via le persone ficcanaso dai suoi problemi.

Chasser.

Quel corpo ormai privo di forze guardava dal pavimento la Stanza delle Necessità trasformata in un'aula di danza. Respirava affannosamente a terra contrastando la necessità di svenire.
Contrastava sé stesso e i suoi bisogni.

Osservava la sbarra diventare sfocata alla sua vista, e lo specchio che si ergeva davanti a sé stava pian piano abbandonando il riflesso di quel corpo sdraiato.
Di quel corpo abbandonato, che non aveva un abitante dentro da quasi due anni.
Sorrideva, provava ad essere felice, e qualche volta ci riusciva grazie all'aiuto di persone che lo facevano sentire più vivo.
Ma in fondo non lo era, non più.

Non costantemente come un corpo dovrebbe essere.

E più si diceva che il cibo era un amico e non un nemico, più falliva a comprendere.
Perché la verità era che quel corpo non voleva capire.

La mente lo costringeva a inibire le serotonine.
E allora il corpo si ribellava, urlava contro la mente per cercare uno spiraglio di salvezza, un'incessante litigata che portava sempre alla vittoria quest'ultima ma mai il corpo.

Niente.

"La smetterai mai di farmi questo?"-si chiedeva ogni volta prima di uscire da quella stanza, con la consapevolezza di non poter fuggire da quella sensazione incontrollabile di cibo, che puntualmente veniva riversato dentro qualche cesso della sala comune dei Serpeverde.

Con un muffliato silenziava l'ambiente e vomitava.
Piangeva, se lo sentiva necessario, ma alla fine si risvegliava sempre meglio, sapendo di non aver messo su peso.

La danza non lo avrebbe mai permesso tutto questo.

****

"Idea, che personalmente mi sento di descrivere come geniale, fantastica e suprema!"-ammise Mulciber addentando un tortino di zucca voracemente.

"Piantala e racconta, prima che ti strozzi con quel dolcetto"-sentenziò Avery guardandolo con aria di sufficienza.
"O prima che la cena finisca, molti hanno finito di mangiare e credo vorranno rientrare nei loro dormitori."-disse Lestrange guardandosi intorno.

"Non andranno da nessuna parte senza di me, andiamo Mulci spiegaci tutto"-lo convinse Riddle ascoltando attentamente.
"Beh allora, Tom, essendo caposcuola, potrebbe proporre una magnifica gita per i ragazzi dell'ultimo anno a Londra al preside Dippet, e noi, una volta lì, ci dilegueremo in silenzio dalla calca di gente per andare a trovare il nostro caro Nott."

"Mulci non funzionerà mai, e se ci scoprissero cosa gli diremo, che siamo andati a trovare un amichetto fuggitivo? Lo stanno ancora cercando al Ministero perché i suoi genitori non si sono arresi, verremmo coinvolti se andassimo da lui"-chiarì Abel continuando a mangiare porridge al cioccolato.

Cibo. La vista di tutto quel cibo ingurgitato faceva accapponare la pelle.

"Invece, Dolly, io credo che sia un'idea geniale. Uno come Nott avrà sicuramente protetto la casa dove sta abitando con qualche trucchetto appreso a Divinazione, perciò sarà molto difficile riuscire a trovarlo per quelli del Ministero. Parlerò con Dippet domani mattina stesso per proporre."-concluse Riddle dileguandosi per guidare gli allievi di Serpeverde verso le camerate.

Anche i Cavalieri e Davina si alzarono dalla loro postazione, pieni dal ricco pasto che avevano appena fatto.
Qualcuno di loro si sentiva colpevole per questo.

"Accidenti sto scoppiando"-annunciò Mulciber toccandosi la pancia rigonfiata. "Non avrei dovuto mangiare così tanto".
"Dopo questa credo che andrò in bagno di corsa"-ne rise Abel cingendo un braccio attorno alle spalle dell'amico.

Colpevole.

"Non fate gli schifosi perfavore"-ne rise anche Davina camminando a passo sostenuto per stare dietro agli altri ragazzi.
Sentì la mano di Rosier cingerle la vita in un confortevole abbraccio.

Perché non poteva semplicemente dirgli che era incapace di ricambiare i suoi sentimenti?
Ancora una volta colpevole.
Cercava con lo sguardo Tom, ma era troppo in avanti per essere visto dai suoi occhi grigi.

Il viaggio di ritorno verso il dormitorio era carico di tensione.
Discorsi sul cibo.
Discorsi sull'amore.
Discorsi.

Una volta rientrati nella sala comune i Cavalieri si abbandonarono sui divanetti di fronte al camino, appropriandosene velocemente prima che potessero farlo altri studenti.

"Comunque Davina fare i bisogni è fisiologico, non devo nasconderlo"-ammise Abel toccandosi la pancia sull'orlo dell'esplosione.

Colpevole.

"Assolutamente, ma non c'era bisogno di urlare in corridoio che stavi avendo un attacco esplosivo nell'intestino, potevi benissimo tenere l'informazione per te."-disse la ragazza seduta accanto a Rosier.

Colpevole.

"Ha ragione Davina, sei un maiale"-lo sbeffeggiò Lilith passando lì vicino a passo spedito, dirigendosi verso il suo dormitorio.
"Ah e così state...riparlando?"-chiese Avery evitando di farsi sentire dal resto della sala comune.

"Beh diciamo che ci sto lavorando sul farmi perdonare, ma sì, ogni tanto tra battute e risate riesco a riavere un pezzo del suo cuore alla volta"-Abel aveva il cuore che batteva un po' più forte ultimamente, grazie all'aver riacquistato una parte di Lilith dopo le vacanze di Natale.

La sera in cui erano ubriachi, la stessa sera in cui Davina e Tom stavano per concedersi l'uno all'altra, Lilith ed Abel si erano baciati.
Un bacio di tregua dall'ostilità.
Un bacio che aveva contrassegnato un momento di inizio, in cui si erano ripresentati come se non si fossero mai conosciuti.
Il momento giusto per ricominciare.

"Accidenti Dolly, quanto siamo dolci questa sera"-commentò Avery squadrandolo dalla testa ai piedi con orgoglio.

Dolci.

"Sono proprio un pasticcino"-ironizzò Dolohov arricciando il naso.

Pasticcino.
Calorie.

Quel corpo non poteva neanche pensarci per un secondo in più.

"Vado un attimo in bagno"-sentenziò prima di alzarsi dal divanetto.
Quel corpo doveva svuotarsi.
Doveva eliminare il cibo da sé.
Doveva.

Era un dovere morale che si imponeva alla fine di ogni pasto abbondante, quando mangiava troppo.
Si abbuffava incessantemente, e i suoi amici non si accorgevano che non metteva su nemmeno un grammo in peso.
Che era sempre uguale.
Forse più esile qualche giorno.

Si avviava velocemente dentro il bagno sentendo la gola bruciare, con l'impellente necessità di rigettare fuori tutto.

Colpevole.

Era stato così fragile da abbandonarsi al caloroso e confortevole abbraccio del cibo, ma ancora una volta la sua mente gli urlava contro di aver sbagliato. Di avere questa grande colpa.

Si accasciò a terra davanti a quel gabinetto, come se la sua vita dipendesse dal riuscire a svuotarsi.
Non ebbe la forza di pronunciare nemmeno un muffliato, perché i sensi di colpa lo logoravano.

Piangeva a singhiozzi, mentre riusciva pian piano a forzarsi il vomito.
Due dita che conoscevano il tratto familiare dalla lingua all'ugola, riconoscevano il
pavimento dove camminavano e si guidavano da sole.

"Rosier...che cosa stai facendo?"-chiese Mulciber sull'uscio della porta del bagno, con la cintura dei pantaloni ancora slacciata.

Non si era accorto della sua presenza.
Colpevole.

"Come ho fatto a dimenticarmi la porta aperta.
Come ho fatto a dimenticare il muffliato.
È una routine per me"
Continuava a pensare addossandosi tutte le colpe.

La verità era venuta a galla.

🤍
Spazio autrice: il capitolo è un po' più corto degli altri, ma forse fin ora è quello che ha maggiore significato per me.
Ho avuto l'idea di scrivere un capitolo come questo il 15 marzo 2021, nel giorno in cui si festeggia la lotta contro i disturbi alimentari, e  forse non sono riuscita a rappresentare appieno ciò che si prova vivendo nella malattia, ma ho portato la mia storia  nei panni di Rosier.
🎗💜

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