21. Spes contra spem

"La speranza contro la speranza"

Decidere quale delle due uccidere, e quale salvare.
La speranza di trovare Nott, di rivedere i suoi occhi del medesimo colore, la sua carnagione sempre chiara, lo stesso carattere serio e a volte cupo.
O la speranza di non riuscire a trovarlo, lasciandolo solo nella sua metamorfosi e libero di cambiare le sue sorti.

Spes contra spem.

Perché le due speranze si equivalgono, giocano armoniosamente l'una con l'altra fino a litigare, come i bambini che per sbaglio si fanno male e l'uno incolpa l'altro.
E da quel momento le cose degenerano e una speranza cerca di prevaricare l'altra in una lotta.

Spes contra spem.

E alla fine la speranza vincitrice è quella che prende l'arma e accoltella alle spalle l'altra, uccidendola totalmente.

Charles non aveva ancora perdonato Abel per il misfatto della sera precedente, e continuava a tintinnare un dito sul tavolo durante la lezione di Aritmanzia.
Fissava un punto nel vuoto escogitando un modo per andarsene dal castello per cercare Nott, aveva disperatamente bisogno del suo amico.

"Signor Avery, potrebbe smettere di fare confusione perfavore?"-chiese il professore non appena individuata la fonte del rumore che da qualche minuto disturbava la lezione.
Ma Avery non ascoltava, continuava a fissare un punto tra la cattedra del docente e la finestra retrostante.
La sua bocca quasi completamente asciutta dalla sete di vendetta verso Walburga.

"Signor Avery"-continuò imperterrito il professore, ma niente. Charles era come imbambolato. La sua mente elaborava i piani più disparati per le due situazioni che lo tormentano. I neuroni facevano scintille.

"Vada fuori!"-lo intimò il professore sbattendogli un libro sopra il banco.
Avery fu riportato alla realtà con il rumore, ma non sapeva perché il professore ce l'avesse tanto con lui.

"Che cosa è successo?"
"Vada fuori!"
"Ma io non-"
"Fuori!"-sbraitò quest'ultimo indicando la direzione ad Avery con l'indice.
Charles cominciò a raccogliere la sua roba dal banco alzando gli occhi al cielo e sbuffando. Non gli era stato concesso nemmeno di distrarsi per un secondo.

Tramava dei piani molto articolati per Walburga; avrebbe voluto prendere la sua faccia e stritolarla tra le sue mani. Oppure usare la maledizione Cruciatus su di lei esattamente come lo aveva fatto la ragazza su Davina.
La sua mente era un calderone scoppiettante di idee, l'una più malsana dell'altra, ma del resto non si poteva avere idee normali quando si parlava di Walburga Black.

La odiava con tutto sé stesso, era perfida e non aveva scrupoli, e fortunatamente era riuscito a capirlo prima di innamorarsi di lei.
Per molti anni era stato affascinato dalla sua bellezza, dall'aura proibita che la circondava, ma dopo aver scoperto la follia della sua mente la disprezzava con rancore.

Uscendo dalla porta della classe Avery si sentì pervaso da un'idea geniale.
Abel aveva accennato alla ragazza nata Babbana amica di Nott, sicuramente lei doveva sapere qualcosa.
Probabilmente sapeva dov'era.

In fretta e furia si diresse verso l'aula di Incantesimi, dove i Grifondoro avevano lezione con i Corvonero. Lo sapeva perfettamente perché molte volte aveva saltato le sue di lezioni per gironzolare per il Castello.

Ad ampie falcate procedette verso l'aula nascosta da una porticina scarna e lignea.
Bussò tre volte per farsi sentire, ed entrò non appena ricevuto un "avanti" da parte del professore.

"Buongiorno, potrei rubare la signorina Fontaine per un secondo, il preside Dippet ha chiesto di lei"-annunciò sulla soglia della porta, circondato dagli sguardi interrogativi degli studenti, in particolar modo quello della Wyatt e della stessa Aurora.

"Certo, se si tratta di questioni importanti non la terrò di certo qui con me"-rispose il professore concedendo ad Aurora il permesso scritto per sostare fuori dall'aula.

Con un passo spedito la ragazza procedette verso l'uscita andando incontro ad Avery, il quale chiuse la porta non appena assicuratosi che la ragazza fosse di fronte a lui.

Iniziò subito a interrogarlo. "Che cosa vuole quel vecchio di Dippet? Aspetta...non dirmi che sei uno dei suoi scagnozzi e gli riferirai tutto, in tal caso ripropongo la domanda: cosa vuole il mio amato preside Dippet?"
Avery emise una risatina divertita guardandola dalla testa ai piedi.

"Pensi che sia qui per Dippet?"-continuò lui avvicinandosi a lei, facendola indietreggiare di qualche passo.
La ragazza annuì confusa sentendosi prevaricata dalla figura del Serpeverde.
"No piccola, sono qui perché tu sai dove si trova Nott, te lo leggo negli occhi"-sentenziò lui incrociando le braccia.

Il suo tono era cambiato, e gli occhi presentavano una leggera sfumatura di rabbia.

"N-non so di cosa tu stia parlando"-esordì lei sentendosi alle strette, ma per sua sfortuna Avery non aveva voglia di giocare; lo capì quando la sua mano calda le cinse il collo, facendole sbattere la schiena contro il muro.

"Non funziona così Aurora, lo sai? Per tua informazione sappi che sono una persona che non sta ai giochetti, preferisco la verità. Perciò tu ora mi dirai dove si trova Ralston, oppure...non vuoi saperlo. Non vuoi sapere cosa potrei fare a questo bel faccino che hai."-Avery aveva avvicinato di molto il suo viso a quello di Aurora, tanto che lei poté percepire il fresco odore di pino che contrassegnava la sua essenza.

"Ralston non vuole che lo sappia nessuno"-continuò lei a fiato corto, ma lui continuò a tenere la mano sul suo collo, ferma e decisa.

La tensione era molto evidente e chiara, era diventata chiara persino ai quadri che tappezzavano il corridoio, e le figure si muovevano da cornice a cornice per sussurrarsi qualcosa nelle orecchie tra di loro.

"Ralston è il mio migliore amico, e io non voglio fargli del male. Su questo spero che tu ci sia arrivata. Voglio solo sapere se tornerà, e perché ha chiesto aiuto a te e non a noi Cavalieri. Ti chiedo tutto questo per assicurarmi che stia bene."-la voce di Avery cominciava a tremare, si stava facendo sovrastare dalle emozioni.

Una lacrima iniziò a formarsi su entrambi gli occhi e fu costretto a lasciare il collo di Aurora per asciugarsela con le dita.

Aurora sentì un piccolo senso di colpa nel vedere l'amico di Ralston così, perciò fece uno sforzo di cuore e gli rivelò tutto.

Gli rivelò dove si trovava, e perché si trovava lì.
Cominciò a raccontargli di come avessero passato delle vacanze di Natale stupende, e di come si sia integrato da subito nella famiglia Fontaine: passava molto tempo a giocare con i gemelli, preparando casette di legno con gli attrezzi del padre, leggeva favole della buonanotte a Fleur, e le insegnava anche come padroneggiare quegli apparenti poteri che aveva sviluppato, e si faceva truccare e acconciare dalle due sorelle Emeraude e Alizée.

"I miei genitori lo adorano, e anche tutti i miei fratelli. Ogni sera prendo della Metropolvere e passo dal camino della sala comune di Grifondoro per tornare a casa. Una volta pensa che l'ho trovato in cucina che preparava dei biscotti"-ne rise Aurora, suscitando una risatina divertita anche in Avery.

"Sì, è tipico di Nott. Si sente in colpa perché crede di non meritare così tanta ospitalità e prepara i biscotti per ringraziare. Mi stupisco che non sia un Tassorosso"-esordì Avery guardandosi intorno.
"Comunque mi ha fatto piacere sapere tutto questo di lui...e scusa se sono stato brusco nei modi, ma io ci tengo veramente troppo a Nott, e a tutti i miei amici, e non sapere niente di lui mi faceva stare male."
"Non preoccuparti"-rispose lei-"la prossima volta potresti evitare di strozzarmi ma...va tutto bene".

****

Tornato nella sala comune dei Serpeverde, Avery si sdraiò stanco morto sul divano, rilasciando un sospiro di sollievo accanto a Davina.
La ragazza poggiò il libro sopra le sue gambe per guardare Charles riposarsi.

"Buon pomeriggio Char, qual buon vento ti porta qui?"-chiese la Black scostandosi i capelli dalla fronte.
Avery si rialzò seduto con un sorriso a trentadue denti. "Niente...potrei aver avuto notizie del nostro caro fuggitivo"
"Davvero? Dimmi tutto, cosa aspetti?"-chiese lei rannicchiando le ginocchia al petto in ascolto.

Avery iniziò a raccontarle dell'incontro con Aurora, e di come si fosse sentito all'idea che Ralston stesse bene. Aveva la conferma che il loro amico era in buone mani e non avevano motivo di preoccuparsi per lui.

"Sai alla fine i Sanguemarcio non sono così male...almeno non Aurora"-ammise Avery portandosi una mano ai capelli.
"Certo che non lo sono, a volte i peggiori, come abbiamo constatato, possono essere i Purosangue come Walburga o i suoi genitori"-ne sorrise Davina.

"Secondo te invece..."-Avery cambiò discorso puntando il dito verso Frederick -"che cosa sta facendo Lestrange davanti a quello scrittoio? Non fa altro che passare le sue giornate a scrivere lettere da due settimane a questa parte"
"Beh si sarà dato alla poesia, ricordo che la prima volta che vi ho sentiti parlare tutti insieme quest'anno volevate fondare una società di poeti decadenti"-mimò con le dita le ultime due parole provocando le risatine divertite di Avery.

"Già...purtroppo non è mai andata a buon fine, dato che l'unico capace a comporre è Rosier, e in questi giorni mi sembra molto giù di morale. È rimasto da solo in camera e si rifiuta di uscire se non per le lezioni."-disse il ragazzo accavallando le gambe.
Davina si riscoprì un po' giù di morale nell'udire quelle parole.
"E se andassi a parlargli? In fondo sono sicura che io potrei provare a tirarlo su."

"Oh sì, fidati che gli tireresti su qualcosa in più del morale"-Avery si lasciò sfuggire queste parole senza neanche pensarci, e Davina lo scrutò con sguardo inquisitorio. "Non intendevo dire nulla di male sul tuo conto, è solo che lo sai che tu gli piaci molto...ed è una reazione biologica, sai, l'erez-"

"Sei stato sufficientemente chiaro Charles, grazie della spiegazione"-asserì Davina alzandosi in piedi, con in testa la chiara destinazione del dormitorio di Rosier.

****

Bussò alla porta battendo le fragili dita sul legno duro, ma non udì alcuna reazione da parte di Étienne.
Così riprovò dopo qualche secondo a battere più forte i pugni sulla porta, guadagnandosi un mugolio del ragazzo. "Mulci se sei venuto un'altra volta a dirmi delle nuove scarpe che ti ha comprato tua madre, puoi benissimo ficcartele nel c-"
"Sono Davina"-chiarì la ragazza con un leggero sorriso che spuntava dalle labbra.

Rosier si silenziò subito all'udire quelle parole, e non ci mise molto ad aprire la porta. Portava la divisa stropicciata, la cravatta che una volta gli cingeva il collo, era diventata un misero accessorio cadente e scombinato. Gli occhi sembravano essere gonfi e arrossati, come se non avesse fatto altro che piangere.
Entrando Davina si rese conto che il letto di Rosier era perfettamente intatto, mentre quello di Nott aveva le coperte stropicciate.

"Hai dormito sul suo letto?"-chiese lei addentrandosi verso il centro del dormitorio.
Un delicato odore di cannella le pervase le narici man mano che si avvicinava al letto di Nott.
"Sì..."-ammise Rosier sdraiandosi sulla brandina dell'amico.
Davina si sedette ai piedi del letto, sentendo la coperta di lana che sfiorava le gambe scoperte.

"Sono portatrice di buone notizie...Ralston sta bene ed è a Londra"-chiarì lei guadagnandosi uno sguardo incredulo da parte di Étienne.
"C-come lo sai?"-chiese lui palpitante.
"Beh...è un segreto"-lo stuzzicò lei con un ghigno divertito sul volto. "Ma non devi preoccuparti, lui sta bene dov'è ora. Sicuramente gli manchi, come lui manca a te, però sul serio è in buone mani, e si diverte a sfornare biscotti"-Davina poggiò una carezza sulla guancia inumidita di Rosier, che subito accolse con la sua mano.

"Ti ringrazio per avermi informato, sto molto
meglio. Pensavo di non mancargli. In realtà penso che non mancherei a nessuno se scomparissi io..."
"Non dire queste cose! Non è vero, perché in primis mancheresti a me, sei il ragazzo più dolce che io abbia mai incontrato, seconda cosa i tuoi amici non lo danno a vedere, ma ti amano dal primo all'ultimo, e dulcis in fundo, verremmo a cercarti esattamente come stiamo facendo con Nott, perché sei fondamentale per il gruppo. Il nostro piccolo francesino"-chiarì lei dandogli un pizzicotto sulla guancia destra.

"Que tu viennes du ciel ou de l'enfer, qu'importe,
Ô Beauté! monstre énorme, effrayant, ingénu!
Si ton oeil, ton souris, ton pied, m'ouvrent la porte
D'un Infini que j'aime et n'ai jamais connu?"
"Sono lusingata dal fatto che tu mi stia citando una poesia di Baudelaire, mais je crois que tu dois savoir que je parle et comprend le français parfaitment"-concluse lei lasciandolo senza parole.

"Tu parles très bien le français. Et si je te disais que j'aime ta voix, que dirais-tu ?"
"Je vous remercierai pour votre gentillesse, mon chère"

Rosier prese ancora più coraggio e confidenza.

"E se ti dicessi, in italiano, che mi piaci da impazzire, come me lo tradurresti?"-chiese lui avvicinandosi al suo volto.

Davina si sentì per un momento sgomento nell'udire quelle parole. Chiaramente sapeva di piacere a Rosier, ma non era sicura di ricambiare totalmente i suoi sentimenti.

Sperava di poter un giorno ricambiare al cento per cento, con ogni centimetro del suo cuore quell'affetto, ma al contempo sperava di avere l'amore di un'altra persona.
Una persona che l'aveva fatta sentire viva.
Una persona della quale era gelosa come non lo era mai stata.
Una persona che segretamente la faceva inebriare di sensazioni.

Tom.

Spes contra spem, ancora una volta e per sempre, perché le speranze non arriveranno mai ad essere allo stesso livello, l'una dovrà prevalere sull'altra.
Quindi quale lasciar prevalere?

Una fiamma che spenge le sensazioni circostanti, fino a ucciderne l'animo, brucia tutto ciò che incontra nel suo cammino e divampa diventando un incendio.
Passione.
Perché è una passione che si vive da un momento all'altro.
Sensazione, e precisamente per esser più chiari Emozione.
L'emozione che procede facendosi strada nel corpo, e non chiede indicazioni, sa precisamente dove andare.
Non chiede il permesso per entrare.
Non chiede scusa se fa male.

Davina si abbandonò per un fugace attimo a Rosier, concedendogli e concedendosi un bacio ricco di adrenalina, che provocò in lui il battito accelerato, mani sudate, un pizzico di rossore in volto.

Dentro di sé la Black sapeva di aver sbagliato, ma non poteva sottrarsi ormai.

"La speranza contro la speranza"

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