20. Cavalieri e Dame

Uno di loro non c'era più.
La complessità del vuoto, come riuscire a capirla?
A capire un'assenza che voracemente divora le altre presenze, lasciando spazio nel pensiero solo a sé stessa.
Un'assenza dolorosa che non si spiega a parole ma tramite sguardi. Tramite gli sguardi che i Cavalieri si lanciavano da una parte all'altra della stanza senza parlare.
Non osavano fare rumore.

Abel e Tom avevano dato la notizia, e nessuno poteva credere alle loro parole.
Mulciber pianse.
La sensazione di vuoto, la complessità intrinseca di quest'ultimo entrava dalle loro bocche e permaneva nei loro animi.
Si stanziava nei meandri delle loro viscere, incapace e nolente di uscire.
Una percossa alla gioventù.

La speranza di ricevere un ultimo abbraccio.
Un sussulto notturno.
Una carezza al cuore.
Un fremito del battito.
Una foglia che cade ma non fa rumore.
Una goccia di rugiada che bagna il fiore.
La luna.

Chissà quali pericoli avrebbe nascosto quella luna là fuori, Nott avrebbe trovato un riparo? Sarebbe riuscito a sfuggire a questo destino che lo perseguitava come un esule?
Le domande non risposte.

"Non può essere. Tornerà, vero? Vi ha detto dov'è?" -chiese Rosier poggiando la testa sulle mani incrociate tra loro. Gomiti poggiati alle ginocchia, sguardo fisso a terra.

Dolohov fece cenno di no con la testa, un cenno che provocò uno sconforto generale ancor più forte.

"Se solo potessi prendere i suoi genitori tra le mani li ucciderei"-esplose Avery alzandosi in piedi.
"È tutta colpa loro cazzo. Questa mania dei matrimoni, del sistemare i propri figli in modo da garantirsi la vita felice la odio. Sono delle cazzo di persone, ma si rendono conto?"

No. La risposta più ovvia era che non si rendessero conto. O ignoravano completamente i sentimenti dei figli, marionette pilotate dalle loro mani, dita intersecate tra i fili.

L'aspetto opalescente della rifrazione della luce lunare nei fondali del Lago Nero trasmetteva inquietudine.
Un connubio originale, stretto nei cuori dei Cavalieri.
Il fondale assomigliava alle loro menti in quel momento.
Oscurità.
Oscurità come ciò che videro nel momento in cui seppero che Nott era sparito dalle loro vite.
Imprecisione.
L'imprecisione della lacrima che bagna la guancia e cade senza fare rumore.
Entropia.
Confusione.

In quel momento era impossibile per loro rimanere saldi e dimostrarsi forti come avevano sempre fatto.
Era impossibile lasciare che le avversità attraversassero i corpi dolenti senza lasciarsi abbattere.
Una pietra che non scalfisce il diamante, ma scalfisce il talco.

In cuor suo Abel sapeva di avergli detto qualcosa quella notte, ma l'alcol gli aveva fatto dimenticare tutto.
Rivedeva solamente qualche scena nel bagno dei Vervain, Nott accasciato a vomitare, lui stesso che provava a consolarlo.
Gli aveva detto qualcosa, ma non era sicuro di cosa.
Probabilmente era stato lo stesso Abel a suggerirgli di scappare, ma non ne era così sicuro.
Le parole gli sovvenivano alla memoria frammentate, esattamente come i ricordi.

Si sentiva tremendamente in colpa di non ricordare nulla.
Un tonfo sordo.
Brax aveva cominciato a prendere a calci il muro piangendo, in una maniera quasi disperata.
"Fanculo, FANCULO!"-ripeté urlando, non gli interessava di essere visto o sentito dagli altri Serpeverde della sala comune, in quel momento avrebbe persino ucciso pur di riavere indietro il suo amico.
Lestrange lo riprese da una parte prendendolo per le spalle. "Amico, smettila. Dare di matto non lo riporterà indietro, ma unire le nostre menti per cercarlo, forse potrebbe." -scandì chiaramente Frederick guadagnando la calma di Malfoy.

"Ho bisogno che restiate in voi, lo dobbiamo a Nott. Non è morto, per quanto ne sappiamo, perciò faremo del nostro meglio per cercarlo e riportarlo tra noi, o quanto meno aiutarlo a restare nell'oblio, ma con noi al suo fianco. Non possiamo permettere che si faccia del male, l'ha esplicitamente detto nella lettera, che se lo avessero riportato qui avrebbe preferito togliersi la vita. Quindi perfavore, discrezione."-Tom annunciò solennemente un discorso che si fece strada negli animi giovani dei Cavalieri. L'uno dopo l'altro cominciarono ad unire le mani al centro di un cerchio che avevano creato con i loro corpi diritti.

Un palmo sopra l'altro in segno di apprensione, di amicizia.
Un palmo dopo l'altro che simboleggiava l'unione delle forze, l'unione delle menti.
L'unico obiettivo era individuare Nott e proteggerlo dalle intemperie della vita.
Insieme.
I Cavalieri di Valpurga sigillarono le loro mani assieme in un gesto carico di emozioni, la fratellanza che li univa da bambini. Il rispetto reciproco e l'amore che li univa.

Alcuni più di altri erano uniti da un amore ben più forte, che andava oltre l'amicizia, e si guardavano maliziosamente sperando che nessuno cogliesse i loro intenti.

Abel, d'altro canto, soffriva. Non riusciva a ricordare.
Era come se gli fosse stata strappata via la memoria un pezzo per volta.
Vedeva un Ralston sfocato nella sua mente, apriva la bocca ma i suoni che uscivano erano ovattati e per nulla chiari.
Un attimo di disdegno per sé.

Tom risultava il più composto tra tutti, non aveva versato una lacrima.
Eppure nella sua mente girovagavano pensieri cupi; e se gli fosse successo qualcosa, se lo sarebbe mai perdonato?
Quella sera era troppo occupato a desiderare una ragazza piuttosto che aiutare il suo amico.
Quella sera avrebbe potuto opporsi all'unione, e invece era felice, perché Anyta gli sembrava una valida candidata per Ralston.
Quella sera...

****

Camminando per i corridoi Abel riusciva ancora ad osservare i suoi sensi di colpa che danzavano per la mente.
La testa bassa come a non voler guardare davanti a sé.

Abel. Il nome del ragazzo lo torturava, perché le sue origini erano ben più nobili di lui.
Abel o Abele era il figlio Adamo ed Eva, i progenitori della stirpe umana.
Sentiva sulle spalle il penso di essere la punta dell'iceberg.
Sentiva di avere un nome che non gli apparteneva, un nome troppo importante per essere affibbiato ad una figura immatura come la sua.
Abele, amato da tutti, temuto da pochi.
Eppure Abel al contrario era amato da pochi e temuto da troppi. L'unico amore che desiderava era quello della persona sbagliata, che aveva ferito così profondamente da non essere sicuro di riuscire a farsi perdonare.
Girovagava per il Castello con i pensieri di Nott, Lilith e di sé stesso. Un loop infinito che lo metteva a tacere di fronte allo spettacolo della sua mente che lo bloccava.

Improvvisamente qualcuno lo urtò, lasciando che si risvegliasse dai suoi pensieri.
Una ragazza di altezza media, con i capelli biondi e allisciati raccolti a mezzacoda lo fissava con un'aria indisturbata.

"Guarda dove metti i piedi"-la riprese lui aggiustandosi la divisa stropicciata.
Lei continuava a guardarlo e per poco non rise di fronte al suo tono sgarbato.
"Sei tu che cammini con la testa fra le nuvole, dovresti guardare dove vai"-continuò lei sulla stessa linea d'onda, senza mai perdere l'aria serena dal suo viso.
Abel scosse la testa, per poi fermarsi a guardare la sua cravatta.
Presentava delle rifiniture verdi e argento, della casa di Serpeverde.
Eppure avrebbe giurato su sé stesso di non averla mai vista all'interno della sala comune. Né a nessuna lezione che frequentava lui.
Nemmeno nel tavolo della Sala Grande.

"Questa cravatta è tua?"-chiese lui insinuando.
Lei assunse una strana espressione sul volto, un'espressione di confusione e simile alla paura.
"N-no...è di un mio caro amico, devo essermi sbagliata quando ho fatto la lavatrice...e comunque non devo darti spiegazioni di niente! Perché non te ne vai?"

Tutto si fece chiaro nella mente di Abel. Il ricordo di quella sera gli tornò vivido nella mente. Il ricordo di quando lui aveva suggerito a Ralston di andare a casa della sua amica nata Babbana. La Fontaine. Doveva essere proprio lei quella ragazza stramba e indisturbata che lo aveva fatto impazzire.
Non lo biasimava, era una bella ragazza, e molto originale nei modi di fare.

"Sei...Aurora?"-chiese Abel facendosi avanti, ma lei per tutta risposta iniziò ad indietreggiare fino a fuggire via da davanti a lui.

Abel ricordò tutto. Quella sera lo aveva spinto a scappare.
I suoi presagi avevano un fondamento; la colpa era sua.
Ma ora sapeva dove si trovava Nott, e doveva custodire questo segreto con i Cavalieri.
Nessuno oltre a loro doveva saperlo.
Nessuno sarebbe stato in grado di proteggerlo se non loro.
Abel corse verso la sala comune, con il fiato che iniziava a scarseggiare e i polmoni che bruciavano, ma non gli interessava, doveva correre.
Per annunciarlo ai suoi amici, ai Cavalieri.

Arrivato all'uscio della porta fatta di pietre incastonate l'una sull'altra, sussurrò la parola d'ordine della sala comune, e si fece spazio per entrare una volta che la porta si formò dallo spostarsi dei mattoni.

Riuscì ad individuare i suoi amici intenti a giocare a scacchi in un'emozionante partita che vedeva protagonisti Avery e Mulciber, con una netta vittoria del biondo sul mulatto.
D'intorno c'erano Davina seduta sul tavolo di fronte alla biblioteca, Lestrange intento a narrare gli avvenimenti come se si trattasse di una partita di Quidditch, e Rosier e Tom che duellavano con lo sguardo per avere l'attenzione di Davina puntata su uno di loro.

Non vedendo nessuno nelle vicinanze, Dolohov si affrettò a correre verso di loro senza fiato.
"Ragazzi, so dov'è...ho...io...so dov'è Ralston"-annunciò ansimando in maniera disumana, poggiandosi sulle sue ginocchia per riprendere il respiro tra una parola e l'altra.

La partita terminò nel silenzio, e Dolohov si guadagnò sguardi confusi in risposta.
"Che cosa intendi dire? Sai dov'è? Come hai fatto a scoprirlo?"-chiese Avery alzandosi in piedi, il suo sguardo andava corrugandosi.
"Mi sono ricordato di averglielo...suggerito quando ero...ubriaco"-continuò Dolohov con il fiato ancora troppo corto per formare una frase completa.
"Ci stai dicendo che tu lo sapevi e ci hai fatto stare così per due giorni di fila? Nell'oblio più totale?"-Avery sembrava avvelenato in quel momento, completamente fuori di sé. Ci vollero Lestrange, Tom e Rosier per tenerlo fermo.

"Ero completamente fuori Charles, mi sono ricordato...perché oggi ho visto la Babbana...che Ralston aiutava con Trasfigurazione!"-esclamò Abel vedendo come tutti fossero inferociti con lui.
"Io vi...prego di credermi, ho fatto di tutto per ricordarmi. Avevo dei flash improvvisi nella mente, ma non riuscivo a ricordare di avergli suggerito di fuggire...vi prego dovete credermi non ve l'ho tenuto nascosto perché...volessi farvi preoccupare"

"Così gliel'hai suggerito tu?"-una figura in penombra cominciò ad uscire da dietro ad una colonna, ispida come sempre nei toni, il volto contratto in un ghigno.
Walburga sapeva tutto.

"Vattene, giuro che ti ammazzo"-sentenziò Abel guardandola negli occhi.
"Tardi, ora mi dirai dov'è il mio caro amico di lunga data Ralston, colui che ha detto che sono invidiosa della mia cuginetta insulsa, oppure tutti nel mondo magico sapranno che sei stato tu a farlo fuggire."

La scena si ripeteva, ancora una volta.
Walburga era in possesso di informazioni vitali per tutti loro.
Era la padrona della baracca di burattini, e decideva come maneggiarli tra le sue dita a piacimento.

"Io non ti dirò un bel niente, fai quello che ti pare, non mi spaventi più"-esplose Dolohov gettandole un libro addosso, colpendola solo di lato a causa dei riflessi felini di lei.

"Lei verrà con noi."-tutto d'un tratto Tom intervenne nel discorso posizionandosi di fronte a Walburga. "Non temere cara, avrai la tua vendetta"

"Tom ma che cosa..?"-chiesero quasi in coro.
Riddle ammiccò in direzione di Davina velocemente, facendole cogliere il segnale che stesse mentendo.

Aveva un piano.

"Walburga ha ragione, deve sapere dove si trova Nott. Ha ferito il suo onore e merita vendetta, non credete? Perciò faremo come dico io, e non voglio obiezioni. Porteremo Walburga con noi felicemente e trattandola con il rispetto che merita. Non ha mai fatto niente di male, non è così?
Spero che tu cara ti troverai egregiamente con noi Cavalieri."-concluse Tom prima di lasciare un ghigno in direzione dell'altra Black seduta sul tavolo. Il suo tono persuasivo aveva ingannato Walburga alla perfezione.

"Tom è un fottuto genio"-pensò tra sé e sé Davina.

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