17. La lettera
Tutto si preparava alla nobile guerra.
Lo stomaco si contorceva brutalmente arrivando a causare un dolore inspiegabile, come se una decina di ulcere dolessero contemporaneamente.
I polmoni bruciavano, richiedendo più ossigeno per funzionare, e il ritmo della respirazione diventava irregolare da suscitare una momentanea vista di fosfeni scintillanti, come se si fosse stati abbagliati dalla luce del sole, per qualche secondo.
L'udito ovattato rendeva più difficile percepire i suoni, che arrivavano all'orecchio confusi e rallentati.
La bile che risaliva all'esofago.
Tutto partecipava alla guerra.
Agli attacchi dall'esterno.
Cosa accade quando ci si sente minacciati?
Il corpo si prepara, sa che deve proteggersi, e deve essere veloce a prevenire l'urto.
Sa che deve riuscire a proteggere l'anima che abita quella casa, quel corpo così fragile.
Un ammasso di ossa, di carne, di nervi, che solo se abitato dall'anima funziona, altrimenti non sarebbe altro che un rifiuto organico.
Nott non credeva nell'anima, non credeva in nulla che non fosse tangibile e corporeo, ma in quel momento gli parve di sentire un qualcosa elevarsi fuori da sé stesso, come se avesse percepito per un secondo l'anima che si staccava dal suo corpo.
In quell'istante aveva sentito la sua razionalità ammorbidirsi, per potersi spiegare il fenomeno che aveva vissuto, accolse dentro di sé l'ipotesi che il suo corpo stesse reagendo per proteggere qualcosa.
"Figliolo caro ti senti bene?"-il padre di Ralston lo stava osservando dall'esterno, non potendo percepire nulla di quello che lui stesse provando in quel momento.
La sensazione della nobile guerra.
Ralston annuì, sentendo ancora i suoni che gli pervenivano ovattati e non nitidi come sperava.
"È ovviamente un matrimonio che porterà tanta gioia e fortuna, e siccome sappiamo che ancora non hai compiuto la maggiore età, aspetteremo i tuoi diciotto anni per organizzarlo."
La madre di Lilith sembrava così contenta all'idea. Tutti sorridevano, nessuno si opponeva per lui. Nessuno pensava realmente a cosa importasse per Ralston. Non era un giocattolo nelle mani di chiunque, lui avrebbe desiderato vivere la vita che pensava per sé.
Voleva studiare e realizzarsi economicamente.
Non aveva tempo per pensare ad una famiglia.
Almeno non appena compiuti i diciotto anni.
Desiderava viaggiare e fare esperienze concrete di tutto quello che è il mondo fuori dalle quattro mura di casa. Voleva vedere le città Babbane, visitare quei monumenti e magari farsi scattare delle foto dalla sua Polaroid.
"Sicuramente il nostro Ralston sarà felice di sposare vostra figlia, è una donna bellissima, e ha solo un anno in più di nostro figlio."-chiarì la madre di Ralston guardandolo negli occhi. "Non è così mio caro?"
Il ragazzo aveva il cuore che batteva quasi fuori dalla gabbia toracica. Non poteva permettersi di farsi dettare la vita da altre persone, non voleva.
E sebbene i suoi genitori vedessero una grande opportunità in quel matrimonio, Ralston aveva idee ben diverse.
"No"-scandì bene lui serrando i pugni, sguardo fisso sul pavimento.
"Cosa amore? Tutto bene?"
"Ho detto no, mamma. Non mi sposerò con Anyta. Vogliate scusarmi signora Vervain, sua figlia è bellissima, e per di più sono sicuro che sia molto educata e rispettosa, ma non posso sposarla. Io voglio studiare e voglio una stabilità economica prima di mettere su famiglia, se mai lo farò"
Ralston continuò a guardare il pavimento, aveva paura di incontrare lo sguardo di qualsiasi persona tra i presenti.
Non poteva rinunciare alle sue priorità per una vita che gli era stata consegnata in mano già dipinta e realizzata. Lui voleva scoprire giorno per giorno cosa il mondo avesse da offrirgli, e sebbene non fosse ancora un uomo cresciuto, aveva le idee chiare.
Improvvisamente sentì un qualcosa collidere con la sua guancia. Uno schiaffo che lo rese vulnerabile per qualche secondo.
Non riusciva a respirare né a parlare. Sentiva solo il bruciore aumentare sulla sua candida pelle biancastra.
Gli veniva giù una lacrima dall'occhio ma dovette trattenerla.
Non.
Mostrare.
Emozioni.
Suo padre lo aveva appena colpito, sul suo volto c'era dipinto un ghigno rabbioso, che disapprovava completamente la sua decisione riguardo Anyta.
Era tutto premeditato.
A lui non era concessa scelta di alcun tipo.
Non era una domanda, il "se" volesse sposare Anyta, ma era solo una prova, era un modo per vedere la sua reazione.
Nessuno gli stava chiedendo se volesse farlo, doveva.
"Non ti azzardare a contraddire le nostre decisioni Ralston. Ormai è stato deciso. Ti sposerai con Anyta non appena raggiunta la maggiore età" -sentenziò il padre annerito.
I presenti stettero a guardare inermi, nessuno faceva niente per lui.
Era un fantoccio nelle loro mani, e lo sapeva. Era conscio del suo destino.
Ralston annuì e per un secondo incrociò lo sguardo della signora Vervain, che aveva gli occhi più sbarrati del solito.
"Va bene, se devo lo farò"
La madre di Ralston sembrava così contenta che avrebbe potuto saltellare sul posto, accompagnata mano nella mano dalla Vervain, che aveva ora un sorriso a trentadue denti.
Il ragazzo si sentiva debole e inutile, così tanto che percepiva l'alcol che aveva bevuto risalire pian piano verso dove l'aveva ingurgitato.
Senza proferire parola si avviò a passo deciso in direzione del bagno.
Sentiva tutto risalire. Non solo il cibo. Nemmeno il vino. Sentiva la rabbia, l'incapacità che in quel momento lo contraddistingueva.
Perché doveva essere sempre il burattino di tutti?
Mai il primo.
A volte desiderava essere Tom.
Tom non aveva obblighi, se non quelli che si autoimponeva.
Tom non doveva sposarsi, se non voleva.
Tom si impegnava nelle cose per sé stesso, e per ricavarne piacere personale, non era obbligato a studiare per essere favorito dalla famiglia.
Tom otteneva con poca fatica.
Ai suoi occhi Tom era tutto ciò che voleva essere.
Ripensava a questo mentre si dirigeva in bagno.
Aprì di scatto la serratura e si ritrovò accasciato a terra. Il suo viso pericolosamente vicino al gabinetto.
Con un colpo di tosse rigettò tutta quella rabbia e l'insicurezza che teneva dentro nel cesso, senza accorgersi della presenza di una persona in particolare, che sapeva meglio di lui cosa volesse dire quel momento.
Abel lo guardava dall'uscio della porta, chiudendola successivamente dietro le sue spalle per evitare che qualcuno sbirciasse all'interno.
"Ralston..."-si limitò a dire vedendo l'amico ancora gettato a peso morto sulla tazza del bagno.
"È successo lo stesso anche a me, quando la madre di Lilith mi ha chiamato per parlare.
I miei genitori ovviamente erano d'accordo, sorridevano tutti quel giorno. Non ho provato nemmeno per un secondo ad oppormi perché sapevo che sarebbe stato inutile.
Anche io sognavo di dipingere la mia vita da solo, di avere dei figli con chi volevo io.
Guarda invece dove sono, la mia fidanzata non è più la mia fidanzata perché l'ho tradita con la sua migliore amica che è una psicopatica, e ora sono nel suo dannato cesso a guardarti vomitare, mentre la mia vita scivola passivamente davanti ai miei occhi"
Quelle parole colpirono Ralston nel profondo del suo cuore. Gli mancava un appoggio amichevole da qualcuno che potesse capirlo.
Si fece forza e si alzò da terra barcollando, facendo attenzione a non cadere aiutandosi con le mani appoggiate al muro.
"Ma ancora hai una scelta Nott, puoi sempre scappare."
Ralston non scappava mai dai problemi, li affrontava come un campione, sempre.
Ma in quel momento la proposta di Dolohov gli sembrò fin troppo interessante per essere ignorata.
"Scappare? E come potrei farlo? Mi troverebbero e sarei disonorato."-esordì il ragazzo ritrovando la stabilità nei suoi piedi.
"Potresti farti aiutare da qualcuno...non hai quell'amica nata Babbana? Sicuramente lei conoscerà qualche luogo in più nel mondo non-magico."
Ralston si sentì per un attimo illuminato dal pensiero di Aurora, quella ragazza così strana che sembra fregarsene di tutti nel mondo. Probabilmente se ne sarebbe fregata anche di lui.
Ma in cuor suo sapeva di non avere molte alternative.
Vivere la sua vita nel mondo Babbano, o finire in schiavitù nel mondo magico?
Entrambe le due opzioni gli sembravano aliene al momento.
****
"Davina, come stai? Mi sembri un po' a pezzi"-esordì Nott prendendo Davina da parte.
"Ciao Ralston, wow che serata meravigliosa non credi anche tu? Le candele che fluttuano...è divertente"-ne rise la ragazza visibilmente barcollante.
"È meglio che te ne torni in camera, ti accompagno se vuoi"-il ragazzo era preoccupato che qualcuno potesse vederla in quelle condizioni, specialmente i suoi genitori, o peggio, quelli di Walburga.
"No Ralston davvero, sto bene, guarda come sto in equilibrio su una gamba!"-la Black improvvisò qualche strano gesto improvvisato, rischiando di cadere.
"Andiamo"
Ralston passò un braccio attorno al collo di Davina e prese la strada alternativa per riportarla in camera.
Odorava tremendamente di alcol, poteva percepirlo seppur le sue narici fossero tappate.
Il percorso era più lungo rispetto alla semplice scalinata, ma non era sicuro che lei sarebbe stata in grado di farcela a salire, così sviò per qualche corridoio isolato fino ad arrivare a delle scale molto meno ripide, che Davina riuscì bene o male a salire.
Arrivati di fronte alla porta del dormitorio, Ralston girò la maniglia, con cura di non farsi sentire da nessuno.
Appoggiò una Davina distrutta sul letto, riuscendo nell'impresa di non farla cadere nel mentre e si sentì sollevato.
"Buonanotte Davina"-disse prima di riavviarsi verso la sala da ballo.
Davina girò la testa di qualche centimetro per visualizzare la sua figura che spariva in controluce.
"Aspetta un attimo, ti devo chiedere una cosa"
Ralston si paralizzò sull'uscio della porta per ascoltarla. "Dimmi"
"Cosa ha Riddle che non va? Insomma mi vuole, poi non mi vuole, è cattivo, poi è buono. Qualcuno mi spiega che cos'ha che non va?"-chiese lei alzando un po' il tono di voce.
"Vedi, quando Riddle è gentile, sempre che lo sia davvero, è perché vuole ottenere qualcosa. Non farti strane idee su di lui, è un ragazzo estremamente subdolo"
"Certo, e allora perché mi avrebbe chiesto di scopare? Implicitamente, non in maniera aperta, ma io credo di interessargli almeno un pochino"-Davina gesticolò un po' con le mani, racchiudendo le dita a virgolette nel dire le ultime due parole.
"Te l'ho detto, è perché vuole ottenere qualcosa. Non pensare che si possa innamorare, è una persona strana, un ragazzo dal quale dovresti guardarti bene. Io so per certo che sia affascinante o cose simili per te, ma non è una persona della quale dovresti fidarti"
Ralston si incamminò di nuovo fuori dalla stanza, sentiva l'adrenalina salire.
Non aveva mai esternato ciò che pensava veramente su Tom.
Il ragazzo che un tempo ammirava per tutti i suoi successi si era rivelato uno psicopatico.
Si faceva chiamare Lord tra i Cavalieri, e loro non avevano mai osato contraddirlo in nulla di ciò che faceva.
Sebbene sapessero benissimo chi fosse in realtà.
Che suo padre fosse morto per causa sua.
Che lui avesse intenzione di diventare immortale.
Che odiasse i mezzosangue.
Eppure Tom riusciva sempre a cavarsela, con il suo faccino innocente e la sua mente oscura. Era sempre fuori dai guai.
Odiava il fatto che fosse così libero, ma non poteva dirlo a nessuno.
Era un segreto che custodiva gelosamente nel suo cuore.
Ralston deviò il percorso, invece di dirigersi nella sala da ballo, si incamminò verso la sua camera, che condivideva con Abel.
Ma lui non doveva essere lì ancora, perciò decise di entrare per fare una cosa a sangue freddo, della quale si sarebbe probabilmente pentito.
Si sedette sulla comoda poltrona rivestita di fronte alla scrivania, e prese piuma e inchiostro.
La lettera che stava per scrivere avrebbe cambiato il corso della sua vita per sempre.
"Aurora Fontaine, 535 Carlton Avenue, Londra"
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