8. Danza che ti passa (I)
Appena messa la testa fuori, Amina si stupì di quanto tempo fosse già passato: il sole, ormai quasi scomparso dalla vista, aveva tinto di un piacevole rosato la superficie quasi piatta del mare calmo, usandola come la tela di un quadro, mentre le prime ombre della sera già si preparavano a cancellarne l'opera.
Velluto la attendeva seduta a cavalcioni del fusto di un cannone, in una posa molto rilassata... e assai poco femminile.
Soffiava una brezza costante, che consentiva al veliero di mantenere una buona andatura.
In base alla posizione del tramonto, la giovane stabilì che stavano navigando verso Nord, forse Nord-Ovest.
«Mio padre manderà ogni singola nave alla tua ricerca» proclamò, spavalda, senza nemmeno sapere bene perché lo stesse dicendo.
La sua rapitrice si strinse nelle spalle. «Vedremo.» replicò, senza lasciar calare il sorriso «potrebbe sorprenderti scoprire che non lo conosci bene quanto credi.»
«Non hai paura della Marina Vanessiana?»
«Non ho paura di mettermi alla prova. Al contrario di te, si direbbe.»
Amina accusò il colpo, ma non replicò. «Perché mi hai mostrato la via di fuga, come se fossi un passeggero anziché un ostaggio?» volle sapere, invece.
«Io desidero che tu mi renda ricca. Ma, se le cose vanno male, non c'è alcuna ragione per cui tu debba affondare insieme alla nave. In tal caso, avrai la tua occasione di metterti in salvo, e poi starà a te.»
«E non temi che io provi a scappare?»
«E perché dovresti? Sei abituata a essere reclusa!»
«Come, prego?»
«I confini della tua prigione ora sono d'acqua anziché di pietra, ma la tua situazione non è cambiata poi molto.»
«Non sai di cosa parli!» ruggì la ragazza, in preda a un senso di fastidio esagerato perfino ai suoi stessi occhi «io ero la padrona, in quella casa!»
«Certo, come no.» la prese in giro l'altra, mangiandosi le unghie con noncuranza «padrona di decidere di fare tutto quello che ti veniva ordinato.»
«Non è come credi tu!»
Il capitano si strinse nelle spalle e sollevò le mani in segno di resa «va bene, va bene. Come ti pare. Mi rendo conto che essere artefici del proprio destino possa essere un concetto estraneo, per chi non ne ha mai sentito parlare.»
Saltò giù dal cilindro metallico con agilità, quindi la prese per un polso e la trasse con sé, verso il centro del ponte. La sua stretta, seppur ferma, era sorprendentemente dolce, sul polso delicato e sottile della Termite.
«Schiena di Legno! Suona qualcosa che vada bene per una Pois!" ordinò quindi.
In bilico sul sartiame, con le gambe appoggiate all'albero di maestra e le spalle ancorate alle corde, c'era un uomo che Amina non aveva visto, immobile com'era. Costui biascicò qualcosa in una lingua sconosciuta, quindi cavò di tasca una armonica a bocca e, battendo il tempo col piede sul palo che gli faceva da supporto, cominciò a suonare un ritmo sostenuto.
«Fintanto che sei qui, ad ogni modo, sei padrona di vestirti da maschio, e di difenderti da chiunque provi a metterti le mani addosso senza il tuo consenso. E, visto che sei una ballerina di un certo livello, il modo più rapido ed efficace per insegnarti, è facendoti imparare qualche passo di danza!»
Velluto cominciò ad esibirsi per lei nelle affascinanti e complicate evoluzioni della danza tradizionale delle Coccinelle.
L'eleganza e la grazia con cui la pirata si muoveva suscitarono la sua ammirazione, proprio come era successo la prima volta che l'aveva vista. Anche se conosceva alcuni dei passi, Amina si stupì di come, in effetti, perfino in quei movimenti aggraziati ci fosse una letale promessa di pericolosità.
«Vieni qui, principessa.» si sentì invitare, un momento dopo «vediamo cosa sai fare.»
Sua madre aveva sempre raccontato di come la figlia già ballasse quando era ancora dentro la sua pancia, e sosteneva che quella fosse la prova di come essa avesse da sempre il ritmo nel sangue. Stava di fatto che la ragazza aveva quasi imparato prima a danzare che a camminare: non le ci volle molto per riuscire a replicare alla perfezione le mosse della compagna.
Quando la comandante roteava la gamba verso la sua testa, lei si abbassava flettendo le ginocchia, quando una piroetta a gamba protesa rischiava di farle lo sgambetto saltava in modo aggraziato; i loro avambracci s'incontravano a mezz'aria, le mani protese sfioravano il viso e le orecchie.
Velluto era una maestra fantastica: le sue indicazioni cadevano sempre a proposito, sul tenere un arto più teso o aumentare o diminuire la distanza tra loro; la sua voce era sempre incoraggiante e allegra, come se stessero giocando. Dopo poche ripetizioni, l'ereditiera fu in grado di muoversi come il riflesso nello specchio della sua insegnante.
Numerosi membri dell'equipaggio, richiamati dalla musica, erano saliti in coperta ad assistere, e ora battevano le mani a tempo di musica, ridendo e facendo commenti sguaiati.
La Termite si stupì di constatare che non gliene importava nulla.
Era come un pesce in secca che improvvisamente venga rimesso in acqua: era nel suo ambiente naturale, adesso, e si sentiva serena, in pace, e traboccante di energia, come se niente potesse scalfirla.
Velluto fece un gran balzo all'indietro, e la musica cessò di colpo.
Entrambe avevano il fiatone.
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