6. Ciò che desideri davvero

Amina dovette imporre ai propri polmoni di ricominciare a riempirsi d'aria.

Non si era accorta di aver trattenuto il fiato, proprio come in quel momento non si accorgeva di aver cominciato a iperventilare. Il cuore le martellava nel petto, ben più veloce di quando aveva scambiato quel bacio nascosto col suo amico d'infanzia.

Quella sconosciuta sembrava essere la prima persona al mondo, a riuscire a comprendere i pensieri che le si agitavano nel petto.

Non ne aveva mai parlato con nessuno, perché sapeva benissimo quanto fossero sbagliati, e come chiunque l'avrebbe giudicata –  e condannata – per idee così lontane dalla società in cui era nata.

Quella conversazione aveva preso una strada del tutto diversa da quella che si sarebbe aspettata. Aveva desiderato di incenerire quella poco di buono con lo sguardo, di farla vergognare; ma le uniche emozioni che trasparivano dai suoi stessi occhi, adesso, erano ammirazione e invidia.

Quella donna era l'incarnazione di tutti i suoi sogni: aveva rifiutato il ruolo che il mondo pretendeva da lei, e ne aveva plasmato uno diverso, con le sue sole forze.

Con il coraggio e la determinazione che ad Amina erano sempre mancate, ella aveva lottato per dimostrare di essere più dell'ombra di un uomo.

Quante volte la giovane aveva sognato di affrontare il padre, di dirgli ciò che pensava, di lasciare che lui la ripudiasse e lanciarsi all'avventura nel vasto mondo?

Ma non aveva mai saputo rinunciare alle agiatezze della vita che conduceva, né aveva mai vinto la paura dell'ignoto e della solitudine. Si era sempre ripetuta che le cose andavano così da tempo immemore, che al posto suo nessuno avrebbe scelto di vivere da ramingo, nell'incertezza, soltanto per un capriccio.

Invece, almeno uno c'era, e ora stava proprio davanti a lei, sorridendo beffardamente, con la spavalderia di chi ha vinto una gara dalla quale gli altri si sono ritirati anzitempo.

«C'è ancora un'ultima cosa.» riprese Capitan Velluto, annullando la distanza tra loro con un passo deciso. La giovane, per reazione, arretrò, ma il suo carceriere si mosse con lei, fino a che la ragazza non si trovò con le spalle al muro.

«Essere un pirata significa che mi prendo quello che voglio, quando voglio.»

Successe tutto così in fretta da impedirle di opporsi: la bucaniera le passò un braccio dietro le spalle e, con un gesto deciso eppure dolce, unì le labbra alle sue.

Fu solo un fugace contatto, non troppo dissimile dall'unico altro bacio di cui avesse mai fatto esperienza, da ragazzina.

Eppure, suscitò in lei sensazioni ben diverse, e assai più intense: una scarica elettrica le percorse l'intera colonna vertebrale, facendola formicolare come se qualcuno vi stesse infilando decine di minuscoli aghi, e un piccolo sole, luminoso e ardente, si accese nel suo basso ventre.

Durò poco più di un battito di ciglia ma, quando l'altra si ritrasse, ponendo fine a quella magia, sentì quell'astro, di cui fino a un attimo prima non immaginava nemmeno l'esistenza, infiammarsi e reclamare a gran voce ancora, famelico e quasi rabbioso.

«Non sei ancora pronta per il resto.» ridacchiò la pirata facendole l'occhiolino, quasi le avesse letto nella mente.

Amina arrossì fino alla punta dei capelli e si strinse fra le sue stesse braccia, come se quel gesto potesse renderla invisibile.

«Ma che cosa fai?» sbottò «Poco fa hai detto ai tuoi uomini che su questa nave nessuno tocca una donna senza il suo consenso!»

Velluto ridacchiò. «Carina, quando sei al comando di una ciurma senza legge né divinità, c'è bisogno di regole chiare, e di qualcuno che le faccia rispettare. Sei talmente bella che, se non avessi detto così, i ragazzi avrebbero cominciato a scannarsi per stabilire chi doveva scoparti per primo... E io ne avrei persi più in questo modo, che non durante l'arrembaggio di un mercantile armato!»

Le passò una mano sul volto con un gesto carico di dolcezza, che riattizzò quel fuoco sconosciuto. Nonostante avrebbe voluto scostarsi, Amina si ritrovò a fare silenziosamente le fusa come un gatto, scossa da minuscoli brividi di piacere.

Cosa le stava succedendo? Aveva sentito racconti di magia, ma non vi aveva mai dato troppo credito: possibile che quella donna le avesse fatto qualche sortilegio?

«Quindi, sì, tesorino: se te lo stai chiedendo, queste regole servono più a salvaguardare i tuoi rapitori, che non a preservare la tua verginità!»

«Come sai che sono...» squittì la giovane, inviperita, senza però riuscire a terminare la frase a causa dell'imbarazzo.

La lestofante le rivolse un sorriso divertito. «Basta guardarti.»

Come se si fosse improvvisamente stancata di quel gioco, le lasciò un po' di respiro, andando a sedersi sul letto.

«Ad ogni modo, io sono il capitano: nessuno si aspetta davvero che le stesse leggi valgano anche per me!»

Amina si toccò le labbra con due dita, nel punto in cui percepiva ancora il calore di quelle della corsara. Notando poi che quest'ultima la stava ancora guardando, ritrasse di scatto la mano.

«Io sono una ragazza!» obiettò.

«Me ne ero accorta, sai?» ridacchiò Velluto «e un magnifico esponente della categoria, direi!»

«Intendo che... Tu non... Perché hai...» balbettò la giovane, troppo confusa per riuscire ad articolare una frase di senso compiuto.

La sua interlocutrice sfoggiò un sorriso sornione. «Cara, credi davvero che sarei disposta a rinunciare a più di metà dei miei possibili partner, solo perché sono del mio stesso sesso?» L'ultima parola fece sobbalzare la figlia del governatore, ringalluzzendo i tizzoni nascosti in lei.

 «Vuoi dire... Stai dicendo che tu...»

«Respira, ragazzina, o ti verrà un infarto!» la interruppe la manigolda «Sto dicendo che tu» la scimmiottò, puntandole un dito contro «sarai mia, prima che io ti restituisca a tuo padre.»

Amina si strinse ancora di più tra le braccia. «Non oserai!» gridò indignata, ma nemmeno lei ci credeva troppo.

Di nuovo, l'altra ridacchiò. «Non ce ne sarà bisogno: sarai tu a chiedermelo!»

«Questo non succederà mai!» proclamò la borghese, con rinnovata spavalderia.

«Vedremo.» replicò Velluto con aria tranquilla, facendo spallucce. Alzatasi in piedi, armeggiò per qualche momento col contenuto della cassapanca, quindi le lanciò addosso un fagotto stropicciato. «Dubito che quel vestito fatto di nulla si possa rammendare: mettiti questi.»

Amina esaminò l'involto: una maglia lisa e consumata e... una volta realizzato di cosa si trattasse, per poco non lo fece cadere per terra. «Sono pantaloni!»

«Mi chiedo come mai non si parli della tua straordinaria sagacia, in ogni porto da qui alle terre del Sud!» la canzonò l'altra.

«Non capisci... Non posso indossare pantaloni. È proibito!»

«Credi che le stupide imposizioni che hai dovuto seguire fino a oggi contino qualcosa, qui?» la provocò la sua rapitrice. «Per quanto mi riguarda puoi anche rimanere nuda, ma ti faccio presente che potrebbe non essere una mossa saggia, considerata la gente da cui sei circondata.»

La ragazza fu presa dal panico: se si fosse venuto a sapere, avrebbe potuto anche essere frustata per essersi vestita da maschio; inoltre i demoni dell'oscurità, come è risaputo, tormentano i sonni delle femmine che non sanno stare al proprio posto.

«Non puoi farmi questo!» gridò, la voce resa stridula dall'emozione «Non puoi costringermi a indossare simili stracci, non puoi obbligarmi a infrangere le regole del mio popolo! Pretendo di essere trattata in conformità al mio rango, e allo statuto internazionale sui prigionieri!»

Il comandante della nave la raggiunse in silenzio e, sempre senza una parola, la schiaffeggiò.
Due colpi, dritto e rovescio, uno per guancia.

«Apri bene le orecchie, signorina. Cercherò di essere chiara: a bordo della Sea Wasp non sono tollerati capricci e piagnistei! Se vuoi pretendere qualcosa devi avere le palle, la determinazione e le capacità per farlo! Fino a quel momento, varrai meno dei chiodi che tengono assieme il fasciame: infatti, loro hanno uno scopo qui dentro, mentre tu no!»

Amina era abituata a essere colpita dagli eunuchi incaricati della sua educazione, che sembravano indulgere in punizioni corporali con fin troppo entusiasmo. Gli sganassoni appena ricevuti non erano nulla se confrontati alle sberle che gli rifilavano i suoi tutori.
Eppure, l'avevano colta così alla sprovvista, ed erano tali e tante le intense emozioni provate fino a quel momento, che scoppiò in un pianto dirotto, incontrollabile e isterico.

Velluto non cercò di consolarla. «Qui non troverai gonne. Fai come ti pare, ma non uscire da qui con quel vestito addosso, se non vuoi che ti succeda qualcosa di spiacevole. Fino a che rimarrai nella mia cabina, dovresti essere al sicuro: chiunque sa che se entra qui senza il mio permesso, finisce ucciso.»

Quindi raggiunse l'uscio e, prima di lasciarla, concluse: «prenditi il tempo che ti serve.»

Rimasta sola, Amina sentì improvvisamente le forze abbandonarla: ora non doveva più impressionare nessuno, non doveva dimostrare di essere forte, di non aver paura.

Fino a poche ore prima, la sua unica preoccupazione era l'infelicità di un futuro deciso per lei da qualcun altro. Ora, nel volgere di pochissimo tempo, il suo futuro si era fatto incerto, pericoloso.

Era sola, circondata da nemici, inerme e vulnerabile.

Crollò sulle ginocchia, lì dove si trovava, e pianse tutte le sue lacrime.

SPAZIO AUTORE

Sono convinto che questo capitolo sia il pezzo più emozionale che abbia mai scritto in vita mia.

Cosa ne pensate?

Vi ha spiazzato più il bacio, con la conseguente reazione di Amina; o lo schiaffo?

Quest'ultimo va comunque collocato nel contesto sociale e nel simil-periodo storico della vicenda, mi raccomando. Non si promuove violenza sulle donne, qui.

Mi sento soddisfatto di come i personaggi interagiscono: il Velluto che compare qui è perfettamente fedele e compatibile con quello che appare nel "Dominio", mentre il comportamento di Amina mi sembra in linea con quello che sarebbe lecito attendersi, e il modo in cui le sue emozioni si alternano rapidamente, mi convince.

Siete d'accordo o c'è qualcosa che secondo voi non "funziona"?

Grazie di essere arrivati fino a qui :)

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